Beppe Grillo, Renzi

Se Grillo fosse, semplicemente, il migliore?

Quello che sta succedendo sarebbe divertente, non stesse capitando a noi. Per sommi capi: il movimento che ha sempre osteggiato la legge elettorale di Renzi, ora vuole andare a votare al più presto proprio con quella legge; il partito che trovava la stessa legge bellissima, democraticissima, un esempio per tutta l’Europa… ora la vorrebbe cambiare. Nel frattempo si rinfacciano la scarsa coerenza, che pare sia una virtù imprescindibile se fai politica. Entrambe le fazioni sono guidate da personaggi che in passato avevano promesso di ritirarsi dalla politica in caso di sconfitta: Beppe Grillo prima delle catastrofiche europee del 2014; Matteo Renzi prima di questo referendum che evidentemente si illudeva di vincere, o almeno di perdere di misura. Probabilmente continueranno a sfidarsi anche nel ’17.

Da questa distanza l’italicum è sempre sembrata una legge pessima, e più adatta a Grillo che a Renzi. Lo scrivevo all’indomani del vertice del Nazareno, non ho avuto in seguito motivo per cambiare idea; (l’ho scritto anche sul quotidiano di riferimento del Pd, finché ho potuto). Non solo era una legge che faceva confusione tra presidenzialismo e parlamentarismo e attribuiva un premio abnorme; ma col ballottaggio avrebbe naturalmente premiato il voto contro, ovvero il M5S. Credo che Grillo oggi sia d’accordo, se ora propone di estendere la stessa legge al Senato (anche se non si può). Credo che anche al Pd condividano la stessa opinione, se smaniano di cambiar legge. Ma ci vuole una maggioranza e non è detto che ci sia.

C’è poi il solito problema del Senato: con una delle sue tipiche mosse impazienti, Renzi fece approvare una nuova legge elettorale che cambiava soltanto il meccanismo della Camera, confidando sul fatto che il referendum confermativo avrebbe eliminato le elezioni del Senato. Era una fiducia, col senno del poi, veramente mal riposta. Confesso: credevo che dietro ci fosse una qualche machiavellica astuzia; anche se fosse stato sconfitto al referendum, Renzi sarebbe rimasto a Palazzo Chigi con la scusa che a quel punto bisognava rimetter mano alla legge elettorale. Il fatto che giusto un mese fa la direzione del Pd avesse dichiarato ufficialmente di volerla modificare era un indizio ulteriore in tal senso. Mi sbagliavo: una volta sconfitto, Renzi non ha voluto restare a Palazzo Chigi un attimo in più del necessario, con tanti saluti al dibattito sulla legge elettorale. Se poi non si riuscisse a formare un altro governo, e si andasse davvero a votare in questa situazione con l’italicum alla Camera e il mattarellum emendato dalla Consulta al Senato, sarebbe davvero reponsabilità di Grillo?

Più in generale: chi dei due ci sta facendo una figura migliore? Non è solo una questione di successo elettorale: oggi Renzi è nella polvere e Grillo è sugli altari, due anni fa era il contrario, chissà che succederà da qui in poi. Ma chi dei due sta mostrando di avere più il polso dei suoi elettori e in generale degli italiani? Chi dei due sta approfittando meglio della situazione – e la politica è anche l’arte di approfittarne? Chi dei due si sta rivelando il migliore politico?

Su un’altra cosa sbagliavo: non credevo che i grillini avrebbero fatto una campagna referendaria così intensa. Ero convinto che questa volta avrebbero lasciato alla propaganda renziana campo libero perché, tutto sommato, una vittoria del Sì non li avrebbe affatto danneggiati. E dopo Roma non mi sembravano così ansiosi di prendere il potere. Mi stavo sbagliando. Il M5S rischia seriamente di vincere un’elezione nel 2017. Se succedesse, attenzione, non sarà una vittoria dell’antipolitica. Se Grillo vincerà, sarà grazie alla sua astuzia e alla sua capacità di cogliere le opportunità e metterle a frutto. Vincerà perché sarà stato più bravo, o gli altri molto più scarsi. In ogni caso se la sarà meritata.

Beppe Grillo, referendum, referendum costituzionale 2016, Renzi

Referendum propositivi? Cosa potrà mai andare storto?

Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali (dall’articolo 71 della Costituzione riformata).

A proposito di leggi di iniziativa popolare: sono passati quasi due anni da quando Beppe Grillo presentò trionfante le 50.000 firme (raccolte in un week-end) che chiedevano l’istituzione del referendum propositivo. Il piano di Grillo, un po’ tortuoso, prevedeva poi di raccogliere altre firme per indire un referendum che avrebbe proposto al governo di uscire dall’Euro (ripeto perché secondo me è bellissima: Grillo non ha mai direttamente chiesto di uscire dall’Euro; Grillo ha raccolto firme per proporre una legge che istituisse un referendum per proporre agli italiani di uscire dall’euro).

L’iniziativa di legge popolare m5s si è arenata, com’era ovvio: in compenso Renzi ha fatto inserire il referendum propositivo in Costituzione. Non è l’unico caso in cui i due sembrano in sintonia: Grillo tuona contro le auto blu, Renzi le mette su ebay. Grillo vuole tagliare gli stipendi ai politici, Renzi propone un senato di dopolavoristi. Grillo vuole chiudere Equitalia, Renzi la chiude. Grillo voleva il referendum propositivo. Renzi lo introduce. Cosa potrà mai andare storto? Si tratta solo di chiedere ogni tanto un parere al popolo. Ragionevole, no?

No, niente. 

Vi è piaciuta questa campagna elettorale? A me non è sembrata così violenta come dicono in giro, ma è anche vero che non guardo i talk show. Comunque pensate: tra un anno potremmo avere un bel referendum propositivo sull’Euro. Perché no? E chissà come andrà a finire, eh? Negli ultimi due anni abbiamo avuto due meravigliosi esempi: la Grecia e la Gran Bretagna. Parliamoci chiaro: Grillo è un populista, è il suo mestiere, lo fa con una certa grazia istintiva. No, non gli farei gestire il mio condominio (ma neanche lui si proporrebbe). Renzi per contro è un politico con ambizioni di statista. Cosa gli sta dicendo il cervello? Se dopo la calda estate greca del ’15 e la Brexit del ’16 ha ancora voglia di subire o indire referendum propositivi, qualcosa veramente non va. Non abbiamo già abbastanza problemi? Lo chiedo a tutti quelli convinti che se vincesse tra dieci giorni poi Renzi avrebbe campo libero per cinque o dieci anni: ma avete capito che campo minato ci aspetta se passano i referendum propositivi?

Il caso greco è particolarmente istruttivo. A inizio di luglio il governo greco chiede ai propri cittadini un parere sul pacchetto di misure proposte (imposte) da Bruxelles. Il popolo greco risponde di no – e d’altro canto sarebbe stato molto curioso il contrario. Ti chiedono un parere su aumenti di tasse e licenziamenti, cosa dovresti rispondere? No. Festa di piazza, il popolo ha parlato, Varoufakis si dimette, ufficialmente per non ostacolare le trattative. Tre settimane dopo il governo greco accetta un pacchetto di misure sostanzialmente più aspre di quelle che erano state sottoposte a referendum. Perché questo è il bello dei quesiti propositivi: fanno populista e non impegnano. In fondo Tsipras non aveva mica scritto sulla scheda “rifiuti qualsiasi tipo di pacchetto”. Se ne rifiuti uno pesante, non è detto che quindici giorni non ti vada di mandarne giù uno più pesante. Però ti ho chiesto un parere, non è bello chiedere i pareri?

Ma perché Tsipras e Varoufakis chiesero un parere? Non erano già i legittimi rappresentanti del popolo greco, autorizzati dal voto popolare? In teoria sì. In pratica:

Come cercò di spiegare Varoufakis in uno dei tweet più belli di sempre: noi abbiamo preso solo il 36% dei voti, non ci si può mica aspettare che prendiamo una decisione tanto grave! Per una decisione del genere abbiamo bisogno almeno del 50%+1. Una dimostrazione più evidente di quanto sia sbagliato il maxipremio di maggioranza non si potrebbe avere – ci torno su perché a quanto pare il “modello greco” continua a interessare ai nostri riformatori: un bel premio di seggi al partito che arriva primo e amen. Ecco: in Grecia non solo non ha assicurato la governabilità (due elezioni in tre mesi), ma ha creato una specie di crisi di legittimità: quando rappresenti soltanto un terzo dei tuoi elettori, fai oggettivamente fatica a imporre agli altri due terzi delle misure impopolari. Sai benissimo che è la tua fine politica. E allora chiedi un parere: referendum consultivo. Ma funziona?

Il referendum di indirizzo è una strana creatura che sorge spontanea nella putrefazione dei corpi intermedi, e si nutre della mancanza di visione dei leader. Cameron è contrario a uscire dall’Unione Europea, ma non riesce a imporre la sua linea a parte dei Tories: indice un referendum (a cinque mesi dal voto sulla Brexit, i britannici non hanno ancora capito come usciranno dall’UE. Pensavano che non servisse un voto del Parlamento – l’Alta Corte ha detto che serve. Forse serve anche il parere di quello scozzese, di quello gallese, forse, non si sa). Grillo non osa dirsi contrario all’Euro: Grillo propone un referendum. Se poi crolleranno le borse non sarà mica stata colpa sua, lui mica voleva uscire, lui voleva solo chiedere un parere. Tsipras e Varoufakis vincono col 35% il gran premio delle elezioni greche, ma non hanno poi tutta questa voglia di recitare la parte dell’antipatico che impone le tasse anche al restante 65% – sicura garanzia di perdere il gran premio successivo. E allora indicono un referendum. Non sai quel che vuoi? Lo chiedi ai tuoi elettori, lo sapranno loro. I tuoi elettori hanno idee più confuse delle tue? Eh, sarà colpa del suffragio universale, dell’era postfattuale, delle notizie finte su facebook. E andiamo avanti così. Il referendum consultivo è il lato oscuro della governabilità: in teoria vai spedito, non accetti compromessi, e ci vediamo tra 5 anni. In pratica, appena ti tocca imporre una tassa in più, una norma in più, sei fregato. Sai che gli elettori se la prenderanno solo con te. Fai una mossa laterale: chiedi un parere al popolo. Provi a responsabilizzarlo. Cosa potrà mai andare storto? Non so, chiedete a Cameron: il popolo non vuole responsabilizzarsi e trascina il Paese in un guaio enorme. Chiedete a Tsipras: il popolo non vuole un pacchetto ma alla fine gliene fai mandare giù uno più pesante.

Io credo nella democrazia rappresentativa, che cerca di rimediare alla non specializzazione degli elettori offrendo loro delle figure intermedie, che sappiano dimostrare la propria competenza e autorevolezza. Non disprezzo chi raccoglie firme – è una degna forma di lotta – ma non credo nei plebisciti, non credo nelle scorciatoie populistiche. Si capisce che chi vuole governare senza avere il 50% del voto popolare sarà spesso tentato di indirne uno per rafforzare la propria posizione (in fondo è quello che Renzi sta facendo in questi giorni, salvo che adesso usa la Costituzione come pretesto). Mi sembra tutto sbagliato: credo che l’esecutivo deve essere espressione di una maggioranza solida, rappresentante una netta maggioranza del Paese, magari messa assieme mediante coalizioni, patti, alleanze e inevitabili compromessi. Credo nel meccanismo di delega, temo che trasformare i partiti in comitati elettorali li renda fragili e incapaci di articolare qualcosa che non sia funzionale alla carriera del leader di turno. I referendum propositivi rappresentano tutto quello che secondo me non va nella politica di oggi: ovviamente di fronte a questa brutta e miope riforma che cerca di introdurli voto No. (E non prendetevela con me se Grillo fa la stessa cosa: è lui l’incoerente).

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi).

Beppe Grillo, catastrofi, superstizioni

Sei sicuro di essere più intelligente della senatrice complottista?

Cara persona intelligente, che nel giorno della scossa più forte hai condiviso il tweet della senatrice 5stelle, arrabbiata con Renzi perché ritocca i dati dei sismografi per non rimborsare i terremotati. Lo hai ripostato anche otto ore dopo. Ci hai scherzato coi tuoi contatti. Ci hai scritto un pezzo sopra e lo hai pubblicato su un blog o su un quotidiano.

Dobbiamo parlare.

Perché lo fai? Perché ogni volta che vado su un social, invece di trovare subito cose interessanti, trovo strafalcioni ridicoli e bufale stantie, messe in giro da te o da altre persone come te, ugualmente intelligenti?

Un grafico altrettanto chiaro in italiano
ancora non si trova.

Potresti dirmi che lo fai per denunciare l’ignoranza altrui, tanto più grave quando appartiene a una persona investita di potere e responsabilità, come appunto una senatrice. E ci potrebbe anche stare. Probabilmente è stato anche grazie alla pronta reazione di chi le stava intorno che la senatrice ha modificato il tweet pochi minuti dopo – senza peratro rinunciare all’impianto complottista. Ai tempi del terremoto in Emilia – appena quattro anni fa – la stessa bufala circolò indisturbata per settimane. Adesso appena qualcuno la mette in circolo viene preso in giro universalmente. E però qualcosa non mi torna.

Il tweet originale sul complotto anti-magnitudo sarà resistito per quanto, mezz’ora? Ma dodici ore dopo la mia bacheca era ancora invasa dagli screenshot, dalle immagini prese al volo di quel tweet. Come se la cazzata in questione fosse davvero troppo bella per non essere diffusa, reclamizzata, amplificata. Cara persona intelligente.

Sei sicuro che sia una buona idea? Prendere una cazzata che è durata pochi minuti, clonarla e disseminarla ovunque puoi sui social e sulla rete in generale?

Ci provo con un esempio scolastico, che spero non complichi le cose: se vuoi insegnare a un bambino come si scrive “scuola”, sulla lavagna devi scrivere esattamente: “scuola”. Se sai che qualcuno scrive “squola”, lo correggerai sul suo quaderno: ma non devi mai, mai scrivere sulla lavagna la parola con la q. Perché anche se la barri col gessetto rosso, anche se spieghi ad alta voce che è la grafia sbagliata, anche se passi mezz’ora a sottolineare il concetto, se quella q resta sulla lavagna c’è sempre il rischio che qualche alunno distratto non faccia caso al contesto, e creda che quella sia la grafia corretta. E in quella classe ci sono sicuramente degli alunni distratti.

E sui social la maggior parte degli utenti è distratta. Se tu segnali un tweet stupido ai tuoi amici o ai tuoi follower, sei davvero sicuro che tutti capiranno che è stupido? Stai sopravvalutando la loro attenzione, il loro interesse, forse anche la tua intelligenza. Che è poi il motivo – temo – per cui passi gran parte del tempo sui social a cercare i contenuti più cretini e a condividerli: lo stesso impulso che ci porta a guardare i reality o i talent. Sono pieni di coglioni che fanno errori che noi non faremmo. Ci fanno sentire intelligenti. Ma non è necessariamente così.

Sul serio: tra una senatrice che scrive una scemenza e tu che la twitti a ripetizione, chi dei due ha imparato qualcosa l’altro ieri? Almeno la senatrice lo ha cancellato: magari parte da una situazione di ignoranza più grave della tua, ma dimostra di potersi correggere. Domenica era ancora convinta che ci fosse un sistema di rimborso danni legato alla magnitudo registrata da un sismografo ufficiale, oggi no. Tu invece domenica credevi di essere più intelligente di lei e hai continuato a spammare le sue sciocchezze tutto il giorno: col probabile risultato di averle fatte leggere a qualche distratto che l’altro ieri non ci pensava, e adesso magari è convinto che Renzi vada in giro a truccare i sismografi. Cara persona intelligente.

Ma sei sicuro?

Beppe Grillo, coccodrilli, italianistica, snobismi, teatro

Fo era un grande, Fo era un grillino, Fo era brechtiano (e Dylan no)

Possiamo voler bene a Fo anche se negli ultimi anni era grillino? Gli possiamo perdonare questa patetica avventura senile, così come possiamo e dobbiamo perdonargli di essersi arruolato a 17 anni nei repubblichini per evitare l’internamento? A me piacerebbe tanto rispondere di sì, che possiamo. Gli anziani spesso perdono i punti di riferimento, ma non per questo smettono di meritare il rispetto che si sono conquistati con una vita di lavoro. Dario Fo ha lavorato tanto per noi: ci ha reso tutti migliori, anche se non ci fermiamo troppo spesso a rifletterci (certe cose che faccio oggi, e mi divertono immensamente, come la rubrica dei santi del Post: non sono affatto sicuro che avrei mai potuto pensarla o farla senza Dario Fo), e quindi se alla fine è stato raggirato da una banda di cialtroni, pazienza. Potremmo chiuderla così. Invece – indovinate – la questione è più complessa.

Mettiamola così: io non ci sto a invocare qualche forma di infermità senile per l’anziano Dario Fo. Quando decise di seguire Grillo e i suoi, per me era ancora perfettamente in grado di capire e comprendere: era ancora lo stesso Dario Fo di Mistero Buffo. Non vedo contraddizioni, anzi vedo una profonda coerenza di fondo. Fo era grillino molto prima che arrivasse Grillo; possiamo dire che lo era dal medioevo. Per dimostrarlo prendo un libro a caso.

A fine anni ’90, grazie a una pazza idea dei giurati di Stoccolma che potevano leggere le sue commedie tradotte in svedese (altri scrittori italiani che ritenevamo più importanti non erano stati tradotti) Fo diventa all’improvviso un Venerato Maestro.

APERTA PARENTESI

Contrariamente a quanto molti pensano,
lo strumento che si vede nella foto
non serviva a suonare musica, ma
a scrivere parole su un foglio.

Con tutto il bene che voglio a Bob Dylan, e a tutti i brutti dischi che mi ha fatto ascoltare (nessuno ha mai fatto tanti dischi brutti come Dylan), con tutto il sollievo che provo perché per una volta hanno premiato uno che un po’ conosco, devo dire che per me il Nobel alla letteratura più pazzo di tutti, quello che mi ha dato più soddisfazioni, continua a sembrarmi quello a Fo.

Dylan farà brontolare ancora un po’ i benpensanti di ogni età, quelli con l’estetica a compartimenti stagni (“letteratura”, “musica”) che non si capisce neanche esattamente dove se la siano formata: cioè non puoi neanche dare la colpa al liceo gentiliano, o a un Benedetto Croce; nemmeno loro la mettevano giù tanto scema. Più probabilmente hanno in testa i reparti di una libreria, di un multistore: i testi di Dylan non sarebbero “letteratura” perché non stanno in quello scaffale, più che autonomia/eteronomia dell’arte dev’essere una questione merceologica, di inventario.

Con Fo è diverso. Faceva teatro – che è una branca della letteratura più o meno da Eschilo – e non si può neanche dire che non si affidasse alla parola scritta: cioè è vero che improvvisava, ma i testi teatrali suoi e della Rame sono tutt’altro che canovacci: sono dialoghi assolutamente scritti, di buona qualità – e nessuno aveva protestato per George Bernard Shaw o tanti altri. No, il problema con Fo era un po’ più sottile. C’è qualcosa in lui che non riusciamo a ridurre a “letteratura”, in un senso della parola “letteratura” che non è chiaro nemmeno a noi: e non sono le boccacce o il grammelot. Credo che sia un po’ lo stesso problema di Brecht. Fo è un autore a suo modo brechtiano, e quello che fa Brecht non è più, in senso stretto, “letteratura”. Forse ancora negli anni Cinquanta, ma in seguito il reparto si è ristretto. Abbiamo deciso, per esempio, che la politica non c’entra, sta in altri scaffali. Ma Brecht la politica la voleva fare. Galileo e Madre Coraggio sono testi che non si limitano a descrivere il mondo: lo vogliono cambiare. Non stanno al loro posto, non si accontentano di gareggiare in un’ipotetica serie A del consumo letterario che peraltro è stata formalizzata qualche decennio dopo da una branca commerciale di qualche casa editrice.

