cattiva politica, giustizia

A chi arrestano oggi, e a chi festeggerà

Ciao, mi chiamo Leonardo e quando a Milano ci fu l’inchiesta Mani Pulite, e i magistrati arrestavano un politico al giorno, io avevo vent’anni. Mi divertivo. Quei politici che cadevano in disgrazia li conoscevo da tanto tempo – mi sembrava tanto tempo – erano stati i cattivoni della mia adolescenza, i Craxi, i Forlani, i Gava. Corrotti, collusi, mafiosi, lo dicevamo da anni, e quando i magistrati cominciarono a confermarcelo non trovammo nulla da eccepire. Sembrava che tutto stesse procedendo verso un lieto fine: come col Muro di Berlino, per 40 anni incrollabile, e poi una notte, puff, finito. Era bello, era giusto, era divertente.

Se ci ripenso in realtà non mi ricordo molto, perché a vent’anni la priorità è il sesso e tutto passa in terzo. in quarto piano. Comunque: noi odiavamo i politici, i magistrati li arrestavano, noi eravamo felici. C’era una specie di arena in cui li vedevamo prender mazzate – i più deboli non reggevano, ma non trovavamo nulla da eccepire nello spettacolo in sé.

Adesso ne ho molti di più e non voglio nemmeno tentare un parallelo. Ogni tanto un magistrato arresta un politico: ho imparato che bisogna aspettare, perché a volte le cose non sono come sembrano. La cosa curiosa che ho notato è che adesso, quando un politico viene indagato, la gente non è più felice come una volta.

Alcuni sì, sembrano felici, ma c’è troppo nervosismo nelle loro manifestazioni di giubilo. È come se, come se, come se stessero tifando per la loro squadra. Ecco. La squadra ha fatto goal e loro festeggiano, ma in realtà sono tesi, sono arrabbiati, si vede che non basta, forse stanno ancora un goal sotto. Altre volte poi non festeggiano, anzi, alcuni fanno finta di niente – dal che deduco che deve aver fatto goal la squadra avversaria. Altri ci restano male o se la prendono con l’arbitro – che per carità, non è infallibile, è più che giusto domandarsi se sia imparziale o no, se ci abbia visto giusto, se non gli sia sfuggito qualcosa. Ma sai come fanno i tifosi: a volte se la prendono con l’arbitro per partito preso. Come se non sapessero, appunto, che non è infallibile, non può vedere tutto, non può evitare che qualcosa gli sfugga.

Ciao,  mi chiamo Leonardo e vedo i magistrati arrestare i politici da vent’anni. La principale differenza è che vent’anni fa era uno spettacolo semplice: noi sugli spalti, loro in campo. Oggi è diventato uno sport a squadre, e il match sul campo prosegue negli spalti. Indagano il sindaco di Milano: un boato in curva sud, la curva nord contesta e fa notare che però il sindaco sta reagendo bene. Pochi minuti dopo viene arrestato un assessore a Roma: la curva nord esplode, la curva sud impietrisce e così via. I politici continuano a rubare, i magistrati continuano a guardarsi intorno e a fischiare per quel che possono. Noi continuiamo a guardare, ad applaudire, a urlare, ma c’è molta meno allegria. E ormai ce ne siamo dette così tante, tra di noi, che c’è di sicuro qualcuno che ci aspetta fuori.

cattiva politica, Renzi

Il conte Gentiloni e gli eterni ritorni

Magari sarà un ottimo capo del governo: glielo auguro e ce lo auguro. Però davvero: quant’è buffo, dopo tanta retorica sulla rottamazione, ritrovarsi a Palazzo Chigi un conte Gentiloni Silverj? Un discendente di quel Vincenzo Ottorino Gentiloni che nel ’12 firmò il patto dei cattolici con Giolitti (noi ti votiamo e tu blocchi il divorzio e dai il via libera al finanziamento delle scuole cattoliche)? E dire che Paolo ce l’ha messa tutta per lottare contro il determinismo sociale. Ci informano i biografi che nel 1970 scappò di casa “per partecipare alle occupazioni studentesche a Milano” (non aveva 18 anni). Si ritrovò nel Movimento Studentesco di Mario Capanna. Nella sinistra extraparlamentare incontrò personaggi estremi come Ermete Realacci, Chicco Testa. E adesso eccolo a Palazzo Chigi. Da cui il legittimo sospetto: ma se invece se ne fosse rimasto a Roma a studiare e a militare in qualche prudentissima formazione centrista, oggi non si ritroverebbe, non ci ritroveremmo esattamente nella stessa situazione?

Magari Gentiloni non ce la farà: chissà se è un bene o un male. Però quanto è curioso che Renzi, così convinto di rappresentare una novità, si stia comportando più o meno come D’Alema nel 2000? E a D’Alema non andò molto bene, ricordiamolo. Si ritrovò a Palazzo Chigi nel ’98 a sostituire Prodi. Aveva le idee abbastanza chiare, puntava a riformare il Paese ma anche a trovare un’investitura popolare perché già allora l’idea che si potesse diventare capo del governo senza vincere esattamente le elezioni dava fastidio ai più. Non c’erano i grillini, non c’era la retorica del presidente non eletto, ma c’era già un sistema bipolare e la sensazione che Prodi nel ’96 avesse ricevuto un mandato dagli elettori, e D’Alema no. Per ovviare a questo problema, più psicologico che istituzionale, D’Alema ebbe una trovata molto discutibile, che i suoi cicisbei non esitarono a trovare geniale: non aveva vinto le elezioni del ’96? Pazienza, avrebbe vinto le successive. Trasformò ogni consultazione in un referendum sul suo governo. Alle europee non andò molto bene: fece un rimpasto. Alle regionali andò pure peggio e diede le dimissioni. I cicisbei ne lodarono la coerenza – sorprendentemente, alcuni di loro oggi lavorano e tifano per Renzi, l’uomo nuovo che avrebbe voluto ottenere da un referendum confermativo l’investitura che non aveva ottenuto con le elezioni. Stesse scelte, stessi errori, stessi rimedi, stesse sconfitte.

Magari un giorno, riguardando a tutto questo, ci accorgeremo di avere vissuto giorni straordinari, di avere assistito svogliati a una rivoluzione in diretta. In questo momento sembra l’esatto contrario: un eterno ritorno di situazioni già viste. I cattolici tengono alla famiglia e alla scuola e non la mollano, dal 1912 al 2016. Democristiani, diessini, democratici vanno avanti a tastoni e a ogni consultazione rimpastano un po’: se le cose vanno male lasciano il posto a un notabile innocuo e dicono in giro di essersi ritirati in campagna. In un suo accorato messaggio ai fan, dopo aver rimboccato le coperte dei figli, il dimissionario Renzi spiega di aver fatto una cosa incredibile, mai vista: si è dimesso senza un voto di sfiducia. (“Di solito si lascia Palazzo Chigi perché il Parlamento ti toglie la fiducia. Noi no“). Chissà se ne è davvero convinto. Chissà se ignora che in tutta la storia della Repubblica dev’esser successo una volta sola a un governo di perdere la fiducia in Parlamento (e fu Prodi, ahinoi). Perché poi con Renzi il dubbio è sempre lo stesso. Davvero è convinto di essere qualcosa di inedito e di mai visto, anche se alla fine si ritrova a giocare lo stesso gioco di un D’Alema o di un Fanfani, e a rifare le identiche mosse?

cattiva politica, costituzione, Renzi

Ci avete messo due anni a sentire la puzza dell’Italicum, nascondetevi

Buongiorno, mi chiamo Leonardo e non m’intendo di niente in particolare. Una cosa che seguo proprio male è la politica, non guardo neanche i talkshow, non leggo più gli editoriali e i retroscena, insomma, non ne capisco niente.

“Col tie-break non è democrazia” (gennaio 2014).

La prima volta che sentii parlare di una legge elettorale Renzi-Berlusconi – quella che poi è diventata l’Italicum – la trovai subito molto brutta, e soprattutto poco avveduta. Eravamo a inizio 2013, la situazione era già da quasi un anno tripolare, oserei dire più tripolare che adesso. Che due dei tre poli si accordassero su una legge elettorale mi sembrava inevitabile – tanto più che il terzo polo, il M5S, aveva palesato in tutti i modi la sua indisponibilità a collaborare. Quello che proprio non riuscivo a immaginarmi, e trovo ancora inspiegabile, è che Renzi e Berlusconi si fossero messi d’accordo su una legge che favoriva proprio il M5S. Perché è così: nell’autunno 2013 era talmente chiaro che l’Italicum favorisse il M5S che me ne ero accorto persino io.

Nei giorni successivi Renzi incassò i complimenti di gran parte dei dirigenti Pd, che salirono sul palco a turno a spiegare quant’era bello l’Italicum, quant’era democratico. A me invece non piaceva: non solo perché favoriva il partito del dissenso (quello tutto sommato era il male minore), ma anche perché istituiva un premio di maggioranza assolutamente sproporzionato, e i premi di maggioranza in generale sono cose rare nei Paesi davvero democratici: li ha inventati Mussolini, e oggi li usano solo in Grecia e San Marino. Il ballottaggio, poi, che in sé non è un’idea cattiva, ha senso in una repubblica presidenziale, non in una parlamentare. Gli stessi Renzi e Berlusconi sembravano volerlo evitare fissando una quota ridicolmente bassa – all’inizio il 35, poi il 37%. Una minima competenza aritmetica, nel 2013, mi suggeriva che se il 37% degli elettori vota per te, il 63% – quasi il doppio, non ti vuole. Se in barba a questa aritmetica tu governi lo stesso, e disponendo di una larga maggioranza fissata per legge, ebbene, forse non è più esattamente democrazia: questo io pensavo tre anni fa e sospettavo anche che la Corte Costituzionale, appena interpellata, avrebbe fatto di questa legge pezzettini, come della precedente di cui tutto sommato era una versione più fantasiosa e pastrocchiata.

Nei mesi successivi l’Italicum divenne una specie di simbolo di Renzi: una legge pasticciata, probabilmente incostituzionale, che lo avrebbe danneggiato, e che però doveva assolutamente passare perché… ci aveva messo la faccia. La contiguità strettissima tra l’italicum e la faccia-di-Renzi era tale che chiunque osasse parlar male della legge veniva accusato di farlo per puro odio antirenziano: uno stimato editorialista a un certo punto propose l’esperimento mentale di immaginare la stessa legge inventata da Bersani. Ci provai: mi faceva schifo lo stesso. Perché è proprio brutta, capite. E non è vero che la trovo orrenda perché l’ha inventata Renzi. Piuttosto il contrario: come posso non trovare orrendo Renzi, che ha avuto la possibilità di scrivere una legge elettorale decente e invece ha partorito questa merda? L’Italicum resse anche la fine del patto del Nazareno. Dopo la botta di ottimismo delle europee, la soglia per il ballottaggio fu spostata al 40%, un numero che si potrebbe anche considerare ragionevole, se esistesse un’altra democrazia seria al mondo dove i ballottaggi scattano sotto al 50%, quella quantità che è tradizionalmente considerata la metà di 100.

Sono passati altri due anni, e adesso l’Italicum non lo vuole più nessuno, neanche al Pd. Lo stesso presidente emerito Napolitano ci ha fatto capire che sì, andrebbe proprio cambiato. Non passa fine settimana senza che qualche esponente del Pd non ci comunichi la sua proposta che, bisogna ammetterlo, quasi sempre è peggiorativa: e ci vuole impegno a peggiorare la schifezza che è l’Italicum. Però di questo parliamo magari un’altra volta. Questo non è un pezzo serio, non è un pezzo in cui si fanno proposte operative. Quando ho iniziato a scriverlo, questo pezzo voleva descrivere un senso di vertigine. Mi chiamo Leonardo e non m’intendo di niente in particolare. Una cosa che seguo proprio male è la politica, non guardo neanche i talkshow, non leggo più gli editoriali e i retroscena, insomma, non ne capisco niente. Com’è possibile che sull’Italicum abbia avuto ragione sin dal primo momento, quando tutti si spellavano le mani e salutavano in Renzi il principe della Governabilità?

Cosa vi è successo per due anni, dove avevate messo gli occhi per vedere, e soprattutto le nari per annusare l’enorme cagata che quel ragazzo – in buona fede, per carità – stava facendo? Stavate nel Pd e dicevate sì, beh, si può migliorare ma sembra una buona base di partenza, ‘sta cagata immonda: perché non andate a nascondervi? Scrivevate sul giornale che la governabilità, eh sì, la governabilità, e ci avete messo due anni per accorgervi che ops!, l’Italicum rischia di regalare il parlamento alle forze meno predisposte per governare: con che faccia riuscite a mettere ancora la vostra firma in calce alle vostre colonne di pensierini ponderati? Non ci avete capito niente, nessuno ci sta capendo niente. Io meno degli altri, ero solo un tizio che tre anni fa vedeva Renzi nudo in mezzo alla strada, con in mano un’enorme stronzo a forma di legge elettorale. Ma sapete una cosa? Anche questo ruolo mi ha stancato, comincio ad avere un’età per questa cose.

Mi piacerebbe vivere in un Paese dove gli esperti, i professionisti, non corrono dietro alla prima bandiera che accenna a sventolare. Renzi alle europee prese 11 milioni di voti – tre milioni in meno di Veltroni, che sembrava sconfittissimo nel 2008: uno in più di Bersani, che sembrava bollito nel 2013. Quel milione in più vi è salito al cervello, per due anni non avete più capito niente. Pensavate che fosse irresistibile e per carità, è una proiezione come tante, per qualche settimana forse l’ho pensato anch’io. Ma anche ammettendo un Renzi invincibile, anche immaginando un’improvviso boom economico che poi, disdetta, non c’è stato, l’Italicum continua a essere una brutta legge che con la scusa patetica della Governabilità crea un presidenzialismo di fatto: persino chi crede Renzi il migliore dei leader nel migliore dei mondi possibili, avrebbe potuto riflettere sul fatto che non è eterno, che prima o poi dovrà cedere il suo scettro, che il rischio di regalare il Paese a un futuro Uomo della Provvidenza con quella legge è altissimo, e che questo tipo di Uomini di solito la Provvidenza ce li fornisce pessimi. Tre anni in cui i renziani sembravano piovuti dalla Corea del Nord, Renzi Leader Eterno, Renzi Sole dell’Avvenire. Adesso dice che non si ricandiderà dopo il secondo mandato, si crede Obama, nessuno che gli faccia presente che un mandato presidenziale e un incarico espresso da una maggioranza parlamentare sono due cose proprio sostanzialmente diverse. È da tre anni che pasticcia con l’ordinamento costituzionale, uno spettacolo imbarazzante, e ancora più imbarazzanti sono gli osservatori laureati e addottorati che fan finta di trovare la cosa degna d’interesse. È come se la mia generazione fosse ancora all’asilo, facciamo un brogliaccio col pennarello giallo e le maestre ci applaudono, c’è senz’altro un po’ di Van Gogh, in questo ragazzo, riconosciamoglielo sennò si rimette a piangere, pesta i piedi, poi si lamenta coi genitori, per carità, per carità, è un genio.

Beppe Grillo, cattiva politica, fascismo, razzismi

Non volete che votino gli imbecilli? Non votate.

Potrà essere capitato anche a voi di intercettare, nel rumore di fondo di questi giorni, un’ondata montante di rancore verso il suffragio universale e il suo difetto strutturale – la clausola per cui il voto di un imbecille conta quanto quello di una persona istruita, onesta, rispettabile, insomma quel tipo di persona che è convinta di non essere imbecille mentre fa questo ragionamento.

Per quanto posso, vorrei rassicurare i più giovani: non è veramente niente di nuovo sotto il sole, il problema della demagogia era già ben avvertito dai Greci classici. I sofisti avevano notato l’incostanza delle folle prima che diventassero masse; Tucidide ci ha scritto qualche versioncina che almeno agli studenti del classico dovrebbe risultare familiare. Qualche tempo più tardi Montesquieu affrontò il problema della corruzione del principio della democrazia con parole che si potrebbero benissimo usare oggi per distruggere il concetto di democrazia diretta alla Beppe Grillo, ma forse varrebbe la pena scrivere tutto questo con le maiuscole: LEGGI COME QUESTO ILLUMINISTA DISTRUGGE BEPPE GRILLO! Nel frattempo in Inghilterra, con tutti i limiti del caso, stavano trovando anche una soluzione al problema, magari imperfetta ma non priva di una sua rude bellezza: la democrazia parlamentare, coi suoi meccanismi di delega, e la conseguente professionalizzazione della politica. E non siamo ancora alla rivoluzione francese. Per dire di quanto siamo ignoranti e autoreferenziali, mentre crediamo di aver inquadrato il problema del giorno, anzi del mese o del secolo: gli ignoranti votano! Sì, a cominciare da noi. Oddio, nessuno ci obbliga.

Però adesso c’è qualcosa di nuovo, dicono. L’insofferenza per i politici di professione, la “casta”, l'”establishment”. Ancora: la novità sta negli occhi di chi guarda, e di chi magari non ha mai dato un’occhiata ad altri momenti, altri Paesi: Giannini ce l’aveva coi partiti, Poujade ce l’aveva coi partiti, Mussolini ce l’aveva coi partiti. Hanno tutti avuto un po’ di successo, chi per un quarto d’ora chi per vent’anni.

