Domattina – se vince Hilary Clinton – pubblicherò un pezzo in cui prendo in giro tutti quelli che hanno a un certo punto pensato che Donald Trump potesse farcela; tutti quelli che lo hanno paragonato a un Berlusconi senza prima aspettare che vincesse almeno una consultazione – perché di miliardari cafoni scopaioli e indebitati ce ne sono già stati tanti: la particolarità di Berlusconi è che le elezioni per un pezzo le ha vinte. Tutti quelli che ancora pensano che lo scandalo di Berl fossero le maniere da parvenu, e non la concentrazione economica-mediatica che rappresentava; tutti quelli che a ventennio finito continuano a insistere che no, Berl non vinceva perché aveva le tv; le tv erano un puro accidente di cui per un qualche motivo non riusciva a disfarsi (e sì che glielo chiesero in tanti). E dunque vedete? Scriverò. La vedete la differenza tra un cafone sessuomane e arrogante che controllava emittenti ed editoria e aveva la fiducia degli industriali (=Berlusconi) e quella tra un cafone sessuomane e arrogante che non controlla l’editoria, che in tv viene preso quotidianamente in giro e di cui gli industriali diffidano (=Trump)? E così – se domani vince la Clinton – avrò dimostrato il mio punto.
Domattina – se vince Donald Trump – pubblicherò un pezzo in cui prendo in giro tutti quelli che si sono fidati dei sondaggi – ancora ci cascate, è incredibile! – tutti quelli che pensavano che Trump non potesse vincere perché faceva discorsi divisivi, perché aizzava le paure del suo elettorato, mentre nel mondo post-obamiano a un certo punto qualcuno ha deciso che gli unici messaggi che dovrebbero farti vincere le elezioni sono quelli ottimisti ed entusiasti. Lo vedete che invece la paura vende benissimo? Scriverò. E del resto anche i clintoniani quando se la sono vista brutta non hanno forse cominciato a paragonare la presidenza Trump a un’apocalisse, non hanno tentato di spaventare gli indecisi? E così – anche se domani vincesse Trump – avrò dimostrato il mio punto.
Poi mi chiedono com’è che non mi sbaglio mai. Per la verità è facile. Di solito non ci provo neppure. Non avevo la minima idea su chi avrebbe vinto in UK, su chi vince domani, su chi vincerà il referendum. Dei sondaggi non mi fido e scommesse non ne faccio. C’è gente che si butta sempre sui pronostici, è una specie di malattia. Quelli che Trump doveva vincere in giugno, poi è sceso nei sondaggi e hanno scritto che lo faceva apposta perché era spaventato persino lui, poi è risalito di nuovo e… non so cos’abbiano scritto, li ho persi di vista. Buona notte a tutti (anche se andate a letto presto, domattina ne saprete quanto tutti gli altri).
Un giorno – possibilmente da qui ai primi di novembre – dovrò tentare di spiegare anche a me stesso perché Trump non mi sta spaventando neanche un quinto di quel che mi spaventava il piccolo Bush. Nel frattempo però lascio un appunto sul paragone più banale che sta girando tra i giornalisti: quello con Berlusconi.
Paragone ormai abusato non solo tra giornalisti italiani, a cui non sembra vero poter vantare vent’anni di esperienza di un mitomane col parrucchino (il che dimostra che in vent’anni non hanno messo a fuoco il problema): la cosa sta prendendo piede anche tra gli anglosassoni; per esempio ieri il Financial Times definiva Trump un “Berlusconi americano”, benché privo del suo fascino e del suo talento per gli affari (“albeit without the charm or business acumen“). Ok, divertente. E forse la maggior somiglianza col caso italiano non sta nei due personaggi, ma proprio nella reazione incredula e stizzita che scatenano presso il ceto intellettuale, non solo a sinistra: effettivamente il passaggio dalla sottovalutazione all’indignazione al panico qui in Italia l’abbiamo vissuta più di vent’anni fa. E abbiamo capito – purtroppo un po’ meno di vent’anni fa – che insistere sulle gaffes del tizio non fa che renderlo più forte verso il suo serbatoio elettorale: del resto in Italia l’anti-intellettualismo lo studiamo da un secolo, siamo passati per il fascismo e il qualunquismo ed evidentemente non abbiamo ancora trovato il vaccino efficace.
Detto questo, chi paragona Trump a Berlusconi mostra di non aver capito qual era il vero problema con Berlusconi: non il parrucchino, non le barzellette e le figuracce, le smorfie ai vertici internazionali (per quanto, via, chiamare kapò un europarlamentare tedesco) e nemmeno l’imbarazzantissima esuberanza sessuale, che è poi il motivo per cui all’estero lo conoscono e ce lo ricordano ridacchiando. Non è nemmeno il populismo – o meglio, il populismo è un problema grave, ma esisteva prima di Berlusconi e non è affatto tramontato con lui. E allora cosa?
C’è bisogno di ricordarlo? A quanto pare sì. Berlusconi possedeva quasi metà dell’etere televisivo, in spregio della normativa (Rete4 avrebbe dovuto finire sul satellite); e quando vinse le elezioni modificò la normativa e mise le mani anche sull’altra metà, quella pubblica. Nel frattempo era uno dei principali editori italiani, e uno dei principali concessionari di pubblicità, che raccoglieva sul mercato e rivendeva alle sue aziende. In sostanza per qualche anno in Italia non ci furono direttori di reti televisive e tg che lui non approvasse direttamente o indirettamente: malgrado fior di opinionisti assunti in queste reti o dai suoi giornali ci spergiurasse che no, Berlusconi non vinceva le elezioni grazie alle televisioni: che il fatto che continuasse a esercitare quel controllo, arrivando a fare i nomi di chi non voleva più in RAI, fosse semplicemente una coincidenza, una cosa che gli capitava di fare perché si sa, la tv è sempre stata il suo pallino.
Quanto a Trump, per quel che ne so è un palazzinaro e una celebrità televisiva. Ma non possiede la CBS, né la FOX, né la CNN né una delle Big Three: che di conseguenza possono decidere di parlare di lui come vogliono. Anche molto male. Forse avrete intravisto anche voi lo spezzone dello show di John Oliver (definirlo “comico” è riduttivo) dedicato a Trump: venti minuti di demolizione sistematica del personaggio, andati in onda su HBO e poi rimbalzati via internet in tutto il mondo. Ecco, questo su un canale televisivo italiano nel 2002 sarebbe stato impossibile. Negli USA invece si fa abitualmente, e si continuerà a fare persino nel malaugurato ma sempre più probabile caso in cui il mitomane di turno vinca le elezioni. Perché davvero, non è che le televisioni siano indispensabili per farti vincere.
Però in Italia aiutano.
Ognuno poi ha i suoi parametri, le sue pietre di paragone: il mio canarino-in-miniera è Giuliano Ferrara, a cui Trump dà un certo fastidio. Per il populismo? Ferrara ne ha avallati di peggiori. Per il cattivo gusto? Parliamo del tizio che si mise il rossetto e andò in piazza col cartello “siamo tutti puttane”, per solidarietà col capo accusato di avviare minorenni alla prostituzione. E allora, insomma, cosa c’era in Berlusconi che Ferrara non riesce a trovare in Trump? Secondo me è una questione preconscia: Ferrara non pensa, Ferrara annusa. E per quanto inspiri, non riesce a sentire quell’odore di vero potere che gli darebbe alla testa. Per un Berlusconi si sarebbe messo in mutande; per un Bush era disposto a millantare consulenze con la CIA; per Trump niente. Lo trovo molto indicativo.
Quando quattro anni fa l’allora presidente del consiglio Berlusconi si trovò nei guai per una questione di minorenni; quando fu accusato di aver fatto pressioni sui funzionari della questura di Milano perché rilasciassero Karima El Mahroug detta Ruby, la Camera dei Deputati si trovò in una situazione molto imbarazzante. Berlusconi non negava di aver telefonato in questura, ma sosteneva di averlo fatto nell’esercizio delle sue funzioni di premier, in quanto convinto, arcisicuro, che Ruby fosse la nipote del dittatore-presidente egiziano Mubarak. Su questo singolo punto la Camera fu chiamata a votare il 5 aprile del 2011; su questo singolo punto si pronunciò. La maggioranza dei deputati votò a favore. 318 deputati – per la maggior parte iscritti ai gruppi del Popolo della Libertà e della Lega Nord – affermarono con quel voto che sì, Berlusconi aveva davvero creduto che Ruby fosse la nipote di Mubarak. I loro nomi furono pubblicati, per esempio, dall’Unità, senza altro commento – tanto inappellabile era l’infamia. Molti di quei trecento siedono ancora in parlamento, eppure tante cose sono cambiate.
Due giorni fa il Senato della Repubblica si è trovato in una situazione imbarazzante. Il senatore Roberto Calderoli, che aveva depositato un mezzo milione di emendamenti alla riforma costituzionale, ha insistito perché non si posticipasse un voto su di lui, che nel 2012 in un comizio a Treviglio aveva paragonato l’allora ministra Kyenge a un orango. Un pubblico ministero aveva ravvisato in un simile paragone un’aggravante razziale. Il senato doveva scegliere se autorizzare o no un processo. 196 senatori – 81 dello stesso partito della Kyenge – hanno votato no: per loro non c’è nessuna aggravante razziale nel paragone tra un ministro di origine africana e un orango. Pare che siano cose che capitano nei comizi, un senatore del PD ha dichiarato proprio così:
“le parole pronunciate dal senatore Calderoli vanno valutate nell’ambito di un particolare contesto di critica politica” e “spesso nella satira si paragonano persone ad animali, senza che tali circostanze diano luogo a fattispecie criminose”.
Devo ammettere di avere io stesso più volte paragonato Calderoli a un suino, a causa di certi suoi deprecabili costumi. In coscienza, nemmeno io credo di aver dato luogo a fattispecie criminose. Ho ricordi più o meno vaghi di cavalli di razza, topi e rospi, e poi a un certo punto il bestiario ci sembrò inadeguato e arrivammo alle mortadelle. Però, insomma, non ravvedere il razzismo in un paragone tra una donna di origine africana e un orango è un po’ grossa. Potrei quasi capirla se dietro ci fosse il nobile intento di salvaguardare la libertà di espressione degli eletti dal popolo: peccato che tra quei 196 senatori ce ne siano parecchi del tutto favorevoli a processare Calderoli per quel che ha detto. Ma solo per diffamazione, senza aggravanti razziste. Insomma, paragonando la Kyenge a un orango, Calderoli l’ha offesa. Però la ha offesa senza razzismo. Senza sobillare il razzismo della platea a cui si rivolgeva. I 196 senatori la pensano così.
Allora mi chiedo: che strada abbiamo fatto dal 2011 a oggi? È peggio una Camera che prende per buona qualsiasi cazzata si inventa l’avvocato di Berlusconi, o un Senato che per mandare avanti un’orrenda riforma costituzionale si tappa le orecchie, gli occhi, il naso per non sentire la puzza di un porco razzista – animale peraltro dal fiuto notevole, tant’è che dopo il voto che l’ha graziato ha prontamente ritirato gran parte degli emendamenti?
Ho esitato molto a proporre questo spunto, che infatti arriva nell’ultimo giorno utile. È l’unico spunto nonfiction, si dice così adesso. È uno spunto né originale né tempestivo – anzi è deliziosamente fuori moda – ma che muove da una profonda riflessione scaturita da un rapido esame al mio archivio.
Ci sono 177 pezzi su Berlusconi. (La stima è per difetto). Che ne faccio?
Tra un po’ saranno quasi tutti incomprensibili. Alcuni già lo sono. E però è seccante – questa è la parola – buttar via tanto lavoro. Tanta roba scritta nell’impellenza di un momento, quando sembrava importante, sembrava interessante, e adesso non si capisce nemmeno di cosa stessi parlando. Possibile che non si possa riciclare?
In fin dei conti SB è stata una presenza fissa nella mia vita. Quando ho iniziato a guardare i cartoni animati, lui si è comprato tutti i canali privati e ci ha messo la pubblicità. Quando ho cominciato a nutrire attenzioni per le forme femminili, lui mi ha sbattuto in faccia l’inquietante Tinì Cansino. Quando ho avuto finalmente l’età per votare, lui si è preso tutti i partiti di centrodestra e ha vinto le elezioni. Il primo pezzo che ho scritto su un giornalino parlava di Berlusconi e dei suoi sondaggi. Poi sono cresciuto e Berlusconi è cresciuto con me – anche un po’ in me, naturalmente. Sembrava sempre lo stesso, e invece ogni anno era un po’ diverso. Spariva per mesi, tornava abbronzato in bandana, diceva due cazzate all’europarlamento, mi forniva così tanti spunti per sembrare intelligente. Tra noi è stata una storia lunghissima, e LO SO, NON INTERESSA PIÙ A NESSUNO, però è una cosa che si scrive da sola.
Questa era tra l’altro l’idea originale di Storia d’Italia a Rovescio; poi decidemmo di non fissarci solo su SB. Ma era ancora il 2006, mancava per esempio ancora tutta la fase puttaniera. Con poco sforzo finirebbe pure per sembrare una parodia di Piccolo, basta inserire qualche minimalismo al volo, non so quando trasmisero la vhs della discesa in campo, mio padre disse: boh, non so cosa pensare, ma io ero al bagno perché avevo un virus intestinale (non è vero niente, ma per fare un esempio al volo).
Alla fine più che di Berlusconi si parlerebbe dell’antiberlusconismo, anzi dei cinque antiberlusconismi: di come sono degenerati o sono stati sconfitti. Però c’è anche un altro aspetto che mi piacerebbe salvare, ed è la simpatia. Io ho senz’altro odiato Berlusconi, però ogni volta che mi capitava di scrivere una storiellina su di lui, ne facevo un personaggio simpatico. Non so perché. Non mi capita con tutti, per esempio con Bush Jr sì, con Renzi no. È una tendenza che è cominciata prestissimo, e non è praticamente mai finita. Se riuscissi a mettere insieme tutti i pezzi, ne salterebbe fuori un Berlusconi non dico verosimile, ma umano. A guerra finita, sarebbe anche un modo di congedarsi con dolcezza.
Se insomma ti interessa un collage di tutti i Berlusconi comparsi su questo blog e qui intorno, dovrai votare per Love of My Life, che oggi se la gioca conLe 1+2+3+4+5+6+… notti. Sentiti libero di cliccare Mi Piace su Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
“Quindi quelli erano…” “La concorrenza”. “I comunisti”. “Una specie”. “Non li immaginavo… così”. “Erano giovani”. “E niente bandiere”. “Così è facile confonderli”. “Avete visto cosa hanno fatto… mi hanno circondato e… hanno tirato fuori quegli affari”. “Gli smartphones”. “Proprio come se fossero i nostri. Non me lo sarei mai immaginato”. “Che immaginava che sarebbe successo?” “Non so. Un lancio di monetine. Una statuetta sui denti”. “I tempi sono cambiati”. “E invece sono venuti a farsi il selfie. Cosa sta succedendo?” “Non se la prenda troppo, Presidente”. “Domani tutti mi prenderanno in giro perché non so riconoscere la mia gente, mi daranno del vecchio rincoglionito. Ma cosa sta succedendo a loro? Perché non mi hanno cacciato via?” “Erano giovani”. “I giovani di solito erano i più incazzati. Possibile che io non faccia più paura?” “Presidente…” “Neanche un po’ di rabbia? Niente?” “…È stato solo un misunderstanding, vedrà che domani dichiareranno di essersi incazzati tantissimo per la sua provocazione”. “Forse sono davvero un vecchio rincoglionito”. “No, Presidente, lei no…” “Posso accettare di essere un vecchio rincoglionito. Ma resto lo stronzo di sempre, non è che se mi invito a casa vostra voi vi mettete in posa. Sono sempre il vostro nemico numero uno, v’ho battuto per vent’anni, non scordatevelo mai”. “Non se lo scordano, Presidente”. “È una questione di rispetto”. “Siamo arrivati, Presidente”. “Questi sono i nostri, quindi?” “Questi sì”. “Da cosa li distingue?” “Più nokia che iphones”.