Con Fo succede la stessa cosa. Marino libero, Marino è innocente! è un bel monologo? Non lo so. Quel che mi è ben chiaro, dopo averlo visto, non è la qualità letteraria del testo, ma il fatto che Marino sia, perlappunto, innocente. Si può apprezzare un testo del genere se invece sei sicuro che Marino sia colpevole? Un fascista può apprezzare Brecht? Secondo me no. Al limite ci sarà un equivoco, ma Brecht non è un autore che si lasci così liberamente interpretare. Ha lasciato note di scena ben precise, non puoi interpretare il Galileo come una difesa di Galileo o addirittura della Chiesa cattolica: non funziona.

Con altri scrittori non succede questo – non è previsto che succeda. Non devo condividere l’ideologia di Hemingway – ammesso che ne abbia una – per amare Hemingway. Non devo coindividere le idee politiche di Montale, non devo condividere le convinzioni di Rushdie, e nemmeno quelle di Bob Dylan. Ma non potevo uscire da uno spettacolo di Fo dicendo “mi è piaciuto ma non mi ha convinto”. Se non ti ha convinto, non ti è piaciuto. Non è letteratura nel senso che gli abbiamo dato negli ultimi anni: forse è propaganda. In ogni caso la faceva benissimo. Ma a questo punto, di nuovo, si pone il problema: gli possiamo perdonare di essere diventato grillino? Perché non è stato un equivoco, lui nel grillismo ha visto qualcosa che aveva inseguito per tutta la vita. Come stavo perlappunto per mostrare prima di aprire questa parentesi che adesso chiudo.

CHIUSA PARENTESI

A fine anni ’90, grazie a una pazza idea dei giurati di Stoccolma che potevano leggere le sue commedie tradotte in svedese (altri scrittori italiani che ritenevamo più importanti non erano stati tradotti) Fo diventa all’improvviso un Venerato Maestro. Potrebbe ritirarsi o ripetere i vecchi numeri approfittando del rilassamento della censura, e invece si butta in altri progetti. Lavora molto. Si interessa soprattutto a uno dei periodi meno conosciuti della nostra Storia, la tarda antichità. Il progetto multimediale La vera storia di Ravenna (1999) prelude ad analoghi spettacoli dedicati al duomo di Modena, ad Ambrogio e ad altre cose che sicuramente mi sono sfuggite; però già nel ’99 in quel libro Fo non si limita a raccontare la città che lo ospita: sono due secoli di Storia che riscrive, approfittando del fatto che non li conosce nessuno.

Il libro è completamente disponibile on line: è una lettura facile e godibile (era uno spettacolo per le scuole, questo fanno gli scrittori brechtiani: mentre voi vi affannate a leggere Roth o ascoltare Dylan, occupano le scuole e vi rovinano i fanciulli), ed è assolutamente in linea con quello che Fo aveva fatto prima, ma anche con quello che ahinoi appoggerà dopo. C’è l’amore per il popolo, unico vero motore della Storia: c’è tutta la curiosità del lettore operaio di Brecht, che vuole sapere se Giulio Cesare avesse un cuoco. E poi c’è questa cosa folle che vi vado a mostrare: la scoperta di un eroe proletario nell’Italia disastrata del sesto secolo. Nientemeno che Totila, re dei Goti. Approfittando di due o tre accenni a una riforma fondiaria che Totila aveva avvallato per rifondare il suo esercito, Dario Fo descrive una scena che col senno del poi assume una valenza ben più inquietante di quella che aveva a fine anni ’90 (ai quei tempi al massimo ci si diceva vabbe’, Cristo e morto, Marx è morto, e Fo si mette a cercare un Che Guevara nella Storia dei Goti).

  

La riforma fondiaria di Totila non ebbe un grosso seguito: vuoi per la peste che colpì di lì a poco la penisola, decimandone gli abitanti (e rendendo una riorganizzazione del territorio in qualche modo necessaria); vuoi perché dopo tante brillanti vittorie che Fo racconta con l’entusiasmo del militante, Totila viene sconfitto e i suoi seguaci crocefissi. Però per Fo l’importante è che ci sia stata: che abbia preso l’esempio da una rivolta avvenuta poco prima in Palestina, e che abbia passato il testimone ad altre rivendicazioni, altre lotte avvenute poco dopo nei territori Bizantini. Totila non è morto, Totila lotta insieme a noi – Fo non lo scrive, ma vuole che uscendo di teatro noi un po’ lo pensiamo. In seguito vedrà nel Duomo di Modena l’opera di un popolo che non vuole essere eterodiretto da papi o imperatori, e dipingerà Sant’Ambrogio come l’eroe del popolo di Milano, un non battezzato che diventa vescovo per acclamazione. Si tratta di operazioni propagandistiche molto più spinte di quelle che i Wu Ming stanno facendo nello stesso periodo. Fo riscrive la Storia dal basso – gli storici ovviamente storcono il naso ma non è a loro che evidentemente Fo guarda. Fo sta cercando e proponendo dei modelli, un po’ perché quelli del Novecento ormai sono inutilizzabili, un po’ perché è quel che ha sempre fatto, dai tempi di Lisistrata e Mistero Buffo.

Un passo oltre: in quel re barbaro che convoca i servi della gleba, gli propone di abolire il feudalesimo della Casta e confessa “abbiamo poca esperienza”, non vi sembra di riconoscere qualcuno? Un Fo che era disposto a farsi andar bene personaggi come Totila o lo stesso Ambrogio, perché non avrebbe dovuto salutare con gioia l’avvento di Grillo e dei suoi uomini inespertissimi? Il movimento del Vaffanculo, Fo lo stava aspettando da una vita. Era stata la voce che lo chiamava dal deserto del Novecento. E a questo punto la palla torna a noi. Ci piaceva Fo, ovvero: ci piaceva una persona che il grillismo lo ha immaginato, lo ha cercato qua e là nei secoli più bui della nostra Storia, lo ha finalmente visto in Grillo e nei suoi. Possiamo anche raccontarci che la situazione sia molto più complessa, ma non è così. Possiamo stabilire che che Fo ci piaceva in quanto geniale propagandista di una cosa che in realtà non funziona, ma è un’operazione un po’ fredda. Se davvero ci piace Fo, dobbiamo accettare che c’è qualcosa del grillismo che tutto sommato non ci dispiace: e decidere, di conseguenza, se vogliamo rimuoverla o mantenerla dentro di noi. Almeno per me è così

Beppe Grillo, cattiva politica, fascismo, razzismi

Non volete che votino gli imbecilli? Non votate.

Potrà essere capitato anche a voi di intercettare, nel rumore di fondo di questi giorni, un’ondata montante di rancore verso il suffragio universale e il suo difetto strutturale – la clausola per cui il voto di un imbecille conta quanto quello di una persona istruita, onesta, rispettabile, insomma quel tipo di persona che è convinta di non essere imbecille mentre fa questo ragionamento.

Per quanto posso, vorrei rassicurare i più giovani: non è veramente niente di nuovo sotto il sole, il problema della demagogia era già ben avvertito dai Greci classici. I sofisti avevano notato l’incostanza delle folle prima che diventassero masse; Tucidide ci ha scritto qualche versioncina che almeno agli studenti del classico dovrebbe risultare familiare. Qualche tempo più tardi Montesquieu affrontò il problema della corruzione del principio della democrazia con parole che si potrebbero benissimo usare oggi per distruggere il concetto di democrazia diretta alla Beppe Grillo, ma forse varrebbe la pena scrivere tutto questo con le maiuscole: LEGGI COME QUESTO ILLUMINISTA DISTRUGGE BEPPE GRILLO! Nel frattempo in Inghilterra, con tutti i limiti del caso, stavano trovando anche una soluzione al problema, magari imperfetta ma non priva di una sua rude bellezza: la democrazia parlamentare, coi suoi meccanismi di delega, e la conseguente professionalizzazione della politica. E non siamo ancora alla rivoluzione francese. Per dire di quanto siamo ignoranti e autoreferenziali, mentre crediamo di aver inquadrato il problema del giorno, anzi del mese o del secolo: gli ignoranti votano! Sì, a cominciare da noi. Oddio, nessuno ci obbliga.

Però adesso c’è qualcosa di nuovo, dicono. L’insofferenza per i politici di professione, la “casta”, l'”establishment”. Ancora: la novità sta negli occhi di chi guarda, e di chi magari non ha mai dato un’occhiata ad altri momenti, altri Paesi: Giannini ce l’aveva coi partiti, Poujade ce l’aveva coi partiti, Mussolini ce l’aveva coi partiti. Hanno tutti avuto un po’ di successo, chi per un quarto d’ora chi per vent’anni.

E internet? Perché qualcuno suggerisce che sia colpa di internet, che ha abolito i diaframmi – ora possiamo rispondere direttamente al politico sul suo blog, naturale che ci venga spontaneo immaginare di governare al suo posto, da casa, con un clic. Sì. A dire il vero la maggior parte della gente che frequento non usa internet per governare o anche solo fingere di farlo. Lo sport più diffuso nell’ambiente è guardare gli imbecilli. Abbiamo sempre saputo che esistevano, ma da un po’ di tempo in qua non facciamo che ammirarli, linkarli, screenshottarli, e poi ammiccare coi compari: pensate che anche questi hanno il diritto di voto! Che roba, che vergogna. Dieci anni fa c’era il Grande Fratello, adesso la bacheca di FB. Non è neanche elitismo ormai, è una specie di bullismo benigno che affligge gente insospettabile. Molto spesso, lo si capisce, è gente che dai bulli le prendeva. Ora li guarda coprirsi di ridicolo sui social e ne gode, fortuna che tra i tasti c’è “Like” e non c’è “leva il diritto di voto a questo imbecille”, probabilmente Zuck ci sta lavorando.

Ricapitolando: la demagogia è antica come la democrazia e l’ha già spesso stroncata sul nascere o in seguito; l’imbecillità è una costante della storia dell’uomo, ma prima di internet avevamo meno finestre per osservarla e forse era meglio così, l’imbecillità è ipnotica. La novità – perché secondo me una novità c’è – sta nella crisi. Non quella occasionale o ciclica, ma quella strutturale che sta affliggendo l’Occidente, e che ha tante concause e spiegazioni, ma io resto affezionato alla più banale di tutte: la Cina e l’India hanno tre miliardi di bocche da sfamare e ormai sono Paesi sviluppati. Serviranno ancora generazioni prima che il costo della vita in quei Paesi si alzi ai livelli dell’Occidente – a meno che l’Occidente non si inabissi, e forse questa sarà la soluzione. Nel frattempo la popolazione mondiale continua a crescere e a spostare l’equilibrio, e poi c’è il riscaldamento globale, insomma sarà molto complicato. Di fronte a questo scenario, diversi demagoghi occidentali hanno reagito in modi diversi ma non così dissimili: Trump vuole l’America “great again” e propone di risolvere costruendo un muro col Messico, come se non ci fosse già. Gli inglesi vogliono uscire dall’UE, così come gli scozzesi un anno fa erano tentati di uscire dal Regno Unito. In confronto da noi Bossi era lungimirante: chiedeva i dazi con la Cina quindici anni fa. Almeno aveva le idee chiare: invece i grillini non sanno bene cosa propongono (uscire dall’Euro?), ma sanno perché: bisogna dar fiato all’impresa italiana, crolli il mondo.

Quello che unisce Trump ai fautori del Leave e ai leghisti o ai grillini non è la polemica anti-establishment, che in fondo usano tutti, è come il giro di do a Sanremo (anche Renzi lo ha intonato). Se per un attimo smettiamo di considerarli imbecilli e ascoltiamo quel che vogliono in concreto, scopriremo che è molto chiaro e perfettamente comprensibile, vista la gravità della situazione. Vogliono alzare uno steccato che li protegga dalla competizione del Resto del Mondo. Vogliono un’America di nuovo Grande, una Britannia ancora impero, una Padania di nuovo rigogliosa di fabbrichette che si rimettano a macinare fatturati come se in Cina non sapessero ormai fare tutto quello che sappiamo fare noi a un quinto del prezzo. Siamo ovviamente liberi di considerarlo un rigurgito fascista, una nostalgia di anziani che non ha più senso cercare di convincere, o il riflesso istintivo del bambino che si rintana in un angolo mentre la casa crolla. Ma non è imbecillità. Non c’è nulla di stupido nel rintanarsi in un angolo mentre la casa crolla.

Beppe Grillo, Renzi

Roma, dove sei? Eri con me

Davvero non so se ringraziare i fantasiosi cittadini romani, da millenni sempre disponibili a sperimentare qualsiasi novità, sia un Eliogabalo o una papessa o un duce, per la straordinaria occasione che hanno colto di vedere il bluff dei Cinque Stelle. Perché Parma evidentemente non bastava, né sarebbe bastata Livorno, e persino Torino: ci voleva l’urbe, il foro dei fori, la cloaca massima, per inghiottirsi tutte le buone intenzioni lastricate qua e là. Per mostrare che il M5S non ha la bacchetta magica bisognava offrire in ostaggio due o tre milioni di persone, una roba da fantascienza distopica, una responsabilità che io non mi sarei mai preso e nemmeno voi, e i romani invece sì: sono pazzi i romani, incredibili, e io non so se ringraziarli.

O maledirli. Perché ci siamo già passati, perché già sappiamo cosa ci aspetta nei prossimi mesi, specie nella mediasfera che mantiene le redazioni nella capitale: può darsi che uno o duecentomila migranti provi ad arrivare in Italia, e che il Regno Unito seceda dall’Europa, ma sarà difficile sentirne parlare. Le stesse olimpiadi passeranno in secondo piano rispetto all’esigenza inderogabile dei nostri cronisti segugi di inchiodare la neosindaco alle sue responsabilità: ricordiamo che il predecessore andava tutti i giorni in prima pagina con una sosta vietata o con uno scontrino, e che qualche sguaiato spindoctor del Pd sta già minacciando misteriosi esposti in procura. Si parlerà di Roma tutti i giorni, come peraltro a Roma hanno sempre ritenuto giusto che sia; si parlerà di tramvieri che scioperano, di funerali rom e di tassisti e camionbar e non avrà nessun importanza che a 58 milioni di non-romani caschino le palle; il mondo come è noto ruota intorno al raccordo.

Poi verrà l’autunno, il referendum, e se la Raggi sarà riuscita a combinarne una veramente grossa, un cratere da qualche parte entro le mura aureliane, Renzi se la può ancora giocare. Ora come ora sembra la sua unica chance, e mi costa un certo sforzo non concludere che se la sia cercata – il famoso complotto per far vincere i grillini. È quello che avrebbe fatto un giocatore più smaliziato di lui – e meno sicuro delle proprie forze: dopotutto è da un anno che la situazione è chiara. A un giocatore più lucido non sarebbe servito altro tempo per saltare alle conclusioni: se la spinta propulsiva delle Europee si è esaurita – e si è esaurita, Renzi undici milioni di voti non li prende più – se le magnifiche sorti progressive del Jobs act e dell’abolizione dell’Imu non creano né occupazione né ricchezza – e lo si poteva capire con largo anticipo, la crisi dell’impresa italiana è strutturale – a questo punto cosa resta da fare? L’unica è chiamare il bluff del contendente, costringerlo a sporcarsi le mani con la politica, magari nel luogo più difficile e più sotto i riflettori che c’è. Un giocatore più razionale lo avrebbe fatto, ma Renzi forse no: troppo innamorato di sé stesso, troppo sicuro di piacere a tutti, troppo incantato dalla sua stessa narrazione, Renzi forse Roma non voleva perderla, o almeno non voleva dare l’impressione di non provarci nemmeno.

Il risultato è stata una campagna avvilente, specie dopo il primo turno, o almeno così è sembrata a questa distanza: tra spot per immaginarie olimpiadi e campagne di diffamazione, certi pretoriani hanno dato il peggio di sé e hanno dimostrato che il livello settato dalla Casaleggio e Associati si può ulteriormente abbassare. Il che fa sospettare che il M5S non abbia soltanto vinto una città, ma anche la battaglia per l’egemonia. A Roma si fronteggiavano due o tre populismi ed è naturale che abbia vinto il più sincero, quello che ancora non si è sporcato le mani. È lecito immaginare che tra qualche mese avrà le mani sozze come gli altri – ci sono precedenti millenari – ma a quel punto non si vede perché il favore della plebe debba tornare al Pd e non spostarsi sul Nuovo Movimento Che Verrà Più Onesto del Precedente. Ovvero, ho il sospetto che questo Pd, ridotto a un comitato elettorale di un tizio che tutto fa tranne andare alle elezioni, stia assomigliando sempre più a un guscio vuoto. Il M5S per contro è un oggetto ancora respingente, ma contiene energie vitali. Ha mostrato di sapersi riorganizzare dopo una sconfitta, di aver imparato dagli errori; ha sviluppato e imposto un gruppo dirigente. Certo, sia Parma che Livorno dimostrano che è impossibile fare politica vera senza uscire dall’ortodossia grillina, ma è proprio questo che rende Roma e Torino da qui in poi laboratori straordinariamente interessanti. Le tensioni che ne deriveranno possono distruggere il M5S, ma anche trasformarlo in qualcosa di diverso: per quanto mi riguarda sarà una buona notizia in entrambi i casi. E quindi insomma in bocca al lupo a tutti, ne avremo bisogno.

1500 caratteri, Beppe Grillo, coccodrilli, elezioni 2013

L’anno che ci colpì in testa

Nel gennaio del 2014 Pierluigi Bersani fu ricoverato – emorragia cerebrale. Tutto sommato gli andò bene, e un mese dopo era già in grado di votare la fiducia al governo Renzi. In aprile fu Gianroberto Casaleggio ad accusare dolori al capo. Anche lui prontamente operato per un edema, anche lui sembrò rimettersi. Bersani è del ’51, Casaleggio del ’54. Entrambi venivano da un anno molto complicato: la campagna elettorale, la crisi al buio, la sofferta rielezione di Napolitano, la tremolante parabola del governo Letta. In mezzo a tutto questo, la trasformazione del M5S da movimento di opinione a principale forza d’opposizione parlamentare, con le inevitabili defezioni ed estromissioni.

Per la Z era forse previsto
un secondo volume (zuzzurellone!
zimbello! zozzo!)

A distanza di qualche anno forse cominciamo a dimenticarci di quanto fu pesante il 2013. Lo fu per me, che avevo un posto fisso e scribacchiavo – lo fu senz’altro molto di più per personaggi pubblici e leader che si trovarono, contemporaneamente, alla berlina sui media, e soli davanti alle decisioni più importanti. Non è così assurdo ipotizzare che lo stress pre- e post-elettorale sia stato una delle cause del malore di Bersani: e Casaleggio forse negli stessi mesi era sottoposto a una tensione ancora maggiore. In più, doveva far fronte alla curiosità faziosa dei media: un’esposizione a cui Bersani era abituato per formazione, mentre per un consulente-imprenditore come lui si trattava di una relativa, e sgradita, novità.

Certo, Beppe Grillo la taglia un po’ troppo semplice quando dice: l’avete ammazzato voi giornalisti. Ed è abbastanza indicativo che di fronte all’intrusione dei media, il cosiddetto guru delle nuove tecnologie abbia reagito alla vecchia maniera, accumulando querele. Diciamo che trasformare un’idea un po’ vaga di democrazia dal basso in quella macchina da guerra che è diventato il M5S richiedeva uno sforzo di energia che qualcuno ha pagato. A un certo punto anche Grillo si sentiva “stanchino“: Casaleggio era già stato operato almeno una volta. La politica è sangue, sudore, riflessi nervosi, materia cerebrale. I giornalisti certo non usano i guanti, ma in generale è il pubblico che non ha pietà. Io perlomeno nel mio piccolo non ne ha avuta, e lo sfogo di Grillo un po’ lo capisco.