E internet? Perché qualcuno suggerisce che sia colpa di internet, che ha abolito i diaframmi – ora possiamo rispondere direttamente al politico sul suo blog, naturale che ci venga spontaneo immaginare di governare al suo posto, da casa, con un clic. Sì. A dire il vero la maggior parte della gente che frequento non usa internet per governare o anche solo fingere di farlo. Lo sport più diffuso nell’ambiente è guardare gli imbecilli. Abbiamo sempre saputo che esistevano, ma da un po’ di tempo in qua non facciamo che ammirarli, linkarli, screenshottarli, e poi ammiccare coi compari: pensate che anche questi hanno il diritto di voto! Che roba, che vergogna. Dieci anni fa c’era il Grande Fratello, adesso la bacheca di FB. Non è neanche elitismo ormai, è una specie di bullismo benigno che affligge gente insospettabile. Molto spesso, lo si capisce, è gente che dai bulli le prendeva. Ora li guarda coprirsi di ridicolo sui social e ne gode, fortuna che tra i tasti c’è “Like” e non c’è “leva il diritto di voto a questo imbecille”, probabilmente Zuck ci sta lavorando.

Ricapitolando: la demagogia è antica come la democrazia e l’ha già spesso stroncata sul nascere o in seguito; l’imbecillità è una costante della storia dell’uomo, ma prima di internet avevamo meno finestre per osservarla e forse era meglio così, l’imbecillità è ipnotica. La novità – perché secondo me una novità c’è – sta nella crisi. Non quella occasionale o ciclica, ma quella strutturale che sta affliggendo l’Occidente, e che ha tante concause e spiegazioni, ma io resto affezionato alla più banale di tutte: la Cina e l’India hanno tre miliardi di bocche da sfamare e ormai sono Paesi sviluppati. Serviranno ancora generazioni prima che il costo della vita in quei Paesi si alzi ai livelli dell’Occidente – a meno che l’Occidente non si inabissi, e forse questa sarà la soluzione. Nel frattempo la popolazione mondiale continua a crescere e a spostare l’equilibrio, e poi c’è il riscaldamento globale, insomma sarà molto complicato. Di fronte a questo scenario, diversi demagoghi occidentali hanno reagito in modi diversi ma non così dissimili: Trump vuole l’America “great again” e propone di risolvere costruendo un muro col Messico, come se non ci fosse già. Gli inglesi vogliono uscire dall’UE, così come gli scozzesi un anno fa erano tentati di uscire dal Regno Unito. In confronto da noi Bossi era lungimirante: chiedeva i dazi con la Cina quindici anni fa. Almeno aveva le idee chiare: invece i grillini non sanno bene cosa propongono (uscire dall’Euro?), ma sanno perché: bisogna dar fiato all’impresa italiana, crolli il mondo.

Quello che unisce Trump ai fautori del Leave e ai leghisti o ai grillini non è la polemica anti-establishment, che in fondo usano tutti, è come il giro di do a Sanremo (anche Renzi lo ha intonato). Se per un attimo smettiamo di considerarli imbecilli e ascoltiamo quel che vogliono in concreto, scopriremo che è molto chiaro e perfettamente comprensibile, vista la gravità della situazione. Vogliono alzare uno steccato che li protegga dalla competizione del Resto del Mondo. Vogliono un’America di nuovo Grande, una Britannia ancora impero, una Padania di nuovo rigogliosa di fabbrichette che si rimettano a macinare fatturati come se in Cina non sapessero ormai fare tutto quello che sappiamo fare noi a un quinto del prezzo. Siamo ovviamente liberi di considerarlo un rigurgito fascista, una nostalgia di anziani che non ha più senso cercare di convincere, o il riflesso istintivo del bambino che si rintana in un angolo mentre la casa crolla. Ma non è imbecillità. Non c’è nulla di stupido nel rintanarsi in un angolo mentre la casa crolla.

cattiva politica, Renzi

Chi vota al referendum TOGLIE GLI ASILI AI BAMBINI!!!

  • È successo anche a Renzi, e non sorprende, di essere stato giovane, di esser stato all’opposizione, di aver promosso un referendum e di essersi lamentato perché il governo non lo accorpava con una tornata elettorale. Non c’è nulla di veramente originale, si può dire che capita ogni volta: non c’è stratega referendario che non prometta ai suoi che questa volta sarà diverso, questa volta il Quorum sarà raggiunto, perché… perché i promotori chiederanno al governo l’Election Day, l’accorpamento del referendum con un altro voto amministrativo, o europeo. Se si tratta di risparmiare tanti milioni di euro (trecento!) come farà il governo a tirarsi indietro? 

Così.
Del resto lo fa sempre.
È vero, qualche soldo si potrebbe pure risparmiare (non trecento, è un calcolo esagerato che terrebbe conto persino del costo del babysitting per chi non può arrivare al seggio col passeggino): d’altro canto, nessuna legge obbliga il governo di turno ad accorpare elezioni e referendum, e così nessuno lo fa, se non gli conviene.

  • È successo anche a Renzi, e cosa c’è poi di strano, di crescere e andare al governo, e di trovarsi di fronte a ex amici che promuovevano un referendum, e gli chiedevano di accorparlo con una tornata elettorale. Per risparmiare trecento milioni di euro! Quante scuole, quanti asili nido ci potresti costruire con trecento milioni di euro? 

E Renzi, ovviamente, ciccia.
In fondo qual è la sorpresa? Quando promuovi i referendum cerchi di tirare l’acqua al tuo mulino; quando governi, idem. Se si parla di referendum abrogativi il governo è il banco: vince quasi sempre anche perché, se non succedesse, nessuno governerebbe più; in gioco c’è la stessa democrazia parlamentare. Insomma se c’è un voltafaccia è il più normale del mondo, fa notizia se proprio non abbiamo niente di meglio. Non abbiamo niente di meglio?

  • Se poi Renzi invita agli italiani all’astensione, e usa come argomento il risparmio, ecco: questo è il punto in cui il limite della decenza viene saltato, hop! come la ragazzina salta la corda, con quel brio sgarzolino che riesce sempre a strappare anche ai più sgamati tra noi un istintivo vaffanq. Lo stesso Renzi che una volta chiedeva di risparmiare accorpando i referendum; lo stesso Renzi che una volta al governo ha rifiutato di risparmiare accorpando i referendum, adesso chiede agli italiani di non andare a votare al referendum: così risparmiamo.  

Roma, 20 mar. (LaPresse) – “Questo referendum è ‘no-spreco’, non ‘no-Triv’. Pensate a quanti posti asilo si potrebbero fare con quei 300 milioni che costa il referendum. 

cattiva politica, omofobie

Davvero preferireste non esistere?

La schiavitù scomparve ufficialmente in tutto il territorio negli Stati Uniti il 6 dicembre 1865, dopo che l’assemblea legislativa della Georgia ebbe ratificato il XIII emendamento che la proibiva, promosso da Lincoln. Era il ventisettesimo Stato a ratificarlo, su 36: a quel punto, oltrepassata la soglia dei tre quarti, l’emendamento entrava a far parte della Costituzione. Lincoln era già stato assassinato, ultima vittima di una guerra che aveva fatto quasi un milione di morti. Malgrado tutto questo, i cittadini afroamericani di molti Stati del sud non avrebbero avuto il diritto di voto ancora per un secolo. Il XIII emendamento, liberandoli, contribuì a renderli in un qualche modo cittadini di serie B. In alcuni casi rese più dure le loro condizioni di vita, negli Stati in cui i legislatori bianchi repressero le loro aspirazioni varando leggi che sostanzialmente li criminalizzavano: in Mississippi chi non rinnovava ogni anno il contratto di lavoro col piantatore poteva essere subito arrestato per vagabondaggio. A 150 anni di distanza, i neri degli USA hanno ancora la netta sensazione che nel lungo, faticosissimo processo di acquisizione dei diritti civili, qualcosa sia andato storto subito e non sia stato ancora raddrizzato. Premesso questo: voi nel 1865 avreste preferito restare schiavi? Vi sareste tenuti le catene?

Chi in questi mesi ha seguito con crescente frustrazione l’iter del ddl Cirinnà ha tutti i motivi per dirsi insoddisfatto del risultato. È vero, oggi è stata riconosciuta l’esistenza di una categoria di cittadini di serie B, che può unirsi ma non può sposarsi; che può condividere i beni, ma non la genitorialità. Tutto questo è ingiusto e avvilente, anche perché è stato causato dall’imperizia dei legislatori e dai calcoli sbagliati di qualche avventuriero politico. Detto questo: preferivate davvero continuare a non esistere?

A questo punto della storia il dibattito sul disegno di legge lo possiamo dare per consumato: ognuno può aver arbitrato uno o più match pubblici tra grillini e renziani, e decretato il vincitore, il più convincente nel rimpallare le accuse, le controaccuse e le responsabilità. Archiviamo anche la manfrina sul regolamento, i canguri e i supercanguri, e tutti i ragguagli dei politici che hanno provato a spiegarci le cose per punti, o con la lavagnetta – tra cui brillano quei poveri renziani che per 48 ore hanno ripetuto che Renzi non poteva mettere la fiducia, no no, era tecnicamente impossibile – dopodiché Renzi ha annunciato che l’avrebbe messa, e vabbe’. Diamo per espressa la rabbia nei confronti del blocco trasversale cattolico-conservatore, l’ingenuità degli elettori del PD che scoprono un nido di reazionari nel loro partito, la frustrazione di chi anche stavolta resterà senza diritti fondamentali – perdonate la bruschezza, ma anche se mi fermassi a piangere e a indignarmi con voi non sposterei di un centimetro il problema.

A questo punto a mio parere l’unica discussione che abbia ancora un senso è quella che da sempre più mi preme: l’eterna lotta tra il male e il meno peggio. Ovvero: è davvero utile il compromesso? Per me sì. La Cirinnà mutilata della stepchild adoption potrà farvi senso, ma è comunque meglio di niente. In linea di massima qualcosa è sempre meglio di niente, quando si parla di estendere i diritti civili a minoranze non riconosciute. Grazie al cielo, anzi, a Montesquieu, non ci sono soltanto i legislatori: ci sono anche i giudici, che per forza di cose hanno le idee più chiare. Fino a oggi i gay, per la giustizia, non esistevano: un parlamento oggi li ha riconosciuti, ma allo stesso tempo li ha penalizzati; sulla Costituzione però c’è scritto che i cittadini sono tutti uguali e di questo prima o poi i giudici dovranno tener conto: non è che siano rapidissimi, eh? ma possono essere più veloci dei legislatori. Comprendo la rabbia di tutti quelli che credevano che fosse la volta buona (anche se i numeri non ci sono mai stati, e l’inaffidabilità del M5S non è una nozione così inedita). Però, davvero: se il vostro interesse è che le cose cambino, e non fargliela vedere a Giovanardi e Adinolfi, il compromesso al ribasso è sempre meglio di nessun compromesso.

O no? Io ho in mente almeno due o tre esempi in cui si è arrivati all’uguaglianza attraverso una lunga serie di successi parziali e compromissori (ad esempio la sentenza della Corte Suprema USA l’estate scorsa). Voi avete in mente almeno una situazione in cui dire di no a un compromesso abbia portato in tempi brevi a un miglioramento?

Se pensate che la Cirinnà mutilata sia una pessima legge, e che Renzi non merita di essere celebrato per una vittoria di Pirro, avete la vostra parte di ragione. Ha sbagliato a mandare avanti una legge senza avere una reale maggioranza? Son cose che a volte si fanno: chiedere trentuno per ottenere trenta (in questo caso facciamo anche venticinque). A questo punto, però, a parte i proclami di intransigenza che forse servono a farvi sentire meglio, si tratta come sempre di capire cosa succederà. Non credete più in Renzi? Si può lavorare a un partito che stia alla sua sinistra: lo spazio c’è – ce n’è di più da oggi, se ci riflettete. Credete ancora, malgrado tutto, che non ci sia speranza né vita fuori dal PD? Sta per arrivare la prova del nove. Quando si ricomincerà a parlare di elezioni, si potrà oggettivamente valutare quanto Renzi creda in questa battaglia. Basterà contare i teodem nelle liste. Se la percentuale risultasse invariata rispetto al ’13, saprete di essere stati ingenui a contare su di lui. Ma la percentuale potrebbe anche calare. E potrebbe calare proprio perché il ritardo italiano sui diritti civili costringerà Renzi a scegliere da che parte stare. Faccio presente che, per quanto sia giustamente desiderato, il matrimonio gay non è la vittoria finale che schiuderà i cancelli dell’Eden laico: all’orizzonte c’è il testamento biologico, e poi bisognerà rendere di nuovo effettivo il diritto all’aborto, ecc.

A chi ha la sensazione di vivere in tempi bui, e in un Paese sempre meno moderno, spero di non apparire troppo antipatico facendo presente che ci sono stati tempi ancora più bui e Paesi ancora meno moderni, e che non sempre – anzi, quasi mai – l’alba arriva in un istante: a volte bisogna procedere a tentoni, occupando ogni piccolo spazio che il nemico ti concede, e mantenendo un certo spirito anche quando ti accorgi che stai ripiegando che palle queste metafore guerresche. No, grazie al cielo, anzi, all’antifascismo, viviamo in una democrazia: un luogo molto imperfetto dove però dopo ogni sconfitta la palla torna al centro, e si riparte. Si può anche imparare dagli errori, volendo.

cattiva politica, giornalisti

Giorgia Meloni in: Perché tanto odio?

Crescere negli anni in cui ha preso forma la mediosfera è abbastanza bizzarro. Per esempio, ci sono forme di ingenuità che mi scopro ben disposto a perdonare a persone di cinquant’anni in su, ma che non tollero nei coetanei. È come se i più navigati, i veri vecchi, fossimo noi.

Prendi Giorgia Meloni: se avesse qualche anno in più la capirei. Lei era così felice di condividere con così tante persone una bella notizia; poi apre facebook e scopre che hanno strumentalizzato la sua gravidanza, buon dio, è terribile. Bisogna essere veramente malvagi per fare una cosa del genere e adesso forse dovrei scrivere che Internet è malvagia, oppure no, non bisogna dare la colpa a Internet che è solo uno specchio; è la Gente che dovrebbe essere buona invece che malvagia. Se stessimo parlando di qualcuno della generazione dei nostri opinionisti – Ferrara, Serra, Gramellini, aggiungete a piacere, non credo che si potrebbe scavare più in profondo di così.

Ma Giorgia Meloni è del 1977, di cosa stiamo parlando? Fa politica da quando sa camminare, aveva un canale IRC nel Duemila, io non ce la faccio a reggere il moccolo, mi spiace. Non perché lei sia una postfascista – il che comunque non aiuta. È che non riesco a stare serio, anche se mi converrebbe. Che grande figura ci farei, a scrivere Lasciatela stare, non fate i bigotti al contrario (che sono oggettivamente peggio dei bigotti veri). Si può andare al family day con un bimbo in grembo e senza essere stati uniti al compagno dal sacro legame del matrimonio? Non lo so, il giochino di giudicare gli avversari secondo il loro metro è simpatico finché resta, appunto, un giochino. Tante volte cerchiamo le contraddizioni nei nostri avversari credendo che siano i loro punti deboli, e invece sono i punti di forza. Senz’altro è notevole che in un Paese sedicente cattolico non si riesca a trovare un leader politico in grado di sfoggiare sul palco del family day uno stato di famiglia come Dio comanda. Una volta fatto questo appunto, mi basterebbe trovare un finale a effetto, non so, l’utero è di Giorgia Meloni e se lo gestisce Giorgia Meloni! (ok, con un po’ di tempo potrei trovare di meglio…) e avrei salvato anch’io la mia capra e miei cavoli. Si scrive da solo un pezzo così.

Ma Giorgia Meloni è del 1977, di cosa stiamo parlando? Io non ce la faccio a stare serio. Non è solo avere trentanove anni. È averne passati già più di venti in favore di telecamere, e con internet che ti spunta dalle tasche e da ogni fessura. Giorgia Meloni che non si aspettava una reazione del genere? Giorgia Meloni che si sente ferita? Giorgia Meloni è un personaggio pubblico che sa benissimo cosa dichiarare e quando, e non credo che si stupisca più di niente dal 1997. Nessuno strumentalizza la Meloni e il suo bambino, più di quanto la stessa Meloni non desideri di essere strumentalizzata. Doveva dare una notizia importante, ha scelto il momento e il luogo più adatti, e adesso sono quattro giorni che parliamo di lei. Ci sono cascato anch’io, guarda.

Beppe Grillo, cattiva politica, come diventare leghisti, fascismo

I due populismi complementari

È un po’ tardi, ma volevo condividere l’intuizione di mezzanotte: se il populismo di destra si caratterizza per la retorica del Nemico, ne consegue che in Italia di populismi attualmente ne abbiamo due, complementari. Questo in parte spiega la momentanea eclissi del M5S, che dopo gli attentati di Parigi non ha ritenuto necessario definire con maggior chiarezza la sua posizione in politica estera; in sostanza non ne ha una. Il fatto è che il populismo di Grillo e del suo comitato centrale è uno dei più curiosi al mondo, concentrato com’è sul Nemico Interno: il Politico. Viceversa il populismo di Salvini e della Meloni, che in mancanza di niente stanno opzionando quel che resta del centrodestra berlusconiano, si concentra sul Nemico Esterno: l’immigrato quasi sempre islamico e potenzialmente terrorista (Berlusconi non ci sta mettendo la faccia, ma il suo Giornale e i suoi tg sono già piuttosto allineati sull’argomento).

Messi assieme, Grillo e Salvini produrrebbero il populista perfetto; purtroppo, o per fortuna, sono inconciliabili. Al punto che nel momento più propizio per dare addosso agli immigrati, gli uomini di Grillo si sottraggono e mostrano il lato più umano (dopotutto anche loro hanno votato per depenalizzare la clandestinità); specularmente, quando passerà l’eccitazione collettiva per il terrorismo e scopriremo qualche altra Mafia Capitale, i grillini tireranno fuori gli artigli, ma Salvini si mostrerà molto più equilibrato, se non proprio garantista alla Berlusconi.