Ma lo ricordate il rottamatore che con l’entusiasmo dei 39 anni accusava gli avversari di voler infilare i gettoni dell’iphone? Ricordate Matteo Renzi quando era il futuro, e non si faceva inquadrare per 17 minuti davanti a una lavagna – non di quelle digitali, no, una lavagna vecchio stile, senza risparmiare agli utenti lo strazio del gessetto sull’ardesia? Che avrebbe detto il giovane Matteo di questo noioso supplente 40enne che scrivendo volta le spalle, e neanche si porta da casa le slide?
Che sta succedendo a Renzi? È da mesi che cerco di criticarlo senza chiamarlo il nuovo Berlusconi. Credo davvero che siano diversi e non abbia senso confonderli – ci terrei a non passare per un ossesso che vede la sagoma di Berlusconi in ogni fenomeno che non gli piace. Lui però non è che mi aiuti molto. Manda in giro una vhs un video in cui spiega alla lavagna le belle cose che farà. C’è pure la libreria sullo sfondo. Ieri pare abbia dichiarato “non metterò le mani in tasca agli italiani”. Insomma, berlusconeggia apposta, o gli viene spontaneo e neanche se ne accorge? Quale opzione è meno inquietante?
Io vorrei non confondere Berlusconi e Renzi, ma mi domando se Renzi ci tenga altrettanto; o se l’esigenza di attirare gli elettori che abbandonano Forza Italia non lo stia forzando a un mimetismo sempre più aderente al modello. Non succede anche agli iphone la stessa cosa? Lo stato dell’arte quando li scegli, vecchi rottami tre anni dopo.
(Riassunto: cosa c’è dietro il renzismo, questo misterioso fenomeno che nelle menti di molti nostri amici ha sovvertito alcuni concetti, ad es. la democrazia? Non si sa, però nel frattempo il berlusconismo è finito e non abbiamo elaborato nessun lutto. E se non fosse una coincidenza?)
La gente che dice di ricordarsi le cose, mente. I ricordi non sono come documenti crudi emersi da un archivio. Sono un continuo rimontaggio di frammenti che deformiamo a piacere in continuazione, qualcosa che reinventiamo tutti i giorni, adeguandola alle informazioni che abbiamo oggi, alle cose in cui crediamo adesso. Mai esattamente la vecchia canzone, sempre la cover della meteora del momento.
Ora dobbiamo raccontare a noi stessi come abbiamo passato gli ultimi vent’anni; e spiegare a noi stessi che non abbiamo perso tempo a paventare il golpe di un vecchietto sessuomane. Molti non ci riescono. Vent’anni, santo cielo. Possibile che non abbiamo parlato d’altro? Cosa ci era successo?
A questo punto scatta la reazione più inevitabile: il nostro io narrante, l’incessante cercatore di nessi causa-effetto, comincia a girare a vuoto e, non trovando nessuno più plausibile a cui dare la colpa, la rovescia su di sé. È colpa nostra. Lo avevamo scambiato per un gigante, e non capivamo che era un nano. Siamo stati noi a non volerlo sconfiggere. Sarebbe bastato così poco. Se Bertinotti nel ’98 non avesse. E Turigliatto nel 2008. E Bersani. C’è tutta una serie di episodi che si inserisce perfettamente nella narrazione, che da cronaca politica diventa immediatamente apologo morale: Bertinotti nel ’98 rappresenta l’anima massimalista coerente fino all’autolesionismo che è da reprimere in ciascuno di noi, ecc.. Turigliatto ne è una riedizione in sedicesimo, ma vi aggiunge un altro concetto importante: l’orrore per il diverso. Bertinotti era ancora parte di noi, Turigliatto il nostro amico che rifiutava di crescere, quello con cui dovevamo smettere anche solo di discutere, tempo perso. Da soli, possiamo andare solo da soli, in un posto che sappiamo solo noi. A sentirli parlare, sembra che Berlusconi non abbia governato per metà del tempo.
A questo punto tocca inserire qualche dato discordante, giusto per verificare se la storia non assume un senso diverso. È difficile negare l’impatto emotivo che ebbe nel 1998 la sfiducia a Prodi da parte della Rifondazione di Bertinotti. Quella sera si ruppero amicizie, un partito si spezzò in due cocci che non si sono mai più messi assieme. Ma emotività e frazionismo a parte, fu la fine del centrosinistra? No. Affondò al massimo l’Ulivo di Prodi, che avrebbe navigato comunque a vista fino ai bombardamenti in Serbia. Seguì D’Alema, e poi Amato. A questi governi si possono rimproverare molte cose (la mancata legge sul conflitto di interessi tra le prime), ma proseguirono un’operazione di risanamento e verso la fine avevano anche un tesoretto da reinvestire. La legislatura si spense al suo termine naturale, dopo cinque anni; poi rivinse Berlusconi, come spesso capita in democrazia.
Bertinotti nel ’98 fece cadere un governo, ma non ci precipitò in nessun baratro. Berlusconi tornò al governo solo tre anni dopo, e non ci tornò perché il centrosinistra era litigioso e inconcludente. Ci tornò perché prometteva, come al solito, il bengodi, e molti italiani si dissero: proviamo, magari stavolta toglierà a qualcun altro per regalare a me. Prodi e Amato, in effetti, non regalavano quasi mai niente a nessuno. Berlusconi non tornò al potere per colpa di Bertinotti o per colpa nostra – a meno che tu che leggi non l’abbia votato nel 2001. L’hai votato? Io no, quindi perché mi dovrei sentire colpevole?
Perché se riconosco che sono innocente, devo poi accettare una verità un po’ più dura, ovvero che sono impotente. Preferiamo vivere nel mondo magico della prima infanzia dove ogni avvenimento è connesso con i nostri desideri, che in un universo assurdo che può implodere in qualsiasi momento senza un motivo. La vittoria di Berlusconi nel 2001 era abbastanza ineluttabile: il naturale ritmo dell’alternanza, il logoramento dei partiti di governo, l’opacità del candidato rivale che pure era stato scelto belloccio e relativamente giovane. Ma con un po’ di sforzo possiamo immaginare che sia stata invece colpa nostra. Eravamo litigiosi e disuniti e così vinse lui.
Cominciò una lunga traversata nel deserto. Cominciò nel peggiore dei modi – Genova – proseguì in modo abbastanza pirotecnico con l’11/9 e le manifestazioni antiguerra. Nel frattempo il governo tentava di sfondare sull’articolo 18, trasformando per qualche mese Sergio Cofferati nel leader della sinistra. Non funzionò, la guerra in Iraq monopolizzava il dibattito e a metà legislatura cominciò a esser chiaro che il governo sonnecchiava. Berlusconi non si faceva vedere per mesi e poi riemergeva con qualche ruga in meno e il parrucchino più basso. Nel frattempo la sinistra si riorganizzava intorno a Prodi e tutto lasciava pensare che nel 2006 il pendolo sarebbe tornato dalla nostra parte.
Non fu così.
Ma questa è un’altra cosa che ci stiamo raccontando male. Non fu così a causa di Mastella, o di Turigliatto. Se Mastella e Turigliatto divennero così importanti fu perché quelle elezioni, l’Ulivo, non le vinse. Le pareggiò. E senza la lotteria delle circoscrizioni estere, le avrebbe perse. Trovatosi in una situazione molto particolare (che mal si adatta alle nostre ricostruzioni personalizzate), Prodi decise di andare avanti a oltranza.
E poi successe qualcosa di piuttosto grave che non ci raccontiamo quasi mai. Ci raccontiamo di Mastella e di Turigliatto, e ci dimentichiamo di De Gregorio, il senatore dell’Italia dei Valori che passò al centrodestra, e che qualche anno dopo rivelò di avere ricevuto tre milioni di euro da Berlusconi per questo motivo.
Insomma Berlusconi stava usando le sue ingenti fortune (messe assieme frodando il fisco, corrompendo la guardia di finanza, mantenendo illegalmente una posizione di monopolio televisivo, e altre cose che mi dimentico o che magari non sappiamo) per causare una crisi di governo. Questo non ce lo racconta soltanto De Gregorio, ma la celebre intercettazione col dirigente Rai Saccà in cui spiega che la tal attrice piace a un altro senatore del cui voto ha bisogno per far “cadere il governo”.
Berlusconi congiurò per far cadere Prodi. Offrì ricompense in denaro e in natura. E noi tutto questo lo sappiamo, ma non ce lo raccontiamo. Ci raccontiamo che è stato Turigliatto. Ma qui non è più questione di racconti. Il voto di De Gregorio pesava tanto quanto quello di Turigliatto: rammentare soltanto il secondo è una nostra scelta, magari non del tutto consapevole. È che quando immaginiamo Berlusconi vediamo ormai un vecchietto ai servizi sociali: non il corruttore che spendeva milioni per sciogliere un parlamento. Stiamo cercando di rimuoverlo da tutti i ricordi che abbiamo, belli e brutti, e quindi togliamo la nozione di lui che paga De Gregorio e la sostituiamo con una in cui Turigliatto per coerenza fa cascare il governo su un voto per l’Afganistan. Mai più governi di coalizione! Guarda cosa succede a farli!
Vedi che forse una rimozione c’è. Passiamo il tempo a guardarci negli occhi, a rovistare alla ricerca di infinite pagliuzze, a gli errori che commettemmo nel 1998 o nel 2008 – nel frattempo Berlusconi ci entra in casa con una trave bella grossa, ma che importa? È esattamente la reazione di certe coppie anziane dopo che la loro casa è stata svaligiata. Forse non ho chiuso bene la finestra. Forse non ho acceso l’allarme. Se avessi almeno lasciato una luce accesa. Insomma, deve essere colpa mia. I ladri non entrano nella casa di chi è senza colpe.
Non importa quanto Berlusconi ci abbia danneggiato in questi vent’anni. A un certo punto abbiamo deciso che ci meritavamo tutto. Che quel che ci offendeva davvero non erano gli abusi che commetteva quotidianamente (tra le altre cose un’emittente tv lasciata illegalmente in chiaro per più di dieci anni a sparar propaganda), ma il “Berlusconi in noi”. Abbiamo interiorizzato. Abbiamo introiettato. Ci siamo fottuti, pardon, da soli. Avremmo potuto sconfiggerlo soltanto dentro di noi. Come non era chiaro: bisognava essere più onesti di lui ma non elitari, più intelligenti di lui ma non snob, bisognava domandarselo spesso. Che nel frattempo il Berlusconi vero, in carne e ossa, avesse campo libero per corrompere senatori era tutto sommato irrilevante. Lo avremmo battuto sul campo (anche se barava) soltanto quando fossimo riusciti a eliminarlo in noi. Finché qualcuno a un certo punto non ebbe l’idea: potremmo provare a rimuoverlo, semplicemente. Cancellare in noi l’antiberlusconismo, che non è che un fantasma speculare di Berlusconi stesso. Se smettiamo di essere antiberlusconiani, anche Berlusconi d’incanto sparirà. Siamo nel puro pensiero magico, come si vede; stavamo regredendo, o forse eravamo semplicemente disperati.
Vieni a farcela davanti, la psicopatologia, se ne hai il coraggio.
Quando si iniziò a discutere di Italicum, lasciai scritto che mi sembrava di ritrovarmi tra i rinoceronti di Ionesco. Intorno a me un sacco di gente cominciava a comportarsi in modo strano, al punto che valeva la pena di domandarsi se quello impazzito non fossi io. Tra i sintomi che notavo più spesso, la totale fiducia in qualsiasi numero Renzi (e Berlusconi) stessero mettendo per iscritto. Volevano governare col 35%? Ma perché no, in fondo è più di un terzo degli elettori; avrà ben diritto un terzo di decidere per gli altri due. Si trattava di gente con cui ero andato d’accordo, magari non in tutto ma nelle linee fondamentali: banalmente, erano stati antiberlusconiani e lo ero stato anch’io. Ma non avevamo mai perso tempo a domandarci a vicenda cosa pensavamo della democrazia, e quindi può effettivamente darsi che per tutto questo tempo avessimo mandato avanti un colossale equivoco: per me servirebbe, è sempre servito, almeno un 50%, e questo spiegava la mia disponibilità alle alleanze, perché non ho mai sperato di andar totalmente d’accordo col 50% degli elettori.
Scoprivo invece, discutendo con questi miei amici e (ex?) compagni, che la mia disponibilità era male, malissimo, il primo degli errori della sinistra. Il paradosso per cui chi mi raccontava queste cose stava sostenendo un governo Pd+Ncd, e riteneva una buona idea far scrivere un po’ di legge elettorale a Berlusconi, si risolveva rapidamente: come ogni guerra si fa perché sia l’ultima, queste riforme si facevano assieme affinché, da lì in poi, non ci fosse più nessuna possibilità per una coalizione in Italia. Mai più. Il solo inciucio necessario è quello che porrà fine per sempre a ogni inciucio. Meglio far scegliere a un solo terzo di elettori, piuttosto che correre il rischio di un nuovo quadri o penta o decapartito, una nuova ammucchiata rissosa e ingovernabile.
Senza essere un appassionato di ammucchiate, non le trovo il peggiore dei mali: considero la negoziazione una delle principali arti del politico, e che tutto quello che riusciamo a fare – tutto – sia il risultato di un compromesso. Intorno a me, col tempo, mi sembrava di vedere solo gente che più o meno la pensava allo stesso modo. Poi arriva Renzi e mi trovo improvvisamente circondato da un branco, scusate, di rinoceronti che mi garantiscono educatamente che no, ogni compromesso è una sconfitta; negoziare è fallire; e sventurato è il popolo che non conosce il nome del suo leader la sera delle elezioni. Magari nel lungo periodo avranno pure ragione loro, devo ammettere che la loro corazza è di un grigio assai elegante; nel frattempo però mi piacerebbe capire com’è successo: com’è che una mattina ti spunta un corno sul naso? com’è possibile che persone sinceramente democratiche a un certo punto abbiano deciso di passar sopra alla definizione stessa di democrazia? È il risultato di un evento traumatico? E se sì, quale?
Un indizio
In seguito ha fondato altri due partiti, giuro.
Franco Turigliatto è un politico torinese. Nel 2008 era già stato allontanato da Rifondazione per aver votato l’anno prima contro una mozione del ministro degli esteri, D’Alema, sulle missioni militari all’estero. Quando nel 2008 vota la sfiducia al governo Prodi, dunque, Turigliatto non è più nella maggioranza di governo – anche se mesi prima aveva dato un voto di fiducia. Si tratta insomma di una storia complicata, però nella memoria di molti rinoceronti, pardon, interlocutori, le cose si sono molto semplificate. Complice forse il cognome un po’ onomatopeico, Turigliatto è diventato un sinonimo di sinistra litigiosa e irresponsabile (eppure per un solo voto dato secondo coscienza il suo stesso partito lo aveva cacciato: pensate cosa sarebbe successo a Civati). Pare che non sia possibile dialogare con la sinistra – ma forse non è possibile dialogare in generale – perché la sinistra è… Turigliatto. Questo malgrado Turigliatto non sia stato né la causa prima né, a ben vedere, il killer del governo Prodi (e anche se lo fosse, forse dovremmo preoccuparci un po’ di più del mandante). Però fateci caso: il vostro amico magari già veltroniano e sicuramente renziano, quello che non ha nessuna difficoltà a chiamare democrazia il governo del 35% o del 40%, Turigliatto se lo ricorda. “È quello che ha mandato a casa Prodi”. “Ma veramente no”. “Ricordi male”.
Premessa semiotica
Non so se si possa vivere senza narrazioni, contrapponendo al termine ormai odioso qualche parola di battaglia, che ne so, “storia” (no, è ambigua), “scienza” (ma bisognerebbe essere davvero scienziati), “realtà” (hai voglia).
Diciamo che se narrazione dev’essere, almeno non sia propaganda; è nostro dovere esigerla tanto meno consolatoria quanto più aderente ai fatti. Come facciamo a riconoscere una pessima narrativa? È semplice. Più lineare è, più facilmente il narratore si sarà preso delle licenze. In quei casi i numeri di solito non tornano, e spesso semplicemente non ci sono perché annoiano la gente. Se poi la narrazione corrisponde magicamente alle fasi standard della vita di un uomo; se parte battagliera, passa per alcune delusioni politico-amorose e poi diventa saggia e paziente, e se a Piccolo fischiano le orecchie, siamo dalle parti della propaganda: anche ben scritta, non siamo mica a dare i premi qui. Stiamo solo cercando di capire chi ci prende in giro, e come, e perché.