Beppe Grillo, coccodrilli, futurismi, internet

Il consulente che cambiò l’Italia (per sapere com’è andata CLICCA QUI!!!)

Non solo in Italia nessuno muore stronzo, ma alcuni hanno anche la dubbia fortuna di morire geniali e visionari. E sì che la traiettoria di Gianroberto Casaleggio – imprenditore, consulente, fondatore di un partito che dal nulla è arrivato quasi al 30% – non avrebbe bisogno di abbellimenti, ma si vede che non basta mai. Bisogna immaginarlo come un burattinaio di Grillo o del Movimento tutto, un leader distante, esoterico – non scherzo, qualcuno ha veramente usato la parola. Qualche anno fa, probabilmente mentre cercava di impacchettare un po’ di fuffa a qualche azienda, la Casaleggio produsse quel video famoso in cui si prevedeva la Terza Guerra Mondiale e la Gaia prossima ventura nel 2054. Il video non era niente di straordinario (la qualità non essendo mai stata una priorità delle produzioni Casaleggio), ma a un certo punto diventò virale.

In mancanza d’altro – il tizio parlava poco e anche i suoi libri alla fine non è che chiarissero un granché – gli osservatori esterni del Movimento decisero che il video su Gaia rappresentava la vera ideologia segreta del suo fondatore, come se ci riflettete è giusto che sia: se hai un piano segreto e non vuoi renderla nota fuori dal tuo cerchio magico, tu subito corri a pubblicarla su Youtube. Ogni volta che ha potuto, Casaleggio stesso ha ribadito che quel video non era cosa da prendere sul serio – non più sul serio di qualsiasi presentazione che un consulente confeziona alle aziende – ma eravamo tutti troppo furbi per cascarci. Anche ieri ne hanno riparlato in tanti, su giornali radio e tv, e Casaleggio è diventato il visionario teorizzatore di Gaia. Questa è la cosa che da sempre mi spaventa: non la morte, ma il modo in cui dopo la morte di noi non sopravvive un senso complessivo di quello che siamo, di quello che abbiamo cercato di fare – ma più spesso la prima cazzata che c’è venuta in mente in un giorno qualsiasi per impressionare una tavolata di persone.

Così com’è difficile capire un Bossi o un Grillo (persino un Renzi) senza dare un’occhiata al territorio, a quei bar in cui la sanno tutti lunga e te la spiegano in due parole, ex chitarristi sbandati, padroncini o figli di, può essere abbastanza complicato comprendere Casaleggio se non hai mai assistito allo spettacolo d’arte varia dei consulenti per le aziende. Quando parliamo di C. come di un grande innovatore digitale, in sostanza stiamo provando a rivendere il pacco che è riuscito a rifilarci. Alla fine della fiera faceva dei siti – neanche molto belli, considerato che erano già gli anni in cui i blog si cominciavano a dichiarare morti. Nessuno che io sappia ha mai trovato particolarmente innovativo il blog di Antonio Di Pietro: certo, faceva notizia che ne avesse uno. Quello di Grillo sembrò sin dall’inizio un pasticcio piuttosto pesante: però era Beppe Grillo. Bastava il suo nome a portare on line milioni di utenti mai visti prima, la blogosfera italiana diventò un piccolo villaggio alla periferia del centro commerciale beppegrillo.it. Nel frattempo gli early adopters passavano ai social network, e Casaleggio nemmeno ci faceva caso. Come innovatore digitale era straordinariamente lento di riflessi, spesso ancorato a software o piattaforme già vecchie nel momento in cui le adottava (Movable Type, i MeetUp). Come nota Mantellini, la stessa concezione casaleggiana della Rete sembrava uscita dai cibernetici anni Novanta: “uno strano riciclo di miti, sogni luccicanti e intuizioni sull’universo digitale presi pari pari dall’interpretazione libertaria americana del nuovo contesto digitale di un decennio prima. Temi che nel frattempo, oltreoceano e nei circoli culturali europei, erano già stati opportunamente accantonati e considerati impraticabili praticamente da chiunque, il più spettacolare dei quali, quello del governo diretto dei cittadini attraverso gli strumenti digitali, è ancora oggi, nonostante le molte smentite pratiche, il punto centrale dell’ideologia del M5S”.

Una volta buttai lì che i grillini erano i nuovi futuristi; poi non ho avuto più tempo o voglia di spiegare. (Bisogna anche dire che io ho studiato più il futurismo che qualsiasi altra cosa, e quindi lo trovo anche nella struttura delle latifoglie). Ciò che il timido consulente e Marinetti avevano in comune, non è solo la sensazione di trovarsi sul promontorio dei secoli, ma anche la segreta consapevolezza di non aver la minima idea di quel che sta succedendo. Marinetti non ha gli sponsor e la fama di un D’Annunzio, ci avrebbe messo un po’ prima di salire davvero su un aeroplano…  però intanto sente tutti parlare di aeroplani, aeroplani, aeroplani, e lui si mette a scriverci un poema sopra. Non ne sa un granché, in sostanza lo tratta come un grande uccellaccio cavalcabile, ma qualcosa l’azzecca. Poi prevede una guerra, che funziona sempre. Non ha una cultura scientifica, ritaglia e incolla qualsiasi scemenza pseudoscientifica trovi sui giornali: si convince facilmente che la radioattività rinnovi il vigore sessuale perché ne parlano “gli scienziati” in una breve sul Corriere.

Casaleggio si ritrova a fare consulting in quel favoloso decennio in cui tutti parlano di internet e non ci naviga ancora nessuno. Lui ci prova. Non inventa niente, il più delle volte arriva tardi: il suo colpo migliore è stato conquistare Beppe Grillo e la sua massa critica di seguaci. Quanto alla politica: a un certo punto ci siamo tutti convinti che Casaleggio fosse la Mente, perché dei due intestatari del partito era quello che parlava poco. Senz’altro la sua idea di rifiutare qualsiasi alleanza o compromissione ha pagato. Ma non era poi un’idea così raffinata, soprattutto se si aveva la possibilità di osservare da un punto di vista privilegiato il livello di impreparazione degli eletti m5s nel 2013. Quando poi si passa alla parte pratica, con le epurazioni e i direttori C ha dimostrato ampiamente di voler gestire il movimento come un’azienda – non dissimilmente da quello che faceva Berlusconi (e lo stesso Renzi ha un concetto simile e nasce in un simile brodo culturale, anche se si è fatto le ossa nell’amministrazione locale). Il che ci riporta a quel bar non necessariamente padano in cui tutti hanno un’idea geniale per mettere a posto le cose. C’era il chitarrista sbandato, il figlio del bancario che non si sapeva esattamente dove avesse preso i soldi, e ogni tanto magari si fermava a prendere il cappuccino il consulente in impermeabile. Chiacchiere simili, timbri diversi, ma se fai caso alla nota dominante, vedi che non varia di molto. Ce l’hanno tutti con chi non ha voglia di lavorare, con gli stranieri che ci levano il lavoro, la burocrazia, i sindacati. Scattano tutti in modo automatico ogni volta che un partito anche solo vagamente di sinistra sembra poter vincere le elezioni.

Mussolini diventò un personaggio scrivendo e dirigendo un giornale, e poi tentò di dirigerla come un giornale (“un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore”). Berlusconi era un piazzista televisivo: vinse le elezioni vendendo il suo personaggio televisivo di miliardario che-risolve-i-problemi, e poi tentò di gestire l’Italia come un palinsesto. Casaleggio e Grillo inventarono un blog – niente che non esistesse già: un’idea al giorno, delle sensazioni, un orientamento del lettore neanche tanto abile, clickbaiting senza pudore. Se avessero vinto le elezioni, avrebbero gestito l’Italia come un blog. Un po’ mi dispiace non averli visti di fronte al cimento, ma non è detta l’ultima parola, anzi.

1500 caratteri, Beppe Grillo, omofobie

Aspettarsi corerenza da Beppe Grillo

(L’hanno presa bene)

Non so se qualcuno ha già notato il paradosso: da una parte c’è un politico (Beppe Grillo) che ha sempre creduto nel vincolo di mandato, che ora chiede ai senatori del suo partito di “votare secondo coscienza”…

…e dall’altra ci sono i suoi detrattori, che invece nel vincolo di mandato non ci hanno mai creduto – e più volte hanno difeso il principio per cui i senatori del M5S non sono i pigiatasti del privato cittadino Beppe Grillo – e adesso se la prendono con lui. Che ha fatto? Ha chiesto ai parlamentari del suo partito di votare secondo coscienza.

E dunque come funziona questa cosa di rinfacciarsi la coerenza? Ok, Grillo è incoerente, ma chi lo critica non lo è in eguale misura? Forse alla fine ci appassioniamo di politica proprio perché è un gioco di specchi. Le questioni di principio diventano questioni di metodo, i metodi materia di compromesso, i compromessi petizioni di principio, e così via, all’infinito.

Cosa vorresti domani? Un’Italia un po’ più civile in cui gli omosessuali possono farsi una famiglia. Servirebbe una maggioranza di sinistra – non c’è. Possiamo offrire ai centristi un po’ di sottosegretariati e confidare nella coerenza di Beppe Grillo. Sulla seconda cosa spero nessuno facesse davvero affidamento.

Beppe Grillo, cattiva politica, come diventare leghisti, fascismo

I due populismi complementari

È un po’ tardi, ma volevo condividere l’intuizione di mezzanotte: se il populismo di destra si caratterizza per la retorica del Nemico, ne consegue che in Italia di populismi attualmente ne abbiamo due, complementari. Questo in parte spiega la momentanea eclissi del M5S, che dopo gli attentati di Parigi non ha ritenuto necessario definire con maggior chiarezza la sua posizione in politica estera; in sostanza non ne ha una. Il fatto è che il populismo di Grillo e del suo comitato centrale è uno dei più curiosi al mondo, concentrato com’è sul Nemico Interno: il Politico. Viceversa il populismo di Salvini e della Meloni, che in mancanza di niente stanno opzionando quel che resta del centrodestra berlusconiano, si concentra sul Nemico Esterno: l’immigrato quasi sempre islamico e potenzialmente terrorista (Berlusconi non ci sta mettendo la faccia, ma il suo Giornale e i suoi tg sono già piuttosto allineati sull’argomento).

Messi assieme, Grillo e Salvini produrrebbero il populista perfetto; purtroppo, o per fortuna, sono inconciliabili. Al punto che nel momento più propizio per dare addosso agli immigrati, gli uomini di Grillo si sottraggono e mostrano il lato più umano (dopotutto anche loro hanno votato per depenalizzare la clandestinità); specularmente, quando passerà l’eccitazione collettiva per il terrorismo e scopriremo qualche altra Mafia Capitale, i grillini tireranno fuori gli artigli, ma Salvini si mostrerà molto più equilibrato, se non proprio garantista alla Berlusconi.

A un certo punto poi si voterà, e uno dei due populismi probabilmente arriverà al ballottaggio (sempre ammesso che ci si arrivi). Forse è inutile analizzare i trend elettorali, forse tutto dipenderà dall’ultimo fatto di cronaca importante: se sarà un attentato, Salvini; se sarà uno scandalo, Grillo. I due personaggi sono incompatibili, ma i loro elettori non lo sono affatto: anzi appartengono a un unico bacino che è in comunicazione anche coi serbatoi inesplorati dell’astensione. Poi c’è lo scenario hard – un ballottaggio tra Salvini e un grillino – e non mi sento di escluderlo a priori. Ah, nel caso voterò M5S: “Onestà” mi sembra meno pericoloso di “Stop Invasione”. E poi in generale mi danno meno affidamento: al primo casino si rivota.

1500 caratteri, Beppe Grillo, catastrofi

La fine del mondo non è più quella di una volta

Pasqua è ormai alle spalle: è tempo di sciogliere il nodo al fazzoletto. Un anno fa m’ero promesso di ripescare una profezia di Beppe Grillo e verificare cosa si fosse realizzato. Vediamo. “Tra un anno di Berlusconi rimarrà il ricordo, di Napolitano neppure quello”. Uhm. “Renzie sarà ricordato come uno zimbello, come il dito inserito in un buco della diga prima della crepa definitiva. Si apriranno finalmente processi come MPS e i nomi della trattativa Stato-mafia saranno espulsi dalle Istituzioni”. L’unico ad aver mollato è Napolitano, ma era una previsione alla portata di chiunque.

È difficile fare gli indovini. Un anno fa anch’io mi ci provai: “molte cose cambieranno“, scrivevo, “ma Grillo sarà ancora in qualche piazza o qualche teatro, ad annunciare che la fine dei tempi è vicina e un’altra Italia è alle porte”. Sbagliavo anch’io, Grillo è stanchino, meno incline a calendarizzare apocalissi giudiziarie. Anche i testimoni di Geova, dopo essere sopravvissuti a due o tre fini del mondo annunciate, smisero di fornire scadenze precise. Il grillismo è in quella fase delicata in cui gli adepti prendono atto che la fine dei tempi non è così vicina, e si pongono il problema di gestire un movimento nel medio-lungo periodo: occorrerà indicare obiettivi intermedi (il referendum sull’euro), creare una gerarchia, ecc. Ce la faranno? Può sembrare un’impresa disperata, eppure il precedente dei seguaci di Cristo (che si posero lo stesso problema 19 secoli fa) è abbastanza incoraggiante.

Beppe Grillo

Altri 10 motivi per cui passo coi grillini (e vaffanculo)

Ricapitolando da ieri: per quanto insensato possa sembrarvi, facendo due calcoli ho concluso che se oggi si andasse alle elezioni, l’unico partito che avrebbe senso votare sarebbe il Movimento delle Cinque Stelle. Infatti:

1. È l’unico che ha ottimi motivi per osteggiare davvero l’Italicum.

2. Il suo approccio No Euro è talmente caciarone che finché Grillo abbaia possiamo tranquillamente stare sicuri che dall’Euro non si uscirà mai.

3. È la cosa più vicina a un movimento meridionalista che si possa votare in questo momento.

E aggiungo:

4. Hanno il coraggio delle loro idee, per esempio: vogliono abolire il vincolo di mandato e trasformare il parlamento in un’assemblea di pleonastici pigiatasti. La stessa cosa che vuole Renzi con le riforme costituzionali e l’italicum, ma loro almeno hanno il coraggio di dirlo. È una franchezza che secondo me va premiata.

5. Quando i topi abbandonano la nave, la situazione è eccellente. Il M5S ha oscillato a lungo tra destra e sinistra. A un certo punto è stato un partito con un vertice totalitarista, quadri intermedi di sinistra e una base di destra. Ora come ora il vertice è stanco e la base sta passando alla Lega. A questo punto basta un po’ di sano entrismo e ci ritroviamo un movimento di sinistra, un Podemos italiano chiavi in mano. Bisogna però agire con cautela, senza dirlo a nessun… ops.

6. La proposta sul reddito di cittadinanza non è così malaccio. Ovviamente manca la copertura, ma si sente l’impegno. Cioè nell’anno che hanno messo a scriverla, Renzi e la Boschi hanno scritto riforme una più pasticciata dell’altra. Se devo spassionatamente scegliere l’alunno più promettente, Di Maio vince a mani basse. Poi con 600 al mese quasi quasi mi licenzio anch’io, mi trovo un lavoretto in nero e poi… ops.

Non bastano? E allora eccone altri:

7. Magari Casaleggio si rimette a promuovere il mio libro, che non era malaccio, dai.
8. Agire Globale, Pararsi il Culo Locale. Non so da voi, ma qui hanno iniziato a scoperchiare le coop edili. Niente niente che un magistrato per sbaglio vada a inceppare la cinghia di trasmissione tra camorra e partito e ci troviamo culo per terra. A quel punto – come si è già visto – la destra non riuscirà a raccogliere il malcontento perché, incredibile ma vero, è sputtanata quanto la sinistra. Sorgeranno pertanto dieci, cento, mille Pizzarotti e io voglio esserci! Voglio anch’io la mia fetta!!1!
9. Sirene, scie chimiche, bilderberg, chip sottopelle, mi manca il 2013. Quelli erano tempi. Altro che italicum e senato degli eletti. Nessuno ci ha fatto divertire come il Movimento, è tempo di ammetterlo. 
Ma soprattutto…
10 Ribadisco, se si andasse a votare oggi il M5S sarebbe il mio partito. D’altro canto oggi è il primo aprile, auguri e grazie a tutti.
Beppe Grillo

Tre motivi per cui passo coi Cinque Stelle e vaffanculo

Questa non è un’esercitazione, ripeto: questa non è un’esercitazione. Il fatto è che, sentiti tutti gli argomenti, provati e riprovati tutti i calcoli, mi sento di poter dire con serena cognizione di causa che, se si votasse domani, il Movimento 5 Stelle sarebbe la prima scelta e Beppe Grillo, se proprio non si riesce a trovare di meglio, il mio leader. La cosa può lasciarvi perplessi – io stesso all’inizio non ci volevo credere – ma se avrete la pazienza di seguire il ragionamento credo che alla fine tutto diventerà abbastanza chiaro.

1. L’italicum fa schifo
Magari non è lo schifo assoluto della prima volta che ce lo presentarono, però continua a essere una legge balorda che introduce il presidenzialismo senza nemmeno avere il fegato di avvertirci: continueremo a eleggere un parlamento nominalmente sovrano ma del tutto pleonastico, controllato da un capo del governo eletto dal popolo. L’italicum è migliorato, ma non è ulteriormente migliorabile: a Renzi il presidenzialismo preme, e peraltro ha una certa fretta (non è detto che il 40% degli elettori lo segua ancora a lungo). A questo punto, a chi mi posso affidare? Chi è che farà l’opposizione più netta al provvedimento, e una volta passato lo osteggerà con più energie durante la campagna referendaria? La sinistra pd brontolerà, qualcuno si asterrà, ma alla fine lo lascerà passare. Berlusconi in questo periodo nicchia, ma in fondo l’obiettivo di Renzi è lo stesso suo. Salvini può fare fuoco e fiamme, ma l’italicum attualmente gli regala il ruolo di leader della destra: quando gli ricapita? Il Movimento 5 Stelle è l’ultimo baluardo del proporzionale, così congeniale a una forza che ha deciso di stare all’opposizione nei secoli dei secoli. Posso averli disprezzati e sbeffeggiati per tanti motivi, ma se hanno l’unico salvagente anti-italicum, non ho imbarazzo ad aggrapparmi: grazie ragazzi, e a buon rendere.

2. Non voglio uscire dall’euro, io
E quindi voto il Movimento che vuole promuovere un referendum per uscire? Sono impazzito? Sì, ma c’è un metodo nella mia pazzia. Riguardo all’euro, vi sono due approcci, che per comodità chiameremo MORDERE e ABBAIARE. Chi abbaia da mesi, da anni, che uscirà dall’euro, non ha evidentemente nessuna convenienza a farlo: non solo perché sarebbe additato come il responsabile del caos immediato che ne deriverebbe, ma perché a quel punto non saprebbe più cosa chiedere, che obiettivo additare al proprio elettorato di riferimento. È esattamente la situazione di Beppe Grillo, che non ha mai voluto uscire veramente dall’euro, ma ha sempre voluto consultare il popolo sull’argomento: una bella differenza. Chi ha studiato seriamente gli scenari di fuoriuscita dall’euro sa che si tratta di un’azione disperata da commettere con precisione militare: un venerdì sera, a sportelli chiusi, con l’esercito a pattugliare i bancomat. Un governo che si decida a un passo del genere, dovrebbe tacerlo ad alleati e cittadini fino all’ultimo minuto – magari raccontando in giro che ormai ci siamo, che la crescita è dietro l’angolo e che la disoccupazione sta per smettere di aumentare – e poi, nel silenzio del venerdì sera, mordere.
E quindi.
Di chi avere paura, a questo punto? Di un Renzi che si ostina a vedere riprese che non ci sono, o di un Grillo che abbaia da anni e che raccoglie firme per referendum senza valore? Io per ora sto con chi abbaia.