A un certo punto poi si voterà, e uno dei due populismi probabilmente arriverà al ballottaggio (sempre ammesso che ci si arrivi). Forse è inutile analizzare i trend elettorali, forse tutto dipenderà dall’ultimo fatto di cronaca importante: se sarà un attentato, Salvini; se sarà uno scandalo, Grillo. I due personaggi sono incompatibili, ma i loro elettori non lo sono affatto: anzi appartengono a un unico bacino che è in comunicazione anche coi serbatoi inesplorati dell’astensione. Poi c’è lo scenario hard – un ballottaggio tra Salvini e un grillino – e non mi sento di escluderlo a priori. Ah, nel caso voterò M5S: “Onestà” mi sembra meno pericoloso di “Stop Invasione”. E poi in generale mi danno meno affidamento: al primo casino si rivota.

cattiva politica, Renzi

E se fare un partito al 5% fosse invece un’ottima idea?

(Ok, probabilmente non lo è. Ma se invece lo fosse?)

Nello scorso settimana dunque SEL ha fatto un restyling con Fassina e D’Attorre, con uno show che senza neanche affaticarsi a trovare slogan decenti (la frecciata anti-happy days, dio mio), ha già fruttato due punti percentuali in più nei sondaggi. È un vero peccato che, essendo sondaggi italiani, sbaglino. La reazione dei rappresentanti del PD non si è fatta attendere, ed è stata prevedibilmente sobria e misurata: prima il presidente Orfini ha rivendicato Happy Days, poi il sottosegretario Scalfarotto ha pubblicato un composto commento il cui tono, se posso sintetizzare è: con tutto il rispetto per il vostro travaglio interiore, cretini, non avete capito nulla della vocazione maggioritaria, volete far la cresta col vostro 5%? Eh eh ma i tempi sono cambiati, “avreste fatto meglio a pensarci due volte” (in futuro sarà difficile spiegare perché a Scalfarotto era consentito usare espressioni simili senza sembrare un bullo).

Guardati le spalle, Fonzarelli, chi dei due tra vent’anni
sarà ancora in tv? 

“Che ci farete col vostro 15%, ammesso e non concesso che lo prendiate?”, si domanda Scalfarotto. Scalfarotto che col suo 28% – forte di uno spaventoso premio di maggioranza – non è comunque riuscito a far passare il disegno di legge che porta il suo nome, sull’aggravante di omofobia. Mancava giusto quel 5% al Senato. Scalfarotto che qualche mese fa per riuscire a calendarizzare il ddl sulle unioni civili dovette ricorrere allo sciopero della fame, finché non la spuntò – o almeno sembrò spuntarla, visto che è novembre e non so voi, ma a me non sembra che in parlamento stiano discutendo di unioni civili. Sempre per via di quel 5%. Nel frattempo il boss di Scalfarotto ha fatto un sacco di cose, tra cui promettere di abolire di nuovo l’imposta sulla prima casa, strozzando un po’ di più i già sofferenti enti locali – o innalzare il tetto dei pagamenti in contanti a 3000€ – o promettere che un giorno lontano, chissà, si farà il Ponte sullo Stretto (il che significa ricominciare a concedere appalti molto prima di quel giorno lontano).

Tutte queste cose, che possono essere giuste o sbagliate ma difficilmente rientrano nelle attese di un elettore del Pd, Renzi le sta facendo perché ha bisogno del sostegno di un partitino, l’NCD, che al 5% non ci arriverà mai. Insomma forse è Scalfarotto che dovrebbe pensarci due volte, prima di accusare gli altri di scarso realismo. Le rendite di posizione esistono, gli aghi della bilancia non sono un incidente di percorso – almeno finché decidi di usare le bilance.

Preferivo Mash. Suicide is painless…

A questo punto si potrebbe obiettare che da qui in poi si userà una bilancia tutta speciale, che rende impossibile il caricamento degli aghi. Detta così suona improbabile, ma nulla è improbabile per Renzi, no? Il suo entourage è sinceramente convinto di aver brevettato un algoritmo che eliminerà per sempre il trasformismo, come dire la tabe originaria che ha afflitto la storia parlamentare italiana dall’Unità a oggi, con qualsiasi ordinamento costituzionale e legge elettorale (persino Mussolini che aveva chiuso le camere alla fine fu messo in minoranza). Questo rimedio prodigioso è il cosiddetto Italicum, e non appena entrerà in vigore, Renzi governerà indisturbato per cinque anni. (Se vince lui. Se perde, qualcun altro governerà indisturbato per cinque anni). Quindi sì, non ha molto senso perder tempo a organizzare partitini a sinistra o al centro, e la partita a Othello di Bersani diventa di conseguenza la strategia migliore: restare a fianco dell’imperatore finché l’aria non cambia, poi soffocarlo col cuscino e riprendere il possesso del partito. Forse davvero Bersani ha ragione, anche se storicamente ha sempre scelto la tattica meno faticosa e più perdente. Però.

Però sul serio dopo l’Italicum i partitini non avranno più senso? Come facciamo a esserne sicuri?

E prima ancora: siamo sicuri che l’Italicum andrà a regime? In teoria sì, è già legge della Repubblica. Salvo che almeno al Senato è vincolato dalla riforma costituzionale, che con ogni probabilità passerà solo dopo un referendum confermativo. Questo referendum – che in quanto confermativo non richiede il quorum – sarà un po’ il momento della verità per Renzi, che si troverà a doversi difendere dai suoi avversari, i quali in teoria sono più numerosi di lui e possono circondarlo. In pratica, mah.

Prendi Grillo: è da anni che ha fatto di Renzi il suo obiettivo polemico n.1. A parole è senz’altro contro qualsiasi cosa faccia, quindi anche contro il nuovo Senato dopolavorista… ma in pratica forse mandare avanti il pacchetto riforma+italicum gli fa comodo. In teoria dovrebbe condurre una violentissima campagna referendaria; in pratica potrebbe anche restare molto tiepido – le campagne che Grillo preferisce, da sempre, sono quelle per raccogliere firme che non hanno nessun valore pratico. E in generale, quello che sta facendo Grillo dal 2013 in poi ha a che vedere con la messa in scena del conflitto, più che col conflitto in sé. Anche Salvini più o meno fa la stessa cosa, e la farebbe pure Berlusconi se a Berlusconi gliene fregasse ancora. Quindi può darsi che l’accerchiamento referendario nei confronti di Renzi si sciolga come neve al sole. A quel punto però bisogna dire che Renzi si meriterà di governare finché dura, e al partitino della sinistra resterà il ruolo residuale e testimononiale, se non proprio testamentario, che Scalfarotto gli affibbia.

O no? (Questo continua davvero).

cattiva politica, La grande gara di spunti, memoria del 900

Le avventure di Pandolfo

Pandolfo è uno Zelig al contrario: in qualsiasi ambiente si farà notare. Testa calda ai tempi del GUF, nella primavera del ’44 entra in una formazione partigiana comunista; litiga col comandante, a cui rimprovera di pensare più alla guerriglia che all’ideologia. Dopo aver causato la scissione della brigata, fonda in agosto la repubblica di Monticello, piccolo paese dell’Appennino che in settembre viene completamente bruciato dalle SS; ma Pandolfo è già lontano.

Lo si rivede nel triangolo rosso dopo il 25 aprile, quando mostra la sua insofferenza per la svolta di Salerno ammazzando qualche ex gerarca. Scappa quindi in Ungheria, dove apre gli occhi sul socialismo reale. Partecipa alle prime manifestazioni del ’56, ma quando entrano in azione i carri sovietici lui è già lontano, forse in un kibbutz dove apre gli occhi sulla triste condizione dei palestinesi.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Torna in Italia nell’estate del 1960, giusto in tempo per protestare contro il governo Tambroni: a Genova appicca il fuoco a una camionetta della Celere, a Reggio applaude gli operai che non si disperdono – ma quando cominciano le cariche, lui non si trova. Dopo qualche anno di militanza nel PSI, passa al PSIUP. Nel 1968 partecipa alla battaglia di Valle Giulia – nelle foto non si capisce se sta scappando o inseguendo un celerino. L’anno dopo entra in Lotta Continua, nel servizio d’ordine. Propugna la tesi dello scontro generale contro la borghesia e lo Stato, litigando con tutti al primo congresso, quando passa la decisione di votare PCI alle regionali (1975). Accusa gli ex compagni di anteporre i tatticismi all’ideologia. Altri colleghi del servizio d’ordine passano alla lotta armata con Prima Linea: lui, ufficialmente, no. Passa allo spontaneismo, e si ritrova due anni dopo a Bologna.

A partire dal sequestro Moro, comincia ad avvicinarsi al PSI di Craxi, di cui apprezza il piglio volitivo e l’allergia al veterocomunismo – aria fresca dopo gli anni di piombo. I fischi a Berlinguer al congresso PSI del 1984 lo commuovono. Dopo la strage di Sabra e Chatila, intensifica il suo impegno filopalestinese. Milita brevemente nei Verdi, litigando coi Verdi Arcobaleno, coi Verdi Sole Che Ride e con altri Verdi che troverò su wikipedia. La fine del governo Craxi lo convince vieppiù che il nemico che si frappone tra la vecchia Italia e la modernità è l’asse cattocomunista, la sinistra DC e il PCI – e che il pentapartito di Andreotti e Forlani il male minore; e le tv di Berlusconi una risorsa preziosa.

L’inchiesta Mani Pulite lo destabilizza; in un primo momento appoggia Martelli contro Craxi, poi cade anche Martelli e lo ritroviamo in Alleanza Democratica, quindi nel Patto Segni. La discesa in campo di Berlusconi non lo trova entusiasta, ma dopo il flop elettorale di Segni prova a bazzicare i leghisti. Plaude alla decisione di Bossi di silurare il primo governo Berlusconi; due anni dopo il centrodestra perde le elezioni, ma la Lega vola al 10%. Pandolfo è ormai un fervente autonomista, se non proprio indipendentista. Su un giornale locale scrive vibranti editoriali sull’emergenza criminalità, l’emergenza immigrazione, l’emergenza emergenze. Non fa in tempo a festeggiare la rivincita del Popolo della Libertà (aprile ’01), che il mondo sembra impazzire; durante il g8 di Genova stigmatizza duramente i manifestanti che danno fuoco alle camionette dei veri proletari, i poliziotti.

L’11 settembre apre gli occhi sugli orrori del fanatismo islamico. Chiede a gran voce l’intervento italiano in Afganistan, e naturalmente in Iraq, dove Saddam Hussein sta ammucchiando armi di distruzione di massa da usare senz’altro contro Israele. A proposito di Israele, ne sventola coraggioso la bandierina in favore di telecamera durante la contromanifestazione antipacifinta. Data da questo periodo il suo riavvicinamento al cristianesimo, e il suo crescente interesse per i cosiddetti valori non negoziabili: la vita umana in tutte le sue forme, contro aborto eutanasia matrimonio gay e altri falsi miti di progresso. Accusa i vescovi di anteporre i tatticismi ai dettami della vera fede. Assiste un po’ imbarazzato alla deriva senile di Berlusconi, tradendo qualche simpatia per la fronda di Fini; gli scandali che colpiscono la Lega invece lo inducono a una riflessione più amara. Ma ha già iniziato a frequentare la Leopolda. Eccetera.

Pandolfo è senza età – secondo alcuni si nutre di scazzi, quindi è immortale. Altri pensano che ci siano più pandolfi che si danno il turno. A volte si sovrappongono addirittura. Se vuoi saperne di più, è tempo di votare per Le avventure di Pandolfo, che oggi se la gioca contro Redenzione, di Michel Houellebecq. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

cattiva politica, Renzi

La democrazia senza demos

Ciao a tutti, mi chiamo Leonardo e ritengo che i premi di maggioranza siano una pericolosa perturbazione della democrazia. Per illustrare questa mia opinione oggi non saprei trovare nulla di meglio di questo tweet del ministro delle finanze greco.

(Fino a ieri la migliore illustrazione era questa, presa dalla voce italiana di wikipedia):

Ma torniamo a Varoufakis. Il ministro di un governo democraticamente eletto, nell’ora delle decisioni impopolari, si ricorda che in fondo non è stato eletto così democraticamente, suvvia, appena il 36%, forse è meglio chiedere cosa ne pensa la maggioranza dei greci. La maggioranza vera, non quella finta che si usa di solito per le cose di ordinaria amministrazione, come decidere chi va ai vertici internazionali e beh, sì, chi governa.

Il meraviglioso sistema dei premi di maggioranza, sistema che condividiamo con nazioni di antica e provata tradizione democratica come la Grecia e San Marino, elaborato in quel periodo glorioso che furono gli anni Venti in Italia; il sistema che ci consentirà di andare a dormire senza nessuna ansietà la sera delle elezioni legislative, conoscendo già il nome dell’illuminato leader che avrà la fiducia della maggioranza del parlamento senza per forza avere quella della maggioranza degli italiani… sembra escogitato da un animo infantile arcisicuro che non ci sia un problema tanto grande da cui non ci si possa liberare con un trucco. Basta trovare il trucco giusto, nei film di solito succede, e i problemi si risolvono di colpo e tutti poi vivono felici e contenti, the end.

C’è in molte persone probabilmente un’attesa del genere. Si farà un’elezione e quella sera vincerà Tsipras – o Renzi – e il film finirà lì. Il fatto che là fuori ci sia tanta gente, veramente tanta gente che continuerà ad avere dei problemi anche il giorno dopo, non li impensierisce più di tanto. Nei fatti, Tsipras è andato al governo portando le idee non-compromissorie di un terzo degli elettori greci; non si è sentito di tradire la sua non-maggioranza, e nel momento più critico non si è più sentito un mandato popolare sotto i piedi. Nei fatti, Renzi sta governando con una maggioranza artificiale (soprattutto alla Camera), ottenuta con un sistema elettorale contro cui si è espressa la Corte Costituzionale. A questa maggioranza artificiale Renzi non sta imponendo soltanto – com’era necessario – una nuova legge elettorale, ma anche riforme strutturali (Jobs Act, Buona Scuola) che nessuno aveva proposto agli elettori, quei pochi che nel 2013 votarono per il Pd di Bersani e non per il suo. A chi glielo fa presente i renziani obiettano che però il PD ha fatto il 41% alle europee. A chi replica che nelle tornate elettorali successive non è andato altrettanto bene, i renziani rispondono lalalala non ti sento. Ora, per quanto ridicolo l’italicum non è demenziale come il sistema elettorale greco, e può anche darsi che alle prossime elezioni legislative Renzi riesca a spuntarla e incoronarsi re del 41%. E se siete di quelli che pensano che il film finirà in quel momento, non c’è altro da aggiungere. I titoli di coda saranno bellissimi.

Io sono tra quelli noiosi che si sveglieranno anche il giorno dopo, e mi domando: cosa succederà? È da quattro anni che la maggioranza degli italiani non si riconosce nel governo espresso dal parlamento. Aggiungiamo altri cinque o sei anni. Sul serio pensate che non succederà niente? Che il 60% degli italiani se ne resterà zitto e buono? Che nessun demagogo ne approfitterà? Che nessun gruppo mediatico gli negherà l’appoggio?

Magari la democrazia – questa cosa nata effettivamente in Grecia, e proseguita a San Marino – è meno seria di quel che sembra. Forse è davvero un gioco. Ma sul serio pensate di poterlo giocare a lungo senza avere dalla vostra il consenso popolare? Quello vero, non quello di rappresentanza che si ottiene con un trucco, pardon, con un premio.

1500 caratteri, cattiva politica, fratelli d'I.

Un’altra razza (di pecore?)

Oggi a Londra è già finita; arrivederci nel ‘19. La stessa stabilità vorremmo noi. L’italicum ce la darà?

Mettiamo che qualcuno (non per forza Civati) rimetta su un partito, a sinistra o destra del PD. Una cosa senza pretese, per razzolare un po’ di 2‰ e visibilità in tv; una cosa al 3%.
Metti che i sondaggi continuino a dare, per mesi, il PD al 38. Sbagliano sempre: ma metti che sbaglino tutti nello stresso modo. E suggeriscano che un ballottaggio contro Salvini o Di Maio sia rischioso. A quel punto nessuno penserà a un apparentamento tra il Pd e il partitino?

Se invece il Pd vince? Li immaginate 5 anni placidi su un prato all’inglese a ruminare osservando Renzi che governa? Nessuna minoranza interna sarà mai tentata di far pesare i suoi seggi, minacciar scissioni? Quando il PdL vinse con ampio margine, che capitò?

Il trasformismo in Italia lo abbiamo dai tempi di Cavour (prima mancava l’Italia, non il traformismo). Quante leggi elettorali avremo provato nel frattempo? Persino chi credeva d’aver definitivamente risolto il problema, un giorno salì in Gran Consiglio e si ritrovò messo in minoranza, da gente che gli doveva tutto.

Non voglio negare che il sistema elettorale modifichi il comportamento di politici ed elettori. Ma dopo aver visto applicate tre leggi diverse, e un solo governo durare una legislatura, il sospetto viene: forse la stabilità non ci piace davvero. Ci piace litigare. Saremo pecore anche noi, ma non ci accontentiamo del placido paesaggio. Ci serve il sangue.

cattiva politica, giornalisti, Renzi

A cosa serve l’intellettuale, per esempio Francesco Piccolo

Un anno fa Francesco Piccolo ha ottenuto un buon successo di pubblico e di critica descrivendo l’Uomo di Sinistra così come se lo immaginano, da sempre, gli editorialisti del Corriere e i loro lettori: un bravo ragazzo che poteva e doveva diventare un tranquillo borghese ma a un certo punto – verso i dieci anni – ha deciso di fare un dispetto a suo papà e tifare la squadra simpatica ma sbagliata. Col tempo però ha capito e adesso sta ammonendo tutti i ragazzi a non fare come lui: non perdete tempo a tifare i perdenti, diventate adulti. Le idee di Landini – qualsiasi idee lui abbia, non è che Piccolo perda tempo a esaminarle – vanno rispettate, per carità; sono anche nobili, sicuramente, addirittura “condivisibili”; ma sono perdenti: e quindi Landini non dovrebbe averle. “Landini si iscrive in una storia, la storia della sinistra dalle idee inermi”. Prima di lui c’era Tsipras, prima ancora Bertinotti – e Bertinotti, ricordiamolo, fece cadere Prodi nel ’98, trauma da cui qualcuno non si è mai ripreso.