Premessa storica inutile
Settant’anni e qualche giorno fa, il corpo di Benito Mussolini, della sua amante e di alcuni tra i suoi collaboratori più fedeli penzola dalla tettoia di una stazione di servizio a Milano. Chi vuole può andare là e sputargli addosso. Qualcuno ci va e non ha ancora tolto la camicia nera dal fondo di un cassetto (alcuni partigiani, viceversa, inorridiscono). Per qualche anno, nessuno sarà più fascista in Italia: anzi il fascismo sarà vietato.
Il berlusconismo non finirà così. Essendo incommensurabilmente meno violento, è giusto che si smorzi più dolcemente. Ma per quanto possa essere graduale e lungo l’addio, prima o poi dobbiamo farci i conti: non c’è più. Occupava una parte importante della nostra vita, e non la occupa più. Per chi si è interessato di politica, nel modo ossessivo e un po’ insano in cui ce ne interessiamo in Italia, è un lutto paragonabile alla perdita di una persona cara. Forse. In realtà io ho perso persone care, e in questo momento non mi sento proprio così. Mi sento più come quando finisce una relazione importante. Da una parte, è un grosso peso in meno. Dall’altra, hai questa sensazione di svegliarti da un coma di dieci, di vent’anni: dove sono stato per tutto questo tempo? Cosa ho fatto? E chi sono?
Ma non è rimozione. Perlomeno, non ne ha l’aria. I ricordi, se do un’occhiata, sono tutti al loro posto. So benissimo dove ho passato gli ultimi vent’anni, ma non capisco più il perché. Davvero ho perso tanto tempo con lui? Come è potuto succedere? I ricordi sono ancora al loro posto, ma non hanno più il significato che avevano prima. Quel che non riesco più a richiamare non sono gli episodi, ma i sentimenti che allora provavo, e adesso non più. Davvero ho avuto paura di Berlusconi nel ’94? Come ho potuto? Eccome se ne avevo paura: mi sembrava pervasivo e spietato, non avrebbe fatto prigionieri, ma tabula rasa di tutto (mi sbagliavo poi di tanto?) E d’altro canto come potevo immaginare tutti i momenti buffi che ci avrebbe regalato, la proporrò per il ruolo di Kapò, abolirò l’ICI, il bunga bunga. Come potevo anche solo figurarmi che cialtrone fosse. Ora che so tutte queste cose su di lui, non posso più vederlo come nel ’94… (continua)
“Ma quindi insomma non lo hai detto?” “Eh?” “Non hai mai dato della culona alla Merkel”. “Ah no?” “Non risulta da nessuna parte. Lo scrive Facci, guarda”. “Ma cosa vuoi che ne sappia Facci, eddai”. “Si è letto tutti i testi delle intercettazioni del processo di Bari e non c’è nessuna Merkel culona”. “Eeeeh, ma chissà se li è letti davvero e non ha fatto… come dite voi giovani… controleffe“. “E che importa? Non risulta”. “Ma magari invece di culona l’ho chiamata chiappona, lui cerca *culona* col controleffe e non la trova”. “Ma *Merkel* l’avrà cercato, no?” “Ma magari ho detto *cancelliera chiappona*, che ne sa lui”. “Ma scusa perché tu?” “Io cosa?” “Tu lo saprai bene cosa hai detto della Merkel, no?” “Io?” “Cioè tu non sai se hai detto o no culona inchiavabile?” “Tesoro, ma come cribbio faccio a saperlo”. “?” “Va bene, lascia che ti spieghi”. “Non cominciare con quel tono”. “È che voi giovani non vi rendete conto… state tutto il tempo a pigiare su quei smarfon… vi scrivete chilometri di cazzate e resta tutto, compresa una stronzata che hai detto otto anni fa a una compagna antipatica. Fai controleffe e la trovi, vero?” “Al massimo melaeffe”. “Quel che vuoi, Tesoro, non me ne frega un c – ma devi capire che ai miei tempi era diverso. Si stava ore al telefono con questo e con quello, e sai quante cazzate toccava sparare per tirarsi su il morale? Ora se a un certo punto in una telefonata di cento anni fa ho detto che la Merkel era inchiavabile, ma secondo te me lo posso ricordare in un qualche modo? Non mi ricordo nemmeno con chi ero al telefono e perché”. “Comunque non risulta”. “…poi a un certo punto sento che parlano tutti di questa cosa che avrei detto alla Merkel… addirittura i giornali inglesi, e chi sono io per smentire i giornali inglesi? Cioè se lo hanno scritto loro io mi fido”. “Invece se lo sono inventati al Fatto”. “Quelli sono fortissimi. E pensa che non li pago nemmeno”. “Li potresti denunciare”. “Tesoro, mi hanno fatto vincere le elezioni”. “Ma almeno convocare una conferenza stampa, per avvertire tutto il mondo che…” “Che è davvero una culona! Ottima idea. Così leviamo il dubbio a tutti quanti”. “…” “Non fare quella faccia, se non lo dico io ci pensa Grillo… o Salvini. Io ho un personaggio da difendere, capisci?”
Con quella sua faccia sempre più di cera, tesa dietro gli occhialini da pokerista non vedente; con le sue condanne in via definitiva e la fidanzatina col guinzaglio; col suo partito sempre più leggero, tanto simile a una squadra che dopo aver vinto tutto si è stancato di pagare; col suo impero di antenne sempre fragile, sempre a un passo dall’invasione dei barbari, eppure dopo quarant’anni è ancora lì; ma come si deve sentire Silvio Berlusconi al pensiero che se volesse, se solo volesse, potrebbe davvero riprendersi l’Italia in un paio di mosse – neanche particolarmente astute. E come dobbiamo sentirci noi, a dover dipendere dalla sua ragionevolezza, dal senso di responsabilità di un tizio che racconta scemenze allarmiste sull’Ebola in diretta.
E vorrei tanto sbagliarmi, ma davvero, è così fragile il filo che tiene Matteo Renzi appeso alla sua macchina teatrale di leader della nazione; così debole il suo consenso, fatto ormai più di gente che si astiene che di gente disposta a votare per lui. Basterebbe un nonnulla, un piccolo colpetto, un ago di bilancia, per disarcionarlo e riportare una destra di popolo al potere; e Berlusconi è molto più di un ago. Non è più Van Basten, siamo tutti d’accordo; forse non avrebbe neanche più i soldi per comprarselo; ma oggi il campionato in Italia si vince con molto meno. Se Renzi non è il fenomeno carismatico e politico che a un certo punto abbiamo tutti sperato che fosse (anche i suoi oppositori, per avere almeno qualcosa di interessante a cui opporsi), Salvini è, con tutta la più buona volontà, un calzino rattoppato che può credersi qualcuno soltanto nel Paese delle mezze calze. I media credono in lui come si crede al campioncino del momento, quello che ha infilato tre gol in tre partite e in primavera starà già annaspando. Bossi ha deluso, Grillo ha deluso, Renzi è quel che è, buttiamoci su Salvini. È una bolla come un’altra, potrebbe scoppiare da un momento all’altro; ma se invece Berlusconi volesse investirci davvero? Non avrà i soldi del ’94, ma – no, aspetta, nel ’94 aveva forse più debiti che adesso. L’asta poi rischia di andar deserta, l’Italia oggi vien via per molto meno.
Attenzione, non basta misurare la popolarità attuale di Salvini e moltiplicarla per i ripetitori di Silvio Berlusconi. Bisogna anche calcolare cosa succederebbe dal momento in cui Renzi smettesse di essere, per la stampa e per le tv mediaset, quel simpatico bischero con tanta genuina voglia di fare che può andare da Barbara D’Urso a vendersi gratis. Dopo che Corriere, Repubblica e a momenti anche la Stampa hanno voltato le spalle, nel momento in cui metà dell’etere nazionale cominciasse a pompare un Salvini cacciazingari ma dal cuore d’oro, anti-euro ma con giudizio, e Renzi si ritrovasse davvero solo col suo twitter. Tutto questo magari all’indomani del varo di una legge elettorale concepita per regalare legislativo, esecutivo e quirinale a chiunque arrivi primo, e il secondo a casa. Quanto spero di sbagliarmi quando penso che da uno scenario del genere, in sostanza un sogno bagnato di Borghezio, mi separa soltanto la coscienza di un uomo.
Un uomo con quella faccia di cera e gli occhialini da pokerista cieco, e la ragazza trofeo col cagnetto; un tizio che non è detto che abbia una coscienza – non quella che io chiamo coscienza – ma posso soltanto sperare abbia ancora quel tanto di raziocinio da capire che appaltare la baracca a Casa Pound e avviare procedure per l’uscita dell’euro (anche solo per finta) non conviene, per primo, neanche a lui e alle sue aziende. Non mi aspetto che abbia a cuore il destino dell’Italia e dell’Europa; ma almeno delle sue aziende.
Poi penso a come ha lasciato ridurre il Milan, e davvero, mi preoccupo.
Perché dietro a quegli occhialini e quella faccia di cera potrebbe pure esserci qualcuno che a questo punto ci odia – non gli mancherebbero i motivi; qualcuno ben disposto a lasciarci distruggere, anche solo per dimostrare ai suoi figli che lui, solo lui era il migliore, e senza di lui nessuno sarà mai più buono a combinare qualcosa.
Il diciotto gennaio del 2014, il segretario del PD – non ancora presidente del Consiglio – Matteo Renzi incontrò Berlusconi e stilò con lui la bozza di una riforma elettorale (secondo i berlusconiani c’era anche una postilla, una riforma della giustizia, robetta). Un mese dopo Matteo Renzi si installava a Palazzo Chigi e annunciava “una riforma al mese”; in particolare la riforma del Senato era prevista intorno al 25 maggio, mentre quella elettorale sarebbe stata pronta per settembre. Entrambe erano state concordate con il presidente di uno dei principali partiti dell’opposizione, Silvio Berlusconi, e quindi non era così strano scommettere su un percorso parlamentare abbastanza breve.
È il 25 luglio del 2014. Sono passati cinque mesi, non tutti scanditi dall’approvazione di memorabili riforme. Renzi nel frattempo ha vinto le elezioni europee, ma il parlamento è ancora quello di prima, ed evidentemente maldigerisce il ritmo decisionista del nuovo arrivato. La riforma elettorale è impantanata in Senato, Grasso su pressione del Quirinale ha contingentato la discussione sugli emendamenti; il voto è previsto per l’otto agosto, ma Calderoli (che a questo punto è di quelli che la sa lunga) dice che tanto non passerà. Qualcuno potrebbe argomentare che l’idea di affidarsi a un parlamento vecchio per lanciare una serie di riforme rottamatrici e destabilizzanti non era, in partenza, molto brillante: ma è andata così, inutile recriminare. Piuttosto è interessante notare come ieri sera il ministro Boschi abbia buttato lì una notizia che, in effetti, cambia le carte in tavola: ha riconosciuto che una volta emanate le riforme si farà un referendum confermativo.
Lo ha detto come se fosse una cosa scontata, e invece no, scontato fin qui non lo era affatto. Il referendum confermativo (che non richiede il quorum) si può fare soltanto se una modifica costituzionale non ottiene una maggioranza qualificata in parlamento (due terzi). In sostanza, con molta serenità la Boschi ha ammesso una sconfitta: dopo cinque mesi che se ne parla, e ogni settimana è data per decisiva, alla fine la legge non ha ancora una maggioranza che le consente di camminare con le sue gambe. Berlusconi sembrava d’accordo, Alfano era d’accordo, eppure per una strana serie di circostanze la maggioranza necessaria non c’è. Bisognerà chiedere il parere agli italiani. Una prova di forza che Renzi è evidentemente sicuro di superare, anche se –
– c’è qualcosa che non ho capito, scusate. Ma allora perché facciamo le riforme con Berlusconi?
Avevo capito che fosse una scelta, come dire, obbligata. Perché d’accordo, è un vecchio laido condannato ai servizi sociali, ma c’è ancora tanta gente che gli vuole bene, e chi siamo noi per giudicare. Soprattutto, era l’unico che poteva portarci in dote una maggioranza qualificata. Ora però si scopre che questa famosa maggioranza non c’è. E quindi, insomma, se la dote non c’è di solito il matrimonio salta. Nei matrimoni d’interesse, perlomeno funziona così. E questo è un matrimonio d’interesse, vero?
O è un matrimonio d’amore?
Ecco, magari prima di andare avanti verifichiamo questa cosa, che è importante. Qualcuno si è forse innamorato di Berlusconi ultimamente? Io no. Tu sì? Ammettilo, accettalo, anche perché sennò questa cosa non si spiega. Io ero rimasto che con Berlusconi si dovesse fare un affare: le riforme con la maggioranza qualificata. Peraltro, sono riforme piuttosto brutte – in sostanza è l’ennesima riproposizione di quella portata indigesta che non ci è mai andata giù, il presidenzialismo. Il patto di fidanzamento – per quel poco che si sa – prevedeva addirittura un ballottaggio-referendum tra i due candidati meglio piazzati, una cosa che in Europa non si è mai vista; un tie-break dove chi la spunta di uno 0,1% vince tutto. Più presidenzialista di così, senza metterci l’etichetta “presidenzialismo”, è oggettivamente impossibile. Pure questo avevamo concesso a Berlusconi – però lui doveva portarci una dote in cambio. La dote dov’è?
Quindi, ricapitolando. La riforma faceva schifo, ma era l’unica che si poteva fare con una maggioranza qualificata, cioè Berlusconi – però si è scoperto che Berlusconi non vuol dire maggioranza qualificata.
Faceva schifo, ma se ne poteva discutere: non in commissione però, in aula. Poi si è arrivati in aula e si è scoperto che non si poteva discutere neanche lì.
Ora pare che si andrà al referendum. Mettiamo le cose in chiaro: sarà un referendum su Renzi – non c’è verso che si possa impostare diversamente. Ma sarà anche la cerimonia nuziale tra Renzi e Berlusconi. Quest’ultimo rimane, fino a prova contraria, un vecchio laido condannato ai servizi sociali. Dovrete portarlo sugli scudi, dovrete proclamare che lo amate e che la riforma che fate con lui l’avete scritta con un trasporto sincero. Magari gli elettori applaudiranno la schietta espressione dei vostri sentimenti e correranno alle urne a benedire la vostra unione. Magari andrà così.
Faccio presente un’ultima cosa: quel tizio laido in passato ha già fottuto persone più esperte di voi. Doveva portarvi in dote una maggioranza qualificata, e la maggioranza qualificata non c’è. Dovrebbe aiutarvi a portare almeno un po’ di elettori alle urne per il referendum, ma chissà se lo farà. Chissà se gli interessano davvero queste riforme. Chissà se non preferisce mollarvi all’altare e far rimediare all’unico candidato PD ormai credibile una grottesca e irredimibile figura di merda. Chissà.
Potrei anche non ricordarmi bene; è passato del tempo e un mondo di cose più serie a cui pensare. Comunque:
La sera del 27 maggio 2010, una signora che credo si chiami Michelle Conceicao – e che in seguito ammetterà di essersi prostituita – sta scrollando nervosamente la rubrica del suo telefono, alla ricerca di un numero che corrisponda al nominativo PAPI SILVIO BERLUSCONE. Si tratta del cellulare del presidente del consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi. Però se mi chiedete se sia un reato dare il proprio numero di telefono a una prostituta – anche solo lasciare che il vostro numero finisca sulla sua rubrica – beh, no, non è un reato, ci mancherebbe, no.
Michelle Conceicao sta cercando l’on. Silvio Berlusconi perché ha un problema: una sua conoscente, Kahrima El Mahroug, è trattenuta presso una questura, sospettata di furto. Non ha i documenti con sé. In questo caso chi non si adopererebbe per un’amica. La Conceicao non è forse, propriamente, un’amica di Kahrima (verranno violentemente alle mani qualche giorno dopo), ma comunque cerca di avvertire la persona più potente che conosce: e si dà il caso che abbia in rubrica una persona davvero molto potente. Papi Silvio Berluscone.