3. Viva il sud!
Di Battista, Di Maio, Fico, Ruocco e Sibilia. Nel direttorio grillino il più settentrionale è il non imprescindibile Di Battista, nato a Roma. Non si tratta senz’altro di intellettuali della Magna Grecia, ma dopo vent’anni di berlusconismo in salsa leghista si può anche provare a cambiare versante e vedere come va. Magari diventano bravi, tempo di sicuro ne hanno. E comunque nessuno rischia di ritrovarsi solo al comando di un parlamento di nominati.

(Continua…)

Beppe Grillo, famiglie, omofobie

I grillini e il "baronetto"

Stefano Dolce e Domenico Gabbana investono abbastanza denaro in inserzioni da poter dare per scontata la compiacenza dei gruppi editoriali italiani più importanti; tanto più interessante risulta l’appoggio totalmente gratuito e disinteressato dei parlamentari m5s, che per voce di Tiziana Ciprini accusano il “baronetto” Elton John di ricattare non solo D&G, ma l’Italia intera. (Elton John peraltro non è un baronetto, ma mica si può pretendere che i parlamentari controllino su google: e poi alla fine è tutta un’opinione, e chi siamo noi per non rispettare un’opinione?)

Se qualcuno avesse ancora voglia di spiegare quanto sia cambiato il Movimento 5 Stelle dal grillismo degli esordi, il discorsino della Ciprini potrebbe risultare utile: basti pensare a quanto si usava la parola “boicottaggio” tra i membri dei primi MeetUp. Si boicottava la Nestlè per un buon motivo, McDonald per un altro buon motivo, eccetera. Il Movimento nacque in quel brodo primordiale pre-www, di quando le informazioni sui boicottaggi viaggiavano ancora negli allegati mail. A quel tempo nessuno sarebbe morto per difendere le opinioni di D&G. Costoro a dire il vero fino all’anno scorso comparivano nelle liste grilline degli imprenditori che tradivano l’Italia, trasferendo sedi fiscali in “paesi a fiscalità privilegiata”. Oggi tutto è perdonato – anche perché nel frattempo la Cassazione li ha assolti – e chi minaccia di boicottarli è un nemico della patria, più o meno. Il finale dell’intervento è un piccolo capolavoro di strapaese involontario, perfino divertente per chi ancora ha lo stomaco di ridere dell’inadeguatezza di chi ha vinto a tombola un seggio in parlamento. C’è anche la proposta per un plurale di “fatwa”, e un “colonizzato” abbreviato in “colono” (sempre meglio di colon, dopotutto).

Ci mancava solo un multimilionario angloamericano annoiato a lanciare fatwe contro le nostre aziende.
Ricordo all’inglesino che 9 milioni di italiani di tutte le età sono in sofferenza lavorativa secondo gli ultimi dati Eurostat e che siamo sempre più un Paese colono dei poteri finanziari centrali del Nord Europa e statunitenzi che ci stanno riducendo in un popolo di schiavi. Pertanto chiedo all’illustre baronetto di chiedere scusa in primis ai lavoratori italiani del gruppo D&G, grazie. 

L’illustre baronetto è insomma il complice di un enorme complotto ai danno dell’Italia, ordito dagli americani coadiuvati dai tedeschi o viceversa. Deve pertanto chiedere scusa ai lavoratori, purché italiani, perché è l’Italia che si offende qui. Dove si capisce che alla fine D e G possono aver reagito un po’ istericamente, ma hanno toccato corde sensibili, non solo in zona Forza Nuova. Forse tutto questo è davvero il frutto di un riposizionamento: da brand globale a epitome di un certo tipo di italianità retrograda, che poi magari piacerà a livello globale proprio perché puzza un po’ di capra e di patriarcato. I nostri maschi in canottiera, le nostre donne col pancione, i nostri ragazzini discinti e disponibili, tutto molto pitoresco. Non giudicateci, amateci per quello che siamo, lasciateci mance cospicue e poi tornate a casa a fare le vostre cose moderne.

Anche al M5S insomma hanno deciso che devono essere gli altri a morire per le nostre opinioni. Noi no, noi abbiamo il diritto di manifestarle senza che nessuno osi offendersene. Chi si offende è un fascist, e se si attenta a non comprare più le nostre merci è un ricattatore e uno schiavista. Va bene, basta saperlo. 

Beppe Grillo, giornalisti, tv

Cos’è successo davvero ad Andrea Scanzi? DITECELO!!!

Credo che anche voi, come me, se avete avuto il dubbio privilegio di intravedere questo tweet…

…vi state chiedendo da qualche ora perché, percome, percosa.

Scartiamo subito l’ipotesi più banale, quella del fotomontaggio scherzoso un po’ grilleggiante. Chiunque abbia prodotto questa orripilante immagine, dimostrando una dimestichezza con la funzione scontornante di Photoshop che l’anonimo macellaio di beppegrillo.it si sogna, voleva fare una cosa seria. Spaventarci. Schifarci. Magari farci sputare lo spumante a San Silvestro. In ogni caso, attirare la nostra attenzione.

È lecito domandarsi se non c’è qualcosa dietro.

Il tweet è di Scanzi. Gli altri tre nella foto non lo hanno twittato. Nemmeno di rimbalzo. Per forza – penserete voi – è troppo orrendo. Già. Ma notate la struttura della foto. Notate la posizione centrale di Andrea Scanzi. Notate in che modo le mani degli altri tre si intrecciano sulle sue spalle, come a volerlo… trattenere? non notate nella sua espressione una sfumatura di smarrimento? Non vi sembra che stia chiedendo aiuto?

E perché mai Andrea Scanzi dovrebbe chiederci aiuto? E farlo di nascosto, tramite un fotomontaggio? Un fotomontaggio che lo ritrae nelle vesti di… Paul McCartney?

Proprio Paul, il Beatle misteriosamente scomparso e rimpiazzato nel ’68?

Confesso di averlo un po’ perso di vista, Scanzi. Tanto si sa come la pensa. Tanto si sa come la scrive. Tanto si sa dove trovarlo in tv… anche se è da un po’ che in tv non lo vedo, ma… magari sono io che cambio canale e me lo perdo. In effetti, se fosse Andrea Scanzi fosse misteriosamente scomparso; se fosse stato rimpiazzato da un generatore automatico di opinioni di Andrea Scanzi, me ne accorgerei?

E d’altro canto, come si fa a rimproverare Scanzi di avere sempre le idee di Scanzi – Cioè alla fine questo discorso potrebbe valere per tutta la Rete; siamo tutti generatori automatici di opinioni che dopo un po’ diventano prevedibili. Però questo fotomontaggio ha davvero qualcosa che non va.

È come una stecca improvvisa nel placido spegnersi di una sinfonia. Attira la mia attenzione e mi spinge a scuriosare, dopo mesi (dopo anni) nel blog di Andrea Scanzi.

Quello che trovo ha dell’incredibile.

No, non è vero, è solo la classica frase a effetto per mantenere la vostra attenzione.

Sta funzionando?

AH AH AH! (Fa ridere perché si assomigliano).

Scopro che Scanzi, ultimamente, indulge ad automatismi sospetti. Per esempio usa sempre la stessa immagine per introdurre qualsiasi post su Renzi. L’immagine è un divertissimo accostamento tra Renzi e Mr Bean, ah ah ah – sì, ma quello non vuol dir niente, magari è una scelta per confortare i lettori. I pezzi poi, cosa vuoi mai, la solita zuppa antirenziana; di buon livello, per carità, e non si discute la genuinità e la sostanza degli ingredienti. Ma comunque la solita zuppa. Possibile che uno spirito libero come Andrea Scanzi non si stia, in un qualche modo, annoiando? La prima nota dissonante la trovo in un post del due dicembre.

“Ieri ho visto un po’ di Piazzapulita. Dovevo essere ospite anch’io ma – per vari motivi – ho declinato”. 

“Vari motivi”. Non spiega quali. Dovevano essercene davvero di molto importanti, per indurlo a disertare una trasmissione televisiva in prima serata. Ma non li dice. Nel pezzo invece si lascia sfuggire che

“I 5 Stelle hanno mille colpe, e sono bravi a sabotarsi da soli, ma…”

Ora, chi segue Scanzi sa che “I 5 Stelle hanno mille colpe ma…” è più che un tormentone: è la trave di tutto l’edificio retorico scanziano: su un lato i mille difetti dei poveri 5 Stelle, sull’altro lato l’enorme responsabilità di tutti gli altri.

“…mi pare che al governo non siano mai stati, che non abbiano indagati tra le loro fila e che tutto sommato il loro programma (spesso discutibile) lo rispettino”.

 Ma qui più che l’edificio abbiamo la nuda struttura: hanno mille colpe, sono bravi a sabotarsi, amen. Tutto qui, è l’ultima critica ai 5 Stelle che si legge sul blog di Scanzi, datata 2 dicembre, nascosta in un pezzo dove avverte che non è andato in tv per misteriosi motivi. Non trovate anche voi che ci sia qualcosa che non va?

No?

Nel frattempo nel M5S ci sono state epurazioni, direttori, referendum su nuovi regolamenti, raccolte di firme di dubbia utilità… ma Scanzi ha smesso di parlarne.

Risaliamo ancora più a monte. Il 30 novembre il blog pubblica un intervento di Scanzi alla puntata di Otto e mezzo di due giorni prima – è l’ultima testimonianza televisiva documentata di Andrea Scanzi. La trascrizione dell’intervento è tra virgolette. È una scelta strana, perché il pezzo non è davvero, come sta scritto in fondo, lo “Scambio integrale, serrato ma garbato, con l’ex deputato M5S Artini)”. Chi lo ha trascritto lo ha ovviamente rimesso un po’ a posto, eliminando le repliche dell’interlocutore; trasformando un dialogo in un pezzo leggibile.

E lo ha messo tra virgolette.

Perché?

Voi vi sognereste mai di mettere tra virgolette un vostro post, sul vostro blog? Lo sapete a cosa servono davvero le virgolette, no? A citare un discorso altrui.

Un discorso altrui.

Chi ha preso il controllo del blog di Andrea Scanzi?

Se risaliamo ancora più a monte troviamo, finalmente, delle critiche al M5S dall’inconfondibile sapore scanziano. Sono datate… sette ottobre!

“La fuga dai talkshow è una puttanata totale e della lotta tra pizzarottiani e talebani non ce ne frega una beata minchia: datevi una svegliata, individuate un portavoce (Di Maio) che dia battaglia anche in tivù al Partito Unico, usate il Circo Massimo come luogo per ripartire con slancio (non per frignare, gridare al complotto e regolare conti interni). E finitela una volta per tutte con questo masochismo da asilo Mariuccia”.

Puttanata totale. Beata minchia. Asilo Mariuccia. Questo è l’Andrea Scanzi che tutti ci ricordiamo. Che fine ha fatto? Chi lo sta sostituendo, nel suo stesso blog? E perché?

Qualche ipotesi.

1. Un banale incidente, come quello che costrinse i tre Beatles superstiti a sostituire McCartney con un sosia. Ecco il vero “motivo” per cui non avrebbe potuto comparire a Piazzapulita il due dicembre. E siccome abbiamo la prova video della sua presenza a Otto e Mezzo il 28 novembre, l’incidente dovrebbe essere avvenuto in quella finestra temporale.

A proposito, avete dato un’occhiata a quel video? Avete notato quanto sia scadente la traccia audio? Non sembra che qualcuno borbotti tutto il tempo in sottofondo? Sarebbe interessante estrapolare quei suoni e riascoltarli accelerati invertiti o rallentati finché non ci dicano qualcosa del tipo SCANZI IS LOST.

Dal 28 novembre lì in poi A.S. sarebbe stato sostituito da un bot – o dallo sforzo congiunto degli altri tre “fantastici” colleghi, che a dire il vero cominciano in punta di piedi, rimettendo a posto un suo intervento tv e virgolettandolo. Poi la necessità di non disilludere i fan scanziani li convince a pubblicare altri post a nome suo; magari anche qualche tirata antirenziana di repertorio nel cassetto da qualche settimana. Tutta roba che se non è già scritta, si scrive facile, e anche le immagini si possono riciclare. Verso la fine dell’anno gli impostori però cominciano a sentire il disagio della situazione e in un qualche modo (magari inconscio) cercano di avvisarci: Scanzi is Lost! Scanzi è come il Beatle farlocco!

2. Scanzi potrebbe essere vittima di una oscura lotta di potere nello spazio contiguo tra Fatto Quotidiano e Movimento 5 Stelle. Una lotta sotterranea, oscura, di cui le epurazioni in parlamento non sono che un’eco lontana. Di questa lotta non sappiamo praticamente nulla – possiamo soltanto cercare di interpretare le vaghe allusioni dei protagonisti. Perché Grillo ha deciso di tenere il discorso di fine anno in una catacomba? Sveglia!

Ipotizziamo che Casaleggio e Grillo siano ai ferri corti. Grillo non può più uscire alla luce del sole perché Casaleggio ha dalla sua l’aeroflotta delle scie chimiche. Scanzi, da sempre fortemente critico nei confronti di uno dei due (quale non saprei, magari dopo decidiamo) potrebbe essere stato vittima di un agguato, o di un rito sacrificale, probabilmente consumatosi nelle calende di Dicembre, per ingraziarsi qualche divinità ctonia. Sono cose che succedono più spesso di quanto non si creda nei movimenti di popolo.

3. Non so, dite voi.

Una cosa è chiara: qualcosa è successo ad Andrea Scanzi. Qualcosa che non può assolutamente passare sotto silenzio, qualsiasi cosa sia. La gente deve sapere. Anche se non vuole. La verità è un boccone amaro che dobbiamo farle ingollare a forza, appena lo avremo trovato o anche prima. Per adesso tenete la bocca aperta e gridate con me: che fine ha fatto Andrea Scanzi? Ditecelo.
O gridate con noi.

La gente deve sapere. Fate girare.

Beppe Grillo, costituzione, referendum

Beppe Grillo cosa pensa di te?

ABBIAMO RACCOLTO LE FIRME
PER MODIFICARE LA COSTITUZIONE
PER INDIRE UN REFERENDUM
CHE SE LO VINCESSIMO
FORSE CI LASCEREBBERO USCIRE
DALL’EURO!
#VITTORIA! 

Vabbe’, riproviamoci. Caro elettore o attivista Cinque Stelle, come va?
Io e te non siamo andati molto d’accordo, anche in quest’anno 2014.
Abbiamo senz’altro idee molto diverse; e ci fidiamo di gente molto diversa. Decisamente. Però vorrei che ti fosse chiara una cosa. Io non credo che tu sia un coglione. Io.

Beppe Grillo, invece.
– Non fraintendere, lo so che ne pensi ancora un gran bene, è solo che –
Ti chiedi mai cosa pensa, di te, Beppe Grillo?

Beppe Grillo che convoca una conferenza stampa e accusa Napolitano di non aver permesso ai m5s di formare un governo, l’anno scorso, visto che avevate vinto le elezioni.
Ora, caro elettore Cinque Stelle, so che l’argomento è spinoso. Io te lo devo dire: non credo che voi l’anno scorso abbiate vinto le elezioni, tecnicamente. Ma lasciamo perdere quel che ne penso io.

Tu credi davvero alla storia che Beppe racconta? Napolitano avrebbe dovuto dare un mandato esplorativo a Crimi, o a Di Maio, o a qualche altro sconosciuto, per cosa? C’era una qualche maggioranza nel parlamento del 2013 per un governo Cinque Stelle?
Sai benissimo che non c’era.
Che un mandato esplorativo sarebbe stato soltanto una perdita di tempo.
Che tempo ne perse già abbastanza Bersani, nel tentativo di portare qualcuno di voi dalla sua parte – mentre Grillo e Casaleggio erano contrari già il mattino dopo le elezioni. Dunque di che parla Beppe adesso? Cosa si sta raccontando? A chi pensa di farla bere questa storia? A te?
Cosa pensa di te?

Ha convocato una conferenza tutto allegro perché avete raccolto firme contro l’euro. Cinquantamila in un fine settimana, wow. No, non è una grande impresa raccogliere cinquantamila firme. Per un movimento che due anni fa vinceva le elezioni è quasi il minimo. È anche vero che il tempo passa e questo dicembre è così umido, per cui wow. Le firme contro l’euro.
Servono a uscire dall’euro?

No, non esattamente. Servono a presentare una legge di iniziativa popolare in parlamento.

È un sistema – previsto dalla Costituzione – grazie al quale tutti i cittadini possono presentare proposte di legge in parlamento. Anche quelli che non hanno rappresentanti in parlamento.

Anche quelli che non hanno rappresentanti in parlamento.

Ma il Movimento Cinque Stelle ha un sacco di rappresentanti in parlamento. Eletti dal popolo italiano. La legge potevano ben presentarla loro! Probabilmente hanno pensato che con cinquantamila firme (pochine a dire il vero) la proposta di legge abbia più speranze di essere presa sul serio, e quindi ben venga la raccolta di firme.

Ora la proposta verrà calendarizzata, e quando il parlamento riterrà giusto discuterne, ne discuterà. È sempre il parlamento del 2013, quello dove i Cinque Stelle non hanno la maggioranza, e mai l’hanno avuta, anche se Beppe racconta di aver vinto le elezioni. Insomma le speranze di trasformare quella proposta di legge in una vera legge sono abbastanza poche. Ma ipotizziamo pure che anche gli altri euroscettici del parlamento vi appoggino (anche se non hanno nessun interesse a farlo, dal momento che vogliono soffiarvi gli elettori). Immaginiamo che la proposta di legge di iniziativa popolare sia discussa, approvata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Vittoria! No, aspetta.

È una legge che ci fa uscire dall’euro?
Non esattamente.

È una legge che modifica la Costituzione e introduce i referendum consultivi. C’è persino un precedente: nel 1989 una simile legge costituzionale fu emanata per consentire ai cittadini italiani di esprimersi in un referendum che chiedeva di trasformare la Comunità Europea in Unione Europea, e all’europarlamento di redigere una proposta di eurocostituzione. Il sì stravinse (88%), ma forse non sapevamo quello che stavamo facendo. Mettiamola così.

Invece adesso lo sappiamo, e se la legge di iniziativa popolare diventasse mai una legge costituzionale, noi non usciremmo dall’euro – non ancora – ma avremo finalmente la possibilità di votare per decidere se restare o uscire dall’euro. Mediante un referendum consultivo.

Cioè?

Cioè un referendum che chiede un parere ai cittadini.
Un parere vincolante?
No.

Quindi, in sostanza, Grillo ha convocato una conferenza stampa per annunciare di aver raccolto le firme necessarie a presentare in parlamento una legge per modificare la costituzione affinché si possano raccogliere altre firme per indire un referendum consultivo grazie al quale i cittadini potranno esprimersi sull’euro.

Non suona molto bene, vero? Quindi forse su qualche blog o quotidiano in giro avrai letto che Grillo ha convocato una conferenza stampa per annunciare di aver raccolto le firme necessarie a presentare in parlamento una legge per modificare la costituzione affinché si possano raccogliere altre firme per indire un referendum consultivo grazie al quale i cittadini potranno esprimersi sull’euro per uscire dall’euro.

Così funziona meglio.
D’altro canto, chi te la racconta così, cosa pensa davvero di te?

Tu probabilmente dall’euro vuoi uscirci davvero. Io no, io credo che l’Italia abbia problemi un po’ più complessi, e che prendersela con l’euro sia un po’ come prendersela con il sistema metrico decimale – non è colpa del metro se sei basso, non è colpa del chilo se sei pesante, non è colpa dell’euro se la tua economia ha difetti strutturali.

Non sei d’accordo? Va benissimo, anch’io non sono affatto sicuro che le cose stiano così, soprattutto finché i tedeschi continuano questa politica del rigore davvero molto ottusa, e finché gli altri governanti europei non riescono a opporsi.