Piccolo, all’intervistatore dell’Huffington Post, dice anche altre cose: che ha per esempio apprezzato i libri di Houellebecq e Carrère, che però sembrano tradire una concezione apocalittica che a lui non piace. L’apocalisse infatti semplifica, “rende tutto elementare”, mentre Francesco Piccolo ritiene che uno scrittore debba fare lo sforzo della complessità. Quest’ultima cosa ha veramente fatto bene a dirla nell’intervista perché qualcuno agli sforzi della complessità di Francesco Piccolo potrebbe anche non aver fatto molto caso. Infine Piccolo ci spiega quali sono i compiti dell’intellettuale, un po’ come faceva Jean-Paul Sartre in quel suo agile volumetto del 1972. Io non so fino a che punto i francesi degli anni Settanta si meritassero Sartre, né quanto noi nel 2015 ci meritiamo Francesco Piccolo; in ogni caso per quest’ultimo l’intellettuale non deve partecipare alle manifestazioni o farsi “portabandiera delle idee”; bensì “osservatori dei portabandiera delle idee”. A questo punto non so se sia Giovenale o Corrado Guzzanti a sussurrare dentro me: e chi osserverà gli osservatori?

Tutto molto in linea con l’idea che da sempre si fanno al Corriere: scrittori di sinistra scapestrati in gioventù – gli anni dorati in cui l’intransigenza sbandierata in corteo, se non paga, perlomeno ti garantisce qualche pomiciata – che poi mettono giudizio e scrivono il loro piccolo autodafè settimanale. Nel frattempo però sul Corriere c’è Angelo Panebianco, un professore che ha passato il ventennio berlusconiano a spiegare alla sinistra che Berlusconi vinceva per colpa della sinistra che invece di non essere di sinistra si ostinava caparbiamente a essere di sinistra, Angelo Panebianco dicevo, che di fronte a Renzi potrebbe continuare a scrivere più o meno gli stessi temini – basterebbe sbianchettare “Berlusconi” e scrivere il nuovo nome che per fortuna è più corto – e ne uscirebbe più o meno la stessa broda che produce Piccolo – e invece no: persino Panebianco prova a scrivere qualcosa di più complesso, perfino ambiguo.

In tanti anni non ho mai letto qualcosa di suo così interessante. Renzi, spiega Panebianco, non è Berlusconi, però… proprio per questo le sue riforme non stanno destando gli stessi allarmi, e sono riforme, per carità, non paragonabili a quelle fasciste, e però… una riforma quasi presidenziale qua, una cessione della Rai al governo là, insomma Renzi sta accentrando parecchio, e gli intellettuali dove sono? Non hanno proprio niente da dire?

…non c’è contraddizione fra volere un rafforzamento del governo (e dunque un accrescimento delle capacità d’azione di chi momentaneamente lo controlla) ed essere pronti a criticarne le singole decisioni e azioni. Proprio se si auspica, perché serve alla democrazia, un più forte potere esecutivo, occorre essere pronti a fargli le bucce ad ogni passo falso. Le democrazie hanno bisogno di governi forti (e chi scambia ciò per «autoritarismo» prende lucciole per lanterne). Non hanno invece bisogno di stuoli di cortigiani sdraiati ai piedi del suddetto governo forte. E il premier ne ha tanti.

Qui, per quel poco che conta, si continuerà a osservare i portabandiera dell’opposizione, come vuole Piccolo, ma anche i manovratori, come consiglia Panebianco. Insomma continueremo a roteare a 360° impicciandoci un po’ di tutto, come raccomandava quell’altro scrittore più sopra. Ovviamente ciò non basta per fregiarsi del titolo di intellettuale, ma ehi, ognuno fa quel che può nelle circostanze in cui si trova a vivere.

attivismo, cattiva politica

Vite parallele

Come molti oggi ricordano, Alex Tsipras nel 2001 avrebbe dovuto partecipare alle proteste contro il vertice G8 di Genova: fu fermato dai carabinieri con tutta la sua delegazione nel porto di Ancona, e si prese pure qualche mazzata. Se fosse riuscito a passare, magari le avrebbe prese insieme a noi, marciando tra gli altri insieme a Francesco Caruso, Luca Casarini, Vittorio Agnoletto: quelli che già ai tempi cominciavamo a chiamare “non leader”. Il loro scarso carisma, che li rendeva già allora poco interessanti a buona parte di chi li fiancheggiava, era ai tempi rivendicato come un segno di diversità: beata la rivoluzione che non ha bisogno di eroi.

Ai tempi Tsipras era leader dell’area giovanile di Synapsismos; nel 2004 entra nella segreteria politica. Nello stesso anno Agnoletto diventa europarlamentare con Rifondazione Comunista. Caruso ce ne mette due in più per approdare a Montecitorio, sempre con RC (racconterà di aver seminato piantine proibite nei vasi del cortile). Di Casarini nessuno sembra più parlare, ma nel 2005 la sua area di riferimento era ricomparsa sotto i riflettori nazionali per aver candidato alle primarie del PD un anonimo in passamontagna arcobaleno: il “candidato senza volto”. Nel 2006 Tsipras è eletto consigliere comunale ad Atene. Due anni dopo è eletto presidente di Synapsismos: fonda Syriza (che si attesta alle elezioni sotto il 5%) ed entra in parlamento.


In quel 2008 cade il governo Prodi, Napolitano scioglie le camere, e non si sa bene che fine faccia Caruso (anche nel suo curriculum il buco è molto vasto). Pansa, in un libro contro la “casta rossa” scrive che avrebbe lavorato nel Parco del Gran Sasso. In compenso nel 2008 fa parlare di sé Casarini, che pubblica un romanzo con Mondadori! Dell’anno successivo è una sua intervista famosa in cui spiega di aver aperto una partita iva e di simpatizzare con gli imprenditori che fanno disubbidienza fiscale. In quel momento immaginarlo come una scheggia impazzita ormai convergente con la Lega era plausibile.

Nel 2009, intanto, Agnoletto riprova a candidarsi per il parlamento europeo, ma Rifondazione ormai non riesce più a superare la soglia del 4%. Gli va male anche l’anno dopo la campagna per il consiglio regionale lombardo. Nel 2014 ritroviamo Casarini nelle liste dell’Altra Europa con Tsipras, anche lui non eletto. L’ultimo dei non leader italiani ad aver dato notizia di sé è Francesco Caruso, per una cattedra di sociologia affidatagli dall’Università Magna Grecia di Catanzaro. I gradini saliti da Tsipras negli ultimi anni (17% e poi 27% nel 2012, 35% oggi) li sapete.

Tutto questo vuol dire qualcosa? Magari no. Magari se Caruso o Casarini avessero insistito con più serietà sulla propria carriera politica, innestandosi con più convinzione in un partito e mantenendo ferma la barra tra una tempesta e l’altra, magari… non sarebbe successo niente di diverso. La Grecia non è l’Italia, anche se a momenti stavamo per regalarle un sistema elettorale altrettanto demenziale. Quel che posso dire è che il composito mondo di sinistra che per più di un decennio non si è preoccupato di costruire nessun leader credibile ha avuto esattamente quel che desiderava: nessun leader credibile. Se c’è stato forse un momento in Italia per costruire qualcosa di diverso, in quel momento nessuno ha voluto o potuto metterci la faccia. Alla fine ce l’ha messa Beppe Grillo, uno che passava di lì e probabilmente voleva soltanto vendere qualche libro, qualche dvd.

cattiva politica, costituzione

La corte è incostituzionale

Il 2013 è stato, tra le altre cose, l’anno in cui un papa ha deciso – solo lui può deciderlo, in quanto infallibile – che non era più in grado di fare il papa – quindi non era più infallibile; quindi potrebbe anche essersi sbagliato. D’altro canto, se si fosse sbagliato, sarebbe tuttora il Papa, quindi infallibile… Nello stesso periodo il presidente della repubblica diceva in giro di non voler fare il presidente. Poi è stato riconfermato, ma adesso c’è un problema. Il parlamento che lo ha riconfermato è stato eletto con un sistema elettorale incostituzionale.

Non può nemmeno cedere il posto al Quirinale al presidente precedente – sé stesso – visto che anche nel 2006 era stato nominato da un parlamento eletto con lo stesso sistema elettorale. D’altro canto, chi è che ne afferma l’incostituzionalità? La corte costituzionale. E tuttavia la Corte è nominata per un terzo dal parlamento in seduta comune, e per un altro terzo del presidente della repubblica. Almeno sei membri della Corte sono espressione di un parlamento eletto in modo non conforme alla costituzione, o di un presidente della repubblica espressione di un simile parlamento. Insomma la corte costituzionale, che nel suo campo come Ratzinger era infallibile, ha infallibilmente ammesso di non essere del tutto legittima. Se non è legittima, la sua sentenza sull’incostituzionalità del sistema elettorale è impugnabile? Ma da chi?

Sono sicuro che esiste una scappatoia pragmatica a questa deriva escheriana. Per esempio, Ratzinger dal Vaticano non esce più. Lo tengono lì. Metti che un giorno si sveglia e si rende conto di essersi sbagliato, di essere ancora il Papa – d’altro canto se fosse il Papa non avrebbe potuto sbagliarsi, e così via. Il 2013 è un sogno bislacco da cui non riesco a svegliarmi.

Berlusconi, cattiva politica, Pd

La bad company

Tiratevi fuori subito

Dalla mia postazione qualsiasi, senza capirne più di chiunque, nella consapevolezza di ignorare alcuni dettagli fondamentali che Napolitano per esempio sa, io continuo a pensare che l’unico modo di saltar fuori da questa montagna di merda è la bad company. Ovvero: il PD farà un governo col PdL e Monti. Lo farà. Era abbastanza chiaro già una settimana dopo le elezioni, a chi non volesse raccontarsi favole. È diventato chiarissimo con quella pagliacciata della trattativa in streaming: il M5S non cercava intese, non le vuole, il M5S vuole che il PD faccia un governissimo con Monti e Berlusconi e il PD lo accontenterà, alla fine il PD accontenta sempre tutti, purché non siano i suoi elettori. Dopodiché il PD morirà, ma non c’è niente di così grave in questo, moriamo tutti prima o poi e nel caso del PD la diagnosi era chiara il giorno dopo le elezioni. Il PD morirà perché non piace agli elettori, e ai pochi elettori a cui piace ha raccontato che non si sarebbe mai alleato con Berlusconi: e diceva la verità, non si sarebbe davvero alleato con Berlusconi. Se avesse vinto.

Ma ha perso.

E siccome ha perso sarà umiliato, sarà abbandonato, svillaneggiato come l’ultima delle zoccole di Berlusconi, che è poi quel che in effetti diventerà.

Ma non tutto.

Non c’è bisogno che vada a finire tutto così. Non è una persona, è un partito: ne puoi staccare un pezzo e trapiantarlo altrove e poi magari ricresce. Quindi: da una parte ci metti il grosso dei gruppi parlamentari, e un altro bel po’ di quadri intermedi, che diano l’impressione di una struttura ancora in piedi. Questa è la bad company. Per dirigerla era perfetto Bersani: il più adatto da umiliare, da svillaneggiare, perché era quello in carica quando avete perso. Ma ve lo siete giocati. Stolidamente. E allora servirà un Amato, o un Letta che sembra predisposto per cognome, tutta gente che è già praticamente invotabile adesso. Ma anche qualche giovane, anche qualcuno di loro dovrà sacrificarsi, sennò non la cosa non sarebbe credibile. Costoro perderanno qualsiasi barlume di popolarità entro la prossima settimana; ma continueranno a gestire il marchio del PD per tutta la legislatura breve o lunga che sarà. Immaginiamocela media, due anni e mezzo.

Nel frattempo il partito va rifatto da un’altra parte. Scissione, mitosi, partenogenesi. Qualche deputato, ma pochi! Che all’inizio mica conviene litigare. Però devono votare contro, devono andare all’opposizione. Un’altra struttura, più leggera, che faccia capo a nomi più o meno nuovi, non compromessi con governi precedenti e associabili a successi elettorali locali, che vi immaginate benissimo da soli. Tra due o tre anni poi si rivoterà, ma nel frattempo?

Potrebbero succedere cose molto brutte. Default parziali, prelievi forzosi, chi è al governo sarà ancora meno popolare di quanto non sia adesso, possibile? Lo sarà. Dovrà anche assicurare che Berlusconi e le sue aziende abbiano un trattamento di riguardo, qualsiasi cazzata il boss abbia fatto o rifarà. Per dire, spuntasse in qualche commissariato la nipotina del rais del sarkazzistan, toccherà votare in ordine e compunti per salvare l’onore della nipotina sarcazza. Sarà il governo più odiato e sbeffeggiato del secondo dopoguerra, ma c’è di buono che Berlusconi ci sarà invischiato. Molto di più che col governo Monti. Dovrà metterci i suoi uomini e dovrà difenderli. Quel che più odia è mettere la sua faccia tirata su provvedimenti impopolari. La bad company varerà provvedimenti impopolari e ci metterà anche la sua faccia. Accanto alla faccia di un Amato. Ma Amato non si ripresenterà mai alle elezioni, Berlusconi ancora ci spererebbe. Se ci si muove bene, la bad company può togliergli la voglia.

A proposito, io penso ancora che Cologno debba essere distrutta. Avendo i mezzi, è la prima cosa che farei. In questa situazione, se qualcuno arriva con un piano meno contorto di questo, lo sto a sentire con piacere. Purché non c’entrino in qualche modo i m5s: mi dispiace tanto (sul serio: tanto), ma con quelli non si fa niente. Non collaborano, non gli conviene. Non gli conviene nemmeno vincere le elezioni, non ci guadagnano un granché. Sono venditori di rabbia, non hanno il minimo interesse a farla passare a nessuno.

Quindi, se per una volta nella vita andasse tutto giusto, come nei film, senza incidenti di percorso o qualcuno che ha piani più astuti dei tuoi e informazioni migliori delle tue, magari tra due anni Berlusconi è bollito nel brodo della bad company, mentre la good company vince le elezioni. Quindi.

Quindi Renzi fuori dal PD prima che può, secondo me. Se proprio ci tiene. Ogni minuto che passa è un minuto più tardi. Sono l’ultima persona al mondo qualificata per dagli un consiglio, ma comunque il mio è questo.

Io invece probabilmente resto nella bad company a far scena, avete presente il classico rivoluzionario a vent’anni trombone a quaranta, ecco, collimo perfettamente. Mai pensato di meritare di meglio.

Ma voi ragazzi andate, cazzo ci state a fare ancora qua sotto.

Beppe Grillo, catastrofi, cattiva politica, elezioni 2013

Ma pensarci domenica?

E insomma la settimana è andata così: domenica avete votato il movimento fondato da un irresponsabile, che fa discorsi irresponsabili e propone soluzioni irresponsabili; lunedì sera avete scoperto che aveva vinto le elezioni e avete pensato, beh, magari adesso si comporterà in modo responsabile, perché no dopotutto, basterà fargli una proposta seria. Siccome invece già martedì stava tirando fango su Bersani, chi l’avrebbe mai detto, avete firmato una bella petizione, affinché il signore irresponsabile, titolare del marchio che voi avete votato, la smetta di fare l’irresponsabile, che la situazione è grave, la sfiducia dei mercati, lo spread, c’è da salvare l’Italia perbacco.

A quel punto uno si domanda dov’eravate fino a domenica, non c’era l’Italia da salvare anche domenica? No, pare di no, domenica l’Italia stava bene, lo spread nessuno rammentava cosa fosse, non è che ci si poteva preoccupare domenica dell’Italia. Domenica c’era il sole ed era il giorno giusto per mandare dei messaggi al PD, il voto di protesta, quel tipo di cose. Se poi nelle urne insieme ai vostri messaggi ci va un voto a un movimento fondato da un irresponsabile, che fa proposte irresponsabili, eh vabbe’, ma uno come fa a saperlo prima.

Ma voi lo avete mai ascoltato Grillo?

A parte le urla, i tormentoni “siete tutti morti”, ecc.; avete mai fatto caso a quel che dice? Avete mai letto quel che scrivono lui o Casaleggio? Avete dato un’occhiata al programma del MoVimento che avete votato domenica, per “mandarli tutti a casa”, o per dare un messaggio forte chiaro ad altri partiti? Per dirne una: l’abolizione di Equitalia. È comprensibile l’entusiasmo di cittadini e imprenditori; ma vi sembra in coscienza una proposta seria? Non fa un po’ il paio con la busta “restituzione Imu”? Il referendum sull’Euro. A parte che non si può tecnicamente fare (e Grillo lo sa); ma avete capito che il solo parlarne è un invito alla fuga dei capitali? Non pignorabilità della prima casa. Come pensate di evitare che le banche si rifacciano del rischio alzando gli interessi? Le nazionalizziamo e poi le gonfiamo di carta straccia? Ma allora perché non dirlo subito? Wi-Fi gratis. Ma perché non la ricarica del cellulare, dopotutto è più democratico il cellulare, ce l’hanno veramente tutti, anche i ragazzini, e permette la condivisione delle conoscenze, insomma perché no ricariche gratis per tutti sempre? Nazionalizziamo pure la telefonia. Referendum senza quorum – uno alla settimana probabilmente, tanto varrebbe abolire il parlamento. Questa roba qui, prima di votare, l’avete letta?