Anche Silvio Berlusconi non è, propriamente, un ‘amico’ di Kahrima El Mahroug: l’ha vista a qualche festa – il che non costituisce reato. Ovviamente sa che frequenta Michelle, evidentemente sa che mestiere fa Michelle; ma non sa (questo è cruciale) che Kahrima è minorenne. Quando riceve la telefonata, Berlusconi potrebbe fare compiere tanti passi per aiutare questa ragazza; il passo che decide di compiere è far chiamare la questura per informare il personale che Kahrima non dev’essere arrestata: ragioni di Stato. Si tratta infatti della nipote di Hosni Mubarak, allora presidente egiziano. Tutto questo costituisce reato?
No, se in quel momento Berlusconi è davvero convinto che Kahrima sia la nipote del presidente di un Paese amico. Infatti in tutti i gradi del processo ha dovuto sostenere questa versione: quella sera ne era convinto. Anche i parlamentari della maggioranza che lo sosteneva dovettero affermarlo, in una votazione che rimane a verbale. Per tutti loro Kahrima è stata, per qualche tempo, una probabile nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak. Per questo motivo era meglio che uscisse dalla questura al più presto, accompagnata da Nicole Minetti. Quest’ultima, poi, pur sapendo ormai che Kahrima è minorenne, decide di affidarla alla Conceicao, forse non la più affidabile tra le tutrici.
In seguito Berlusconi fu accusato di avere avuto rapporti sessuali con Kahrima, detta Ruby; addirittura di aver commesso l’odioso reato di favoreggiamento della prostituzione nei suoi confronti. Per difendersi raccontò diverse cose, che ora forse non risultano: depilatori laser e altre sciocchezze. Raccontò – e la cosa è discutibile in sé – che non avrebbe mai potuto intrattenere relazioni con prostitute, in quanto fidanzato: e in capo a un paio d’anni in effetti una fidanzata spuntò. Tenere nascoste le fidanzate è forse un reato? Ma ci mancherebbe altro. E millantare di averne una quando non è vero? Per carità, toccherebbe aprire carceri contigue a ogni bar sport. Cerchiamo di essere persone serie.
Dunque può benissimo darsi, come ha stabilito il giudice in appello, che Berlusconi non abbia commesso nessun reato. Probabilmente non è un reato fare pressioni per liberare una persona, se tu pensi che quella persona sia la nipote di un importante alleato del tuo Paese. Non è un reato lasciare un numero privato a una prostituta; non sarebbe nemmeno un reato andarci a letto – a meno che non si tratti di minorenni – ma Berlusconi dice che non lo sapeva – e comunque non risulta che ci sia mai andato. Fine. E la famosa persecuzione giudiziaria? Pare che non esista; forse bastava trovarsi dei buoni avvocati, e dopo vent’anni di procedimenti a suo carico B. finalmente li ha trovati. Bene. Tutto qui?
No.
Berlusconi è innocente. Va bene. Non ha mai incoraggiato una minorenne a prostituirsi. Può darsi. E però rimane, per sempre, Papi Silvio Berluscone. Il presidente del consiglio che una prostituta milanese poteva chiamare quando voleva. Il punto di riferimento della corte dei miracoli delle olgettine e dei loro vari impresari. Non dev’essere processato per questo. Non costituisce reato. È semplicemente un dato imbarazzante, che ne avrebbe determinato la fine politica, in altri Paesi – no, aspetta, anche in questo Paese, se invece di chiamarsi Silvio Berlusconi si fosse chiamato, poniamo, Sircana o Marrazzo. Se a sua disposizione non avesse avuto, oltre a buoni e meno buoni avvocati, la potenza di fuoco di tre emittenti televisive e decine di quotidiani compiacenti. Sappiamo poi, ormai, che parte di quelle emittenti e quella compiacenza se l’è guadagnata illegalmente. Ma cerchiamo di essere persone serie davvero.
Fa molto caldo oggi, trovate? potrei anche pensare di uscire da casa in mutande. Non sarebbe necessariamente un reato. Ma non lo farò. Non aspetterò nemmeno che sia un giudice a stabilire, tra qualche anno, se è o non è un’offesa al pudore. Non credo che sia il giudice a dover stabilire cosa sia o non sia decente: in certi casi il buon senso dovrebbe essere sufficiente, oltre che necessario. Un presidente del consiglio che mantiene le Olgettine; uno che se Michelle Conceicao lo chiama perché ha un problema scatta subito sull’attenti e mobilita il capo di gabinetto di Palazzo Chigi; uno che adopera per certe missioni Nicole Minetti; uno che sostiene di aver potuto scambiare Ruby Rubacuori per una nipote di Hosni Mubarak (personaggio peraltro odioso); uno che, dopo aver saputo che Ruby è minorenne, lascia che sia affidata a Michelle Conceicao; uno così non è decente. È in mutande per strada, se non peggio. Un giudice può anche stabilire che non sia un reato, ma non è questo il problema. Quel signore in mutande non si sta comportando in modo degno del suo ruolo, né, soprattutto, ragionevole. Sembra un maneggione ormai alla mercé delle necessità quotidiane della costosa corte dei miracoli che sta finanziando. Non dovrebbe avere responsabilità di governo. Non dovrebbe essere ancora nelle condizioni di dettare riforme costituzionali.
Riforme, peraltro, che tradiscono ancora lo stile con cui si comportò quella sera: scritte con una certa sventatezza, una certa indecenza, una decisa sfacciataggine. Uno che ti racconta che la tal ragazza è la nipote del faraone, e pretende che tu la bevi, la prossima volta ti racconterà che per un governo democratico può bastare il 37% del parlamento, e se non la bevi si offenderà. Ci scusi tanto, Papi Silvio, ma continuiamo a non fidarci di lei.
In base a un sondaggio che non si può pubblicare, anche perché nessuno lo ha fatto, io credo di potervi comunque annunciare che Beppe Grillo ha vinto – no, il M5S no, non necessariamente. Ma Grillo sì, anche se non si è candidato. Ha vinto lo stesso, nell’unico modo in cui poteva vincere, che è anche il peggiore. Domenica sera chiuderanno i seggi e spoglieranno le schede, tireranno le somme e ci diranno che Renzi è andato bene, anzi benissimo, o che Berlusconi tutto sommato tiene, e la Lega, eccetera eccetera, ma l’unica vittoria se l’è già presa Beppe Grillo.
200 poliziotti in più! che inseguiranno i ladri a piedi.
Se l’è presa nel momento in cui Silvio Berlusconi ha cominciato ad annunciare nei suoi comizi tv che vuole abolire Equitalia: le stesse esatte parole del programmino che Grillo aveva steso nella fase finale della campagna 2013. “Abolire”, “equitalia”. Se l’è presa nel momento in cui Renzi ci ha informato che a mò di copertura avrebbe abolito le province, o messo le auto blu su ebay, e poi l’ha fatto davvero. O quando ha cominciato a chiamare i suoi critici #gufi e #rosiconi. Se l’è presa quando Matteo Salvini, prima di cedere la sua piccola attività politica a un curatore fallimentare, si è messo a googlare “euro” “COMPLOTTO” “banche” “svegliaaaa!” e ha trasformato la Lega nel partito antieuro. Se l’è presa in quel momento qualsiasi a cavallo tra ’13 e ’14 in cui tutti i suoi avversari hanno cominciato ad andare a lezione da lui.
Più fiorini per tutti.
Chiunque avrà vinto lunedì, festeggerà con le parole di Beppe. Magari con gli hashtag di Beppe. Vincerà per aver copiato qualche promessa di Beppe, nel tentativo di strappare a Beppe qualche elettore. In base a un sondaggio che non ha nemmeno più importanza fare, Beppe Grillo ha già vinto.
Berlusconi giustizialista, rifletteteci. A 77 anni quest’uomo riesce ancora a stupire
E non è tutto sommato la cosa peggiore che poteva capitarci: coraggio, se vince Grillo almeno l’Italicum non si farà. Giustamente: una legge così brutta nemmeno Grillo poteva scriverla. Non è uno scherzo: la proposta di legge elettorale del M5S è comunque bruttina, e a tratti assolutamente balorda. Ma decisamente migliore di quell’offesa al senso comune e alla democrazia buttata già da Berlusconi su cui Renzi doveva assolutamente mettere la sua bella faccia. Grillo non vince soltanto perché le parole d’ordine ormai le detta lui; vince anche perché, di fronte a contendenti costretti a scimmiottarlo, finisce per sembrare quasi il più lucido.
Fino a qualche mese fa succedeva con Berlusconi, oggi capita con Grillo; ogni volta che il demagogo di turno arriva e fa strame della verità e del buonsenso, il giorno dopo ci tocca lo spettacolo degli avvoltoi sedicenti esperti di comunicazione, che gracchiando c’informano che è tutto inutile: il fact-checking? inutile. La controinformazione? Pura velleità. Tanto #vince lui. Vince, sì, perché dice un sacco di stronzate, certo, ma sa parlare alla pancia degli italiani: quindi è un genio. Berlusconi era un genio, perché prometteva un milione di posti di lavoro o di detassare la prima casa, e la pancia degli italiani questa cosa la capisce; la capisce senza chiederti la copertura o altre cose noiose, cose non da pancia. Allo stesso modo è un genio Grillo, perché se la prende con l’euro, gli stranieri che si comprano le nostre imprese e gli Uffizi di nascosto, i politici in combutta coi banchieri eccetera. Scemenze, indubbiamente; però alla pancia piacciono, e chi siamo noi per opporci alla pancia? No, sul serio, chi siamo? Chi ci paga per opporci?
Lo sconforto sembra cogliere anche i più lucidi: Mario Seminerio riconosce a Grillo il merito di “aver definitivamente rottamato (anzi annichilito, vaporizzato, atomizzato) il concetto di fact checking”; Davide De Luca si interroga se sia etico intervistarlo – e non sa cosa rispondersi. E proprio mentre provo a rispondere per conto mio, mi rimbalza sul monitor il trailer di un’intervista inglese a Berlusconi: pochi secondi in cui B., messo di fronte a una delle cose più stupide che ha detto, non sa come rispondere. Nello stesso silenzio c’è la mia risposta: ci sono tanti motivi per cui il giornalismo anglosassone è migliore del nostro, perché non cominciamo dal più banale? Loro i politici li intervistano il più delle volte in differita. Che differenza fa?
Tutta la differenza del mondo. Solo la differita restituisce al giornalista le sue responsabilità. Solo la differita gli dà il tempo di verificare le informazioni, denunciare le bugie, dare all’intervista un determinato taglio dettato dalla sensibilità di chi fa le domande, e non dal narcisismo di chi sbrodola le sue risposte. Solo in questo caso potrà avvenire, come non è mai avvenuto in un’intervista italiana, che un parolaio consumato come B. si ritrovi a disagio, costretto a difendersi anziché attaccare. La differita impedirebbe ai politici di giocare al fiume in piena, che purtroppo è la strategia di tutti i contendenti italiani davanti alle telecamere: tutti ugualmente “geniali” mentre promettono cose e lanciano slogan a cui il giornalista non può opporre che una smorfia scettica.
Forse la mutazione genetica della politica italiana non è avvenuta tanto in virtù di un referendum o di una riforma elettorale, ma nel momento in cui i politici hanno cominciato a riempire i palinsesti televisivi, un’alternativa economica all’intrattenimento intelligente. L’ossessione per la diretta, con i suoi infortuni, il suo “bello”, è un’altra caratteristica della tv italiana: i politici vi si sono prestati con generosità, nella speranza di cavalcare un’onda che invariabilmente travolge i meno populisti. Ed eccoci qui.
Ma supponiamo ottimisticamente che si tratti di una sbornia, destinata a finire prima o poi: che faremo a quel punto? Io me ne accorgo un po’ ogni giorno: l’unico giornalismo che ancora m’interessa, che consumerei avidamente persino pagando, ma che molto spesso non riesco a trovare, non è quello che mi offre le notizie (ormai mi arrivano in faccia in tempo reale) ma quello che me le smonta. Mi affascina più il fact-checking che i fatti in sé. L’unica intervista politica che guarderei con interesse è quella rimontata da una redazione il giorno dopo, con la classifica di tutte le bugie che il tizio è riuscito a dire in dieci minuti. Per arrivarci, dobbiamo aspettare che la pancia degli italiani si stanchi dell’ennesimo genio gonfio d’aria. Ammesso che si stanchi mai; che non ne trovi un altro ancora più gonfio degli ultimi due, e così via. Ma ci dev’essere pure un limite all’aria che può entrare – e un modo di farla uscire.
Dopo tanto tempo ho provato a rivedere il vecchio video del vertice di Bruxelles (23 ottobre 2011), e devo dire che non ho cambiato idea: per me la Merkel e Sarkozy non stavano ridendo di Berlusconi. La giornalista, che aveva appena chiesto ai due leader se si sentivano rassicurati dalle riforme promesse dal governo italiano, non aveva rivolto la domanda a nessuno dei due in particolare. Sarkozy era già pronto a rispondere, ma voleva attendere che la collega terminasse di ascoltare la traduzione simultanea: così si voltò verso di lei e sorrise.
Quello che accadde davvero a quel punto – e che comprensibilmente Berlusconi non vuole sentirsi dire – è che risero i giornalisti. Non risero perché pilotati da un complotto ordito a Berlino o a Strasburgo. Non risero della situazione italiana, delle tre manovre promesse e rimangiate durante una psicotica estate trascorsa ad abolire province e ritoccare aliquote sui giornali del mattino, per rimangiare tutto nei talk della sera. Risero perché il re era nudo, perché Berlusconi era ridicolo. Oggettivamente, lo era: non è improbabile che a scatenare quella libera risata internazionale abbia concorso più Ruby Rubacuori che tutti i severissimi editoriali dell’Economist o del Wall Street Journal. Quel che importa è che B. ormai fosse un oggetto impossibile da gestire senza riderci su: all’estero soprattutto, fuori dal cono d’angoscia dello spread. Se anche ci fu un complotto, come racconta l’ex ministro del Tesoro USA Geithner, fu un complotto per convincere le istituzioni italiane a liberarsi di un capo del governo incapace e screditato. Dal mio antiberlusconiano punto di vista, avrei preferito un complotto più efficiente e tempestivo. Una nazione può permettersi di avere politici non all’altezza, se ha i conti in ordine; o può avere i conti nel caos, se ha leader carismatici e autorevoli. Nell’autunno 2011 stavamo precipitando con una squadra di pagliacci in cabina di comando (Continua sull’Unita.it, H1t#231).
Per capire quanto pericoloso e incompetente fosse B. l’Europa ci ha messo vent’anni e una crisi sistemica. Finché le cose non sono andate troppo male, i suoi colleghi erano pronti a tollerarlo anche mentre faceva le corna nelle foto ufficiali; al Partito Popolare Europeo i suoi voti non dispiacevano affatto. Ma verso l’autunno 2011 Berlusconi guidava a vista un governo in stato confusionale; a fine agosto Sacconi si era sbagliato a fare i conti e aveva proposto di tagliare a militari e laureati la reversibilità degli anni di studi e di leva. Poco prima Tremonti aveva deciso di abolire tutte le province piccole tranne Sondrio. Proposte deliranti che lasciavano chiaramente intuire il panico e l’insipienza di chi le dettava. Chi avrebbe comprato i nostri titoli di stato? Bruxelles non avrebbe dovuto preoccuparsi della catastrofe della quarta economia europea?
Come siano andate le cose non lo sapremo mai. Senza perdersi in dietrologie, non si può non rilevare come Geithner abbia scelto di lanciare il suo retroscena nel momento più delicato di una campagna elettorale europea. Il fatto che nel nostro piccolo orto italiano le sue rivelazioni offrano a Berlusconi il destro per gridare al golpe ci distoglie forse dal quadro generale. E il quadro generale che ci dipinge Geithner è quello di un’Europa asservita a una Germania arcigna, “tirchia”, risoluta a non riaprire il “libretto degli assegni” per aiutare le fragili e irresponsabili economie mediterranee; disposta persino a far cadere leader democraticamente eletti (benché universalmente screditati). Più che aiutare un Berlusconi “radioattivo”, Geithner sembra voler regalare argomenti a chi lamenta l’egemonia tedesca nel continente (suggerendo anche un euroleader alternativo alla Merkel: Mario Draghi). Non è un affatto un quadro irrealistico, bisogna ammetterlo. Ma come sempre è interessante il paradosso: mentre ci racconta di un Obama monroviano, assolutamente indisposto a sporcarsi del “sangue” di Berlusconi (“Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani” diceva Geithner), l’ex ministro sta facendo, nel suo piccolo, esattamente quello che Obama non avrebbe voluto fare: sta intervenendo. Ci sta suggerendo che un’Unione più solida rischia di essere asservita alla Germania; ci sta spiegando come dovrebbe funzionare la BCE; ci sta mettendo in guardia dai vertici comunitari che tramerebbero contro i leader eletti dal popolo. Le forze che si oppongono all’integrazione europea non possono che ringraziare. http://leonardo.blogspot.com
È da più di vent’anni che voto; non ricordo di essere mai stato indeciso come stavolta. Vi scrive un tizio che, quand’è stato il momento, ha votato per Rutelli senza trattenere il fiato. Non è insomma un problema di identità, ci tengo a dirlo dopo anni passati a polemizzare con chi concepiva il voto come un modo di esprimere sé stesso nel chiuso della cabina elettorale; io quando ho voglia di esprimermi faccio altre cose, ad esempio scrivo qui. Non ho mai trovato così consolante l’idea che il mio voto non sia che un contributo minuscolo alla Storia, destinato a perdersi tra milioni di altri. Confido che questo mi assolverà da ogni difetto di ragionamento, visto che la ricerca del Meno Peggio (sempre di questo si tratta, alla fine) non ha mai richiesto un algoritmo così complesso.