Mettiamo che io abbia torto e tu ragione, e la cosa migliore sia davvero uscire dall’euro. Cioè svalutare. Anche se tu ritieni che sia necessario, sai benissimo che non sarà indolore. Perdere il venti o il trenta per cento del potere d’acquisto in pochi mesi non è una cosa da ridere. Certo, sei convinto che l’economia ripartirebbe, e presto tutto sarebbe un ricordo lontano. Però le prime settimane sarebbero uno choc, questo lo sai benissimo anche tu.

Uscire dall’euro è qualcosa di mai tentato prima. Anche ammesso che sia possibile, richiede una certa destrezza onde evitare crisi di panico e derive speculative che non credo neanche tu ti auguri. L’ideale  – lo dicono gli economisti, anche quelli anti-euro – sarebbe uscirne all’improvviso, un venerdì, evitando il più possibile una fuga di notizie.

Prendi Tsipras, per esempio.

Non so se ci hai mai fatto caso, ma ogni volta che glielo chiedono davvero – in caso di vittoria di Syriza, la Grecia uscirà dall’Euro? Lui risponde: no. Ecco, a me eurista spaventa molto più Tsipras, perché è il classico cane che non abbaia.

Grillo invece abbaia tanto. Perché?
È un coglione? No che non lo è.
Certo, si è preso un paio di tegole in testa negli ultimi due anni. Ma non è un coglione.
Allo stesso tempo, non si sta comportando come uno statista che vuole uscire dall’euro. Abbaia troppo. Vuole che tutti ne discutano.
Raccoglie le firme. Per uscire subito? No, per modificare la costituzione.
Per uscire subito? No, per raccogliere altre firme per indire un referendum.
Per uscire subito? No, un referendum consultivo.

E allora, davvero, Grillo vuole uscire dall’euro? o vuole soltanto parlarne?

Caro elettore m5s, caro attivista m5s:
anche quest’anno abbiamo litigato molto, però vorrei che ci abbracciassimo, almeno a Natale. La pensiamo in modo diverso su quasi tutto. Tu credi che il M5S abbia vinto le elezioni del ’13, io no. Tu credi che l’euro sia una maledizione, io penso che sia un’unità di misura come un’altra. Magari hai ragione tu, è possibile. Non sono un esperto, non riesco a vedere bene tutti i lati delle cose. So che tu ne vedi uno molto diverso dal mio, e ne trai conclusioni diverse. Ma le tue conclusioni sono probabilmente logiche quanto le mie – è che tu hai dati diversi dai miei, e chissà chi ha quelli veri. Io non credo di essere più intelligente di te; e non credo che tu sia un coglione.

Beppe Grillo, invece.
Cosa pensa di te?

Buon Natale, felice anno eccetera.

Beppe Grillo

Adesso è stanchino, dice

Beppe Grillo poteva scegliere di passare alla storia come uno degli artisti di popolo più importanti e influenti a cavallo tra due secoli; degnissimo erede di una tradizione di predicatori itineranti che comincia con Savonarola o Bernardino da Siena, e di monologhisti comico-tragici che ha il suo apice in Giorgio Gaber. Incidentalmente, il titolare dell’unico blog italiano di una qualche rilevanza.

Trasferendosi in politica, poteva ancora scegliere di essere ricordato come l’uomo che aveva fondato un partito dal nulla al ventotto per cento – come Berlusconi vent’anni prima – e che a Berlusconi aveva assestato l’invocatissima spallata finale. Beppe Grillo però non ha mai veramente smesso di fare il comico, e non ha mai cominciato a fare vera politica. Sarà ricordato soprattutto per aver conquistato nel 2013 la fiducia di un buon quarto degli elettori italiani, senza sapere cosa farci.

Così come l’ha conquistata l’ha buttata via senza nemmeno giocarci, come uno di quei giocattoli invocati per Natale e che non escono più dalla scatola dopo Capodanno. Dopo aver messo fuori gioco Bersani; auspicato e assistito alle larghe intese tra Berlusconi e il Pd, benedette da quel Giorgio Napolitano di cui avrebbe potuto evitare la rielezione; dopo aver visto affermarsi nel Pd la leadership più adatta a un progetto centrista; dopo aver monopolizzato una larga fetta di elettorato malcontento, imponendogli i candidati estratti al bingo della “Rete”, o del “Portale”; dopo aver buttato fuori, con pretesti più o meno risibili, qualsiasi esponente del Movimento che minacciasse di costruirsi un consenso vero, al di fuori del suo giochino; dopo avere nei fatti impedito che il voto di un buon quarto degli elettori italiani servisse a qualcosa; dopo aver combinato questo mirabile capolavoro, adesso Grillo dice che è stanchino, e smolla il pacco ai primi cinque subalterni che si trova nel corridoio. A rifare il Movimento ci penseranno loro, lui è stanchino.

E i meetup? Gli attivisti? Gli iscritti? Se proprio insistono per dire la loro, possono votare sì per il listino bloccato. Molti elettori non sono stati ad aspettare il finale della farsa, e si stanno riorientando verso quella destra pop-razzista che Grillo ha sempre usato come spauracchio: se non ci fossi io ci sarebbero i neonazisti. Come dire: non saremo un granché, ma almeno non siamo Hitler. No, in effetti Grillo non è stato Hitler; del resto per guidare un piccolo partito populista attraverso le oscurità del primo dopoguerra fino al successo elettorale del ’33 serviva una determinazione che Grillo non ha mai avuto in vita sua.

Che almeno la sua parabola possa servire come esempio per tutti quei movimentisti che dai Novanta in poi hanno rifuggito come Satana qualsiasi concetto di leadership: volevate movimenti perfettamente orizzontali, non volevate capi, non volevate volti, e avete visto il consenso coagularsi intorno all’ultima figurina ex televisiva disponibile sul mercato. Volevate la democrazia digitale e vi siete trovati il sito di Beppe col colonnino trucido. Meno male che era un cialtrone; il primo ad annoiarsi di sé stesso. In futuro non saremo necessariamente così fortunati.

Beppe Grillo, internet, Renzi

Il renzismo è un robot di cartapesta

Il controleffe nel pidieffe.

Il buffo è che chi è giovane davvero, la battuta dell’iphone a gettone non la capisce. Provate a pensare all’ultima volta che avete usato un telefono a gettoni – a me è successo nel 1999, credo, ed ero tra gli ultimi. Chi ha quindici, diciotto anni, questa cosa del gettone la impara soltanto se ha genitori che a cena lo intrattengono con le interessantissime usanze del tempo che fu – quello che per me era il paiolo di rame per la polenta – e un politico che mi avesse fatto una metafora del tipo “è come ficcare un big mac in un paiolo per la polenta” non lo avrei trovato così giovane, ecco.

Per i renziani le nuove tecnologie (oddio, nuove, la chiavetta usb ormai è roba da truzzi) prima ancora che strumenti che ci miglioreranno la vita, sono tic linguistici. Domenica dall’Annunziata una referente renziana all’innovazione scolastica, una che temo abbia intenzione di riempire le classi di tablet, si esprimeva così: per dire “cercate nel documento se c’è un riferimento all’articolo 18” diceva “fate controleffe sul pidieffe”. Poi deve aver pensato che i suoi interlocutori fossero di un secolo diverso (anche se all’anagrafe risultavano più giovani di lei), e pazientemente si è messa a spiegare che “pidieffe” è uguale a documento e “controleffe” è uguale a cercare. Che è una cosa che mi è capitato di fare centinaia di volte in vita mia (anche coi sindacalisti, esatto), per cui un po’ la capisco: in realtà mi ci ritrovo abbastanza, nella situazione esistenziale del renziano medio. Un trenta-e-qualcosa che ha passato metà carriera ad atteggiarsi a guru dell’hi-tech semplicemente perché nel suo ufficio era il più giovane ed era l’unico che sapeva riavviare il router pigiando un bottone (era anche l’unico a sapere che si chiamasse “router”), e questa cosa gli è rimasta attaccata dentro: ora però i vecchi colleghi stanno andando in pensione, e ai giovani che arrivano tocca sorbirsi le chiacchiere di ‘sto tizio che è convinto di saperne di router e di amministrazione di rete, quando al massimo sapeva pigiare un bottone. E magari usa ancora le chiavette, santiddio, quelle cose tossiche che usano i vecchi per scambiarsi i filmini, i vecchi che non sanno aprirsi un account su dropbox.

Alla fine l’approccio dei renziani alle nuove tecnologie non sembra molto diverso da quello dei grillini – è solo un po’ stemperato. Sia gli uni che gli altri cantano le magnifiche sorti progressive di strumenti che in realtà non è che conoscano così bene. Grillo è più immaginifico, è già alla stampante 3d domestica. Il renziano è più moderato – così moderato che a volte non si rende conto di essere rimasto un po’ indietro, ancora parla di chiavette e pdf. Entrambi, più o meno nello stesso periodo, promisero che avrebbero varato incredibili piattaforme per la condivisione dei programmi politici: la fantomatica piattaforma grillina, e il wikiprogramma solennemente annunciato tre Leopolde fa. Se la piattaforma si è rivelata, alla prova dei fatti, un’app abbastanza deludente, il wikiprogramma non è proprio mai esistito; a meno che per wikiprogramma non si intendesse una pagina web con sotto il box dei commenti – ma d’altro canto, da gente che usa le chiavette nel 2014, cosa ti puoi aspettare? Poi c’era quella storia dei finanziatori on line, che per un bel pezzo non si è riuscito a mettere on line, ecc.

La generazione che trova più sexy pronunciare “controleffe sul pidieffe” invece che “cerca nel documento”, coltiva per la rete un feticismo che i più giovani troveranno più difficile da spiegare delle fessure nei telefoni a gettoni, o della passione dei nonni per la polenta. Gente che passava ore a inventare un hashtag, o a criticare gli hashtag degli altri, gente la cui più alta aspirazione era diventare trending topic. Tutta questa roba era un po’ come l’armatura dei robot positronici nei vecchi film in bianco e nero: cartapesta. Dentro c’era un nano che azionava gli arti. Anche il renzismo, se smonti tutto l’incarto a base di iphone e hashtag, ci trovi un nanetto molto indaffarato che le elezioni le vince andando la domenica a Canale5 a promettere cose a Barbara D’Urso. Come se fosse il 1999, di nuovo, e per telefonare a quella ragazza mi stessi frugando nelle tasche, non per estrarne l’alcatel esausto, ma almeno una moneta da cinquecento lire – e sotto lo squarcio di una tasca trovassi nell’imbottitura del cappotto, miracolo, un vecchio gettone telefonico.

Potrebbero interessarti anche:
Renzi e il Partito della Nuvola
È tutto on line, diceva
Zeitgeist è un rigurgito
Ehi, Grillo, la piattaforma?

Beppe Grillo

Ma quando nell’Euro siamo entrati, tu dov’eri?


Son piene le fosse

Frequento pochi ventenni, è un mio limite. Mi piacerebbe capire cosa ne pensano, davvero, di tutti questi vecchi scemi, dai quaranta in su, che all’improvviso hanno realizzato che l’Italia deve uscire dall’Euro – non potevano accorgersene quando stavano entrando? Questi babbioni in piena crisi coniugale, come se un mattino si fossero svegliati abbracciati all’Euro e ODDIOMIO KE HO FATTO!!!!1111!!

“Cosa c’è meine liebe?”
“PUSSA VIA SCHIFOSA VALUTA TEDESCA”.
“Tesoro wie geht’s? hai fatto tu un brutto sogno?”
“Non era un sogno, era la realtà! Che schifo! Io e te… abbiamo passato la notte insieme!”
“Come ogni notte da qvindici anni, liebchen”.

E insomma tutta questa gente ai tempi di Maastricht dov’era? Non potevano accorgersene un po’ prima, di quanto l’Euro fosse insostenibile, di quanto puzzasse, di quanto ci avrebbe resa impossibile la crescita economica e complicata la vita? No, sono tutti diventati economisti esperti quindici anni dopo. Svegliandosi, un mattino, a fianco della sozza creatura europea, si sono resi conto di aver essere finiti nell’unica trappola che non prevede via d’uscita.

Persino il matrimonio di Santa Madre Chiesa Cattolica; quello che si prende davanti al sacerdote, in presenza di testimoni, in cui si giura di resistere a fianco del coniuge nella buona e nella cattiva sorte; e il prete dice “finché morte non vi separi”, e voi dite “sì”: persino quello, a veder bene, si può annullare: basta dimostrare di non aver capito bene, di essere magari un deficiente. Esiste un tribunale apposta, magari non è la procedura meno cara o più dignitosa del mondo, ma insomma, anche quel matrimonio indissolubile si può dissolvere. Maastricht no. Niente divorzi, niente referendum. È peggio dei preti.

Anche il diavolo dei racconti, quello che ti fa firmare i contratti col sangue, quasi sempre poi se ne va con le pive nel sacco a causa di qualche cavillo. Maastricht no. È peggio del diavolo. Davvero, mi piacerebbe capire come la vivono i ventenni. Non fanno che sentire discorsi su come si stava bene con la lira, con quella meravigliosa inflazione che pompava l’economia, che vasodilatava come neanche la cocaina, che botte raga gli anni Ottanta. E poi?

“E poi papà cos’è successo?”
“Eh, cos’è successo… ho incontrato la culona”.
“Ma come hai fatto a non capire?”
“Ma chissà… anche io me lo domando… sai, in quel periodo capire le cose era un po’ un optional”.
“Seh, papà, vabbe’, vaffanculo”.
“Ah no! In questa casa vaffanculo lo dico io”.
“Se ti consola”.

Allora, caro ventenne che non conosco, cerco di spiegartela io: non è che quindici o vent’anni fa fossimo tutti spensierati o ignoranti – ce n’era certo in giro, forse persino più che adesso – ma se l’euro ci parve una buona idea non fu per un qualche complotto di banchieri o poteri forti. Persino i leghisti di Bossi, persino loro che adesso si baciano i gomiti per aver trovato con Salvini uno straccio di strategia; persino loro, ai tempi, non vedevano l’ora che Banchitalia chiudesse e passasse le pratiche a Francoforte; e avevano i loro buoni motivi. Per quanto possano sembrarti scanzonati e grassi gli anni Ottanta, dammi retta se ti dico che la maggior parte di noi aveva già chiarissima la sensazione di precipitare in moto rettilineo uniforme verso un suolo lontanissimo ma solido; no, non eravamo economisti, ma sapevamo di avere contratto dei debiti per pagare interessi su altri debiti che avremmo saldato con altri debiti che avresti dovuto pagare tu. In quella situazione l’euro ci sembrò provvidenziale. Ci sbagliavamo?

Magari sì, che ne so. Facile dirlo col senno del poi. Ora tu magari hai tutte le ragioni per odiarci, ma non credere che al nostro posto tu non avresti detto lo stesso “sì”. Non essere sicuro che non dirai mai “sì” a proposte anche peggiori. A parziale discolpa, l’Euro a cui dicemmo “sì” a Maastricht era molto diverso da quello che è diventato. Per certi versi era più grande, per altri era più piccolo.

Era più grande perché era parte di un progetto che a quanto pare si è bloccato. Tu ora lo vedi come un matrimonio – e hai ragione – ma noi a quel tempo lo consideravamo più un fidanzamento: l’euro era solo il primo passo. Dopo la politica monetaria sarebbe seguita la politica economica (insomma, era ovvio o no? Come si fa ad avere la stessa valuta e politiche economiche diverse?) Dalla politica economica sarebbe ovviamente seguita la necessità di una politica comune tout court, et voilà: nel giro di vent’anni avremmo avuto la Confederazione Europea, se non proprio gli Stati Uniti. Non poteva che andare a finire così – anche se a ben vedere non c’erano precedenti.

Allo stesso tempo quell’Euro era più piccolo: i contraenti a Maastricht erano appena dodici. E noi contavamo molto di più di un semplice dodicesimo. Eravamo la terza economia, con qualche motivo per crederci ancora l’idolo delle feste: quello irresistibile anche se ha un sacco di magagne da farsi perdonare. Una cosa che davvero non ci aspettavamo era l’allargamento a est. Per forza, era il 1992. Il muro di Berlino era ancora un cantiere, non avevamo nemmeno le cartine aggiornate alle pareti. Per noi la Slovacchia era remota quanto il Tagikistan – occhio, non ti sto dicendo che l’allargamento massiccio del 2004 fu un errore. A quel punto ormai era chiaro che l’est era la frontiera del benessere: se non lo avessimo agganciato noi, ci avrebbero pensato gli americani. Lo si vide con la seconda guerra del Golfo, quando Donald Rumsfeld incassava l’appoggio entusiasta di polacchi e ungheresi e la chiamava la “nuova Europa”. Ancora oggi, è la Nato più che la UE a spingere per mettere le bandierine sull’Ucraina. Allargarsi a est era inevitabile, ma il risultato è che il baricentro si è allontanato dal mediterraneo, forse per sempre. Dovevamo capirlo nel ’92? Dovevamo immaginare delle alternative?

E dunque caro ventenne, è andata così. L’euro era molto più carino, quando ce lo siamo portati in casa. Va sempre a finire così, probabilmente; ma sei libero di pensare il contrario. Libero di prendertela con me. Se te ne intendi anche solo un minimo, a questo punto sai meglio di me che il referendum di cui oggi parla Grillo, e dopodomani parlerà Salvini, non si può fare. C’è una ragione giuridica (non è previsto dal Trattato) e ce n’è una di buon senso; anche chi andrà a votare per l’uscita dall’Euro non ci penserà due volte a riempire di buoni euro i materassi. Dal momento che la sacrosanta libertà di parola dovrebbe consistere nella libertà di affermare che due più due fa quattro, sarebbe opportuno che da qui in poi Grillo e gli altri anti-euristi fossero obbligati a dichiarare con chiarezza quello che chiedono davvero: non tanto USCIAMO DALL’EURO!, quanto SVALUTIAMO I NOSTRI RISPARMI!, magari anche DIMEZZIAMO I NOSTRI STIPENDI!, dopodiché fatalmente L’ECONOMIA RIPARTIRA’, il che effettivamente potrebbe anche darsi: l’economia dopo un disastro riparte sempre. Nel medioevo era una pestilenza, nel Novecento una guerra mondiale, ma non c’è dubbio che in generale non ci sia niente meglio di un bel disastro per far ripartire l’economia.

Se te ne intendi anche solo un minimo, anche questa cosa già la sai, e forse a questo punto avresti anche diritto di decidere se l’opzione ti interessa o no. Che ne dici di una nazione a metà tra l’Europa e il Sud sottosviluppato del mondo, una roba tipo Messico, ma con la doppia valuta stile Cuba? Un posto dove il medico pubblico garantisce un servizio di qualità ma guadagna meno della figliola che la dà ai turisti in cambio di sani bigliettoni europei? È il tuo futuro, chi se non te avrebbe diritto di deciderlo?

Che pretendano invece di deciderlo dei giuggioloni come Grillo, o Casaleggio – gente che negli anni Novanta si sarebbe comprata la fontana di Trevi, e che oggi crede di stamparsela in 3d – ecco, questo è un po’ seccante, non trovi.

Beppe Grillo, ho una teoria, Renzi

Anche tu ti svegli un po’ 5Stelle? RIMEDIO INFALLIBILE! cLICCA QUI!!!!

Certe mattine uno rischia davvero di svegliarsi a Cinque Stelle. Se dovesse succedere anche a voi, non preoccupatevi. C’è un rimedio imbattibile. Garantito.