Se l’avete letta e la trovate realizzabile, non credo che sarete interessati a partecipare a un governo col PD, o con qualsiasi altro partito.

Se invece non la trovate realizzabile, cosa avevate esattamente in testa domenica? Avete votato un tizio che promette di abolire Equitalia e che non fa che urlare che i debiti non si pagano perché sono troppi – i mercati ne saranno deliziati – lo avete votato e adesso lo vorreste ragionevole, magari vorreste che dicesse ai mercati ehi tranquilli sono un comico scherzavo. Ma non è un comico più, da un pezzo, aspetta che se ne accorga l’Economist che fa sul serio. Secondo voi dovrebbe dare una mano a formare un governo. Avete un po’ frainteso, ma non ci ha mica colpa lui. Lui le cose le ha sempre dette, anzi urlate, come stanno. È evidente che a lui non freghi nulla dei mercati e dell’Italia, perlomeno dell’Italia così com’è. In tutti i predicatori c’è un orizzonte apocalittico, che non è necessariamente la terza guerra mondiale della clip di Casaleggio, però da qualche parte c’è. Siamo in guerra, ci saranno battaglie e prima della vittoria finale molta gente si farà male, avete mai pensato che potreste farvi male pure voi? prima di domenica, intendo, ci avete mai pensato? Voleva aprire il parlamento come una scatola di sardine, lo ha detto, e l’avete votato. Ma poi ha vinto le elezioni e si è scoperto che faceva sul serio, santo cielo, ma com’è possibile, sembrava una persona così ammodo.

I parlamentari M5S, se danno retta a Grillo (e non è detto), non voteranno nessuna fiducia a nessuno. Il M5S non ha nessuna concessione da fare, e non è vero che gran parte delle sue proposte possono essere fatte proprie dal Pd: gran parte delle sue proposte non sono realizzabili, né in tempi brevi né in generale, perché fluttuano in uno spazio logico compreso tra “utopia” e “fregnaccia”. Grillo lo sa e si guarda bene dal provarci. Vuole che governino gli altri, per dimostrare una volta di più che sono tutti collusi, tutti corrotti, tutti casta eccetera. Vuole perdere altro tempo, perché tanto lui ce l’ha. Voi non l’avete? Non potevate pensarci un po’ prima, per esempio… domenica?

Mercoledì avete firmato la petizione di Viola Tesi. Scusate se insisto, ma l’avete letta? La simpatica signora Tesi sostiene che in fondo con il PD si può andare d’accordo un po’, mica ci vuole poi molto; che “in poco tempo” si possono fare dieci cose, tra cui l’istituzione del reddito di cittadinanza, chissà con che risorse prese da dove, l’ineleggibilità dei condannati (si può fare anche in mezza giornata, peccato che la Corte Costituzionale te la casserebbe il mese successivo), la cancellazione dei rimborsi elettorali giusto per essere sicuri che Berlusconi si possa presentare senza troppi concorrenti; il politometro, che nessuno sa veramente cosa sia a parte una battuta fatta da Grillo a un comizio, ma secondo la Tesi si potrebbe comunque fare in pochissimo tempo, mentre si ripristinano fondi tagliati alla Sanità e alla Scuola (con tutti i soldi che ci sono avanzati dall’avere appena istituito il reddito di cittadinanza senza copertura); l’accesso gratuito alla Rete; la non pignorabilità della prima casa; la pace nel mondo invece no, il che mi risulta un po’ sospetto, signora Tesi, perché la pace nel mondo no? Cosa ha in contrario, eh, EH? Non si sa. Ma a parte questo piccolo dettaglio tutto il resto secondo lei si può fare in poco tempo, e poi via che si rivota in scioltezza. Voi l’avete firmata questa petizione?

E – scusate se picchio sempre lì – l’avevate letta bene?

E allora capite che forse il problema non è la governabilità, il PD, o Grillo, che c’è un problema a monte, e che dipende soprattutto da voi? La volete piantare di votare alla cazzo, di firmare senza leggere le postille, di fidarvi del primo che grida in tv o su youtube che i politici sono merde e i debiti e le tasse non si pagano? Grillo a Viola Tesi non ha neanche risposto, ha mandato avanti Messora. Il blogger che vendeva i dvd in cui Giuliani spiegava come prevedere i terremoti col radon, è facile, ne ha previsti un sacco, peccato che i poteri forti siano tutti schierati dalla parte dei terremoti e gli impediscano di divulgarli il giorno prima, maledizione, è sempre costretto a divulgarli il giorno dopo. Messora che sul suo blog ai tempi dello sciame dell’Aquila faceva i bollettini, la gente disperata andava a leggere il suo blog prima di scegliere se dormire o no in macchina, lui raccoglieva le confidenze del mago del radon e purtroppo a causa dei poteri forti non ci beccava mai.  Messora dunque ha spiegato al pubblico di beppegrillo.it che la signora Tesi è un’infiltrata, punto. Funziona così, non è che se hai votato per loro sono tenuti ad ascoltare le tue ragioni: li hai votati perché ti sei infiltrato, addirittura militavi in un partitino pirata, mai presentatosi alle elezioni, una cosa tra amici – non importa! Sei un’infiltrata! Magari siete gli stessi che si lamentavano della diffidenza piddina verso gli elettori di Renzi. Non avevate tutti i torti, chissà, comunque adesso accomodatevi pure nel M5S, lì sì che accolgono i nuovi elettori a braccia aperte, INFILTRATI DEI POTERI FORTI.

Io penso – spero – che il Movimento non sia Grillo. Non credo che valga la pena di rivolgersi a Grillo. Grillo non è che si pone il problema dello spread a cinquecento: manderà fuori Casaleggio a dire che è un complotto dei Bilderberg, sono loro che divaricano lo spread, c’è una cerimonia massonica all’uopo. Son fatti così. Non l’hanno mai nascosto, anzi l’hanno scritto in tutti i luoghi e in tutti i laghi. Non ce l’ho mica con loro, anzi. Se avete letto fin qui avete capito con chi ce l’ho.

Ma non avete letto fin qui.

attivismo, Beppe Grillo, cattiva politica, elezioni 2013

No Limits al peggio

Scenari (rigorosamente a caso)

#19. Continuano tutti a discutere Bersani sì / Bersani no, Grillo sì / Grillo no per un mesetto; nel frattempo gli investitori esteri si fanno un’idea della situazione, lo spread schizza a seicento, default, l’Italia esce dall’euro senza neanche bisogno di indire il referendum. Nuove elezioni, vince Berlusconi promettendo più lire per tutti.

#31. Si riuniscono le Camere, Napolitano dà il mandato a Bersani, lui propone un programma di minima al M5S, Grillo col cavolo che accetta: è da anni che dice che PD e PdL sono la stessa cosa, vuole che governino assieme almeno quindici giorni per poi tornare alle urne e stravincere. Cosa che avviene di lì a poco. Entro l’anno il parlamento viene sostituito da un forum gestito dalla Casaleggio che si pianta ogni mezz’ora. I ministri vengono rimpiazzati dai Top Commentator, che risolvono i problemi insultandoli.

#33. Si riuniscono le Camere. Bersani forma un governo, i cinquestelle scelgono di astenersi uscendo dall’aula, purtroppo escono dall’aula anche i berluscones: niente da fare. Ci riprovano col sistema del palo (detto anche “governo di Schrödinger”) brevettato da Mau: “I rappresentanti pentastellati se ne stanno vicino alle porte e contano: per ogni pidiellino che non vota uno di loro [entra e] vota contro”. Il governo si pianta tre settimane dopo sull’emendamento per pagare la pensione agli esodati rivendendo le traversine del TAV.

#46. Si smette di considerare un interlocutore Grillo – che è un privato cittadino – ci si rivolge direttamente ai 54 senatori e ai 108 deputati eletti dal Movimento 5 Stelle con alcune proposte concrete e abbastanza radicali (dimezzamento dei parlamentari, una pietra sopra il TAV, ecc). Alcuni tentenneranno pubblicamente, Grillo si innervosirà, i media evidenzieranno il paradosso di un partito eletto dal popolo ma nominato da un vertice, le famose contraddizioni scoppieranno, e se 30 senatori ci stanno un governo si fa. Però dura poco e alle elezioni seguenti vince Grillo (non necessariamente il Movimento, sono due cose un po’ diverse).

#48. Napolitano dà l’incarico a Grillo. Non sa cosa farsene (non è un negoziatore). Rinuncia quasi subito: elezioni.

#52. Va bene, dice Napolitano, siete una manica di fessi: siccome non posso sciogliervi perché sono entrato nel semestre bianco, mi dimetto io. Alla quindicesima chiamata viene eletto, boh, Roberto Saviano, che prova a fare una cosa creativa: scioglie solo il Senato (non si è mai fatto, ma forse si può). Non serve a niente, vince Grillo o Berlusconi; bisogna sciogliere anche la Camera.

#61. ((c) Thomas): Non si forma nessun governo nuovo: rimane in carica Monti per il disbrigo degli affari correnti, forse è incostituzionale ma in attesa che si pronunci la Corte passano diversi mesi, una specie di stallo alla belga, il tempo di fare ah ah, scusate, stavo dicendo il tempo di fare una nuova legge elettorale che stavolta assicuri, uh, la governabilitàHAHAHAH.

#99. Corsa al Quirinale: Grillo propone Fo, Fo ringrazia e rilancia Petrini, Petrini ci pensa un po’ e poi butta lì Margherita Hack, e così da palo in frasca nel giro di una settimana prende sempre più consistenza la candidatura di Amedeo Nazzari.

#104. Berlusconi sale da Napolitano e dice che ci pensa lui. Rivende Balotelli – che ormai il suo dovere l’ha fatto – e col ricavato si compra la Casaleggio Associati.

#105. Uguale alla 104, ma si compra direttamente i 50 senatori che gli servono tra PD montiani e cinquestelle – non fate quella faccia, non avete la minima idea se siano incorruttibili o no; li conoscete appena: molta gente è incorruttibile soltanto perché nessuno le ha mai fatto un prezzo.

#121. Sai che c’è, dice Bersani, mi avete rotto tutti i coglioni, tanto il PD è fottuto comunque, faccio un governo di legislatura con Berlusconi, mi diverto per cinque anni e poi io ad Antigua e voi coi cazzivostri. Gotor affianca immediatamente Greggio a Striscia la Notizia, il Giornale diventa un inserto dell’Unità o viceversa, e via che si va. Renzi passa in clandestinità e fonda il Nuovo Partito Democratico Quello Vero Contro La Ka$ta, che nel 2018 partecipa alle elezioni ma perde perché la gente vuole dei giovani, no le solite facce.

#549. Berlusconi muore. E perché no, capita a tutti almeno una volta nella vita. Un centinaio di senatori pidiellini da un momento all’altro non sa più che ci fa a Palazzo Madama. Decidono di dare un senso alla propria vita appoggiando un esecutivo PD+Monti che rassicura i mercati.  

#745. Nel frattempo al Conclave lo Sprito Santo opta per un italiano, mettiamo Giovanni Battista Re, e nella disperazione collettiva la fumata bianca viene interpretata come un segno divino: la Repubblica si arrende al Papa Re che procede alla nomina dei ministri dello Stato Pontificio (purché giovani, no le solite facce).

#13459. I Maya si erano sbagliati solo di sei mesi, meno male.

cattiva politica, elezioni 2013

Un voto non idiota

Io credo che di tanti errori di comunicazione che abbiamo fatto, come PD e in generale come centrosinistra e in generale come Repubblica italiana, uno dei più gravi sia stato quello di parlare di

VOTO UTILE

tradendo una sostanziale non comprensione di cosa siano gli italiani, di come vedano il mondo gli italiani. Non puoi parlare di utilità agli italiani. L’elettore è un fiero e nobile hidalgo, gli dicono che in quanto popolo italiano detiene la sovranità e lui ci si accomoda come in un castello diroccato.

Poi gli spiegano che questa sovranità comunque deve essere espressa ogni cinque anni sotto forma di un voto, e lui già comincia ad arricciare il naso: cos’è questo voto che viene a delimitare la mia sovranità? Cos’è che devo fare ogni tot anni? Due croci su due schede? Due banalissime croci? Su degli stemmi? Ma è troppo difficile, non gioco più. E ci scommetto che sotto c’è la fregatura. È andata così. Ogni volta che parlate di

VOTO UTILE

l’italiano si guarda alle spalle e dice: “utile a chi?”; a lui no di certo. E se si tratta di essere utile a qualcun altro,  l’italiano se ne guarda bene: cos’hanno fatto gli altri per me, dopotutto. Utili, puah. I servi sono utili, e io sono nato libero, devo averci anche da qualche parte uno stemma famigliare, un pedigree.

Così anche in questi giorni si assiste alla cerimonia di quelli che sui social network ci informano che il Pd non lo voteranno mai, perché non vogliono essere utili al Pd, e ci mancherebbe. Anche qui sotto, la discussione ha preso subito questa piega: gente che orgogliosamente viene a farci sapere che è inutile implorare, loro non voteranno Pd. Gli sfugge il fatto che nessuno li sta implorando, perlomeno qui: possono fare quel che vogliono col loro voto. La mia principale obiezione a quelli che, per esempio, votano Ingroia (non solo in Lombardia ma soprattutto) e che quel voto otterrà il risultato contrario a quello che si prefissano, spostando a destra il baricentro del Senato e rendendo necessaria la coalizione Pd+Monti+Casini+Fini. È un banale argomento aritmetico, ma il fiero hidalgo non sopporta che gli sia opposta l’aritmetica, nulla detesta più di un maestrino che venga a rammentargli l’odiosa tirannia del due più due uguale quattro. Cos’è questo due, cos’è questo quattro, cos’è questo segno uguale? Strumenti di dominio borghese sulla realtà fenomenica. Non è una coincidenza che molti di loro pensino anche di poter aumentare i propri spiccioli nel conto corrente cambiando l’unità di misura. È stato un vero errore parlare di

VOTO UTILE

senza soggiungere: “utile a te, visto che sei di sinistra, e che se voti Ingroia al senato in alcune regioni il tuo voto sarà carta straccia, dal momento che lo sbarramento dell’8% appare secondo tutti i sondaggi proibitivo; dunque se metti la crocetta su Rivoluzione Civile tanto vale metterci anche i cuoricini, o le falci, o i martelli o le manette decidi tu; tanto è un voto inutile, nel senso di un voto buttato. Cioè in realtà una sua utilità ce l’ha, perché anche grazie al tuo voto buttato il Pd non otterrà la maggioranza in senato e si alleerà con Monti+Casini+Fini. Insomma votare Ingroia al senato equivale a votare Pd+Monti”. L’hai capita? No.

Ma non è una questione intellettuale, è solo puntiglio. Quel che veramente non sopporti (oltre al Pd, si capisce) è la natura aritmetica del voto. Secondo te il voto dovrebbe essere un’altra cosa, uno strumento identitario, e si capisce, il recipiente atto ad accogliere una cosa così sacra come la tua sovranità non può essere che un calice pregiato, un Graal. Nessun partito ti merita veramente, sono tutti uno meno peggio dell’altro, come si fa a votare per il meno peggio, dimmi come si fa?

“Si apre la scheda, si prende la matita copiativa e poi…”
“Che schifo, che vergogna, come siamo caduti in basso”.

Anche questa cosa è interessante, dovunque si trovi ora il nobile hidalgo si rappresenta sempre nell’atto dell’essere caduto in basso, cioè una volta si stava meglio, i voti erano luminose espressioni di volontà popolare e irradiavano volti di nobili statisti, Pertini Moro Berlinguer. Ci siamo sbagliati a parlare di

VOTO UTILE
con questi fieri uomini liberi che hanno camminato sulla terra al tempo dei Giganti; giammai si faranno servi dell’utilità di qualcun altro; bisognava forse parlare di un 
VOTO NON IDIOTA
visto che nulla li spaventa più della possibilità di essere fatti fessi. Certo, l’operazione richiedeva abilità e diplomazia, perché se li prendi di petto questi qua è finita. Però insomma bisognava tentare di spiegar loro, senza troppe argomentazioni aritmetiche (l’aritmetica è noiosa) che un voto al Senato a Rivoluzione Civile, in una regione dove è implausibile che prenda più dell’8% è un 
VOTO FESSO
che equivale sostanzialmente a mettere una croce su Monti+Casini+Fini. Si può essere più chiari di così?
VOTARE RIVOLUZIONE CIVILE = VOTARE MONTI+CASINI+FINI
dal momento che l’obiettivo di Monti+Casini+Fini è di essere l’ago della bilancia, e pesare sul prossimo governo in modo anche superiore al numero di seggi che otterranno: e il risultato del vostro voto ingroiano sarà precisamente rendere Monti+Casini+Fini l’ago della bilancia. È come fare goal: se il centravanti avversario non riesce a buttarla dentro, può provarci il difensore e fare autogol. L’arbitro marcherà comunque un goal per gli avversari. Ecco, forse ho trovato un linguaggio comune: il calcio

VOTARE RIVOLUZIONE CIVILE = AUTOGOL

Ma temo che sia troppo tardi.
Berlusconi, cattiva politica, realtà alternative

Silvio il cattivo condòmino

Pensare che, con un po’ di lucidità, a quest’ora aveva già vinto la partita.
Certo, avrebbe dovuto muoversi per tempo, quando tempo ancora ce n’era. Una volta passata la palla a Monti, un anno fa, avrebbe potuto farsi una vacanza come si deve, e poi presentarsi pulito e profumato a Bruxelles, a Francoforte, e dire: signori, scopriamo le carte. Con Monti si arriva al 2013; poi ci sono le elezioni e le vincerà la sinistra. Bersani, o Renzi, magari Casini, comunque anche Vendola. Per tacere di Grillo. Lo sapete anche voi che andrà così. Se non vi fidate dei miei sondaggi rifateli voi; andrà così. E quindi?