Che cos’è successo poi di tanto epocale? A occhio, è la prima volta in vent’anni in cui la partita si gioca su un campo triangolare. Cresciuto in un Paese bipolare, ho serie difficoltà a interpretare correttamente il senso di una terza dimensione. Fino a due anni fa il “terzo” era sempre un incomodo, uno che cercava di barcamenarsi al centro (perdendo sempre) o si buttava nell’angolino cercando la solidarietà di chi ha a cuore le specie protette. Ora è tutto diverso: esistono davvero tre poli, quasi equidistanti. Tutti e tre ambiscono all’egemonia, anche se il polo berlusconiano è un po’ ammaccato (ma conserva le sue potenzialità). Tutto questo non era facilmente prevedibile fino a due anni fa. Che Grillo potesse ottenere un buon risultato era plausibile; non che riuscisse a mantenere un’identità e un’equidistanza quasi perfetta. Dunque quello a cui abbiamo assistito negli ultimi due anni non è la fine di Berlusconi – che è ancora a galla, e ha probabilmente degli eredi – ma la fine dell’antiberlusconismo.
Quest’ultimo si può definire in tanti modi: in un certo senso è proprio questo il problema, oggi che scopriamo che si trattava di una miscela instabile di tante cose diverse destinate a esplodere e a ritrovarsi in punti molto lontani. All’indomani dell’esplosione mi è più facile capire cosa fosse almeno per me: un orizzonte, una speranza. L’antiberlusconismo era la mia personale risposta alla domanda che da un secolo tormenta i militanti di sinistra: come facciamo a cambiare la società se siamo una minoranza? Ogni generazione ha dato le sue risposte, che accostate possono dare un’impressione di schizofrenia: riformismo, massimalismo, egemonia culturale, fronte antifascista, compromesso storico, eccetera. Ognuno ha aspettato il suo sole, il mio era quello antiberlusconiano. Il ragionamento non mi sembra così campato in aria: se tutto prima o poi finisce, prima o poi sarebbe finito anche Berlusconi; e avrebbe lasciato molti italiani delusi e insoddisfatti. Il che tra l’altro è successo. E così come nel maggio del ’45 improvvisamente tutti si ritrovarono antifascisti e partigiani, non mi aspettavo poi gran cosa dagli italiani immaginandomeli, al tramonto di Berlusconi, pronti a salire sul carro di chi B. l’aveva osteggiato sin dall’inizio, e aveva proseguito a osteggiarlo con coerenza. L’antiberlusconismo, nelle mie previsioni, sarebbe stato la molla che avrebbe permesso alla sinistra di raggiungere finalmente una posizione maggioritaria. Una parte cospicua di elettorato – non una fetta grandissima, ma sufficiente – avrebbe riconosciuto alla sinistra la lungimiranza e la coerenza di una decennale, quindecennale, ventennale opposizione a Berlusconi. Anche l’astensione avrebbe giocato una parte importante. Mi sbagliavo, d’accordo, ma perché?
Da una parte bisogna dire che la sinistra non fu proprio quel campione di lungimiranza e coerenza antiberlusconiana che avrei voluto che fosse. E in parte l’insorgenza di Grillo nasce proprio da una frustrazione di questo tipo, così come il Fatto nasce da una costola dell’Unità. Devo dire che per molto tempo ho continuato a considerare il successo di Travaglio come un fenomeno assolutamente accettabile, il giustizialismo come una normale reazione a un potere che depenalizzava il falso in bilancio. Che nella miscela covassero anche spiriti di destra mi sembrava comprensibile e persino promettente: significava che anche a destra qualcuno si rendeva conto di quanto avessimo ragione. È vero che negli ultimi anni intorno all’antiberlusconismo si annusava un’aria greve, si ridesse ostentatamente di vignette e freddure sempre meno divertenti: preferivo non farci caso, così come non mi appassiono ai numeri da circo che ogni partito allestisce in campagna elettorale. Parte della mia illusione nasce dall’ottimismo della volontà: come si può vivere immaginando che dopo Berlusconi possa arrivare persino qualcosa di peggio? Non può piovere sempre. È un po’ lo stesso errore che rimprovero a molti militanti di sinistra: siccome il sole non può che sorgere sulle macerie e gli errori del passato, si finisce per tifare macerie e aiutare concretamente chi le produce. Lo stesso esempio del ’45, se ci avessi riflettuto meglio, mi avrebbe potuto illustrare come le cose non vadano esattamente così: da un grande disastro non nasce una grande civiltà democratica; al massimo un regime un po’ meno imperfetto, un po’ più perfettibile. Nei fatti, la crisi di Berlusconi ha lasciato spazio a una formazione ancora più populista, che ha unito la retorica anti-casta a quella berlusconiana dell’oppressione fiscale e burocratica. Il grillismo è una sintesi di Berlusconi e anti-berlusconismo che appena due anni fa ci sembrava impossibile. E poi c’è Renzi.
Renzi non mi è tanto simpatico, ma fosse questo il problema – ripeto: ho votato Rutelli, e sono tuttora contento di averlo fatto; ho votato Veltroni e, se mi ritrovassi in quella stessa situazione, lo rivoterei. Renzi non mi è tanto simpatico, ma è soprattutto il renzismo un fenomeno inquietante. Esso peraltro nasce dalla stessa domanda di cui parlavamo sopra: come facciamo a cambiare la società se siamo una minoranza? Naturalmente possiamo sostenere che abbiamo una vocazione maggioritaria, ma questo non ci regala neanche un cinque per cento in più. E quindi?
E quindi abbassiamo il tetto al 35%. Ovvero: siccome la democrazia non ci premia, eliminiamo la democrazia. Appesi alla contingenza storica per cui i sondaggi, per una volta, ci danno in testa (e però il 50% è lontano), scriviamo una legge che distorca la volontà popolare al punto che è sufficiente spuntarla in una gara a tre per vincere tutto. Il fatto che una proposta del genere ci venga suggerita nientemeno che da Silvio Berlusconi in carne e ossa e pendenze giudiziarie non ci impensierisce: a questo punto dei giochi B. non è che la nostra coscienza sporca. E in effetti poi Renzi si rende conto di averla sparata veramente grossa e riesce a spuntare un 2% di garanzia democratica: il parlamento verrà regalato a chiunque si aggiudichi il 37%. E se nessuno ci arriva, referendum. Renzi è abbastanza sicuro di vincerlo perché ci ha messo in busta 80 euro. Può essere la mossa giusta, ma può anche rivelare una certa ingenuità: cosa sono 80 euro in confronto ai mari e ai monti che i suoi competitor possono promettere? 80 euro solidi in confronto all’abolizione di Equitalia (leggi: abolizione dei debiti) o al referendum sull’Euro (leggi: ci stampiamo i soldi in casa)? Per tacere di tutti gli antipatici intellettuali e rocker pronti a giurare che 80 euro sono una miseria. Dall’altra parte, tuttavia, c’è una folla di militanti e una discreta quantità di politici e intellettuali disposti a credere che 80 euro in busta e un premio di maggioranza al 37% siano una prospettiva democratica e progressista. Ora bisogna averne prese di sberle – e concedo che ne abbiamo prese – per scambiare il premio al 37% per un sole dell’avvenire. Bisogna essere veramente suonati per credere che di fronte alla scelta secca tra Renzi-80-euro e Grillo-aboliamo-Equitalia i berlusconiani sceglieranno gli 80 euro che si sono già spesi tra la pasquetta e il 25 aprile. Insomma non è solo una questione di democrazia; è anche una questione di strategia. Da un punto di vista democratico, la tua legge elettorale è immonda; da un punto di vista strategico, è un disastro. Rischi di perdere tutto anche se mantieni la maggioranza relativa (forse continua).
Leggendo che per rimontare nei sondaggi a Berlusconi era bastato denigrare un po’ i tedeschi, ho sentito in me qualcosa di assolutamente nuovo; una specie di torva soddisfazione. Non mi era mai capitato, ma per la prima volta ho scoperto di tifare un po’ per l’orribile B. Non tanto: appena un po’. Non vorrei mai che vincesse le elezioni; ma preferirei che non le perdesse troppo. Cosa mi sta succedendo?
In parte è l’esito di una certa insofferenza nei confronti di chi anche stavolta lo dà per finito – e nel frattempo non si è nemmeno preoccupato di ostacolare la macchina di guerra mediatica che ogni volta, puntualmente, gli regala una rimonta. Il conflitto di interessi che regala a Berlusconi quasi metà dell’offerta televisiva generalista non sarà risolto nemmeno in questa legislatura, ci mancherebbe altro. A chi come me continua a pensare che B. debba gran parte del suo successo alla tv in fondo fa piacere notare che il problema c’è ancora (e ci sarà anche quando B. finalmente si ritirerà: volente o nolente ha degli eredi). Ma non è solo questo. Il fatto è che se Berlusconi recuperasse un po’, magari riuscirebbe a levare qualche voto a Grillo. O a Renzi. E mi sorprendo a pensare che forse è meglio così.
In effetti, cosa mi posso aspettare da queste elezioni? Le riforme di Renzi non mi piacciono: le trovo dilettantesche e pasticciate. Non credo che abbia ambizioni autoritarie, ma chi le ha potrebbe in un futuro non remoto trovarsi molto avvantaggiato dalla sua pazza legge elettorale che regalerebbe il parlamento a chi si aggiudica appena il 37% dei seggi. Tutto questo è molto pericoloso e mi porta, certe sere, a invocare la forbice di Grillo. (continua sull’Unita.it, H1t#229)
E tuttavia Grillo, se vincesse davvero, sarebbe persino più pericoloso: il referendum per uscire dall’Euro, per dirne una, è una proposta semplice semplice per creare il caos tra i risparmiatori e accelerare l’apocalisse a cui lui e Casaleggio tengono molto. A quel punto non mi resta da sperare che la forbice grillina sia resa inservibile da un colpo ben assestato del sasso di Berlusconi.
Berlusconi poi non ha più un futuro che non coincida col suo personale: un suo successo non farebbe che allungare l’agonia in cui ha abbandonato l’Italia in questi vent’anni, per cui mi auguro che sia intercettato dalle carte di Renzi – per quanto dilettantesche e pasticciate.
Tra carta, forbice e sasso il gioco va avanti, e non posso dire di tifare davvero nessuno dei tre. Ma spero che perdano un altro po’ di tempo senza combinare niente di grave, in attesa che arrivi qualcosa di meglio. E qualcosa di meglio potrebbe pure arrivare. http://leonardo.blogspot.com
Ovviamente non posso sapere cosa si siano detti con esattezza Matteo Renzi e Silvio Berlusconi al telefono; mi è impossibile misurare l’imbarazzo con cui il presidente del consiglio avrà parlato di riforme costituzionali con un avversario politico condannato in via definitiva, e che senza la disponibilità dello stesso Renzi sarebbe ormai da considerare al termine della sua traiettoria politica. L’Italicum, per come se ne parla sui giornali, continua a sembrarmi un buffo paradosso: i leader delle due principali coalizioni si stanno mettendo d’accordo per escludere qualsiasi possibilità di mettersi d’accordo da qui in poi. Qualsiasi rischio di Grosse Koalition dev’essere per sempre scongiurato: dunque la maggioranza dell’unica camera eletta dal popolo dev’essere riservata alla prima forza politica che si aggiudichi il 37% dei suffragi – poco più di un terzo. Tutto questo è democratico? Se ne può discutere – secondo me no – ma l’ultima parola non spetta comunque a noi (la corte costituzionale però si è già espressa un sistema che praticava distorsioni inferiori).
Proviamo invece a vedere cosa può succedere, caso per caso. Mettiamo che una coalizione raggiunga il 37%: in questo momento l’unica che sembra avere qualche chance di farcela sembra il centrosinistra a trazione renziana. Sarebbe, nel caso, il risultato più positivo dalla nascita del PD. I sondaggi per ora non autorizzano una previsione del genere, ma se togliamo “centrosinistra” e mettiamo “Matteo Renzi”, l’indice di popolarità aumenta: bisognerà anche vedere se molte promesse lanciate negli scorsi mesi si realizzeranno.
Fin qui comunque i sondaggi (che sbagliano sempre) ci raccontano di un elettorato spezzato in tre parti più o meno uguali: centrosinistra, centrodestra e m5S, per ora rispettivamente prima seconda e terzo (si dà per scontata un’alleanza tra Forza Italia e NCD che conviene terribilmente a entrambi i partiti). In questa situazione, com’è noto, l’Italicum prevede un secondo turno che assume le forme di un pazzo gioco della torre: agli elettori della terza forza (nel caso più probabile, il Movimento Cinque Stelle) verrà chiesto chi buttare giù: Renzi o Berlusconi? Molti probabilmente si asterranno; tra i restanti è difficile immaginare una prevalenza berlusconiana. Renzi quindi dovrebbe vincere: a quel punto si troverebbe la Camera ai suoi piedi… (continua sull’Unita.it, H1t#226)
Anche il nuovo inquilino del Quirinale sarebbe scelto da un’assemblea allargata ma con una decisiva maggioranza di centrosinistra. Renzi in sostanza avrebbe briglia sciolta per cinque anni, persino in materia di ulteriori riforme costituzionali. Al 65-70% degli italiani a cui non piacerà, quali spazi resteranno per esprimere il proprio dissenso? Qualche trasmissione in tv – dove peraltro si è già notata una certa sollecitudine nei confronti di Renzi e di chi spande il suo verbo. La piazza? Con molta cautela, visto che la polizia è già piuttosto cattiva adesso. I giornali? Difficilmente i fondi per l’editoria resisteranno alle future spending review. Internet, certo; se chi ci governerà sarà tanto buono da lasciarcela. Ricordiamo che in passate legislature la Camera lasciò passare più di una legge per limitare la libertà di espressione; leggi che nella maggior parte dei casi non sopravvissero un successivo vaglio del Senato, ma in futuro questo passaggio non ci sarà.
Insomma, l’Italicum è un sistema che regala il Paese a chi si aggiudica un terzo dei voti,lasciando frustrati gli altri due terzi; Renzi poi può prendersela con chi lo accusa di una deriva autoritaria, ma dovrebbe riflettere su cosa succederà dopo una sua vittoria. Nei cinque anni successivi non potrebbe che coagularsi un fronte antirenziano che, se riuscisse a esprimere un leader, si aggiudicherebbe senz’altro le elezioni successive; Renzi magari non cova ambizioni autoritarie, ma l’anti-Renzi prossimo venturo potrebbe: e l’Italicum gli conferirebbe enormi poteri.