Può succedere a chiunque. Magari il giorno prima ha sentito dire a Di Maio che Grillo e Casaleggio si vedranno meno: vuoi vedere che è finita la fase dei guru e degli imbonitori? Sarebbe veramente una buona notizia. Nel frattempo la trattativa sulle riforme si è arenata, com’è destino che si areni qualsiasi cosa si faccia in streaming (ormai credo sia un dato acquisito: chiedere lo streaming è un modo molto lungo e cortese per dirti di no. Come sentirsi dire “sei il mio migliore amico” negli anni ’90, ecco, probabilmente oggi le ragazze ti fissano uno streaming). Quello che si è chiarito oltre ogni benevolo dubbio, è che Renzi preferisce fare le riforme con Berlusconi. Un po’ perché preferisce davvero Berlusconi, lo trova più affidabile e addomesticabile (non sarebbe il primo a sbagliarsi su entrambe le cose); un po’ perché Berlusconi è un’ottima scusa per fare riforme un po’… come definirle? Se diciamo “autoritarie” rischiamo di offendere il Presidente della Repubblica, quindi meglio non usare la parola.

Allora mettiamola così. Tra un annetto o due, quando le riforme saranno a regime, l’Italia rischierà di trovarsi a completa disposizione di qualsiasi padroncino possa permettersi di investire in campagna elettorale il necessario per conquistare neanche il quaranta per cento dei consensi (anche meno se trova dei partner). Tanto basterà a riempire l’unica Camera di nominati che gli dovranno tutto; per eleggere un presidente della Repubblica di suo piacimento, e controllare di conseguenza i due terzi della corte costituzionale che se interpellati potranno testimoniare che la riforma è buona. Tutto questo ovviamente non verrà via gratis; servirà qualche soldino: neppure tanti in questi tempi di disaffezione elettorale.

Certo chi gestirà un vecchio partito senza più finanziamenti o rimborsi pubblici partirà un po’ più svantaggiato rispetto a chi, poniamo, sarà riuscito a conservare una concentrazione mediatica. Berlusconi sarà anche finito, ma non si capisce perché dovrebbe finire il berlusconismo – gli interessi che rappresenta non sono scomparsi con una sentenza o una sconfitta elettorale. Magari non succederà: ma dovesse succedere, cosa avranno da dire gli aedi e i cantastorie che oggi sciolgono canti alle illuminate riforme renziane? Probabilmente alzeranno le spalle e diranno: non avevamo scelta, le riforme andavano fatte con Berlusconi. Non c’era alternativa. Cioè, sì, c’era Di Maio in streaming, ma non era un’alternativa. (Continua sull’Unita.it, H1t#241).

Insomma, quando si scopriranno le magagne delle riforme, Berlusconi sarà un ottimo alibi. Benché molte di queste magagne abbiano un sapore decisamente renziano (l’ossessione per l’ubiquità dei sindaci). E di noi cosa sarà? Ci sarà spazio per chi ha continuato a criticare Renzi anche nei giorni del trionfo? Magari no, magari saremo tutti risucchiati nei Cinque Stelle. Se nel frattempo smollassero la Casaleggio Associati eil suo ridicolo marketing 2.0, se diventassero un movimento serio, radicato tra i cittadini… perché no?
Può succedere a tutti: una mattina ci si sveglia e ci si scopre a Cinque Stelle. Poi, come tutte le mattine, si dà un’occhiata a internet…
sibilia
…Certe mattine uno rischia davvero di svegliarsi a Cinque Stelle. Se vi succede non preoccupatevi. Andatevi a leggere qualche tweet dei Cinque Stelle veri. Vi passa all’istante, garantisco.http://leonardo.blogspot.com
Beppe Grillo, ho una teoria, internet, pubblicità

L’imbarazzante sexy barbecue M5S

Abbiamo cliccato Beppe Grillo per voi. 

Salve a tutti, bentornati alla saltuaria rubrica che vi mostra cosa c’è davvero nella meravigliosa colonnina destra del sito di Beppe, risparmiandovi dozzine di clic, di stupidi video pubblicitari, di stupidi video nemmeno pubblicitari, eccetera. Visto che il giornalismo sta per morire – Grillo ne è entusiasta – vale la pena di scoprire assieme cosa ci aspetta dopo il funerale: cosa sarebbe l’informazione se rimanesse a gestirla Casaleggio? Ecco qua.

Donne seminude e non solo! Imbarazzi! Davvero incredibile che nessuno ne parli. Ma di cosa? Dunque (clic), pare che nel 2012 il gruppo dirigente del PD di Napoli invece di farsi vedere a Occupy Scampia sia andato a una festa che si chiamava “People party”, organizzata da Lorenzo Crea (capo ufficio stampa e portavoce del gruppo regionale del Partito democratico). Si trattava, secondo il sito casaleggiano TzeTzè, di un “party trash con ragazze seminude”. Wow. Ce le fa vedere? La tizia sgranata nella foto è forse un assaggio? No. Se clicchi sulla notizia, parte un video sulla Minetti. Giuro. Non è neanche un video in senso stretto, è una famosa intercettazione della Minetti con un fermo immagine della Minetti – seminuda, almeno? No, neanche. Ovviamente la Minetti non è del Pd, non parla né di Scampia né del People Party, insomma “i dettagli” un par di ciufoli. Ché io in linea di massima in questi giorni di vacche magrissime potrei anche capire la necessità di intercettare sempre di più il target dei guardoni annoiati da youporn, e tuttavia mi domando fino a che punto una strategia del genere funzioni: cioè quante volte lo puoi fregare un guardone cliccatore compulsivo? Quante volte gli puoi permettere “ragazze seminude e non solo” e poi mostrargli uno scatto stravisto della Minetti vestita? Quante, prima che ti mandi nel luogo tanto caro ai 5Stelle, Fanculo? Poi sicuramente Casaleggio è un genio della comunicazione e ha capito cose che io no; e tuttavia, boh.

Nei momenti di stanca, quando gli streaming non vanno esattamente come dovrebbero andare, alla Casaleggio la buttano sull’alimentazione. Il modo migliore di curare la tosse è mangiare l’ananas. Cinque volte più efficace. Chi lo dice? Degli studi. Quali studi? Non lo dice. C’è solo il nome di un sito web, molto in fondo, che dice che l’ananas è una fonte di vitamina C: l’avreste mai detto? Vi passo comunque la ricetta che, secondo “gli studi”, aiuta a sciogliere il muco nei polmoni: ananas, miele, pepe di cayenna e sale. Sappiatemi dire. (Continua sull’Unita.it, H1t#237). 

Di questo avete probabilmente sentito parlare. L’ostilità di Beppe Grillo ai POS è di vecchia data: due anni fa organizzò persino un sondaggio on line sull’argomento. Vinsero, neanche a farlo apposta, i difensori del contante. “Studiosi e dirigenti della banca centrale tedesca“, scrisse al tempo “dimostrano in modo inconfutabile che, rispetto ai pagamenti elettronici, il contante è: più comodo, più veloce, più accettato, più rispettoso della privacy, più economico, più trasparente“. Ah, se lo dice la Banca Centrale Tedesca…

Come nel caso delle donne seminude, anche stavolta cliccando non arrivi in nessun circo. Non sapremo nemmeno mai da dove è tratta l’immagine in questione. L’articolo di Tzetzè a cui rimanda il link spiega che gli elefanti vengono addestrati con un uncino metallico che fa parecchio male. C’è anche un video dove si vedono – da lontano – elefanti pungolati, ma mai al circo.

Vi può venire il cancro. Maddai. Beh, almeno stavolta nel pezzo di lafucina.it (l’altro sito casaleggiano a cui puntano i link di beppegrillo) c’è la fonte: Cesare Gridelli, oncologo presso l’Ospedale San Giovanni Moscati di Avellino. Ha scritto un libro in cui si spiega che carne e pesce alla brace aumentano il rischio di tumori. Però se mangi frutta e verdura gli antiossidanti riducono l’assimilazione di sostanze tossiche. E vai.

Perché non li chiamano – no, scherzo – ma fino a un certo punto, visto che su Tzetzé la deputata Giulia Sarti ammette “è vero non ci sono arrivati molti inviti“. Ma voi ve n’eravate accorti che avevano smesso di andarci? Io non saprei, non guardo un talk più o meno da quando è cominciato il mondiale. Magari succede anche ai 5stelle, e questo spiegherebbe il mistero.

Anche se in realtà non c’è nessun mistero. Non hanno smesso di andare in tv. Hanno soltanto diradato le presenze perché sono stanchi. “Abbiamo avuto talmente tanto lavoro tra ballottaggi, tra organizzazione di azioni in Parlamento, mille cose […] Mentre negli altri partiti ci sono persone che fanno esclusivamente quello, magari non vengono in aula tant’è che sono state pure richiamate certe deputate del PD perché andavano sempre in televisione poi al momento del voto in aula non c’erano. Noi facciamo tutto”. Va bene. Nel frattempo mi giunge notizia che a Bruxelles i 17 eurodeputati si porteranno un “gruppo di comunicazione” di 24 elementi, tra cui qualche dipendente della Casaleggio. Chi li pagherà? Non sono un po’ tanti? Ma parliamo piuttosto di cibi velenosi.

È il sale. Ma non faceva bene ai polmoni? Eh, ma fa male alle arterie. “Se assunto in quantità smodate” – grazie al Grillo, anche la tachipirina se ne prendi un chilo ti uccide, un giorno di questi mi aspetto il titolo STA NEL TUO CASSETTO DEI MEDICINALI MA È UN VELENO. Gli antichi greci avevano una parola per questa cosa, credo. E ora siete pronti per la tresca della settimana? Vai col momento Novella2000:

Beccati! In una riunione! Chissà che combinavano. E adesso? Se clicchi arrivi su un video che ti mostra quante auto blu erano parcheggiate su un marciapiede nei pressi di Palazzo Madama il giorno della fiducia, 24 febbraio. E che c’entra? Non si sa. Più in basso ci sono ampie citazioni da un pezzo di Carlo Tecce sul Fatto Quotidiano. Il succo è che Renzi sapeva che la proposta di riforma del Senato sarebbe passata con la reintroduzione dell’immunità. Interessante – ancorché ovvio – ma noi volevamo le foto di Renzi e della Boschi beccati. E invece niente. Per fortuna che la notizia successiva è una “verità”.

La “verità” di Di Maio consiste in un messaggio da lui pubblicato su facebook che coincide perfettamente con un post di Beppegrillo.it. Dunque, o Di Maio è un autore di Beppegrillo.it (non ci sarebbe niente di male), o è uso copiare pari pari i pezzi di Beppegrillo.it sulla sua bacheca facebook (e anche qui non c’è niente di male). Poi Beppegrillo riprende il pezzo copiato da Beppegrillo e lo chiama “verità di Di Maio”.

Si chiama Chiara Gagnarli e ha firmato un’interrogazione parlamentare per esortare il governo a diffondere l’iniziativa di alcuni supermercati inglesi che hanno tolto snack e caramelle dagli scaffali più vicini alle casse. Per ora la “battaglia” non è neanche una proposta di legge: è un invito a diffondere un’iniziativa. Sacrosanta, per carità. Ne approfitto per segnalare un fatto buffo: i link falsi. Per esempio, in fondo a questa notizia sul sito di Beppe si legge “www.linkiesta.it”: però se clicchi sopra la scritta http://www.linkiesta.it, non vai sull’inkiesta, bensì su Tzetzè. Si vede che la gente non è poi così entusiasta di cliccare su tzetzè: al punto che bisogna mascherarlo un po’.

Si chiama Marinaleda, è un comune dell’Andalusia di 2600 abitanti. Non è vero che l’affitto sia a 15 euro: con 15 euro al mese la casa è tua – ma devi costruirtela. Non è neanche esattamente vero che tutti guadagnino 47 euro al giorno “non importa quale sia la posizione”: 47 euro è il salario della  Coperativa Humar, che dà comunque lavoro alla maggior parte della popolazione. Fonte Wikipedia, e questo per stasera è tutto.

No, aspetta, c’è un post scriptum. Proprio mentre scrivevo questo pezzo, qualcuno su facebook mi ha segnalato un fotomontaggio di Renzi al volante che contratta con una prostituta (“ma allora é identico a Berlusconi 100%“). Il maldestro tizio che l’ha concepito e postato per ora non sembra essersi reso conto del guaio in cui si è cacciato (“solo gli stupidi come tè non hanno ancora capito che i miei fotomontaggi rispecchiano la realtà“, ecc.). Il suo account è pieno di orrendi fotomontaggi sullo stesso argomento: Renzi-diavolo, Renzi-killer, Renzi al cesso, ecc. ecc. Immagino che Grillo, se interpellato, prenderà le distanze. Ma la responsabilità di aver formato una sottoclasse di web-attivisti isterici, di averli svezzati a vaffanculi e photoshop, è tutta sua. 
Beppe Grillo, ho una teoria

UKIP – sezione Italia

Settantotto per cento, un plebiscito. Quando giovedì finalmente Beppe Grillo ha chiesto ai suoi grandi elettori di scegliere il gruppo europarlamentare di preferenza, ventitremila hanno indicato la loro preferenza per l’UKIP di Farage – l’opzione sulla quale Grillo si giocava ormai la sua credibilità di leader. Come sempre il bilancio della democrazia interna è piuttosto avvilente: malgrado il Movimento continui a selezionare i suoi grandi elettori col contagocce (soltanto 87.656 iscritti hanno maturato la facoltà di voto) anche qui l’astensione è altissima; più della maggioranza degli aventi diritto non ha votato. L’esclusione dei Verdi Europei dalla competizione, con ragioni più o meno pretestuose, può avere allontanato qualcuno dal voto; e tuttavia quel 78% ci conferma che non c’è un M5S al di fuori di Grillo. È ormai un ricordo la fronda che in passato disattese le sue volontà, votando per esempio l’abolizione del reato di clandestinità, o costringendo il Capo Politico a uno sgraditissimo incontro con Renzi. Il Movimento che riparte dopo la delusione delle europee è più grillino che mai: se a Grillo va a genio l’UKIP di Farage, che UKIP sia. Ma cos’è l’UKIP, alla fine?

Cominciamo da cosa non è: l’UKIP non è un partito fascista, come molti hanno scritto in questi mesi, anche per l’oggettiva difficoltà nel tradurre in italiano un certo tipo di istanze che sono una novità quasi assoluta. Per la verità un nome esiste – sovranismo – ma è molto brutto e il correttore automatico lo segna ancora come un errore. I sovranisti esistono in tutta Europa; partendo da posizioni diverse (l’UKIP per esempio non nasce all’estrema destra, ma da una scissione del partito conservatore) arrivano più o meno allo stesso risultato: il rifiuto del progetto di unificazione europea. Per i sovranisti non è che un complotto cosmopolita ordito dai nemici dei popoli: banche, multinazionali, massoneria, ecc. Bisogna mandarlo a monte, tutti assieme. Se questa è la piattaforma, l’alleanza con Grillo non dovrebbe stupire. Né dovrebbe sorprendere che Paolo Becchi, ideologo del Movimento a fasi alterne, la presenti come una battaglia di sinistra addirittura (“La sfida del futuro è tra sovranità e internazionalismo negativo”), o che un mese prima della consultazione Grillo abbia già fornito all’ufficio stampa dell’UKIP il piedistallo del suo blog, perché in fondo chi meglio dell’UKIP può spiegare ai lettori quanto bravo e buono e non razzista o fascista sia l’UKIP? (continua sull’Unita.it, H1t#235)

Perfino la promozione del blogger Claudio Messora, che lascia l’ufficio Comunicazione M5S a palazzo Madama per Bruxelles, e che a qualche malfidato poteva sembrare una rimozione dopo le imbarazzanti vicende di qualche mese fa, assume un significato diverso; Messora sarà anche una catastrofe con twitter, ma la sua passione per Farage è sincera e relativamente antica – lo intervistò già più di due anni fa, quando in Italia era un perfetto sconosciuto. La storia d’amore tra M5S e UKIP non è insomma un colpo di fulmine: i segni erano nell’aria già da anni, ma forse abbiamo preferito ignorarli nella speranza che il Movimento diventasse più simile a come lo avremmo voluto: più progressista, più ambientalista, più europeo. Magari a un certo punto ha quasi rischiato di esserlo; ma alla lunga ha vinto la tendenza incarnata da Messora: complottismi assortiti e nostalgie d’un mondo che fu, al tempo in cui il Regno Unito era un Impero, e l’Italia… già, l’Italia, che nostalgie dovrebbe nutrire?
In effetti, uno dei motivi per cui il sovranismo ci ha messo molto ad attecchire qui da noi è la mancanza di un nobile passato da proiettare: il benessere drogato dall’inflazione degli anni Ottanta? Il boom degli anni Cinquanta? Più indietro c’è solo il fascismo, ma è una nicchia di mercato già occupata e sfruttata fino alla noia. Nel frattempo persino la Lega si improvvisa sovranista, smette la camicia verde e le pretese scissionistiche e riscopre il tricolore contro l’euroburocrazia. Una virata spettacolare di cui è responsabile Matteo Salvini, che lavorando a Bruxelles per tanto tempo magari ha fiutato l’aria prima dei cerchi magici  padani.
Se Grillo e Salvini hanno qualcosa in comune con Farage, non è il razzismo o un presunto fascismo, ma proprio la nostalgia. Si stava meglio prima. Ovviamente ognuno pensa a un “prima” diverso: Grillo e Salvini sognano il ritorno dell’Età dell’oro della Piccola Media Impresa; Farage immagina un Regno Unito riconvertito all’industria, di nuovo sbuffante carbone e vapore di petrolio dalle sue mille ciminiere. Se queste nostalgie abbiano ancora senso, in un mondo che va verso l’emergenza ambientale globale, è una domanda che va girata ai loro elettori. http://leonardo.blogspot.com
Beppe Grillo, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, finché c'è salute, futurismi, Renzi

Renzi e il futuro (dell’umanità)

Lei è l’”Angelo di Verdun”, e per tutto il film non fai
che chiederti: ma perché sbarcate in Normandia
se avete già vinto a Verdun?
Cioè guardate che non ha senso.

Edge of Tomorrow (Doug Liman, 2014)

Presidente, mi scusi l’intrusione, per favore non suoni l’allarme che si trova nel cassetto destro della scrivania. Non urli nemmeno, la prego, ho già neutralizzato sia Antonio che Pasquale. Sì, conosco i nomi di battesimo dei corazzieri. Ora se mi lascia raccontare la mia storia – premetto che all’inizio le sembrerà assurda, ma poi vedrà che tutto quadra. Ah, tra cinque secondi squillerà il telefono. È Clio che vuole sapere se pranza con lei. C’è il polpettone. Dica di no, che ha un impegno importante.

Presidente, è il sei novembre 2011, lo spread è alle stelle e lei ha appena ricevuto una telefonata di Silvio Berlusconi che la informa, che ha intenzione di rassegnare le dimissioni. Da qui a un mese Lei scioglierà le Camere. Come posso saperlo? Lo so perché vengo dal futuro. Un futuro possibile, diciamo. In questo futuro, l’Italia è distrutta. È il focolaio di una spaventosa epidemia di influenza che ha già contagiato Europa e Africa. Russia e Cina stanno pianificando di invadere il continente ormai disabitato e spartirsi le risorse, ma non hanno fatto i conti con una mutazione del virus che farà altri miliardi di morti nei loro paesi. Tutto questo – mi creda, la prego – comincia oggi.

Tom legge +eventi! e sta facendo proprio quello che gli
avevo chiesto un anno fa
: un film di fantascienza all’anno
– giocando sempre sulla sua immagine, ormai, di replicante
di sé stesso. Edge of Tomorrow non ha i guizzi artistoidi
di Oblivion, ma ti cattura dal primo minuto all’ultimo
senza mai cadute banali.

Tra qualche giorno Lei scioglierà le Camere e indirà nuove elezioni in febbraio che saranno vinte di misura dal PD di Pierluigi Bersani. Per rassicurare i mercati internazionali, Bersani sarà costretto a misure impopolari. Reintrodurrà l’Ici cambiandone il nome, eccetera. Tutto questo è già ampiamente prevedibile, Presidente; ma quello che non avete previsto è l’ondata di rabbia che incuberà nel Paese e trionferà nelle elezioni del 2016, portando il Movimento di Beppe Grillo al 60% – non cominci a ridere come fa tutte le volte, la prego, la prego, potrei avere una di quelle golia che tiene nella ciotola sul comò? Grazie.