E quindi niente. Volete Monti anche nel 2013? Ci tenete molto, a questa cosa di Monti nel 2013? Il PD non ve lo può dare. Io sì, ma dovete darmi una mano. Io forse non posso vincere le elezioni nel 2013 – ma chi lo sa, se m’impegno sono perfino capace – ma sicuramente posso evitare che le vinca chiunque altro. Posso fare melina sulla legge elettorale per un anno e mezzo, credete che non ne sia capace? Chiedete in giro, la politica in Italia è una cosa incredibile, posso farli discutere per un anno e mezzo e poi mandare tutto a gambe all’aria in una mezz’ora, è un numero che ho già fatto. In ogni caso un venti per cento lo valgo anche da solo, posso licenziare tutti i miei colonnelli e fare il venti per cento lo stesso, perché sono Silvio Berlusconi. Volete Monti nel 2013? Bersani non ve lo può dare, e nemmeno Renzi. Ve lo posso dare io. Però.

Però sono Silvio Berlusconi. Posso senz’altro salvare l’Italia – e l’Europa, e il mondo – ma è escluso che io lo faccia gratis. Parliamone, sediamoci a un tavolo. Io ho alcune pendenze da sistemare. Per esempio, certe cose, in Italia, devono restare depenalizzate. Ciò è di primaria importanza per me, e quindi lo è anche per voi. Sono sicuro che capirete. La persecuzione giudiziaria nei miei confronti, ecc. ecc., deve cessare. In cambio io posso spostare le posizioni dell’elettore medio di centrodestra finché non combacino più o meno con quelle dell’agenda Monti. Può sembrare all’inizio un’impresa disperata, visto che l’agenda Monti significa per lui perlopiù tasse tasse tasse. Ma si tratta alla fine di martellare in tv e sui giornali che c’è un pericolo rosso e bisogna fare di tutto per sottrarsi al pericolo rosso. Nel frattempo minimizzare la crisi, mostrare in tv che i ristoranti sono pieni ecc. Ha sempre funzionato e funzionerà anche stavolta, e in ogni caso non avete scelta, se volete Monti nel 2013 lo potete chiedere solo a me.

Casini? Ma andiamo. Casini non esiste. Se non lo prendo con me, non supera lo sbarramento. Montezemolo? È ammirabile che a Bruxelles sappiate come si pronuncia Montezemolo. No, non esisterà nessun Montezemolo, mi spiace. Se non credete ai miei sondaggi (comprensibile) fatene pure voi. L’unico centrodestra plausibile nel 2013 sono ancora io, e se volete davvero Monti dovete chiedermelo adesso. Ma dovete chiedermelo per favore. Ah, sì, mi toccherà scaricare la Lega. Ma al venti ci arrivo comunque. Poi al massimo dopo le elezioni rifaccio la grosse koalition con Bersani. Ma anche lui dovrà chiedermela con molta cortesia…

Ecco. Se fosse stato lucido, a quest’ora forse non si troverebbe nel casino in cui si trova. Ma non avrebbe mai potuto essere lucido così, né un anno fa né adesso. E non è (soltanto) un problema d’età, o di bungabunga. È che proprio questa idea di andare a Bruxelles a mercanteggiare, anche da una posizione di forza che un anno fa poteva avere e adesso no, non è da lui. Si trattava comunque di ammettere che esistano poteri forti almeno teoricamente più forti di lui, e questo è più forte da mandar giù dell’andropausa. Lui non tratta, lui decide. E questo, alla fine della fiera, gli impedisce anche solo di sembrare europeista. L’europeismo è una cessione di sovranità; possiamo vederla come un’ammissione di responsabilità: il mondo è sempre più piccolo e non possiamo permetterci di andare in malora senza che i tedeschi o i francesi si preoccupino per noi (più difficile capire cosa c’entrino i finlandesi e gli estoni, ma il principio è quello). In ogni caso bisogna entrare nell’ordine di idee per cui si abita in un condominio, e neanche ai piani più alti. Per la maggior parte di noi la cosa non pone nessuna difficoltà, abitiamo già in condomini e li preferiamo senz’altro a certi tuguri subtropicali che non sono poi così lontani in linea d’aria – per Silvio Berlusconi è assolutamente impossibile concepire l’idea: è uno a cui stava stretto Palazzo Chigi. Non avrebbe mai avuto la lucidità necessaria per affrontare una riunione di condominio nel modo descritto sopra. Lo sappiamo tutti.

E lo sapevano tutti anche nel PPE. Dove però se lo sono tenuti buono buono per più di dieci anni. E lo conoscevano, non è che a Bruxelles o a Strasburgo si sia mai finto diverso da quello che è: tutto il contrario. Conoscevano l’animale, e l’hanno vezzeggiato fin quasi alla fine. Se l’Europa fosse una cosa seria, una parte di responsabilità andrebbe addossata anche a loro. Invece pagheremo solo noi, compresi quelli che non l’hanno votato mai, non l’hanno voluto mai, e hanno ripetuto per vent’anni che era pericoloso.

cattiva politica, la sinistra perde anche per questo motivo, primarie 2012, Renzi

Voglia di votare Santanchè

Mi ha lasciato un po’ perplesso lo sdegno unanime suscitato qualche giorno fa da Paolo Flores d’Arcais. Intendiamoci, trovo anch’io molto irritante la posizione dello stimato professore che decide di votare Renzi alle primarie e poi Grillo alle legislative, non perché si fidi di nessuno dei due, ma viceversa sperando che in questo modo vada tutto a rotoli a cominciare dal PD (il voto a Renzi lo “disperderebbe come un sacchetto di coriandoli”). Lo trovo un esempio perfetto di quella concezione del Tanto Meglio Tanto Peggio che secondo me è stato il vero nemico interno della sinistra italiana, forse più micidiale di Berlusconi: l’impulso all’autodistruzione che scatta ogni volta che ci accorgiamo che il partito o la coalizione che ci rappresenta non è il migliore dei partiti o delle coalizioni possibili, e allora? E allora bisogna spaccare tutto, far cadere il governo se siamo al governo noi (Bertinotti, D’Alema), fonderci con qualsiasi cosa ci sia alla nostra destra, Rutelli, Calearo, gli acari della polvere (Veltroni). Leggendo qualche riga in più si scopre che Flores d’Arcais ce l’ha ormai con chiunque abbia provato a fare politica a sinistra: “Pd, ma anche Idv, Sel e residui rifondazionisti”, in pratica chiunque si sia candidato è diventato in breve “nomenklatura partitocratica”, non si salva più niente.

Questa voglia di tabula rasa che ci assale ogni due o tre anni, sempre alla ricerca di una formula diversa, di una quadra nuova (poi ti accorgi che stanno riciclando Blair per la terza volta) è così diffusa, così metabolizzata, che Renzi può imbastirci sopra una campagna. L’insofferenza di Flores d’Arcais per il PD è a ben vedere più antica del PD stesso, e forse meriterebbe di essere rottamata per prima. Però.

Però cento volte meglio Flores D’Arcais, che annuncia che voterà Renzi anche se non sopporta Renzi, e Grillo anche se non ha particolare stima per Grillo; cento volte meglio lui che ha capito che il voto è un gioco (non molto divertente, ma è un gioco), in cui si può talvolta giocare di sponda, scegliendo x per ottenere y. Cento volte meglio lui di tutti i puristi del voto, quelli che vogliono solo x, e finché non ottengono x si rifiutano di votare qualsiasi cosa non sia assolutamente corrispondente a x. Meglio un machiavellismo sbilenco, il finto “cinismo costituzionale” per cui la combinazione Renzi+Grillo dovrebbe far saltare qualche sigillo dell’apocalisse, piuttosto che l’eterna lagna di quelli che Renzi no perché non è abbastanza di sinistra, Bersani no perché è di sinistra ma apparato, Vendola no perché è velleitario, Puppato no, Tabacci no, no, no, no. Viva Flores D’Arcais che almeno ha capito che il voto non è una questione d’identità, non è una liturgia in cui si proclama la propria consustanzialità con il candidato, e che si può votare Renzi anche se non si crede del tutto in lui, o anche se francamente lo si detesta. Viva Flores e abbasso le verginelle che nel segreto dell’urna assolutamente non possono cedere a nessun compromesso perché, boh, si vede che Dio le vede. Io penso che Dio abbia di meglio da fare che spiarmi proprio lì; del resto cedo a compromessi praticamente tutti i giorni, vendo pezzi del mio corpo un tot all’ora, voi no? Beati voi.

Io son flessibile, anche se a Ichino piacerebbe flettermi un po’ di più ma non si può aver tutto; reclamo perciò il diritto di infilarmi in qualsiasi fessura mi consenta di difendere i miei diritti (legalmente, si capisce), e a tal proposito annuncio che se faranno sul serio le primarie del centrodestra, e le faranno con regole simili a quelle del centrosinistra, ci andrò. E vorrei proprio vedere chi mi tiene fuori, e con che motivazioni. Perché non dovrei dire la mia? Perché dovrei rinunciare, a priori, alla possibilità di votare il PdL? Mettiamo che non mi piaccia il candidato che esce dalle primarie del PD; mettiamo che, per qualsiasi motivo, il PdL me ne proponga uno più interessante, o viceversa talmente scrauso da assicurare l’autogol decisivo: mettiamo che io faccia un calcolo, magari meno raffinato di quello del professor Flores D’Arcais, e che questo calcolo mi dica che la candidatura di Daniela Santanchè può davvero rendere l’Italia un posto migliore: a quel punto recarmi alle primarie del PdL e votare Santanchè diventa per me un dovere civico, una cosa che potrei persino rimproverarmi di non aver fatto. Tra l’altro pare che la Santanchè si stia avvalendo dei consigli di Rondolino, l’uomo che (IRONIA) rese simpatico Massimo D’Alema (/IRONIA). Ecco, a un team del genere mi sembra impossibile non augurare una carriera di successi al vertice del principale partito di centrodestra, previo sbaragliamento di tutti i candidati più credibili. Se in questo battaglia serve il mio voto, eccolo, è qui, ma ve lo porto dovunque serva. Mi date l’indirizzo e mi arrangio, faccio anche il quarto d’ora di fila, ci ho resistenza.
Son mica renziano.

Beppe Grillo, cattiva politica, tv

E se Grillo avesse rrrrrrrrrrr

Io trovo abbastanza ignobile il modo in cui Grillo ha trattato la consigliera comunale del M5S che ha osato presenziare a un talk show, e squallidi i colleghi che la stanno emarginando. Tutto sommato condivido le osservazioni di Scalfari che sul carisma ancora molto televisivo di Grillo sembra aver capito più cose dei giovinastri che sul suo quotidiano si fanno infinocchiare da klout e altri gingilli. Grillo diserta i talk show proprio come anni fa li evitava Berlusconi: entrambi hanno goduto (e Grillo gode ancora) di una rendita di posizione nel nostro immaginario. Sono due facce, due personaggi che conosciamo già, non hanno bisogno di vendersi a Porta a Porta. Se decidono di andare in tv, sono nella posizione di dettare le condizioni: non hanno nessuna esigenza di accettare un contraddittorio, qualcuno che per piaggeria o esigenza di share accetterà di mandare in onda i loro video preregistrati ci sarà sempre.

Il discorso cambia, ovviamente, per gli altri esponenti del M5S. Per loro andare in tv (in un momento come questo, poi, in cui la gente è alla ricerca spasmodica di volti nuovi) è un’opportunità importante. Magari tra qualche mese alcuni di loro saranno in Parlamento, davanti a un bivio: restare con Grillo, seguirlo perinde ac cadaver, restituendo stipendio e gettoni di presenza o… trovare un’altra strada, più remunerativa, che consenta loro di partecipare a una maggioranza, magari recuperando uno strapuntino, un sottosegretariato? Alcuni sceglieranno di restare col capo in anonimato e in miseria: altri tradiranno, è nella natura delle cose. Per Grillo e Casaleggio si tratta di scegliere gli elementi meno forniti di ambizione e individualità. Su questo la prova video non sbaglia mai. Se tu hai voglia di farti vedere, se hai un’individualità forte da mostrare, il video se ne accorge, il video la svela. Ecco, di queste persone Grillo e Casaleggio al momento non hanno bisogno. È difficile dar loro torto, se ci si mette nella loro prospettiva: hanno bisogno di anonimi che non vedano altra Via al di fuori del MoVimento. Io però vado oltre e mi chiedo se Grillo non abbia anche ragione in generale. Cioè, perché un politico deve andare a un talk show? Per farsi vedere, ovvio. Ma funziona?

Funziona, altroché, parlamenti regioni e comuni sono pieni di gente che si è fatta riconoscere durante un battibecco televisivo. Il caso della Polverini, catapultata dall’anonimato di una sigla sindacale semisconosciuta alla presidenza della regione Lazio grazie a un’assidua presenza a Ballarò, è uno tra tanti. Quindi sì, i talk funzionano. Selezionano una classe dirigente e la presentano al vaglio dei telespettatori-elettori. Che poi questa classe dirigente sia quella di cui ha bisogno l’Italia, beh, anche qui il caso Polverini è indicativo. Non c’era nessun motivo al mondo per cui una tizia brava a piazzare due o tre interventi a Ballarò dovesse essere anche competente in un ruolo delicato come quello di presidente della regione Lazio, e infatti non lo era. Ma da quando è così? Da quand’è che i talk show ci formano la classe dirigente? Ci ricordiamo tutti di quando Porta a Porta divenne “la terza camera”. Ma qualcuno si ricorda chi ha cominciato? Perché negli anni ’80, per dire, non era così. Le tribune politiche erano dirette grigie e istituzionali. Passa qualche anno, e la politica diventa spettacolo in seconda serata. Poi addirittura in prima.

Potrei sbagliarmi, ma all’inizio di tutto ci fu Samarcanda. Non era ancora esattamente un talk, ma la costruzione di certi personaggi (Santoro su tutti, anche Santoro ha fatto politica poi) è cominciata lì. La vera chiave di volta però potrebbe essere stata quel talk che faceva Gad Lerner nei teatri, nei tumultuosi primi anni Novanta, Milano, Italia: il programma che presentò i leghisti a tanta gente che a mangiare la polenta a Pontida non ci sarebbe mai andata. Insomma sembra proprio che il talk show come strumento di individuazione di una nuova classe dirigente sia nato proprio nel momento in cui cominciava quella cosa che chiamiamo per comodità Seconda Repubblica. Sarà una coincidenza?

Siamo abituati a pensare che la Seconda Repubblica nasca col videomessaggio di Berlusconi agli italiani, ma quello non è stato piuttosto una specie di meteora, che fa un impatto enorme e lascia un cratere senza vita? Il sottobosco politico di cui Berlusconi si è circondato negli anni successivi, dov’è cresciuto? Come si è presentato agli italiani? Andando nei talk a litigare. Il fatto che Berlusconi non si unisse mai alle risse (salvo alcuni momenti memorabili ed eccezionali, ad es. le telefonate in diretta) contribuiva a creare quel distacco, netto, tra l’Unto e i suoi seguaci: lo stesso distacco che ancora oggi impedisce a qualsiasi notabile del PDL di avere il “quid”, di essere un candidato veramente credibile. È tutta gente che gli italiani conoscono, ma, appunto, come li conoscono? Li hanno visti litigare nei talk. E litigando nei talk conquisti visibilità, non carisma. Il carisma, il quid, è una cosa che si nutre di distacco. Ce l’ha Berlusconi, ce l’ha Grillo, anche Renzi forse ne ha un po’ ma ogni volta che si abbassa ad andare in tv secondo me ne perde.

Nel frattempo però i talk hanno conquistato una specie di egemonia; sembrano diventati luoghi istituzionali dove la politica si presenta ai cittadini. Ma sono luoghi efficienti? Mettiamola giù più semplice: voi da quand’è che non guardate un talk di politica tutto intero? Io da anni, ormai, e non mi sembra di essermi perso informazioni importanti sul dibattito politico in Italia. I talk sono spettacoli abbastanza mediocri, anche quando sono confezionati con professionalità; costano relativamente poco e offrono al loro pubblico di riferimento un prodotto riconoscibile e in un qualche modo rassicurante. Ma non succede quasi nulla, nei talk. Nulla che non si possa recuperare scorrendo qualche titolo e guardando qualche spezzone in cinque minuti la mattina seguente. Grillo non ha tutti i torti quando sostiene di poterne fare tranquillamente a meno.

astensionisti maledetti, cattiva politica, Obama

Astensione in the UK

Affluenza in the USA (magari se clicchi si ingrandisce, chissà)

Sono un po’ stanco così adesso vado a letto e comunque domattina ne saprò esattamente quanto voi. Vorrei solo far presente una cosa, che alcuni troveranno persino banale e altri magari no: in queste ore i tifosi di Obama stanno salutando come una buona notizia il fatto che l’affluenza alle urne sia alta. E quando dicono alta, dicono comunque un numero intorno al 60%. Le ultime elezioni politiche in Italia (2008), che già fecero gridare al record di astensione, registrarono un’affluenza dell’80%. Può darsi che l’anno prossimo voti ancora meno gente, ma per ora le nostre elezioni più snobbate hanno percentuali di affluenza comunque più alte di tutte le elezioni USA del Novecento. Molti che si stracciano ad arte le vesti per la crescita dell’astensionismo e l’insofferenza per la politica, sono gli stessi che stanotte intoneranno inni alla festa della democrazia che si celebra in un Paese dove quattro persone su dieci aventi diritto non votano. Nel ’96 addirittura votò meno del 50%, e Clinton fu rieletto presidente lo stesso. È la democrazia: chi non vota non conta. Non è detto che debba piacervi, ma per sovvertirla servono comunque strumenti meno impalpabili di schede e certificati elettorali in bianco.