Questo nel migliore dei casi. C’è poi la possibilità che alle prossime elezioni politiche la coalizione di centrodestra, un po’ demotivata dalle disavventure del suo anziano leader, si sgonfi ulteriormente e venga sorpassata dal M5S. A quel punto sarebbero gli elettori berlusconiani a salire sulla torre per scegliere chi buttare giù: non è affatto escluso che affossino Renzi. Grillo e i suoi collaboratori si ritroverebbero padroni d’Italia: un’eventualità che Renzi e Berlusconi dovrebbero fare il possibile per evitare, e invece il sistema che stanno regalando al Paese presenta questa non piccola falla. La terza possibilità (ballottaggio tra M5S e centrodestra) è abbastanza implausibile, ma anche in questo caso Grillo ha qualche chance di vincere; chance che in un sistema proporzionale non avrebbe mai, vista la sua allergia alle alleanze. Il fatto che molti grillini preferiscano un sistema più proporzionale non è né un caso né un paradosso: Grillo prima di vincere vuole convincere gli italiani. Berlusconi e Renzi si accontentano di un 37%. Non è banale chiedersi chi sia il più saggio – è il gioco della torre che spetta a ciascuno di noi. http://leonardo.blogspot.com
Nel corso della lunga, e non sempre gloriosa, storia di questo blog, mi è capitato anche più di una volta di scrivere qualche pezzo un po’ critico nei confronti di Silvio Berlusconi; di chiamarlo ladro e corruttore a volte anche prima che qualche sentenza mi desse ragione. In effetti la penso ancora così, e tuttavia.
Tuttavia oggi credo che sia venuto il momento di chiedersi, con molta serenità: perché a un qualsiasi cittadino italiano, nel pieno possesso delle facoltà mentali, dovrebbe essere negato il diritto di votare per Silvio Berlusconi alle prossime elezioni europee, se proprio gli va? È un ladro, dite, un corruttore, certo; e potete mostrarmi le sentenze; sentenze definitive. D’accordo. È giusto mostrarle, d’altro canto sono di dominio pubblico; è giusto dirlo a gran voce nelle pubbliche piazze: ehi, guardate che Silvio Berlusconi è un ladro, un corruttore, eccetera.
Ma se dopo averlo gridato, qualcuno nella stessa piazza vuole comunque votare per lui, perché non dovrebbe averne il diritto? Perché toglierglielo? Ha forse fatto qualcosa di male? Non Berlusconi: lui qualcosa di male in effetti lo ha fatto: ci sono le sentenze (definitive). Ma i suoi elettori: perché punirli? Perché limitare i loro diritti? Non vi sembra un vulnus? No? A me oggi sembra un vulnus.
E non ho intenzione di tacere mentre a milioni di miei concittadini viene di fatto limitato il diritto di voto, che è il più sacro degli appannaggi della moderna democrazia. Sono dunque qui a chiedere: lasciate che i berlusconiani votino Berlusconi, se proprio ci tengono. Lasciate che il suo nome campeggi libero in cima all’elenco delle preferenze. Lasciate che gli italiani che lo amano, che lo ritengono degno di essere da lui rappresentati a Bruxelles o Strasburgo o in generale, lasciate che scrivano il suo venerando/esecrando cognome su quelle schede. Non fanno male a nessuno, e rendono onore all’uomo in cui hanno creduto per dieci, venti, alcuni trent’anni. Lasciate che lo votino.
Dopodiché quei voti bisognerà annullarli tutti, eh beh, pazienza.
Stasera volevo scrivere un pezzo sull’astuzia di Berlusconi, che appena quattro mesi fa sembrava all’angolo, un pregiudicato ormai fuori dal senato e succube dei falchi del suo partito; e oggi è lo statista che con Renzi ha scritto la legge elettorale, e si trova nella vantaggiosissima situazione di sostenere il governo senza averne l’aria. Ufficialmente è all’opposizione – e non mancherà di farlo presente ai suoi elettori alla prima misura minimamente impopolare; in realtà ha addirittura un ministro nella squadra di governo (Federica Guidi allo sviluppo economico). E la sua influenza rimane forte anche sul Nuovo Centrodestra, un partitino che sa di non avere un futuro oltre la legislatura, se non torna all’ovile del vecchio centrodestra di Arcore. Dividere il partito in due e appoggiare Renzi contro Letta sono state due mosse spregiudicate ed efficaci, che ci hanno restituito il Berlusconi dei tempi migliori; volevo scrivere un pezzo così, ma mi ha preso la tristezza.
Allora ho pensato di scrivere un pezzo sulla furbizia di Matteo Renzi, che prima si è imposto all’attenzione mostrandoci una nuova legge elettorale che sembrava già pronta (e ideale per farlo vincere); poi appena i sondaggi hanno iniziato a dare segnali non buoni, ha cambiato completamente tattica accettando improvvisamente l’offerta berlusconiana di un patto di legislatura. A questo punto la legge elettorale però smetteva di essere una priorità, anzi: tirarla per le lunghe è il sistema più sicuro per assicurarsi che Berlusconi non gli stacchi la spina, visto che probabilmente può. E però ormai la legge elettorale l’aveva promessa, ce l’aveva mostrata, e allora che ti fa? (Continua sull’Unità, H1t#221) La taglia in due: la parte sulle Camere si vota subito, la parte sul Senato… con calma, magari nel frattempo si prova ad abolirlo, il Senato. A questo punto la legislatura è davvero blindata: per quanto possano andare bene o male i sondaggi, finché c’è un Senato e la legge elettorale vigente, il PD rimane l’ago della bilancia. Qualsiasi maggioranza uscisse al Senato, avrebbe bisogno del Pd (a meno che Grillo non si mettesse d’accordo con Berlusconi, ma è abbastanza inverosimile). Dividere la legge elettorale in due è una mossa bizantina ma astuta; e mentre la ammiravo, mi ha preso di nuovo la tristezza.
Mal che vada, mi son detto, posso scrivere del genio di Beppe Grillo, che invece di perdere tempo a organizzare un movimento di base, ha lasciato che la base si organizzasse da sé e ha perso una mezza giornata a brevettare il marchio. Adesso può epurare e licenziare chi vuole: la democrazia diretta è tanto bella ma comunque il marchio è suo. E siccome il suo obiettivo è monopolizzare l’opposizione, speculando un po’ sul malcontento popolare, non ha nessuna necessità di tenersi cari i suoi uomini migliori; è l’esatto contrario, può licenziarli tutti e tenersi gli invasati – finché non gli ruberanno la scena, poi licenzierà anche quelli. Nuove leve di signor-nessuno disposti a sobbarcarsi l’incarico parlamentare non gli mancheranno mai; la paga va in gran parte restituita ma il lavoro alla fine non è difficile: si tratta di inveire alla maggioranza mentre la maggioranza fa quel che deve e vuole fare. È il caso di notare che mentre Renzi e Berlusconi a ogni mossa si giocano il destino politico, Grillo può davvero fare quel che gli pare: guadagnare o perdere anche dieci punti in percentuale non gli cambierebbe la vita.
Alla fine ho scritto un pezzo in cui elogio i tre geni della politica italiana, e a questo punto mi coglie il dubbio: se sono tutti e tre tanto astuti; se tutti e tre stanno traendo vantaggio dalla situazione, chi è che invece ci sta rimettendo? Chi è il pollo che siede al loro tavolo? È un pensiero inquietante, ed è ora di coricarsi. Magari evitando di passare davanti a uno specchio. http://leonardo.blogspot.com
Ci voleva forse Matteo Renzi per farci capire che un accordo con Berlusconi sul sistema elettorale non è affatto difficile: basta dargli tutto quello che vuole. Quando presentò il suo accordo “prendere-o-lasciare” alla direzione del PD, chi si ostinava a vedere il bicchiere mezzo pieno notò che almeno non erano previste le candidature multiple – almeno quelle. Almeno non avremmo rivisto i notabili dei partiti in cima ai listini di tutti i collegi, pronti a lasciare il posto ai perfetti sconosciuti in coda. Ognuno può avere un’idea diversa su dove passi il confine tra decenza e indecenza, ma almeno c’è consenso sul fatto che le candidature multiple stiano al di sotto della linea. Meno male.
Un paio di giorni dopo il NCD – la filiale di Berlusconi presso il governo – ha presentato un emendamento che reinseriva le candidature multiple. Quando Alessandro Gilioli, giornalista dell’Espresso, ha provato a chiederne conto a Renzi su twitter, ne ha ricevuto una risposta davvero interessante. La domanda era: ti impegni a evitare le candidature multiple? La risposta eccola qui.
per adesso non ci sono. Non mi ci immolo (come ballottaggio, premio, sbarramenti). PD, cmq, non farà MAI candidature multiple — Matteo Renzi (@matteorenzi) January 25, 2014
//platform.twitter.com/widgets.js Insomma, sì, può darsi che lo stiano fregando: è una possibilità, lui non ci si immola; quello che può fare è garantire che lui, cmq, non li fregherà MAI. Se la coalizione di centrodestra riuscirà in questo modo a produrre liste più appetibili agli elettori, pazienza: Matteo Renzi non potrebbe mai abbassarsi a un trucchetto simile.
Questa forma malintesa di fair play, (continua sull’Unita.it, H1t#216)per cui lasci che il tuo interlocutore ti boicotti la legge elettorale e non approfitti nemmeno dei trucchi che lui si sta permettendo, è una delle cose meno nuove di Matteo Renzi: un atteggiamento che prima di lui fu di Veltroni e persino di D’Alema. L’antiberlusconismo “agonistico” di chi ritiene che per quanto disonesto, per quanto infido, per quanto pregiudicato, Silvio Berlusconi vada battuto sul campo: non importa se il campo è in discesa per lui e in salita per noi. È un atteggiamento che fin qui non ha pagato, ma Renzi ritiene di avere delle cartucce che i suoi predecessori non avevano, e magari le ha davvero. Io spero che le abbia.
Cito un vecchio pezzo: Esiste un antiberlusconismo agonistico, non mi viene in mente un altro aggettivo con cui definirlo: è l’antiberlusconismo di quelli che B. lo vogliono “battere alle elezioni”: sottointeso, ad armi pari. In realtà si sottointende un’enormità, perché B. non usa armi legali: ha a disposizione un patrimonio immenso, accumulato con metodi discutibili, come per esempio la corruzione (possiamo dirlo ormai, ci sono le sentenze). Dispone di una corazzata mediatica un po’ ammaccata ma ancora senza rivali per potenza di fuoco in Italia, e lo si è visto in campagna elettorale: B. non è riuscito a vincere, ma riesce ancora ad evitare che vinca qualcun altro. Cosa significa “batterlo alle elezioni”? Con che risorse, visto che lui ne ha di enormi? Con che televisioni? Non si sa, non si è mai capito. Gli antiberlusconiani agonistici sono di solito tipi sportivi, pronti a gettare il cuore oltre all’ostacolo: prima o poi, lasciano intendere, gli italiani tiferanno per loro, ammireranno la loro sportività, il fair play del galletto che sfida la faina al giro dell’aia. Finora son tutti finiti male (Occhetto, Rutelli, Veltroni), però magari questa volta chissà.
In questi giorni Renzi ci ha spiegato che questo sistema non lo vogliono soltanto lui e Berlusconi, ma anche i due milioni di elettori delle primarie: in realtà erano un po’ meno di due milioni, e c’è anche quel milione scarso che non votò per lui, ma questi son dettagli. È difficile immaginare che gli elettori di Renzi in dicembre avessero in mente una situazione del genere, con Berlusconi in grado di tagliarsi il sistema elettorale a seconda delle sue esigenze (norme salva-Lega incluse).Molti, senz’altro, votarono Renzi perché si fidavano di lui. Molti probabilmente si fidano ancora. Tanti altri speravano in un uomo nuovo, lontano dagli atteggiamenti autolesionistici che avevano fin qui danneggiato il PD. Ecco, sull’autolesionismo la sensazione è che ci sia ancora molto da lavorare. http://leonardo.blogspot.com
“Ma quindi la foto c’è davvero”. “Sì. Bevete qualcosa? Vi faccio portare un te, un caffè…” “Per me acqua. Questa cosa della foto però me la devi spiegare Matteo, cioè capisco il coso, lì, Thomas Milian”. “Che Guevara, intendi”. “Quel che vuoi. Ma Fidel Castro, Matteo, hai presente chi è Fidel Castro? Il dittatore più longevo di tutti? Tu sei quello che vuoi dare i diritti civili ai gay, non so se hai presente Fidel Castro cosa…” “Maddai, Silvio, è tutta scena, su. Bisogna farli discutere di qualcosa, i giornali. Questa cosa se non l’hai capita tu…” “Guarda che l’ho capita perfettamente, ma…” “Quando sono venuto io a casa tua me l’hanno menata per anni. Adesso tu vieni a casa mia e ti faccio una foto sotto un simbolo che tu detesti. Semplice. Così sembra che io abbia qualche vantaggio su di te. Tutto qui”. “Ma ti rendi conto che se io volessi sui miei giornali, con questa cosa che ti tieni una foto di Fidel Castro, potrei…” “Eddai Silvio, i tuoi giornali, su, chi se li fila ormai…” “E però gli altri giornali li riprendono, dicono: ecco, vedete, che figura ci fa Renzi, fanno da grancassa, cioè Matteo guarda che non ti è mica uscita col buco questa cosa”. “Va bene, andrà meglio la prossima volta”. “Te la dico da collega, eh, spassionatamente. E attento anche a questa cosa delle prossime volte. Voi giovani siete sempre convinti di potervi permettere centinaia di cazzate”. “Guarda dove sei arrivato tu”. “Perché ne facevo poche, Matteo, ne facevo poche”. “Vabbe’, vogliamo iniziare a parlare di cose serie? Possiamo procedere con l’ispanico?” “No Matteo, l’ispanico non me lo posso permettere. Dovrei avere delle facce giuste per tutte le circoscrizioni, hai un’idea di quanto mi costa un’elezione in casting?” “E allora cosa proponi?” “Eh”. “Come eh“. “Guarda, ci stavo a pensare venendo in qua”. “Ci stavi a pensare?” “Cioè io non sono mica sicuro che le voglio vincere, le prossime elezioni. Metti che le cose vadano male”. “Guarda, ti capisco benissimo”. “In queste circostanze, alla mia età poi… metti che venga già una montagna da qualche parte e mi tocchi di ritoccare le accise, ma mi ci vedi a ritoccare le accise?” “Silvio guarda che sfondi una porta aperta, cioè la verità è che non ci ha voglia di governare nessuno in questo momento, nessuno”. “E quello che ci ha meno voglia in assoluto…” “È Beppe. Lui ha già messo fuori le locandine, va in tournée, lui“. “E tu, ho sentito che ti sei prenotato per Firenze”. “E certo”. “Insomma, meno male che c’è Letta”. “Ma davvero, viva Letta”. “Viva Gianni!” “Enrico”. “Quel che vuoi. Io tutto sommato, non fosse per i magistrati, me la cavo abbastanza bene così… un piede all’opposizione, un piede nella maggioranza”. “Per ‘piede’ intendi Angelino?” “Quel che vuoi. Me ne sto in casa, quando va mi affitto un centro benessere, controllo che nessuno metta all’ordine del giorno il conflitto d’interessi… non si sta male. Io quattro anni così me li farei volentieri”. “Lo so, Silvio, lo so. Però Giorgio la legge la vuole. La vuole proprio. Sennò scioglie le camere”. “Ma se facciamo la legge che garanzie mi dai che non andiamo a votare subito dopo? La tua bella faccia?” “Ma te l’ho detto. Ho già prenotato da sindaco”. “Lo so, lo so. Ma ogni settimana ne salta fuori una nuova, e i grillini… non puoi mica fare affidamento, cioè lui è un matto, sempre stato”. “Guarda, un sistema per metterlo un po’ in riga ci sarebbe”. “Sentiamo”. “Noi siamo qui per fare un sistema elettorale, no? E lui non vuole”. “Vuole andare a votare col mattarello”. “E noi sai che gli facciamo? Gli facciamo un sistema elettorale su misura”. “Cosa?” “Un sistema elettorale che gli faccia vincere le elezioni”. “A Grillo?” “Proprio a lui”. “Ma non è così matto. Cioè un po’ sì, ma non così tanto”. “Appunto”. “Così… non vorrà più andare a votare!” “Certo”. “Ma scusa, i grillini stanno al trenta per cento”. “Anche meno”. “Con tutta la più buona volontà, come facciamo a fargli vincere le elezioni? Neanche se candido il cane”. “Un sistema c’è. Superpremio al primo partito. Grillo se la mena tanto, che lui è il primo partito… e noi, zac! Hai il primo partito? Ora governi”. “E se non arriva primo?” “Ok, allora facciamo una soglia molto bassa… che so… trentacinque. Se arrivi al 35, governi, e già all’annuncio Beppe ritira gli artigli. Se non ci arriva nessuno, spareggio tra i primi due”. “Spareggio?” “Ballottaggio, quel che vuoi. Grillo lo vince. Prova a pensare: lui è la Gente. Se arriva contro uno di noi due al ballottaggio…” “Matteo contro la Gente”. “Silvio contro la Gente”. “Cioè vuoi scrivere una legge che potrebbe mandarlo al governo con un 28 per cento?” “Vedrai che non lo sentirai più parlare di elezioni anticipate. Cambierà argomento. Signoraggio, previsioni dei terremoti, ce n’ha di cose in repertorio”. “Ma secondo te la corte costituzionale ce la fa passare una legge così?” “Ma ovviamente no, Silvio, mi meraviglio di te: secondo te voglio andare a votare con una legge così? La palleggiamo per tre anni tra camera e senato e poi, se proprio dobbiamo andare a votare…” “Ci andiamo col mattarellum”. “O col proporzionale, che è quello che piacerebbe tanto a lui. Lui vuole una legge elettorale che ci costringa a governare assieme e tenerlo all’opposizione, e noi…” “Gliene facciamo una che lo costringe a governare e tenerci all’opposizione”. “Quindi altri quattro anni così e poi…” “E poi mal che vada c’è sempre Letta”. “Enrico?” “Quel che vuoi. Siamo d’accordo?” “Guarda, per me può andare, ma tu come fai a venderla ai tuoi una cosa del genere?” “Di quello non ti preoccupare, ci penso io”. “Fammi indovinare: hai in mente un altro siparietto del tipo Fassina chi? Cioè alla fine tu queste cose le fai perché ti divertono”. “Silvio non puoi capire. Con tanto affetto, ma tu sei un boss. Sei abituato a comandare sin da piccolo. Io sono un politico, in teoria dovrei passare il tempo a conciliare, a convincere, a persuadere…” “E non ti piace”. “È una gran palla. Però stavolta ho appena preso settanta per cento. Quando mi ricapita una cosa così in democrazia? Magari tra uno o due anni si saranno stancati di me, ma ora comando io, capisci? Qualsiasi bischerata farò, la metà ce li lo ai miei piedi pronta ad applaudire, bravo Matteo, geniale, non ci avevo pensato”. “L’altra metà…” “Fuori dai piedi. Adesso lo devo fare. Tra un anno chissà”. “Matteo ma tu sei bravo, sai”. “Modestamente”. “La ruota della fortuna non si sbaglia mai”.