Sarà una vera e propria rivoluzione. Il suo successore, Romano Prodi, verrà messo agli arresti con l’accusa di alto tradimento. I Cinque Stelle – so che adesso sembrano inoffensivi, ma non idea di quanta rabbia incuberanno nei prossimi anni – ci sarà una frangia anarconaturista che prevarrà sulle altre e, non appena al potere, renderà tutti i vaccini facoltativi e non mutuabili. Due anni dopo arriverà dall’Anatolia un virus particolarmente virulento, formato da cellule con una singolare proprietà atomica – quantistica, se solo avessi mai capito cosa significa – non sono io il medico, io sono la cavia del suo esperimento – insomma questi virus riescono a spostarsi nello spazio-tempo – cioè: tutti ci spostiamo nello spazio-tempo, ma loro si muovono in modo, diciamo, meno banale. Questo li rende molto virulenti, perché da lunedì possono contagiarti anche se tu occupi lo stesso spazio il martedì, mi capisce?

Il mio amico dott. Arci è però riuscito a coltivarne un ceppo tutto particolare e me lo ha inoculato. Questo succede tra dieci anni, secondo il vostro calendario. Tremilacinquecentosettantadue anni fa, secondo il mio tempo personale. Deve capire che io, dopo che Arci mi inocula il virus, mi risveglio nel 6 novembre 2011, trovo una scusa, prendo un treno, arrivo qui al Quirinale, e il più delle volte mi faccio ammazzare da Antonio o Pasquale mentre cerco di entrare qui a discutere con lei. Altre volte invece mi prendono vivo, scambiamo due chiacchiere e poi mi ammazzo io per non perdere tempo. È come in un videogioco dove ogni volta devi cominciare da capo… o quel bel film di Tom Cruise, ha presente? No, certo che no, non è ancora uscito. Allora facciamo così: è come il Giorno della Marmotta, con quel bravo attore americano, Bill Murray, che ogni giorno si sveglia nello stesso posto: ecco. Soltanto che io devo salvare l’umanità, tutte le volte, e non ci sono ancora riuscito, e comincio ad avere un’età, capisce?

Tremilaseicento anni, perdio (continua su +eventi!)

Beppe Grillo, ho una teoria, tv

Fuori format

Dunque il M5S ha perso perché è andato in tv o perché non c’è andato abbastanza? I deputati m5s alla Camera (o perlomeno il loro Staff Comunicazione) la pensano in un modo, Casaleggio in un altro. La verità non l’ha in tasca nessuno: invece nel cestino di molti opinionisti che in questi giorni ci hanno spiegato per filo e per segno gli errori di Grillo e i successi di Renzi, ci sono le bozze di articoli in cui venivano illustrati gli errori di Renzo e si salutava la vittoria di Grillo. Materiale buttato giù appena una settimana fa, ora inservibile.

La politica non ha l’aria di una scienza esatta. L’unica evidenza a nostra disposizione però sembra parlar chiaro: quando Grillo si negava alla tv ed espelleva chiunque si esponesse alle telecamere, il MoVimento vinceva. Oggi che Di Battista e Di Maio sono diventati volti televisivi, e Grillo si abbassa persino a comparire a Porta a Porta, il MoVimento cala. Forse non ha tutti i torti Casaleggio, dopotutto: il M5S è nato fuori dai riflettori e in tv non funziona.

Allo stesso tempo, è comprensibile che i parlamentari m5s insistano sulla tv. Anche se per ora il bilancio è negativo, è solo grazie alla tv che i più intraprendenti deputati e senatori a cinque stelle sono usciti dall’anonimato. Non è una questione di vanità, anche se guardando Dibba qualche dubbio viene. Se non vuole continuare a dipendere da Beppe Grillo, e dalla sua non sempre lucida foga oratoria, il M5S deve riuscire a trovare e imporre facce nuove. La Rete, al di là dei proclami, non riesce a selezionare e dare forma a veri e propri personaggi: se oggi Dibba può vantarsi di avere trecentomila amici su facebook, è grazie alla celebrità che si è conquistato mettendosi in favore di telecamera ogni volta che ne ha avuto l’occasione.

La tv ha ancora un ruolo centrale nella creazione del consenso (continua sull’Unita.it): ce lo dimostra l’assiduità con cui anche Renzi si è fatto intervistare negli ultimi giorni della campagna. Lo stesso Berlusconi non si è risparmiato, ma lo specchio televisivo comincia a essere impietoso nei suoi confronti (e dire che è passato appena un anno da quella sua straordinaria calata a Servizio Pubblico). Quanto a Grillo, la sua visita da Vespa forse è stato l’episodio più significativo di quest’ultima campagna elettorale.

È il caso di ricordare che sullo stesso set Berlusconi ha realizzato i suoi exploit più memorabili (il contratto con gli italiani, e quell’indimenticabile “abolirò l’ICI” al termine di un confronto con Prodi). Un successo da Vespa può fare davvero la differenza: Grillo lo sapeva, ed evidentemente quella differenza gli interessava. Porta a Porta poteva essere l’occasione di parlare a un bacino elettorale diverso da quello dei suoi tour di comizi, ma strategicamente cruciale: i moderati delusi da Berlusconi, tentati dall’astensione, incuriositi da Renzi.
Col senno del poi è facile concludere che il tentativo è fallito miseramente, dandoci l’opportunità di misurare l’ingenuità del vecchio attore che riteneva di poter calcare la scena televisiva improvvisando gli stessi numeri da repertorio che porta in giro nei comizi. Un professionista consumato dovrebbe ricordare che tv e piazza funzionano in modi diversi, e che aggirarsi per lo studio gettando i cameraman in confusione crea più ansia che empatia; ma forse questi ultimi tempi il professionista si è consumato più del necessario. Eppure c’è stato un tempo in cui Grillo riusciva a comunicare anche senza urlare: un tempo in cui gli bastava gettare un’occhiata nel silenzio per catturare l’attenzione del telespettatore. Forse, se si fosse un po’ calmato, e avesse risposto alle domande non perfide di Vespa ostentando il suo buon senso con inflessione genovese, qualche voto moderato avrebbe potuto conquistarlo. Molte repliche di Vespa erano inviti in tal senso: siediti, calmati, spiega agli italiani cosa faranno di pratico i tuoi onesti al governo.
Grillo, per quanto fosse probabilmente consapevole  della necessità di smorzare i toni, non è riuscito a controllarsi. Era impossibile non ripensare a quel famoso incontro con Renzi in cui gli bastò sedersi a un tavolo e subire un paio di repliche per andare in confusione. L’embargo tv imposto da Casaleggio fino all’anno scorso forse era anche un sistema per nasconderci la situazione: l’unico vero personaggio televisivo del M5S, in tv non ci riesce più a stare. Gli altri, per quanto volonterosi, non riescono a far sentire la loro diversità in un circo di talk che a ogni personaggio trova subito la sua gabbia. Forse il problema non è tanto se andare in tv o no, ma: cosa ci andiamo a fare? Replicare i vecchi numeri evidentemente non basta: il pubblico da casa ha gusti diversi. Se davvero l’obiettivo è ancora il 51%, Grillo & co. dovranno farci i conti.http://leonardo.blogspot.com
Beppe Grillo

Palla al centro, Cinquestelle

Manifesti che funzionano.

Ehi, Cinquestelle, vieni qui.

Vieni qui che non mordo. Ti giuro, non mordo.
Non ti sfotterò neanche.
Non sono quel tipo di persona.
(Quel brutto tipo di persona, lasciami aggiungere).
Non siamo mica al bar, qui; non è mica un derby. Anche se qualcosa in comune c’è; per esempio: ogni volta la palla torna al centro. Sul serio.

Ora, capisco che tu possa prenderla molto male. Fino a ieri avevi uno schema. Riempire le piazze, riempire le urne, mandare tutti a casa. Rapidi, disinvolti.

Adesso questo schema non c’è più, però, Cinquestelle, in alto i cuori: hai perso soltanto uno schema, capito? Niente di veramente indispensabile.

E non hai perso nient’altro.

Queste elezioni, per esempio: credi di averle perse? Non le hai perse.
Se credi di averle perse, è solo colpa dei sondaggi. Non dovevi crederci troppo; e però, un giorno dopo l’altro, continuavano a darti sopra al venticinque… tu non volevi crederci, e intanto ogni giorno spostavi l’asticella un po’ più su.

E adesso ti sembra di aver perso. Ma cosa avresti perso, sentiamo: cinque punti immaginari? Non li hai persi, perché non esistevano. Questa era la tua prima elezione europea, e tu hai conquistato il VENTI PER CENTO DEI VOTI. Non credo sia mai successo in Italia. Come non era mai successo che un partito – pardon, un Movimento – al suo esordio alle politiche conquistasse il 25%. Sono numeri eccezionali. Non li aveva mai fatti nessuno.

Non solo, ma anche chi ha vinto ha dovuto copiare da voi. No, diciamo la verità: hanno tutti copiato da voi. Renzi che abolisce province e mette all’asta le auto blu, Berlusconi che vuole imitare Equitalia, Salvini con la sua crociata anti-euro… Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il M5S. Chiunque vinca sta usando le stesse parole, gli stessi argomenti che avete messo in circolazione, voi. C’è poco da sfottere.

Si tratta solo di capire cosa fare ora. La palla è di nuovo al centro, fidati.
Ti sembra che Renzi sia imbattibile? Non è proprio così. Due dati, giusto per il gusto del paradosso.

1) L’unico partito ad aver mai preso più del 40% nel dopoguerra si chiamava Democrazia Cristiana. Solo alle politiche e solo fino agli anni Cinquanta – Renzi nuovo De Gasperi? Eppure…

2) …sai quanti voti ha preso davvero il Pd di Renzi? Non in percentuale, quante schede elettorali? 11 milioni e 200 mila. Tre milioni più che Bersani, d’accordo. Ma sai quanti ne prese Veltroni nel 2008? Dodici. 

Sai cosa vuol dire? Cinque anni fa, con un milione di voti in più, le elezioni si perdevano.
Oggi tutti lo portano sugli scudi, e quel che ha fatto negli ultimi mesi è sportivamente ammirabile, ma Renzi non è imbattibile. Se non lo era Veltroni – e decisamente non lo era – non lo è neanche lui.

E poi, vuoi che te la dica tutta? Gli avete dato una grossa mano.

Guarda me, per esempio. A me Renzi non è mai stato simpatico, mai. Le sue proposte di legge mi lasciano sgomento e imbarazzato; non si capisce se le abbia scritte un aspirante tiranno o un rimandato in diritto costituzionale. Fidati che non l’avrei mai votato – se non l’avessi ritenuto, a un certo punto, maledettamente necessario.

Ti garantisco che ha rischiato davvero di perdersi il mio nobile voto. Certe mattine mi svegliavo direttamente nell’Altra Europa con Tsipras. Convinto. Ho persino pensato di astenermi. E intanto però cosa facevano i tuoi amici di Movimento?

Ogni mattina venivano a salutarmi: venduto! a casa! Qualsiasi cazzata scrivessi sull’unità: Servo dei servi! leccaculo! succhiasangue! E sai che non esagero. Ho provato anche pazientemente a spiegare che non ero il servo di nessuno, che scrivevo quello che volevo senza ricevere questo gran compenso – cicisbeo, ruffiano, sei morto, sei mooooorto!

E poi… la peste rossa. No, pensaci bene.
Matteo Renzi, la peste rossa.
A quel punto stavano sbroccando, dai, ammettilo.

Negli ultimi giorni volevano pure fare i processi. Esageravano? Insomma. Vedi, io ci sono già passato. Una volta un tribunale del popolo-on-line stabilì che facevo parte di una rete pedofila. Poi si sgonfiò da solo, ma non ti dico la seccatura di avere a che fare con degli attivisti fanatici convinti di poter giudicare chicchessia senza conoscerlo.

Allora, caro Cinquestelle, può darsi che un “leccaculo” alla volta, un “servo” alla volta, io mi sia convinto che Renzi era un male di gran lunga minore. E può darsi che sia successo a molti come me. Quello che sto cercando di dirti è che lo stile inquisitorio-apocalittico oltre al 20% non ci va. Bisognerebbe provare qualcosa di nuovo.

Non ti sto dicendo – come dicono già in molti – di scaricare Beppe, perché è molto più facile da dirsi che da farsi. Se lo prendete di petto quello si scuote e vi fa crollare il tetto addosso: lui v’ha creato, lui può distruggervi. Andrebbe circondato con dolcezza, da persone che gli vogliono bene e gli riconoscono i suoi indubbi meriti, il carisma e l’energia profusa fin qui, ma che gli ricordino che è un megafono, non un cervello. Né lui né l’amico visionario che voleva circondare il Quirinale. Uno vale uno e quei due forse ultimamente si sopravvalutavano un po’.

I comitati dovrebbero coordinarsi senza passare da lui – senza neanche passare dalla piattaforma, che è roba sua e funziona anche male. Senza timori riverenziali nei confronti dei vostri parlamentari, che poi diciamolo, sono dei miracolati. Forse dovreste anche prendere l’iniziativa di registrare un marchio nuovo (ad es. “Associazione Cinquestelle” tutto attaccato), giusto per dissuadere il non-leader dalla scelta di fine di mondo: ritirare quello che ha registrato a nome suo.

E poi niente, caro Cinquestelle, mica posso dirtelo io cosa devi fare. Una cosa però è abbastanza sicura: non c’è molto tempo. Con numeri così, e un Berlusconi in ospizio, Renzi potrebbe anche decidere di riandare subito a elezioni. Prima di dare a voi e a chiunque altro il tempo per riorganizzarsi. Palla al centro, insomma, ma il tempo stringe. Del resto nessuno ti ha mai detto che sarebbe stato facile, no?

Ah, qualcuno te l’aveva detto?

Di Battista?

Senti, devi sapere che una volta, quando non c’era wikipedia, quelli come lui almeno potevano contare su un mestiere quasi onesto: vendevano encliclopedie di carta. Porta a porta. Mestieri che scompaiono. Sì, ma non possiamo mica scaricare tutti i costi sulla collettività, non trovi? Magari a Chiarelettere han bisogno di un rappresentante. Su la testa – se siete riusciti a tenere il 20% con dei tizi così, figurati quando ci metterete gente credibile.

Beppe Grillo, Berlusconi, come diventare leghisti, elezioni 2014, Renzi

#HaVintoLui

In base a un sondaggio che non si può pubblicare, anche perché nessuno lo ha fatto, io credo di potervi comunque annunciare che Beppe Grillo ha vinto – no, il M5S no, non necessariamente. Ma Grillo sì, anche se non si è candidato. Ha vinto lo stesso, nell’unico modo in cui poteva vincere, che è anche il peggiore. Domenica sera chiuderanno i seggi e spoglieranno le schede, tireranno le somme e ci diranno che Renzi è andato bene, anzi benissimo, o che Berlusconi tutto sommato tiene, e la Lega, eccetera eccetera, ma l’unica vittoria se l’è già presa Beppe Grillo.

200 poliziotti in più! che inseguiranno i ladri a piedi.

Se l’è presa nel momento in cui Silvio Berlusconi ha cominciato ad annunciare nei suoi comizi tv che vuole abolire Equitalia: le stesse esatte parole del programmino che Grillo aveva steso nella fase finale della campagna 2013. “Abolire”, “equitalia”. Se l’è presa nel momento in cui Renzi ci ha informato che a mò di copertura avrebbe abolito le province, o messo le auto blu su ebay, e poi l’ha fatto davvero. O quando ha cominciato a chiamare i suoi critici #gufi e #rosiconi. Se l’è presa quando Matteo Salvini, prima di cedere la sua piccola attività politica a un curatore fallimentare, si è messo a googlare “euro” “COMPLOTTO” “banche” “svegliaaaa!” e ha trasformato la Lega nel partito antieuro. Se l’è presa in quel momento qualsiasi a cavallo tra ’13 e ’14 in cui tutti i suoi avversari hanno cominciato ad andare a lezione da lui.

Più fiorini per tutti.

Chiunque avrà vinto lunedì, festeggerà con le parole di Beppe. Magari con gli hashtag di Beppe. Vincerà per aver copiato qualche promessa di Beppe, nel tentativo di strappare a Beppe qualche elettore. In base a un sondaggio che non ha nemmeno più importanza fare, Beppe Grillo ha già vinto.

Berlusconi giustizialista, rifletteteci.
A 77 anni quest’uomo riesce ancora a stupire

E non è tutto sommato la cosa peggiore che poteva capitarci: coraggio, se vince Grillo almeno l’Italicum non si farà. Giustamente: una legge così brutta nemmeno Grillo poteva scriverla. Non è uno scherzo: la proposta di legge elettorale del M5S è comunque bruttina, e a tratti assolutamente balorda. Ma decisamente migliore di quell’offesa al senso comune e alla democrazia buttata già da Berlusconi su cui Renzi doveva assolutamente mettere la sua bella faccia. Grillo non vince soltanto perché le parole d’ordine ormai le detta lui; vince anche perché, di fronte a contendenti costretti a scimmiottarlo, finisce per sembrare quasi il più lucido.

Beppe Grillo, Berlusconi, giornalisti, tv

La democrazia in diretta (non funziona)

Non puoi battere la pancia. 

Fino a qualche mese fa succedeva con Berlusconi, oggi capita con Grillo; ogni volta che il demagogo di turno arriva e fa strame della verità e del buonsenso, il giorno dopo ci tocca lo spettacolo degli avvoltoi sedicenti esperti di comunicazione, che gracchiando c’informano che è tutto inutile: il fact-checking? inutile. La controinformazione? Pura velleità. Tanto #vince lui. Vince, sì, perché dice un sacco di stronzate, certo, ma sa parlare alla pancia degli italiani: quindi è un genio. Berlusconi era un genio, perché prometteva un milione di posti di lavoro o di detassare la prima casa, e la pancia degli italiani questa cosa la capisce; la capisce senza chiederti la copertura o altre cose noiose, cose non da pancia. Allo stesso modo è un genio Grillo, perché se la prende con l’euro, gli stranieri che si comprano le nostre imprese e gli Uffizi di nascosto, i politici in combutta coi banchieri eccetera. Scemenze, indubbiamente; però alla pancia piacciono, e chi siamo noi per opporci alla pancia? No, sul serio, chi siamo? Chi ci paga per opporci?

Lo sconforto sembra cogliere anche i più lucidi: Mario Seminerio riconosce a Grillo il merito di “aver definitivamente rottamato (anzi annichilito, vaporizzato, atomizzato) il concetto di fact checking”; Davide De Luca si interroga se sia etico intervistarlo – e non sa cosa rispondersi. E proprio mentre provo a rispondere per conto mio, mi rimbalza sul monitor il trailer di un’intervista inglese a Berlusconi: pochi secondi in cui B., messo di fronte a una delle cose più stupide che ha detto, non sa come rispondere. Nello stesso silenzio c’è la mia risposta: ci sono tanti motivi per cui il giornalismo anglosassone è migliore del nostro, perché non cominciamo dal più banale? Loro i politici li intervistano il più delle volte in differita. Che differenza fa?

Tutta la differenza del mondo. Solo la differita restituisce al giornalista le sue responsabilità. Solo la differita gli dà il tempo di verificare le informazioni, denunciare le bugie, dare all’intervista un determinato taglio dettato dalla sensibilità di chi fa le domande, e non dal narcisismo di chi sbrodola le sue risposte. Solo in questo caso potrà avvenire, come non è mai avvenuto in un’intervista italiana, che un parolaio consumato come B. si ritrovi a disagio, costretto a difendersi anziché attaccare. La differita impedirebbe ai politici di giocare al fiume in piena, che purtroppo è la strategia di tutti i contendenti italiani davanti alle telecamere: tutti ugualmente “geniali” mentre promettono cose e lanciano slogan a cui il giornalista non può opporre che una smorfia scettica.