L’abitudine a caricare il non-voto di un significato politico, di attribuirgli una componente di protesta, o addirittura potenzialità eversive, per cui se tanta gente non votasse si aprirebbero senz’altro i sigilli di qualche apocalisse o palingenesi rivoluzionaria, è una delle tante scemenze che inquinano il dibattito politico italiano. Altrove l’astensione è così poco considerata che nemmeno ne parlano: per fare un esempio un po’ cialtrone (scusate, sono un po’ stanco), giusto stasera cercavo il dato sull’affluenza alle elezioni britanniche del ’97 e sulla pagina wiki inglese non c’era. Non è una distrazione, la pagina è ben fatta. Secondo me è proprio che a un lettore britannico dell’astensione non frega più di tanto: è una curiosità, non ha nessun significato politico.

Quel famoso dato sulle britanniche del ’97 mi interessava perché in questa settimana è scattato (in modo molto goffo all’inizio, ma pazienza) un dibattito su Tony Blair, sul senso che possa avere evocare Tony Blair quindici anni dopo in un contesto così diverso come l’Italia. È chiaro che per Renzi rifarsi a Blair implica tutta una serie di cose, alcune sensate altre meno; tra queste l’idea  di conquistare gli elettori allo schieramento avverso, con una campagna fresca a base di messaggi propositivi e facce giovani ecc. ecc.; cosa che tutti gli riconoscono. Il problema è che, appunto, nessuno si ricorda più dell’astensionismo. Che in quell’occasione fu piuttosto alto. Insomma, Blair seppe convincere tanti indecisi, ma anche no.

Se uno poi va a vedere al numero crudo dei voti, scopre (se ho capito bene; ma sono un po’ stanco) che il New Labour rispetto a quello Old di cinque anni prima ne guadagnò, sì, ma due milioni. Mica tanti. Quel che veramente fece la differenza è che i Tories ne persero cinque, di milioni. I liberaldemocratici persero poco meno di un milione… basta, il resto sono più o meno bruscolini. Quindi dove andarono tutti i voti persi? Astensione. Ora, non voglio dire che Blair non convinse tanti ex elettori di Thatcher col suo entusiasmo e la sua faccia fresca e la sua idea molto precisina su cosa fosse il Bene e su come fosse esecrabile (e bombardabile) il Male; quello fu senz’altro un fattore. Un altro fattore fu che molti ex elettori di Thatcher erano disgustati dal suo successore Major e non andarono semplicemente a votare. Secondo me vale la pena di ricordarlo. Buona notte e forza Obama.

cattiva politica, Pd

Il paradosso delle braghe (del PD)

Ieri Alessandro Gilioli, giornalista che stimo e che negli ultimi anni è diventato il punto di riferimento di un’area di sinistra comprensibilmente scontenta di come stanno andando le cose, ha sciolto la riserva e ha spiegato che non voterà per l’alleanza Pd-Sel (a dire il vero bisognerebbe dire Pd-Sel-Psi, ma mi rifiuto di considerare il Psi come qualcosa che esista).

Di motivi per non votare Pd-Sel, chiunque vinca le primarie, ce ne sono comunque tanti e non sto a contarli; mi interessa quello presentato da Gilioli, perché la sua rinuncia mi sembra la riedizione di un paradosso noto ma sempre affascinante: Gilioli ha letto la carta d’intenti e ha scoperto che c’è già, nero su bianco, un “accordo di legislatura con le forze del centro liberale”, insomma Casini. Lui però Casini non lo vuole votare (come dargli torto) e quindi non vota nemmeno Pd-Sel. Come dargli torto.

Non glielo do. Anch’io preferirei, come lui, una coalizione (meglio ancora un partito) a vocazione maggioritaria, che vinca le elezioni e non cerchi i voti di nessun centrista infido. Purtroppo per ora i numeri non ci sono. Magari si sbagliano tutti i sondaggi, però Pd-Sel non ci arriva al cinquanta per cento, neanche ora che la campagna per le primarie sta entrando nel vivo. Sì, lo so, bisognava essere più coraggiosi, trovare sintesi inedite, conquistare i giovani ecc. ecc… però per ora le cose stanno così, al 50 non si arriva. A quel punto un accordo coi centristi rimane l’unica possibilità per non finire di nuovo all’opposizione e regalare altri cinque anni a una destra che veramente non se li merita, e chissà cosa ci combinerebbe. Questo i rappresentanti del Pd lo dicono da mesi, e lo scrivono nella Carta d’intenti affinché sia chiaro e sottoscritto da tutti gli alleati.

Quelli che invece non sono scritti, non sono decisi, sono i termini di un effettivo accordo con Casini e compagnia: non c’è scritto da nessuna parte che cercare un accordo con loro significhi calare le braghe. Il potere contrattuale che avranno il Pd e Sel dipende esattamente dal numero di seggi che avranno conquistato alle elezioni: se ne avranno pochi, dovranno concedere molto (e forse Casini comunque non accetterà, magari a destra trova di meglio); se ne avranno molti, dovranno concedere meno; se putacaso dovessero arrivare alla maggioranza – insciallah! ma una maggioranza vera, non quella disperata del Prodi 2006-07 – di un accordo coi centristi non ci sarebbe più bisogno. Banalmente: più voti prendiamo, meno la braga caliamo. Gilioli però non ci vuole votare, perché nella carta d’intenti abbiamo previsto l’eventualità di calarla, di quanto non si sa, però di calarla. Il paradosso è che più gente lo seguirà – e molta gente lo seguirà – più la braga, purtroppo, calerà. Pd e Sel vinceranno di misura, per avere un minimo di stabilità dovranno pietire il sostegno di Casini, quello chiederà e otterrà ministeri importanti, e Gilioli scriverà che ce l’aveva detto. Profezie che si autoavverano.

Il modo in cui Gilioli e altri usano il loro diritto di voto, la loro effettiva frazione di sovranità, continuo a trovarlo dopo tanti anni affascinante. Per protestare contro un eventualità (un accordo Pd-Sel-UdC) finiscono per creare le condizioni affinché questa eventualità si realizzi. È come se il voto avesse due componenti, una polemica e una aritmetica, e quella aritmetica non fosse così importante. L’importante è poter dichiarare che non hai votato per X; il fatto che aritmeticamente il tuo voto o il tuo non-voto abbia ottenuto il risultato preciso che volevi evitare (X è al governo) è per molti italiani irrilevante. Come se la croce sulla scheda elettorale fosse un atto di fede (da reclamare in pubblico), e non un piccolo atto performativo che oggettivamente indebolisce o rafforza un partito invece che un altro. Mi domando se non c’entri anche stavolta la scarsa cultura scientifica, ma ho paura di risultare ossessionante e la pianto qui.

Quanto a me, io continuo a pensare che la democrazia sia un gioco non particolarmente divertente, ma molto semplice: ho un voto, e l’unico modo efficace di usarlo è indirizzarlo al partito più vicino alle mie posizioni. Senza essere troppo, come si dice adesso, choosy. È veramente una banale questione di aritmetica: se non vuoi che governi X, vota Y. Facile. Bello proprio no, bello non si può dire, ma secondo me è facile. Però non passa. Boh.

cattiva politica, dialoghi, Pd

Al loop al loop

Gli alloopati

“Scusa, eh, adesso io non mi permetto di giudicare”.
“No, ma giudicaci pure invece”.
“Cioè lo so che fare il politico è meno facile di quel che sembra”.
“Di questi tempi, poi”.
“Però da qui sembra proprio che non stiate combinando niente. Niente”.
“Più o meno è così”.
“Da un anno in qua. Cioè, ormai è un anno che se n’è andato il porcello”.
“Un anno, sì”.
“E cosa avete combinato? Voglio dire, Monti qualcosa l’ha fatto”.
“Anche troppo”.
“E voi? Non è che vi si chiedesse chissaché, ma dico, una legge elettorale. Una”.
“Eh, che ci vuoi fare”.
“Ma cosa vi è successo?”
“Ma no, è che ci siamo alloopati”.
“Allupati?”
“No no, c’è una grossa differenza. Il porcello, lui era allupato. Noi siamo alloopati, con due o. Ci siamo ritrovati in un loop”.
“Un loop?”
“Perché puoi anche pensare che sia facile fare la legge elettorale, che ci vuole, no? Eh, anch’io la pensavo così”.
“E invece?”
“E invece devi capire chi vince, e come vince, e la legge elettorale gliela devi fare di conseguenza”.
“Ma non ha senso, scusa…”
“Lo so, lo so, bisognerebbe prima fare le leggi elettorali, inciderle su un marmo secolare e non toccarle più. Guarda gli americani”.
“Uff, gli americani…”
“Vero? Anch’io una volta dicevo… ma sto cominciando a capire. Gli americani hanno una legge settecentesca, una schifezza, fatta apposta per quando si andava a votare in carrozza… è per quello che votano sempre nel giorno dei Santi, lo sapevi? Perché dovevano avere il tempo di arrivarci in carrozza. E così via. Fa schifo, però non la toccano. Dovevamo fare così anche noi. Meglio una legge schifosa e immutabile, che una legge elastica che ogni maggioranza può cambiare quando gli va”.
“Però…”
“Però ormai è così, la legge di adesso è una porcata, quella di prima lo era ugualmente, l’unica cosa che possiamo fare è cercare di scrivere una legge che dia un po’ di margine a chi vince, così almeno si fa un governo stabile, che in Europa ci tengono”.
“Quindi vorreste fare una legge su misura per chi vince, però non sapete ancora chi vince”.
“Ma in realtà lo sapremmo anche, basta fare dei sondaggi fatti bene”.
“E perché non li fate?”
“Li abbiamo fatti”.
“E cosa dicono?”
“Che dipende”.
“Dipende cosa?”
“Dipende dal PD, da chi candida il PD”.
“Ah, quindi bisogna aspettare le primarie”.
“Ma no, in realtà abbiamo i sondaggi anche delle primarie”.
“E cosa dicono?”
“Sondaggi seri, eh, mica la robaccia che gira”.
“Sì, e cosa dicono?”
“Eh, dicono che dipende”.
“Dipende da cosa?”
“Dal regolamento delle primarie”.
“E quindi?”
“E quindi niente, stiamo cercando di capire come fare il regolamento delle primarie in modo da favorire la persona che deve vincerle”.
“E chi deve vincerle?”
“Eh, saperlo”.
“Ma avrete fatto un sondaggio, immagino”.
“Tanti, ne abbiamo fatti”.
“E dicono che…”
“Dipende”.
“E stavolta dipende da cosa?”
“Un po’ da tutto, ma soprattutto dalla legge elettorale”.
“Dalla legge elettorale?”
“Eh sì, perché se si fa il proporzionale la gente, per dire, non vota Vendola alle primarie, lo vota direttamente alle elezioni, mentre se si fa il doppio turno lo votano un po’ alle primarie e un po’ al primo turno, insomma, i modelli diventano un po’ complicati”.
“E quindi?”
“E quindi niente, bisogna che ci mettiamo d’accordo sulla legge elettorale”.
“Già. Ma aspetta, ci eravamo già passati di qui, vero?”
“Esatto”.
“Ma allora…”
“Siamo in un loop, che ti dicevo”.
“No, aspetta, fammi provare. La legge elettorale non riusciamo a farla perché…”
“Non sappiamo chi vince le elezioni”.
“E non lo sappiamo perché…”
“Perché potrebbe vincerle il PD, ma dipende da chi candida”.
“E non sappiamo chi candida perché….”
“Non abbiamo ancora il regolamento delle primarie”.
“E non riusciamo a metterci d’accordo sul regolamento delle primarie perché…”
“Perché non sappiamo come sarà la legge elettorale”.
“Fantastico! Potrebbe andare avanti in eterno!”
“Beh, no, per legge entro il 2013 a votare dobbiamo andarci comunque. A quel punto diventa decisivo capire in che punto del loop saremo in quel momento. Magari avremo scritto il regolamento delle primarie ma non avremo ancora cambiato la legge elettorale, e in quel caso vince Tizio. Se invece in quel momento è cambiata la legge elettorale, ma le primarie no, vince Caio”.
“E Sempronio?”
“Sempronio spera che giri tutto senza che cambi niente”.
“Allora io mi gioco Sempronio”.
“Gioca responsabilmente”.

cattiva politica, Pd, Renzi, Veltroni

Verso WV2

Io so che tu sai che io so che il PD poteva essere una buona idea, ma non lo è stato; di tutte le cose che poteva essere, è finito per essere un’americanata all’italiana concepita da gente che non conosceva bene né l’America né, evidentemente, l’Italia. Che per funzionare sarebbe servito un elemento impalpabile che nella stanza dei bottoni davano per acquisito e non lo era; il cattolicesimo di sinistra. Senza quello – dissoltosi chissà dove, negli ultimi 20 anni – l’amalgama di postcomunisti e postdemocristiani semplicemente non poteva riuscire, lo sai tu come lo so io, l’unico che ancora non lo sa è Veltroni; ma non lo disturbiamo. Adesso scrive romanzi, spiega ancora alla gente il valore dei valori, la bellezza del bello, l’importanza delle cose importanti.  Non riesco neanche a ritenerlo responsabile, mi domando come sia possibile che lo si sia lasciato anche solo per mezz’ora nella cabina di comando; i danni che in pochi mesi ha arrecato alla sinistra italiana sono incalcolabili. Tu sai che io so che tu pensi che la sinistra italiana in parte se li meritava; pure, resta straordinario cosa è riuscito a combinare WV tra 2007 e 2008 mentre noi lo lasciavamo fare e pensavamo che magari poteva avere ragione lui, poteva dare una svolta salutare, svecchiare tutto il sistema, eccetera. Difficile poi farsi prendere sul serio, dopo aver preso una cantonata così.

Tu sai che io so che tu sai che le Primarie avrebbero potuto essere uno strumento fantastico, se non fossero nate veltroniane, e cioè vaghe, sregolate, tutto ottimismo della volontà e niente pragmatica modestia della ragione; per cui dopo cinque anni ancora non si è capito come si fa a evitare che i capobastoni si comprino i voti dove meglio credono, i sabotatori sabotino, gli infiltrati infiltrino, le civette civettino. Probabilmente WV pensava che per evitare tutto ciò si dovesse fare come in America, senza ovviamente porsi il problema di studiare in concreto cosa in America si faccia. Poi un giorno sul Corriere ha visto dei cinesi votare a Napoli e si è spaventato. Ogni tanto salta ancora fuori con l’idea delle primarie obbligatorie per legge, un’istituzionalizzazione dei partiti che mi pare la cosa meno americana concepibile, ma non ho un pied-à-terre a Manhattan e quindi probabilmente mi sbaglio.

Tu sai che io so che tu sai che quando Matteo Renzi dice che vuole i voti dei berlusconiani delusi, ma non alle primarie (cioè io dovrei votarlo affinché poi nel 2013 lui si faccia votare da qualcun altro?) si infila in un paradosso barocco e non è nemmeno colpa sua; è l’eredità veltroniana che ci portiamo appesa al collo come un albatross, finché non avremo il coraggio di tirar giù sto partito assurdo e rifarne un altro; non necessariamente blairiano o socialdemocratico (io preferirei la seconda), ma fatto bene, con statuti rispettabili, portavoci leali, segretari autorevoli e rispettati. Fino a quel momento anche Renzi si barcamena come può: come Agostino la santità, lui vuole i berlusconiani ma non subito, tra un po’: alle primarie preferirebbe che lo votassi io. Io però che interesse dovrei avere a votarlo?

Io so che tu sai che io so che il progetto di conquistare voti al centro è sempre stato perdente, sempre: che sia Berlusconi che Prodi hanno vinto quando i voti sono andati a prenderli agli estremi, Prodi accordandosi coi comunisti (desistenza nel ’96, alleanza nel ’06), Berlusconi imbarcando qualsiasi ratto di fogna potesse trovare ai margini di qualsiasi decenza, Lega e Forza Nuova e anche sé stesso. Tu sai che io so che il progetto di Renzi è talmente giovane e nuovo da ricalcare quello di Veltroni, che voleva “affascinare” (usò proprio quel verbo) i moderati inquieti, e non ci riuscì. Non ne conquistò nemmeno uno: alle urne il PD fece la somma aritmetica degli elettori DS e Margherita. E tuttavia Renzi ha più chance, lo so io e lo sai tu: non perché sia più piacione di Walter2008 – lo batte alla grande, direi – ma perché nel frattempo il berlusconismo si è davvero sgretolato, e qualcuno che mai avrebbe votato WV nel 2008, un pensierino a Renzi lo sta facendo.

Io so che tu sai che intanto Bersani cuoce a fuoco lento, ed è un peccato: più passa il tempo, più si mena il cane per l’aia della legge elettorale, più lui si ritrova a sostenere un governo di destra proprio mentre per opporsi a Renzi dovrebbe fare una campagna di sinistra. Mi dispiace per lui, che è migliore di molti: l’avrei voluto vedere, entro margini d’azione altrettanto ristretti, il mitico Berlinguer che tutti rimpiangono.