Fino a che punto puoi annacquare un vino e considerarlo ancora un vino? Fino a che punto puoi abbassare la soglia di un premio di maggioranza e chiamarla ancora democrazia? L’altro giorno Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si sono incontrati e hanno deciso che si può abbassare al 35%. In sostanza: puoi vincere le elezioni con poco più di un terzo dei voti totali, ovvero con quasi due terzi dei voti contro. E siccome né Berlusconi, un po’ ammaccato, né Renzi, con tutta la sua vocazione maggioritaria, sono sicuri di riuscire a portare dalla loro il 35% degli elettori, è stato necessario trovare un piano b.
Il piano b che hanno elaborato i due statisti non ha, che io sappia, precedenti al mondo: non è mai stato sperimentato, e quindi potrebbe anche trattarsi di qualcosa di geniale – impossibile saperlo finché non lo si sperimenta. Faremo da cavie. Lo hanno chiamato “ballottaggio”, ma a differenza di tutti gli altri ballottaggi del mondo è su base nazionale: un referendum tra due partiti, visto che la Costituzione non consente (ancora) il referendum tra i due candidati. E si indovina quanto dispiaccia a entrambi – sarebbe così bello poter distribuire agli italiani una scheda semplicissima: R da una parte, B dall’altra, oppure semplicemente le facce. Maledizione, non si può; e quindi tocca fare lo spareggio tra i primi due partiti. Perché di spareggio si tratta: un tie-break – gli inglesi hanno anche un’espressione più colorita, “sudden death”. È ancora democrazia? Non potremmo almeno smettere di chiamarla così? Il latte caldo della macchinetta in ufficio, non so se l’hai mai notato, non si chiama proprio latte, bensì “bevanda al gusto latte”. Può darsi che le elezioni col sistema Berlusconi-Renzi siano le uniche possibili, ormai, ma possiamo almeno chiamarle “sondaggio al gusto di democrazia”? Lo so, anche il sistema di Calderoli era una nota porcata. Ma almeno non metteva nero su bianco la soglia psicologica: 35%. Con un terzo dei voti vai al governo. Con due terzi dei voti, i tuoi avversari si fottono. Per cinque lunghi anni. Il meno che si possa dire di chi ha inventato una cosa del genere, è che ha una spaventosa certezza di vincere.
Degno d’interesse è anche il trattamento dei partitini. Altre riforme elettorali avrebbero puntato allo sradicamento di quelli che una volta si chiamavano cespugli. Renzi e Berlusconi sono più concilianti: i partitini possono andare, se si comportano bene e si apparentano con quelli grossi. In questo caso abbassiamo la sbarra al 5% e li facciamo entrare in parlamento. Se invece vogliono fare i duri e i puri, addio: la sbarra si rialza all’8%. Inoltre devono essere genuini: saranno presi provvedimenti contro le liste-civetta, chissà come si farà a capire cosa è civetta e cosa no. Una cosa del genere non ha nessuna spiegazione logica che esuli dalla gestione dell’esistente: i partitini esistono, tanto vale preservarli, coccolarli, proteggerli nel loro habitat in modo che tutti possano vederli durante le gite fuoriporta. La spiegazione ufficiale è che ci tiene Alfano. Purtroppo io non sono tra quelli che crede nell’esistenza di Alfano in sé; e siccome lo considero nient’altro che un piede che Berlusconi tiene nel governo Letta fin tanto che gli conviene, non mi resta che concludere che Berlusconi rivuole la Lega in parlamento. Quanto a Renzi evidentemente con tutta la sua vocazione maggioritaria non esclude di federarsi con Vendola o con Ichino o qualche altro relitto lì in mezzo. Non è per questo che lo hanno votato alle primarie, ma del resto alle primarie aveva anche promesso di farla finita coi listini bloccati. Vabbe’, mal che vada farà le primarie, e le farà anche Grillo on line. Magari anche Berlusconi col televoto.
Questo è l'”italicum” che Renzi ha congegnato con Berlusconi e poi esibito alla direzione del PD, che non si capisce cosa abbia votato, visto che Renzi aveva già deciso per tutti ed era un prendere o lasciare. Addirittura Cuperlo voleva il referendum tra gli iscritti, che roba, come se gli iscritti non avessero appena firmato una delega a Renzi ad accordarsi su Berlusconi su qualsiasi sistema elettorale, foss’anche il più demenziale al mondo, perché non lo spareggio di Dodgeball? Comunque la direzione con 111 voti e 34 astensioni ha detto ok, Renzi, buona questa bevanda al gusto di democrazia, andiamo pure avanti. Ora si tratta di conquistare il cuore del Paese. Calcolando un’astensione al venti per cento, quel maledetto 35% si abbassa a un più ragionevole 28%, ehi! ce l’abbiamo fatta, abbiamo vinto! Questa sì che è una vocazione maggioritaria.
Se poi tra un annetto ci dovesse capitare di scegliere al tie break tra Grillo e Berlusconi, beh, sono infortuni di percorso. E poi probabilmente a quel punto la corte costituzionale si sveglierà all’improvviso e ci farà sapere che ehi, non si può governare il paese rappresentando soltanto un terzo degli elettori, ma siete matti? E saremo daccapo. Ma almeno ci saremo divertiti, non si può dir di no. A settantasette anni, fuori dal parlamento, debungabungizzato, il grande piccolo vecchio continua a tirar fuori delle idee incredibili. Il premio al 35% e il tie-break, neanche X Factor ce li ha. Dilettanti.
Ormai non se lo ricorda più nessuno, ma il primo programma politico condiviso on line non lo produsse il M5S, bensì lo staff di Matteo Renzi. Ancor prima delle artigianali piattaforme on line di Grillo, ci fu il “wikiprogramma” lanciato alla prima Leopolda, che nei fatti non era un wiki e non lo diventò mai – dettagli. Sono passati più di due anni, e siamo tutti in attesa di conoscere i termini della legge elettorale che Renzi e Berlusconi hanno deciso per noi. Nemmeno Enrico Letta ne sa di più; Renzi con una battuta ha detto che per sapere qualcosa dovrà chiedere a zio Gianni – insomma, per ora il grande vecchio di Forza Italia conosce più dettagli del presidente del consiglio che è compagno di partito di Renzi. Che dire: meno male che io a questa cosa della democrazia-diretta-on-line non ci ho mai voluto credere, sennò sarei parecchio deluso.
I renziani invece molto delusi non sembrano; si vede che non ci avevano creduto molto nemmeno loro. Meglio così, lasciamo questi specchietti alle allodole grilline e facciamo finta di essere uomini di mondo. È abbastanza chiaro che dovesse finire così: in una situazione di stallo a tre, vincono i primi due che si mettono d’accordo su una legge per fregare il terzo. Se avevamo nutrito qualche illusione che tra i primi due non ci fosse Berlusconi, la caparbietà con la quale Grillo ha escluso i suoi da ogni trattativa ce le stroncò nella culla in primavera. D’altro canto per quale motivo al mondo Grillo dovrebbe fare l’unica mossa che non gli conviene? Occorre sempre ricordare il suo vantaggio sui due avversari: lui non ha bisogno di vincere. Che prenda più o meno del 25%, il suo core business è l’opposizione ringhiosa: quaranta deputati più o in meno non gli cambiano più di tanto la situazione, anzi, meno sono e meglio si controllano. Alla fine dei conti il suo ruolo è perfettamente complementare a quello degli altri due. Quello tripolarismo che ci sembrava così precario in febbraio sta rivelando un insolito equilibrio, e non è detto che nuove elezioni non lo confermino. È chiaro che sia Renzi che Berlusconi vorrebbero aggiudicarsi un super-premio di maggioranza e governare da soli, ma è abbastanza possibile che si ritrovino di nuovo a convivere al governo col terzo soddisfatto che abbaia. Spero come sempre di sbagliare, ma se una cosa conviene a tutte le parti in gioco, perché non dovrebbe accadere?
Tutto ampiamente prevedibile, tranne i dettagli: l’oltraggiosa liturgia di Berlusconi nella tana del nemico… (continua sull’Unita.it, H1t#215). Fino a qualche mese fa lo avremmo considerato l’ennesimo errore tattico di una segreteria PD. Adesso però c’è Renzi e non ha senso prendersela con lui: una sbruffonata così è perfettamente nel suo stile. A gli elettori del PD che lo hanno voluto segretario non era dato sapere, in dicembre, se avrebbe sostenuto Letta o se lo avrebbe impallinato; l’unica cosa sicura era lo stile-Renzi, dal protagonismo in similpelle alla tendenza a conferire con Berlusconi tête-à-tête; e lo stile-Renzi ha vinto su tutte le obiezioni col 73%.
Ora sappiamo che Renzi manterrà in vita il governo Letta, per un anno almeno. Dovrà difenderlo, qualsiasi cosa accada – e di cose ne stanno accadendo: alcune magari sono sciocchezze pompate dai media, ma se i media si comportano così non si capisce perché dovrebbero cambiare atteggiamento da qui a un anno. Nel frattempo dovrà difendere Berlusconi mentre riscrive diversi articoli della Costituzione con lui. Questo significa, a spanne, seppellire qualsiasi possibile intervento sul conflitto d’interessi, un argomento a cui Renzi non è mai stato appassionato. Sarà un anno molto lungo, e Renzi deve gran parte del suo successo al fatto di essere un uomo nuovo: tra un anno lo sarà molto meno. E a quel punto magari si voterà, con un sistema elettorale che Berlusconi ha potuto scegliere con comodo. Con la Mediaset tutta ancora saldamente nelle mani del presidente di Forza Italia. Ok, siamo uomini di mondo, se Renzi ha offerto tutto questo a Berlusconi, avrà senz’altro ottenuto qualcosa in cambio. Qualcosa che al momento ci sfugge: la Lega su un piatto d’argento? Briciole. La benevolenza della stampa berlusconiana? Sai che roba – e poi durerà solo finché lo vuole il padrone. La stabilità? Ma non era venuto a rottamare? E quali garanzie hai di vincere tra un anno quello che temi evidentemente di non portare a casa in maggio col Mattarellum?
Spero di sbagliarmi. Davvero. Ma c’è solo una persona in Italia che può ficcarsi in una situazione del genere e credere di spuntarla con le sue sole forze, e gli elettori del PD lo hanno voluto a guida del PD. Forse era inevitabile, ma è inutile prendersela con lui. http://leonardo.blogspot.com
Geniale (anche dopo aver visto che le mani non sono quelle del poliziotto, continui a crederci).
Visti dal mio qualunquissimo punto di vista, dal mio casello autostradale, stamattina i Forconi mi sembrano già ridotti a un drappello inoffensivo, più o meno delle dimensioni di un Social Forum di provincia; una cosa che può impaurirti solo se della paura hai disperatamente bisogno. E però bisogna ammettere che in giro tra tv e radio e web tira un’aria da marcetta mica da ridere: quindi voglio lasciare agli atti che i Forconi tutta questa attenzione se la meritano. Fotografarsi coi poliziotti, simpatizzanti o non, è probabilmente la migliore mossa mediatica fatta negli ultimi anni da chiunque. E a loro è uscita così, spontanea. Normale che a questo punto Silvio Berlusconi voglia riceverli: finalmente qualcuno che ha idee nuove, fresche, se ne sente l’esigenza in palinsesto.
(Lui d’altro canto l’allarme ce l’aveva pur dato, mesi e anni fa: guardate che la gente non ce la fa più. E noi sciocchi a ripetergli che non era vero, che i ristoranti erano pieni, ecc. ecc.)
Se posso, vorrei dire – a seguito di qualche malevolo commento – che tutto ciò che ho dato ha pagato le tasse. Poi, che altre donazioni possono aver luogo, senza passare per il notaio: Ricerca sul Cancro, Vidas, Bambini nefropatici, Shoah, San Raffaele, scusa mi fermo, sono stati i miei preferiti. Infine un chiarimento su tutta questa gazzarra. Qui dentro c’è stato un terribile schifo, una congiura… (Bernardo Caprotti, 26/11/13, Corriere della Sera)
Qualche giorno fa – Berlusconi non era ancora decaduto, sembrano secoli – sul Corriere è comparsa una letterina del presidente della catena Esselunga, Bernardo Caprotti. Trattandosi della replica a un articolo che lo riguardava, la pubblicazione era un atto dovuto; a sorprendere (ma neanche più di tanto, ormai), è la decisione di pubblicare il testo del biglietto così come è probabilmente arrivato, stile Celentano. Probabilmente in redazione avranno preferito non innervosire ulteriormente il personaggio, e così gli hanno dato spazio esattamente come in un talk show si “passa la linea” a un ospite telefonico, magari un tizio inviperito che ha chiamato perché stanno parlando male di lui.
Risultato: abbiamo assistito in diretta allo sfogo di un capitano d’industria ottantottenne, senza capire molto dei dettagli, ma afferrando la sostanza: il tizio non si può più fidare di nessuno. Gli fanno la guerra i figli; gli fa la guerra la vecchia segretaria e braccio destro; probabilmente gli hanno alzato una trincea persino in ufficio stampa, così è ridotto a scriversi i biglietti da solo. Con qualche effetto perversamente comico: Caprotti afferma di aver fatto cospicue donazioni alla “Shoah”: probabilmente non allude a un inverosimile sostegno ai genocidi nazifascisti, ma alla meritoria associazione “Figli della Shoah”; aveva fretta e ha abbreviato, e al Corriere han stampato così.
Di fronte a un episodio del genere – valutate voi quanto buffo o patetico o triste – spunta la solita domanda (spunta sull’Unità, H1t#206): ma succede così anche altrove? O siamo l’unico Paese in cui i capitani d’industria non riescono a padroneggiare la propria lingua madre, né a munirsi di collaboratori che li sappiano assistere? Quando Caprotti definisce il Corriere il “Times del proprio Paese”, mette a fuoco il problema: è immaginabile un testo così involuto sul Times o su qualsiasi altra prestigiosa testata occidentale? Non è una domanda retorica, onestamente non lo so: se qualcuno ha in mente episodi paragonabili me li segnali pure qua sotto. Ma nel frattempo rimane il dubbio di ritrovarsi nel Paese con la classe dirigente e industriale meno colta d’Europa. Altrove almeno una letterina la sanno scrivere – se non lo sanno fare, sanno procurarsi qualcuno che lo faccia per loro; da noi no, non è richiesto, non è necessario.