Forse la mutazione genetica della politica italiana non è avvenuta tanto in virtù di un referendum o di una riforma elettorale, ma nel momento in cui i politici hanno cominciato a riempire i palinsesti televisivi, un’alternativa economica all’intrattenimento intelligente. L’ossessione per la diretta, con i suoi infortuni, il suo “bello”, è un’altra caratteristica della tv italiana: i politici vi si sono prestati con generosità, nella speranza di cavalcare un’onda che invariabilmente travolge i meno populisti. Ed eccoci qui.

Ma supponiamo ottimisticamente che si tratti di una sbornia, destinata a finire prima o poi: che faremo a quel punto? Io me ne accorgo un po’ ogni giorno: l’unico giornalismo che ancora m’interessa, che consumerei avidamente persino pagando, ma che molto spesso non riesco a trovare, non è quello che mi offre le notizie (ormai mi arrivano in faccia in tempo reale) ma quello che me le smonta. Mi affascina più il fact-checking che i fatti in sé. L’unica intervista politica che guarderei con interesse è quella rimontata da una redazione il giorno dopo, con la classifica di tutte le bugie che il tizio è riuscito a dire in dieci minuti. Per arrivarci, dobbiamo aspettare che la pancia degli italiani si stanchi dell’ennesimo genio gonfio d’aria. Ammesso che si stanchi mai; che non ne trovi un altro ancora più gonfio degli ultimi due, e così via. Ma ci dev’essere pure un limite all’aria che può entrare – e un modo di farla uscire.

Beppe Grillo, ho una teoria, internet, tv

Grillo, dentiere, algoritmi, cazzate

Quante balle ha sparato Beppe Grillo ieri sera a Porta a Porta? Difficile contarle; anche perché, come ogni predicatore professionista, sa mescolare con sapienza verità sacrosante e sciocchezze allucinanti. Qui mi soffermo su due proiettili enormi che Vespa, con tutta la sua studiata diffidenza, gli ha lasciato sparare senza opporre la minima obiezione. Il primo è la tirata sulle stampanti 3d, un tormentone dell’ultima tournée a quanto pare. Come ha osservato la settimana scorsa Michele De Salvo, quando parla di stampanti 3d Grillo non sa semplicemente cosa sta dicendo: non solo dà numeri a caso e contrabbanda notizie false, ma smentisce platealmente le sue stesse premesse, passando nel giro di pochi secondi dal lamento per una “crescita che toglie posti di lavoro” all’elogio per uno strumento che, se davvero producesse dentiere e mattoni come sostiene Grillo, i posti di lavoro non li aumenterebbe senz’altro, anzi.

La seconda è una storia più vecchia: il politometro, quel fantasioso strumento che dovrebbe misurare la corruzione dei politici e consentirci di recuperare le risorse di cui si sono impadroniti – prima di rimandarli a casa. Grillo ha spiegato che il sistema è ormai operativo, che si tratta di un algoritmo o qualcosa del genere: in sostanza, ha rispolverato l’antica bufala dello Zip war aiganon, scoperta due anni fa da Francesco Lanza. Si tratta di una delle più impressionanti supercazzole mai inscenate da Grillo per il suo pubblico: come scriveva Davide De Luca un mese fa “Un “algortimo” non può svolgere la funzione indicata da Grillo. I dati che questo “algoritmo” dovrebbe “intersecare” non sono pubblici ed ottenerli è un reato. È impossibile nell’ordinamento di qualunque democrazia espropriare il denaro di qualcuno senza un processo. Altre mille cose non tornano nel video, come il fatto che quando Grillo gira lo schermo del tablet verso la telecamera per mostrare il famoso algoritmo, sul desktop non si vede assolutamente niente”. In questi mesi lo Zip war aiganon è diventato in rete un esempio quasi proverbiale della spregiudicatezza con cui Grillo confeziona e vende il nulla: eppure Vespa, lasciando cadere uno spunto così promettente, ha dimostrato di non averne mai sentito parlare (continua sull’Unita.it, H1t#232)

La dentiera 3d e lo Zip war aiganon sono due casi interessanti che dimostrano, purtroppo, il contrario di quel che Grillo stesso propugna in ogni suo intervento: la vittoria del dibattito in Rete contro la propaganda in tv. Fin qui è l’esatto opposto: ogni volta che la tv ce lo mostra mentre dice una cosa falsa, la Rete prontamente accorre a smentirlo, con dovizia di documentazione. E però tutto questo dibattito rimane confinato entro una cerchia ristretta di lettori: il bacino di utenza di Grillo non ne viene minimamente scalfito, e Grillo può continuare a urlare le stesse balle al prossimo comizio, in favore di telecamera. È una lotta ancora impari – e perduta, probabilmente. Ma qui per quel che si può si combatte ancora.
PS: oggi ricorre il 570simo anniversario della morte di Bernardino da Siena, geniale predicatore quattrocentesco che per tante cose sembra anticipare Beppe Grillo. Gli auguriamo una vita ancora lunga e piena di soddisfazioni, come fu quella di Bernardino, e migliaia di altre piazze gremite da incantare. Non ce ne voglia però se nei parlamenti preferiamo mandare gente un po’ meno estrosa, un po’ più preparata.http://leonardo.blogspot.com
Beppe Grillo, Renzi

La tentazione democristiana

Quindi, insomma, Renzi prende atto che il centrosinistra è minoritario (anche la sua versione di molto annacquata) e, mentre a parole sventola una “vocazione maggioritaria”, nei fatti si prodiga per trovare la quadra che gli consenta di governare anche se non supererà il tetto del trenta-e-qualcosa per cento dei consensi. Possibilmente senza troppi contrappesi istituzionali, che sono quella cosa noiosa della politica USA che né lui né Veltroni hanno ricavato dalle serie tv: per cui, insomma, il senato è solo un intoppo da sostituire con una parata di amministratori eletti da altri amministratori, eccetera. Tutto questo è pericoloso non solo per Renzi – il quale mi pare animato dalla buona fede talvolta micidiale di certi timonieri e padri della patria – ma soprattutto per chi verrà dopo di lui e non sarà necessariamente altrettanto animato da buone intenzioni.

Questo è il rischio a cui ci espone Renzi e la sua dissennata strategia: ma esistono alternative? Perché bisogna essere abbastanza onesti da ricordare che Renzi non ha vinto la leadership del centrosinistra alla lotteria, ma rilevando la direzione del PD al termine di una serie di tentativi forse meno dissennati, forse più ragionevoli, ma tutti comunque terminati in modo fallimentare. Fallì l’Ulivo del ’96 per questioni bertinottiane che è sempre più difficile non confondere con capricci; fallì la gestione D’Alema-Amato, che pure le provò tutte per conquistare quella fetta di elettorato mancante (anche loro ci misero qualche soldo in busta prima delle elezioni, inutilmente). Fallì il nuovo Ulivo decapartitico dopo aver vinto le elezioni per un soffio; fallì la vocazione maggioritaria veltroniana; fallì Bersani che pure fece solo mosse ragionevoli. Siamo in uno di quei momenti della Storia in cui si fa imperatore chiunque passi di lì e abbia un paio di sesterzi da lanciare alla plebe o ai pretoriani; Matteo Renzi i sesterzi li aveva e pare che finalmente i finanziatori siano tutti on line; la sua proposta non pare proprio il massimo, ma ne abbiamo una migliore?

Forse sì.

Non dico che sia la migliore in senso assoluto – non lo è affatto – però è migliore del disastro a cui Renzi e le sue coorti un po’ improvvisate stanno attendendo. Peraltro è una proposta molto semplice, lontana dalle macchinosità a cui ci hanno abituato i nostri ultimi riformatori, da Calderoli in giù (Calderoli ci sta facendo una figura da statista, rendiamoci conto). Ed è la proposta – pensate – di Beppe Grillo: torniamo al proporzionale. Ognuno vada alle elezioni con i suoi, ognuno strappi quei due o tre punti che riesce a strappare, e poi?

E poi cosa volete che succeda: quello che già succede adesso. Il PD, sospinto da populismi di segno opposto, si ritroverà al centro del parlamento, non necessariamente maggioritario ma indispensabile a qualsiasi maggioranza: in pratica, la nuova Democrazia Cristiana. E a quel punto sceglierà, come sceglievano i democristiani, se puntare moderatamente verso un populismo più berlusconiano o più grillino: come si diceva? Avanti al Centro contro gli opposti estremismi. All’inizio la comunella con Berlusconi o qualche frammento berlusconiano come il NCD sarà l’opzione più realistica, anche Grillo ci tiene molto a recitare il suo ruolo di predicatore-speaker della minoranza offesa.

(Non mi stanco di notare il paradosso: da una parte c’è un Renzi apparentemente bonario che sta, nei fatti, rottamando le istituzioni democratiche, al punto di rischiare concretamente che Grillo si ritrovi dopo un ballottaggio in maggioranza al parlamento. Dall’altra c’è un Grillo urlatore che, se gratti appena un po’ la patina apocalittica, in sostanza ti sta proponendo un accordo ragionevolissimo: non mi fate governare, che non saprei che cazzo fare. Tu e Berlusconi vi pigliate il potere e io mi gestisco il malcontento che ne deriverà. E bisogna pure ringraziare che ci pensa lui e non un Genny La Carogna. Al confronto Grillo è veramente un gentiluomo. Una volta che gli è quasi scappata una marcia su Roma ha fatto dietrofront immediatamente. Ogni sua campagna sembra voler escludere sapientemente qualsiasi possibile attrito con la realtà pratica: impeachment a Napolitano! Referendum consultivo sull’euro! persino quando raccoglie le firme per qualcosa, non si preoccupa di rispettare le scadenze di legge. Se escludi l’audio frastornante dei suoi comizi e rifletti su come il grillismo sia riuscito a incanalare un enorme malcontento in forme di protesta pacifiche e civili, ancorché inconcludenti, ti rendi conto che è il migliore cane da guardia dell’opposizione che una nuova democrazia cristiana potrebbe meritarsi).

Ora io non voglio dire che l’opzione proporzionale sia la mia preferita: ma mi sembra che la Storia soffi da quella parte, perlomeno negli ultimi mesi. Grillo ci terrebbe tanto; anche il PD ne trarrebbe un sicuro beneficio; Berlusconi ne soffrirebbe ma gli resterebbe un margine per contrattare. E allora perché Renzi insiste, perché non cede a un’ancestrale tentazione democristiana? È solo cocciutaggine, o ha capito qualcosa di più?

Diamogli una chance: forse ha capito qualcosa di più. Ovvero, che il sistema tripolare è soltanto transitorio, e che non c’è un vero motivo per cui il PD debba rimanere al centro del quadrante. Anche se non possono allearsi, per motivi in un certo senso personali, Grillo e Berlusconi hanno profonde affinità e parlano a bacini elettorali parzialmente sovrapponibili. Prima o poi uno dei due personaggi ridimensionerà la sua presenza, e il populismo tornerà a occupare un solo polo, a votare un partito, a sventolare una bandiera. Che bandiera sarà? Cosa potrà sintetizzare, stavolta, l’antipolitica e la rivolta fiscale, il leghismo con il salario garantito? A occhio c’è una sola bandiera disponibile, ed è quella antieuropea. Il populismo che verrà non potrà che ritrovarsi nel grande ingorgo dell’antieuropeismo, e a quel punto probabilmente vincerà. Ma nel frattempo, a noi malgrado tutto europeisti, che portabandiera rimane? Matteo Renzi? (continua)

Beppe Grillo, Berlusconi, Renzi

Crepuscolo dell’antiberlusconi

È da più di vent’anni che voto; non ricordo di essere mai stato indeciso come stavolta. Vi scrive un tizio che, quand’è stato il momento, ha votato per Rutelli senza trattenere il fiato. Non è insomma un problema di identità, ci tengo a dirlo dopo anni passati a polemizzare con chi concepiva il voto come un modo di esprimere sé stesso nel chiuso della cabina elettorale; io quando ho voglia di esprimermi faccio altre cose, ad esempio scrivo qui. Non ho mai trovato così consolante l’idea che il mio voto non sia che un contributo minuscolo alla Storia, destinato a perdersi tra milioni di altri. Confido che questo mi assolverà da ogni difetto di ragionamento, visto che la ricerca del Meno Peggio (sempre di questo si tratta, alla fine) non ha mai richiesto un algoritmo così complesso.

Che cos’è successo poi di tanto epocale? A occhio, è la prima volta in vent’anni in cui la partita si gioca su un campo triangolare. Cresciuto in un Paese bipolare, ho serie difficoltà a interpretare correttamente il senso di una terza dimensione. Fino a due anni fa il “terzo” era sempre un incomodo, uno che cercava di barcamenarsi al centro (perdendo sempre) o si buttava nell’angolino cercando la solidarietà di chi ha a cuore le specie protette. Ora è tutto diverso: esistono davvero tre poli, quasi equidistanti. Tutti e tre ambiscono all’egemonia, anche se il polo berlusconiano è un po’ ammaccato (ma conserva le sue potenzialità). Tutto questo non era facilmente prevedibile fino a due anni fa. Che Grillo potesse ottenere un buon risultato era plausibile; non che riuscisse a mantenere un’identità e un’equidistanza quasi perfetta. Dunque quello a cui abbiamo assistito negli ultimi due anni non è la fine di Berlusconi – che è ancora a galla, e ha probabilmente degli eredi – ma la fine dell’antiberlusconismo.

Quest’ultimo si può definire in tanti modi: in un certo senso è proprio questo il problema, oggi che scopriamo che si trattava di una miscela instabile di tante cose diverse destinate a esplodere e a ritrovarsi in punti molto lontani. All’indomani dell’esplosione mi è più facile capire cosa fosse almeno per me: un orizzonte, una speranza. L’antiberlusconismo era la mia personale risposta alla domanda che da un secolo tormenta i militanti di sinistra: come facciamo a cambiare la società se siamo una minoranza? Ogni generazione ha dato le sue risposte, che accostate possono dare un’impressione di schizofrenia: riformismo, massimalismo, egemonia culturale, fronte antifascista, compromesso storico, eccetera. Ognuno ha aspettato il suo sole, il mio era quello antiberlusconiano. Il ragionamento non mi sembra così campato in aria: se tutto prima o poi finisce, prima o poi sarebbe finito anche Berlusconi; e avrebbe lasciato molti italiani delusi e insoddisfatti. Il che tra l’altro è successo. E così come nel maggio del ’45 improvvisamente tutti si ritrovarono antifascisti e partigiani, non mi aspettavo poi gran cosa dagli italiani immaginandomeli, al tramonto di Berlusconi, pronti a salire sul carro di chi B. l’aveva osteggiato sin dall’inizio, e aveva proseguito a osteggiarlo con coerenza. L’antiberlusconismo, nelle mie previsioni, sarebbe stato la molla che avrebbe permesso alla sinistra di raggiungere finalmente una posizione maggioritaria. Una parte cospicua di elettorato – non una fetta grandissima, ma sufficiente – avrebbe riconosciuto alla sinistra la lungimiranza e la coerenza di una decennale, quindecennale, ventennale opposizione a Berlusconi. Anche l’astensione avrebbe giocato una parte importante. Mi sbagliavo, d’accordo, ma perché?

Da una parte bisogna dire che la sinistra non fu proprio quel campione di lungimiranza e coerenza antiberlusconiana che avrei voluto che fosse. E in parte l’insorgenza di Grillo nasce proprio da una frustrazione di questo tipo, così come il Fatto nasce da una costola dell’Unità. Devo dire che per molto tempo ho continuato a considerare il successo di Travaglio come un fenomeno assolutamente accettabile, il giustizialismo come una normale reazione a un potere che depenalizzava il falso in bilancio. Che nella miscela covassero anche spiriti di destra mi sembrava comprensibile e persino promettente: significava che anche a destra qualcuno si rendeva conto di quanto avessimo ragione. È vero che negli ultimi anni intorno all’antiberlusconismo si annusava un’aria greve, si ridesse ostentatamente di vignette e freddure sempre meno divertenti: preferivo non farci caso, così come non mi appassiono ai numeri da circo che ogni partito allestisce in campagna elettorale. Parte della mia illusione nasce dall’ottimismo della volontà: come si può vivere immaginando che dopo Berlusconi possa arrivare persino qualcosa di peggio? Non può piovere sempre. È un po’ lo stesso errore che rimprovero a molti militanti di sinistra: siccome il sole non può che sorgere sulle macerie e gli errori del passato, si finisce per tifare macerie e aiutare concretamente chi le produce. Lo stesso esempio del ’45, se ci avessi riflettuto meglio, mi avrebbe potuto illustrare come le cose non vadano esattamente così: da un grande disastro non nasce una grande civiltà democratica; al massimo un regime un po’ meno imperfetto, un po’ più perfettibile. Nei fatti, la crisi di Berlusconi ha lasciato spazio a una formazione ancora più populista, che ha unito la retorica anti-casta a quella berlusconiana dell’oppressione fiscale e burocratica. Il grillismo è una sintesi di Berlusconi e anti-berlusconismo che appena due anni fa ci sembrava impossibile. E poi c’è Renzi.

Renzi non mi è tanto simpatico, ma fosse questo il problema – ripeto: ho votato Rutelli, e sono tuttora contento di averlo fatto; ho votato Veltroni e, se mi ritrovassi in quella stessa situazione, lo rivoterei. Renzi non mi è tanto simpatico, ma è soprattutto il renzismo un fenomeno inquietante. Esso peraltro nasce dalla stessa domanda di cui parlavamo sopra: come facciamo a cambiare la società se siamo una minoranza? Naturalmente possiamo sostenere che abbiamo una vocazione maggioritaria, ma questo non ci regala neanche un cinque per cento in più. E quindi?

E quindi abbassiamo il tetto al 35%. Ovvero: siccome la democrazia non ci premia, eliminiamo la democrazia. Appesi alla contingenza storica per cui i sondaggi, per una volta, ci danno in testa (e però il 50% è lontano), scriviamo una legge che distorca la volontà popolare al punto che è sufficiente spuntarla in una gara a tre per vincere tutto. Il fatto che una proposta del genere ci venga suggerita nientemeno che da Silvio Berlusconi in carne e ossa e pendenze giudiziarie non ci impensierisce: a questo punto dei giochi B. non è che la nostra coscienza sporca. E in effetti poi Renzi si rende conto di averla sparata veramente grossa e riesce a spuntare un 2% di garanzia democratica: il parlamento verrà regalato a chiunque si aggiudichi il 37%. E se nessuno ci arriva, referendum. Renzi è abbastanza sicuro di vincerlo perché ci ha messo in busta 80 euro. Può essere la mossa giusta, ma può anche rivelare una certa ingenuità: cosa sono 80 euro in confronto ai mari e ai monti che i suoi competitor possono promettere? 80 euro solidi in confronto all’abolizione di Equitalia (leggi: abolizione dei debiti) o al referendum sull’Euro (leggi: ci stampiamo i soldi in casa)? Per tacere di tutti gli antipatici intellettuali e rocker pronti a giurare che 80 euro sono una miseria. Dall’altra parte, tuttavia, c’è una folla di militanti e una discreta quantità di politici e intellettuali disposti a credere che 80 euro in busta e un premio di maggioranza al 37% siano una prospettiva democratica e progressista. Ora bisogna averne prese di sberle – e concedo che ne abbiamo prese – per scambiare il premio al 37% per un sole dell’avvenire. Bisogna essere veramente suonati per credere che di fronte alla scelta secca tra Renzi-80-euro e Grillo-aboliamo-Equitalia i berlusconiani sceglieranno gli 80 euro che si sono già spesi tra la pasquetta e il 25 aprile. Insomma non è solo una questione di democrazia; è anche una questione di strategia. Da un punto di vista democratico, la tua legge elettorale è immonda; da un punto di vista strategico, è un disastro. Rischi di perdere tutto anche se mantieni la maggioranza relativa (forse continua).