Tu sai che io so che tu pensi che in una situazione del genere, con l’Italia già commissariata, l’agenda Monti già impostata, un Bersani o un Renzi (o un X) non è che farebbero tutta questa differenza: però dalla parte di Renzi c’è l’entusiasmo, e io so che tu sai che io a volte mi scopro a pensare che l’entusiasmo della gente, l’allegra certezza di stare dalla parte giusta, è un valore in sé, è una cosa che ti fa vincere le battaglie, e non possiamo permetterci di buttarla via. Ma tu sai che io poi mi ricordo di aver pensato così altre volte, ed erano le volte in cui c’era entusiasmo intorno a Veltroni, appunto, o intorno a Rutelli, perfino. Tu sai che io so l’altra faccia dell’entusiasmo essere la delusione, e che tanta gente è già pronta in fila col numeretto per iscriversi ai futuri Delusi-da-Renzi, quelli che pensavano chissaché e poi s’è scoperto inveceché. Tu sai che io già preventivamente non li sopporto e anch’io lo so che tu.

Tu lo sai che non è un problema se per la prima volta c’è in ballo uno più giovane di noi; cioè, dobbiamo lavorarci un po’, su questa cosa, parlarne anche magari con uno specialista, ma ce la faremo. Tu sai che il vero problema non è lì, ma è persino in un posto peggiore: è nella faccia che fa, nei sorrisi che ha. Tu sai che io so che tu sai che i voti dei postberlusconiani li potrebbe prendere davvero, non perché su 100 punti di programma (ma chi se lo legge) ce n’è 20 sottoscrivibili da Alfano (ma chi se ne frega), no. Io so che tu sai che Renzi per piacere ai postberluschini deve fare molto meno: sorridere. L’abbronzatura ce l’ha già, vedi che in estate ha fatto i compiti. E almeno vent’anni senza cerone li regge.

Beppe Grillo, cattiva politica, ho una teoria, internet, Pd

Revolution won’t be wikified

Quando alla Leopolda, quasi un anno fa, Renzi lanciò i suoi “100 punti”, molti scrissero che si trattava di un wiki-programma; dove “wiki” sta per “immediatamente modificabile dagli utenti su internet”, sul modello ormai universalmente noto di wikipedia. I 100 punti fecero effettivamente discutere molto gli internauti (anch’io dissi la mia), però il wiki tanto atteso non ci fu. Anche ora il programma scaricabile dal sito di Matteo Renzi continua a essere organizzato in 100 punti. Alcune modifiche rispetto al testo del novembre 2011 ci sono – sarebbe interessante studiarle – ma è chiaro che sono varianti d’autore, non il risultato di un wiki. Questo a mio parere era inevitabile: tra le tante cose che si possono fare su un wiki, scrivere un documento politico mi sembra una delle più difficili. Come si può evitare che la discussione venga sabotata da avversari politici? Bisognerebbe selezionarli all’ingresso – ma a quel punto si rischia di restare in compagnia soltanto di chi la pensa come noi, il che rende lo strumento del tutto inutile.

Renzi non è l’unico ad aver immaginato – anche solo per un istante – un wikiprogramma. Senza bisogno di arrivare in Islanda, dove l’anno scorso l’Assemblea Costituente condivideva le sessioni di lavoro su Facebook, in Italia abbiamo l’esempio del Movimento 5 Stelle, il cui programma è effettivamente il risultato della discussione nei forum del movimento – e si vede: è un testo meravigliosamente sconclusionato, in cui si passa in poche pagine dai tecnicismi burocratici (“Applicazione immediata della normativa, già prevista dalla legge 10/91 e prescritta dalla direttiva europea 76/93, sulla certificazione energetica degli edifici”) alle bordate iperpopuliste (“accesso alla rete gratuito per ogni cittadino italiano”: coi soldi di chi?) In ogni caso un programma sbilenco è sempre meglio di nessun programma – e le promesse del M5S non sono più populiste di quelli che Lega e berlusconiani ci hanno propinato per 15 anni. Ci vogliono regalare internet, mica 1.000.000 di posti di lavoro…

A proposito di posti di lavoro: ho trovato molto interessante questa battuta di Grillo… (continua sull’Unita.it, H1t#12×12)

“Nel Movimento abbiamo questi due o tre ragazzi che hanno fatto due mandati e non si possono più ripresentare e così sono entrati nel panico. Li capisco, per carità. Erano disoccupati e per un po’ di anni si sono trovati a prendere uno stipendio da tremila euro al mese e a gestire un po’ di potere, e adesso si sentono l’acqua alla gola perché devono lasciare”.
Qui davvero non parla Grillo il leader, ma Grillo il boss: Favia e gli altri “ragazzi” vengono liquidati come CoCoPro: hanno fatto due mandati? Via e pedalare. Riflettiamoci: Grillo è riuscito a costituire un grande movimento d’opinione intorno a un ribaltamento di prospettiva, per cui i politici, da padroni, dovevano diventare i nostri dipendenti: li paghiamo noi, quindi devono fare le cose che chiediamo noi. Il punto è che dai dipendenti noi ci aspettiamo una certa dose di professionalità. Questo però entra in conflitto con un altro principio cardine del M5S: il tetto massimo di due mandati. In pratica Grillo e i suoi ci stanno proponendo di assumere dei dilettanti, che appena riescono a fare esperienza… devono lasciare il mestiere. Ma, anche ammesso che noi non li volessimo più, chi impedisce loro di trovarsi un contratto meno atipico presso un datore di lavoro concorrente? Alla fine il “tradimento” di Favia non è un incidente (come Favia stesso sta cercando di presentarlo), ma il nodo della democrazia partecipata che viene al pettine. Che tipo di politici vogliono Grillo e Casaleggio? Professionisti o dilettanti? I dilettanti possono interagire su piattaforme pubbliche di condivisione: creeranno parecchia confusione, ma forse a un certo livello sono più gestibili. E tuttavia, per quanto si possano cercare forme alternative di partecipazione ‘dilettante’, sui forum o sui wiki-programma, alla fine un Movimento non può evitare di formare dei professionisti, degli esperti. Se il Movimento li scaricherà, troveranno qualcuno che li sa apprezzare.
Tornando ai wikiprogrammi, devo segnalare un’altra iniziativa nata nel PD: Insieme per il PD, un “progetto per cambiare l’Italia” dei Democratici per il futuro. Non l’ho ancora letto bene, ma tra i contributi ho trovato chi voleva una riforma presidenziale ed Emma Bonino al Quirinale. Insomma, resto un po’ scettico. I wiki mi sembrano strumenti meravigliosi per discutere, non per trarre conclusioni. Ma in un partito confuso, vitale ma in perenne crisi d’identità come il PD, anche discutere è importante.http://leonardo.blogspot.com
cattiva politica, ho una teoria, Pd

Persone autorevoli, credibili

Senza avere la pretesa di rappresentare nessuno, sono anch’io uno delle migliaia di elettori del PD che l’altro giorno hanno letto le dichiarazioni di Fioroni e si sono fatti andare di traverso la colazione. A un insieme di persone unite in questi mesi da un terribile mal di pancia di fronte alla prospettiva sempre più credibile di dover votare una coalizione con Casini e forse Fini, Fioroni ha ritenuto giusto aumentare la dose, ventilando la possibilità di allearsi anche con “persone autorevoli e credibili” del fu Pdl.

Oltre a essere poco rappresentativo, sono anche in ferie; leggo poco i giornali e me ne scuso, ma non sono in grado di ricostruire la situazione politico-mediatica in cui Fioroni ha ritenuto di fare un’uscita del genere. Voglio dire che se Fioroni stava parlando alla cognata perché intendesse la suocera, io in questo momento non sono in grado di identificare né suocera né cognata né cugini di primo grado. Tutto quel che ho letto è la sua dichiarazione, e centinaia di commenti inviperiti qui sull’Unità, nei social network, più o meno ovunque se n’è parlato. Tutte reazioni perfettamente prevedibili… (continua sull’Unita.it, H1t#140).

Tutte reazioni perfettamente prevedibili, perlomeno da me che non sono certo guru: quindi do per scontato che un politico consumato come Fioroni sapesse benissimo che avrebbe innervosito migliaia, forse milioni di suoi potenziali elettori, perdendone anche parecchi; e che la cosa non lo impensierisca più di tanto. Era più importante rilasciare dichiarazioni a Klaus Davi, o alla suocera, o alla cognata, non lo so. Mi chiedo se negli altri partiti italiani, ma anche negli altri partiti tout court, succedano queste cose: rappresentanti di primo piano che fanno dichiarazioni palesemente indigeste alla loro stessa base, incuranti dei danni che arrecano. Non lo so, m’informerò, a me sembra fuori del mondo, ma magari sono io.
Mi resta la curiosità di sapere di chi stesse parlando Fioroni: chi siano insomma quelle “persone autorevoli e credibili” che adesso sono nel PdL e che tra qualche mese dovrei votare io, basta che riconoscano che il “berlusconismo è finito”. Nel 2012. Io già faccio fatica a digerire la faccia di Casini quando mi dice che lui è stato il primo ad accorgersi che Berlusconi non era liberista, lui, tipo nel 2008; dopo 14 anni di alleanza elettorale. Dove i casi sono due: o io sono veramente un guru, e guru come me tutti quelli lo sapevano benissimo sin dal 1994, che il liberismo di Berlusconi consisteva nel difendere le sue aziende e allungarsi i processi; oppure anche Casini sottovaluta di molto la nostra tenuta gastroenterica, la nostra capacità di sopravvivere ai mal di pancia che ci procurate. È senz’altro è vero che abbiamo sopravvissuto fin qui a prove notevoli: persino Rutelli abbiamo votato, persino Dini o la Binetti. Questo però non vi autorizza a passeggiare tranquillamente sui nostri stomaci a ferragosto: o sì? http://leonardo.blogspot.com
cattiva politica, omofobie

Il supermarket dei diritti

A un certo punto, non so nemmeno dove, qualcuno ha paragonato il movimento LGBT italiano alla Rifondazione di Bertinotti: quella che fece cadere il primo governo Prodi nel ’98. Per quanto bislacco il paragone potrebbe spiegare perché ci stiamo infervorando tanto qui sotto su un argomento – i diritti alle coppie gay – invece che su qualsiasi altro. Quando almeno qui siamo tutti d’accordo: ai gay mancano dei diritti, e questo è anticostituzionale. Bene. E quindi come si fa a realizzare la Costituzione? Come si ottengono questi diritti?

Alla fine non stiamo parlando di omosessualità, non stiamo parlando nemmeno di diritti civili. Tutta questa discussione non sarebbe che la solita, annosa polemica pragmatisti vs massimalisti, durante la quale è di rigore evocare Bertinotti almeno una volta. Lui nel ’98, per ottenere una cosa che nessuno si ricorda più cosa fosse (le 36 ore? No, nemmeno) fece cadere il governo Prodi e così ottenne… nulla. Una lezione per tutti i massimalisti del mondo. Il paragone mi sembra infelice, per vari motivi.

Il banale primo motivo è che alcuni partecipanti a questa discussione, secondo me, nel ’98, erano ancora molto giovani e forse nemmeno non nati, perlomeno a me piace pensare così. Le analogie si fanno per vivacizzare una discussione, non per virarla al bianco e nero. Si ritorna a Bertinotti ’98 come si torna al Mundial ’82 o a Italia Germania 4-3, per mancanza di fantasia e di pudore. Primo motivo.

Il secondo motivo è che, se mi pongo dal punto di vista di un rifondarolo (faccio un po’ fatica, ma ci provo), Bertinotti ’98 non è stata la cosa più brutta che è successa. Lo stesso Bertinotti fece tesoro dell’esperienza, e otto anni dopo portò Rifondazione a sostenere un Prodi II, in una coalizione (l’Unione) dove i rifondaroli furono tra i più disciplinati – giusto qualche mal di pancia quando si trattava di rifinanziare l’Afganistan, e mi pare il minimo. Il risultato di tanto pragmatismo quale fu? Parlo da rifondarolo: il governo rimase in minoranza grazie a uno dei soliti transfughi dell’IdV; lo fece cadere Mastella; si tornò a votare e Rinfondazione sparì dal parlamento. Dopo una storia del genere, una delle più paradossali della pur bizantina politica italiana, io non vado più in giro a lamentarmi coi rifondaroli del loro massimalismo. Ognuno lotta innanzitutto per la propria sopravvivenza, e finché furono massimalisti i rifondaroli sopravvissero alla grande. Fu il pragmatismo a stroncarli: spiace per primo a me, ma andò così.

Il terzo motivo è che, per quanto massimalisti, i bertinottiani avevano un’idea abbastanza coerente – anche se un po’ virata seppia – del massimalismo: per loro c’era il governo e c’era la lotta. A un certo punto decisero di uscire da un governo (per meglio dire di non appoggiarlo più) per tornare alla lotta. Avrebbero lottato, manifestato, scioperato, fatto tutto quello che compete fare a un movimento politico di base per conquistare consensi e tornare in parlamento più forti di prima. C’era poi probabilmente in alcuni movimentisti quell’idea del “tanto meglio tanto peggio” che tanti danni ha fatto a questo sventurato Paese: riportare Berlusconi al governo poteva essere il modo più spiccio perché i contrasti sociali diventassero più forti, avvantaggiando i movimenti politici più radicali, eccetera. Tutto ciò non è mai successo, ma è facile notarlo col senno del poi (no, era facile anche nel 1998, ma facciamo finta). Era una strategia fuori dal tempo, fuori dal mondo, ma era ancora una strategia.

A me – spero di sbagliare – ma non sembra che il movimento LGBT italiano ne abbia una. Si ritiene umiliante un compromesso: va bene, molti compromessi sono umilianti. Ma poi? Cosa resta da fare? Lo chiedo senza retorica e con molta curiosità.

Ribadisco che qui non si parla di diritti civili, ma di qualcosa di comunque importante. Del modo in cui ci si arriva, ai diritti; che è poi la concezione che ognuno ha della politica. Per me la politica è il proseguimento della lotta di classe con altri mezzi: ci sono classi sociali, ognuna lotta per ottenere una serie di risultati che chiama “diritti”, e che quasi sempre vanno a scapito dei privilegi o dei diritti di altre classi sociali. È una concezione un po’ veteronovecentesca, non c’è dubbio, ma è la mia. La vostra qual è?

Posso sbagliarmi. Mi sbaglio senz’altro. Ma voi mi sembrate clienti di un supermercato. Il vostro modo di chiedere dei diritti non implica una lotta, lunga o breve che sia: no, voi entrate in un supermercato, vi aspettate che ci sia l’aria condizionata, non c’è, voi allibite. Come non c’è. C’è in tutti gli altri supermercati della zona. C’è in “Germania” e c’è in “Spagna”, da qualche tempo in qua c’è persino in un negozietto fuori mano che si chiama “Portogallo”, cosa significa che da noi non c’è? È uno scandalo. Non avete tutti i torti. Peraltro senza aria condizionata la merce si guasta molto prima, insomma, sarebbe anche una questione igienica, e di dignità personale. Ma non c’è.

E quindi? Intendete organizzare un movimento di protesta? Incatenarvi ai carrelli? Boicottare la catena? Alcuni queste cose le fanno. Ma mica tanti, e mica molto spesso. Una marcia dimostrativa in estate, va bene. Fine. Nel frattempo, chi ha la possibilità, cambia semplicemente supermercato. Giusto, ma nel frattempo chi vive e lavora in “Italia” continua a sudare tra puzza di carne guasta. Vi siete scandalizzati, va bene, la cosa vi fa onore; però non sta cambiando nulla.

Mi sbaglierò, spero di sbagliarmi, ma dietro c’è un’idea di cittadinanza che a me non piace (omofobo!) Il cittadino-cliente, che fa i confronti tra i volantini dei vari supermercati. Si sveglia una mattina, scopre che non gli sono riconosciuti tot diritti, si lamenta, cambia Paese. È scandaloso anche solo pensare che il riconoscimento dei diritti sia il risultato di una lotta, che può passare attraverso sconfitte e compromessi. No, in California nel 2012 fanno così, perché in Italia no? È uno scandalo. Non ci si preoccupa di studiare come mai in California nel 2012 si è arrivati a fare così: attraverso lotte, sconfitte, compromessi, vittorie. No, hanno già combattuto in California, a noi interessano soltanto i risultati, che devono immediatamente essere estesi a noi. Sennò andiamo in California. E chi può naturalmente lo farà. Ma gli altri?

Poi citate Mandela. Il leader di una lotta armata, arrestato per incitamento allo sciopero e detenuto per 27 anni. Avete intenzione di passare alla lotta armata? Non sopportate un ritardo di 12 anni rispetto alla situazione tedesca e vi riferite a uno che ha aspettato per 27 anni in galera? Citate Martin Luther King: con tutto l’affetto di questo mondo, vi pare che i gay pride italiani abbiano il respiro, le dimensioni, la forza simbolica della marcia su Washington? E poi qualcuno insulta. Sono veramente molto pochi, però è interessante anche questo. Io sono per il matrimonio gay, e l’ho scritto: devo comunque prendermi la mia dose di insulti perché nel 2012 oso proporre quello che in Francia ha funzionato nel 1999 e in Germania nel 2001. Rispetto a Rifondazione – un partito di minoranza che però arrivò quasi al 10%, e che magari si augurava di sfondare le linee e diventare un movimento di massa, il movimento LGBT ha un problema ineludibile: lotta per ottenere i diritti di un gruppo di persone che stanno tra il 5 e il 10% della popolazione. Più di così (e sono numeri ancora fantascientifici in Italia) difficilmente potrà mai ottenere, né col massimalismo né in qualsiasi altro modo – a meno che non si riesce a portare dalla propria parte un bel po’ di eterosessuali convinti che ci sia un problema.

Ecco, parlo da eterosessuale: se mi insultate in linea di massima non mi portate dalla vostra parte. Ma magari è un problema solo mio.