Nell’era della comunicazione, i nostri capitani balbettano. Chi li rimprovera di non conoscere l’inglese forse non ha afferrato l’entità del problema: neanche in italiano sanno spiegarsi. Sono stupidi? Tutt’altro: intelligenza e cultura sono variabili non correlate, ed evidentemente Caprotti non ha avuto bisogno di particolari competenze linguistiche per mettere in piedi un impero nel ramo distribuzione. Forse davvero quando sei in ascesa la cultura più di tanto non serve. Ma ti assiste nei giorni difficili, quando devi imparare a mollare, e l’istinto non vuole saperne. Ha l’aria di essere la situazione di Caprotti, ed è sicuramente quella di Silvio Berlusconi, che pure può contare su un lessico un po’ più ricco, da piazzista quale è sempre stato. In qualsiasi altro Paese un Berlusconi avrebbe mollato da mesi, senza arrivare all’umiliazione del voto di mercoledì. Non glielo avrebbero consigliato soltanto i collaboratori più fidati: ci sarebbe arrivato da solo, riflettendo sugli esempi che la cultura personale gli avrebbe fornito, su Nixon, su Leone e su tanti altri. Berlusconi invece conosce solo Berlusconi, e magari la Storia gli darà ragione: dopo lo scisma del PdL e la manifestazione autocommiserativa di mercoledì i sondaggi lo vedono in risalita. Si vede che in Italia l’istinto premia ancora. http://leonardo.blogspot.com
Da quel che ho capito funziona così: venerdì sera Sky Tg24 organizza il confronto tra i candidati alle primarie, che tanto bene funzionò l’anno scorso (anche perché lo trasmetteva in chiaro Cielo). Civati, Cuperlo e Renzi risponderanno a tante domande, e tra queste anche a una che viene dal meraviglioso mondo della Rete, che saremmo noi. In particolare a me e a Luca Conti di Pandemia è stato affidato l’on*re di lanciare la lenza su twitter e di vedere cosa ne salta fuori.
Non ho idea di come funzionino queste cose di solito, ma la mia esperienza assembleare mi sconsiglia di andare semplicemente sul fringuello e scrivere una cosa tipo: #uelà raga come #butta che #domanda si fa a #ilConfrontoPD? Quindi qui sotto metto giù alcune domande – non ho molto tempo – e voi siete liberi di reagire come vi pare e di suggerirne altre. La discussione dovrebbe farsi su twitter (hashtag #ilConfrontoPD;io sono @LeonardoBlog, casomai vi fosse sfuggito), ma se vi sentite più a vostro agio qua sotto nei commenti fate pure.
Alcune domande che io farei a Renzi e agli altri due: 1. Il semestre di presidenza UE lo lasci fare a Letta o preferiresti farlo tu?
2. Uno di voi tre ha già dato un ultimatum a Letta: una nuova legge elettorale o a casa. Spiegaci tu che legge elettorale vorresti e perché.
3. A questo punto della serata avrete senz’altro tutti e tre detto che con Berlusconi e Forza Italia non farete un governo mai più, mai e poi mai, assolutamente mai. Adesso fingete che sia la primavera dell’anno prossimo: ci sono già state le elezioni e i risultati sono più o meno gli stessi di un anno fa. Improvvisate il discorso con cui spiegherete agli elettori che bisogna rifare un governo con Berlusconi.
4. I grillini, un po’ ingenuamente, sono convinti che esista un patto occulto tra il PD e Berlusconi, per preservare le aziende di famiglia, e soprattutto i canali televisivi che gli permettono di avere ancora un peso politico enorme malgrado sia fuori dal parlamento. Volete provare a convincerli del contrario, più che con le parole con qualche proposta concreta? O ritenete che la Mediaset debba essere lasciata a disposizione di un condannato che la usa per difendersi dai giudici e dagli avversari politici?
5. Papa Francesco. Che persona meravigliosa. Quanta umana compassione nei suoi appelli alla povertà. Lo vogliamo aiutare? Riusciamo a far pagare alla Chiesa qualche giusta tassa in più? O va tutto bene così?
6. Immagina di essere solo con Angela Merkel. No. Mettiamola così: davanti a un caminetto ci sei tu, Angela Merkel e due interpreti simultanei. Una pioggia incessante picchietta le finestre con ostinazione teutonica. Convincila che l’austerità sta distruggendo l’Europa e che bisogna invertire la rotta al più presto. Con parole tue.
7. Le donne italiane hanno diritto ad abortire, o si tratta di un lusso per chi se lo può permettere? Sbattere fuori dagli ospedali pubblici tutti gli obiettori quanto è in alto nella vostra lista delle priorità?
8. (Questo è un pallino mio). Uno di voi tre l’anno scorso approfittò di questa ribalta per lanciare l’idea di un servizio civile obbligatorio. Buona idea o straordinaria cazzata?
9. L’anno scorso c’era anche una donna lì sopra, anche se diciamolo, era più decorativa che altro. Qual è la prima cosa che farete per le pari opportunità quando e se sarete a Palazzo Chigi?
10. Mentre tutto il mondo comunica su internet, l’Italia è in controtendenza. Che si può fare per convincere gli italiani a sfruttare le potenzialità della Rete? Per favore, non un convegno e neanche un nuovo pool di esperti.
Improvvisamente vi svegliate, non riscattati dalla stanchezza di secoli, e in tv c’è ancora Ballarò. Sullo sfondo operaie incatenate a un’azienda che chiude, bandiere di sindacati, e non vi par bello cambiare canale. Oppure non riuscite a trovare nemmeno la forza morale per cercare il telecomando negli anfratti del divano che vi sta masticando, che domani vi rigurgiterà belli e stravolti e pronti alle vostre otto-ore, e c’è gente che vi invidia. Quando improvvisamente una luce si irradia su di voi. È un coglione in tv. Non è un coglione come gli altri. È il coglione platonico, non brilla di luce riflessa, è una pura fonte di ottimismo e gioia di vivere a due passi oltre il baratro. È il marito di una delle operaie incatenate, ma non gliene frega niente. Lo hanno intervistato per sbaglio, e ci sta dicendo che il peggio è passato, che lui per esempio sta vendendo un sacco di aspirapolveri, suo figlio ha tutti i dieci in pagella per cui domani lo porta in vacanza, evvai! In Europa! È stato solo un secondo, poi la regia è tornata a inquadrare disoccupati menagrami. Ma adesso lo state cercando davvero il telecomando, adesso state cercando se per caso da qualche parte esiste ancora un canale che trasmette coglioni così. Al massimo anche un film.
Dev’essere questa la scena che ha fatto sobbalzare anche Renato Brunetta, un uomo che se non esistesse avrebbero potuto inventarselo gli sceneggiatori di un film di Checco Zalone. Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dirlo, che tutti questi operai disperati in tv portano sfiga! Ok, è un pagliaccio, ma arruoliamolo lo stesso. Zalone esprime in pieno la filosofia positiva, generosa, anticomunista, moderata, serena di Berlusconi e di Forza Italia.Che è un po’ come se Goebbels all’uscita del Dittatore si fosse congratulato con Charlie Chaplin per aver espresso in pieno la filosofia “positiva, generosa, anticomunista, moderata, serena” di Adolf Hitler e del partito nazionalsocialista. E tuttavia Brunetta non ha tutti i torti… (continua su +eventi!)
Una scissione nel centrodestra era uno scenario che fino a pochi mesi fa nessuno avrebbe osato immaginare. Eppure non è una mossa così illogica, e potrebbe persino rivelarsi vincente. È l’esito delle tensioni scatenate dalla permanenza di questo governo paradossale, sostenuto da due partiti contro la volontà dei loro stessi elettori. Sia Berlusconi sia il suo concorrente più plausibile – Renzi – si trovano nella scomoda condizione di dover preparare una campagna elettorale mentre sostengono un governo impopolare. Entrambi non hanno troppa fretta, e però più tempo passa più rischiano di perdere consensi. Che fare?
In aprile io, per esempio, senza intendermi di politica, suggerivo ai renziani di smarcarsi dal Pd e di lasciare che al governo andassero i rappresentanti del vecchio partito – una specie di bad company del consenso, che avrebbe attirato a sé tutto il malumore per l’accordo con centristi e PdL e per le politiche impopolari che avrebbe avallato. Ovviamente nessuno mi prese sul serio; però cinque mesi dopo qualcosa del genere l’ha combinata Berlusconi: Alfano e i ministri del Pdl vengono esternalizzati, più o meno forzati a costituire un partito che fungerà da bad company. Si accolleranno tutte le responsabilità di un governo che davvero fin qui non ha fatto molto per compiacere l’elettore di centrodestra; e nel frattempo Berlusconi è finalmente libero di sguazzare nell’opposizione, il ruolo che più di tutti gli è congeniale. Sganciata da ogni responsabilità, la nuova Forza Italia può ora andare in cerca di nuovi bacini di consenso: e se si gioca con abilità la carta dell’euroscetticismo, potrebbe recuperare molti astensionisti e persino qualche ex elettore pentastellato o democratico. Quanto al destino elettorale del Nuovo Centrodestra di Alfano, il precedente di Futuro e Libertà è abbastanza eloquente – a meno che lo stesso Berlusconi non decida di tenerli in vita come lista civetta per disturbare i centristi.
Certo, alla nuova Forza Italia – Abbasso Europa servirebbe un leader energico, e il Berlusconi che vediamo in questi giorni non lo è più (continua sull’Unita.it, H1t#205) L’età, la salute, le preoccupazioni giudiziarie, il protagonismo che gli ha impedito in tutti questi anni di individuare e crescere un successore all’altezza (anche in famiglia): tutte cose che cominciano visibilmente a pesare; ora come ora il principale problema della prossima campagna di Berlusconi sembra Berlusconi stesso. La distanza col personaggio che nel ’94 sprizzava ottimismo da tutti i pori è immensa. E però B. è già stato dato per spacciato tante volte: e per quanto azzardate possano sembrare le sue mosse, fin qui sembrano le migliori a sua disposizione.
Tra qualche giorno il parlamento voterà la mozione di sfiducia m5s alla Cancellieri, e Renzi – che si è pubblicamente pronunciato per le dimissioni – si troverà in una situazione imbarazzante: se la ministra otterrà la fiducia, come appare più che probabile, gli sarà rinfacciato di averne chiesto le dimissioni soltanto a parole, mentre nei fatti i parlamentari Pd della sua area continuano a sostenere fedelmente il governo Letta. E in effetti le cose stanno così: criticare la Cancellieri è una mossa elettorale, sostenere il governo è una scelta politica, e Renzi è costretto a muoversi in entrambe le scarpe. Poi succederà qualsiasi altra cosa e nel giro di qualche settimana ci saremo dimenticati anche di questa; ma a lungo andare queste situazioni non possono che indebolire l’immagine del futuro leader di centrosinistra. Non è da tutti essere di lotta e di opposizione: forse non è mai riuscito bene a nessuno. A questo punto però non è più un problema di Berlusconi: lui si è tirato fuori. Buona mossa, bisogna ammetterlo. Magari gli è capitata per caso, magari non si rende conto più di quel che gli stanno combinando attorno: ma la mossa resta buona.http://leonardo.blogspot.com
Tutto quello che è successo, un istante dopo che è successo, ci è parso inevitabile; e adesso con chi dovremmo prendercela? Con Berlusconi? Ma Berlusconi non poteva che comportarsi così, è la sua natura: come lo scorpione che non può non pizzicare la rana, B. doveva prima o poi affossare questo governo. Potremmo prendercela con Enrico Letta. Ma anche la rana in fondo non poteva che comportarsi così: la sua unica chance era imbarcare lo scorpione e convincersi che sarebbe andato tutto bene. Era il suo ruolo e, per quanto ridicolo, lo ha portato avanti con un certo stile. Letta avrebbe potuto fare più o meno di quello che ha fatto, e tutto questo sarebbe successo ugualmente: lo sapevamo. Magari ignoravamo la goccia che avrebbe sbilanciato i piattini in equilibrio così precario (la sentenza della Cassazione) – ma in coscienza come potevamo sperare che il governo durasse molto di più?
Era nato per cambiare legge elettorale e prendere tempo, in attesa che Berlusconi decadesse o Grillo si sgonfiasse. Grillo si è rigonfiato, Berlusconi sta per decadere, ma ha preso la legge elettorale in ostaggio – e anche questo tutto sommato era abbastanza prevedibile. Nel frattempo il PD avrebbe dovuto prepararsi alla campagna elettorale più difficile, e non è andata così. Lo dico da osservatore parziale, che ha sempre evitato di infilarsi nel coro di chi critica il PD sempre-e-comunque: stavolta possiamo prendercela soltanto con noi stessi. Sapevamo che Berlusconi poteva staccare la spina in qualsiasi momento, e abbiamo perso tempo in una battaglia precongressuale estenuante, alimentando sui quotidiani polemiche inutili, fino alla catastrofe dell’ultima caotica, incomprensibile assemblea del PD. Non potendoci aspettarci lealtà da Berlusconi, o ragionevolezza da Grillo, l’unica cosa che chiedevamo è che il PD reagisse alla batosta rispondendo almeno a un basico istinto di sopravvivenza: tanto più che il candidato ormai c’è, può essere più o meno simpatico ma c’è, e le stesse primarie sarebbero pleonastiche (il che non significa che non possa convenire celebrarle, anche soltanto come cerimonia: però nessun plebiscito ci ha mai fatto poi vincere le elezioni). Niente da fare, a quanto pare: bisognava litigare sulle primarie, sulle convenzioni che nessuno sa cosa siano, sul ruolo del segretario rispetto al ruolo del candidato… intanto domani comincia la campagna elettorale, e il congresso è convocato per dicembre. Berlusconi non ha più niente da perdere e potrebbe persino vincere.
E a questo punto ritorna la vecchia domanda: ma sul serio? Stiamo davvero lasciando che un evasore fiscale milionario si metta a sparare a zero sugli avversari politici attraverso canali televisivi che ha accumulato in plateale violazione delle leggi – finché non le ha lui stesso cambiate? Gli stiamo davvero lasciando la possibilità di raccontare altre bugie a quel quinto di italiani che lo ascolta ancora e che gli è sufficiente per dettare condizioni in parlamento? Che altro deve fare, ancora, Silvio Berlusconi, per convincerci della sua natura di nemico pubblico? Cosa trattiene le istituzioni dal trarre le estreme conseguenze di fatti altrettanto estremi? In Grecia il leader di un partito neonazista è in carcere con l’accusa gravissima di essere il mandante di un assassinio. Berlusconi non è un nazista e non è un violento; in compenso quelle contro di lui non sono semplici accuse: Berlusconi ha corrotto, Berlusconi ha rubato, a Berlusconi non si dovrebbe consentire la libertà di far cadere un governo o addirittura causare la fine di una legislatura. Se questo diritto glielo riconosce in qualche perverso modo la Costituzione, violiamola pure: lo facciamo tutti i giorni quando si tratta di torturare i detenuti comuni o non riconoscere il diritto d’asilo. Inutile prendersela con B., fin tanto che lo lasciamo libero di offenderci: ma perché lo lasciamo libero? Di cosa abbiamo paura? O anche questa disponibilità a lasciarci fottere così, anche questa rientra nella nostra “natura”? Trenta mesi fa, un professore osò scrivere su un quotidiano di sinistra che un’emergenza del genere andava risolta coi carabinieri.
Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l’autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall’alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d’emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d’autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d’interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l’Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale. Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole. Le ultime occasioni per evitare che la storia si ripeta stanno rapidamente sfumando.
Lo presero per matto – carabinieri e forze di polizia non godono di molto credito presso quel bacino di lettori. E tuttavia Asor Rosa aveva molto semplicemente ragione: contro i ladri non si mandano i generosi manifestanti; contro i ladri e i nemici della salute pubblica uno Stato, se vuole sopravvivere, si difende con la forza. Ma era già tardi, nell’aprile del 2011.