Berlusconi, Giuliano Ferrara

Ma Trump non è Berlusconi

Un giorno – possibilmente da qui ai primi di novembre – dovrò tentare di spiegare anche a me stesso perché Trump non mi sta spaventando neanche un quinto di quel che mi spaventava il piccolo Bush. Nel frattempo però lascio un appunto sul paragone più banale che sta girando tra i giornalisti: quello con Berlusconi.

Paragone ormai abusato non solo tra giornalisti italiani, a cui non sembra vero poter vantare vent’anni di esperienza di un mitomane col parrucchino (il che dimostra che in vent’anni non hanno messo a fuoco il problema): la cosa sta prendendo piede anche tra gli anglosassoni; per esempio ieri il Financial Times definiva Trump un “Berlusconi americano”, benché privo del suo fascino e del suo talento per gli affari (“albeit without the charm or business acumen“). Ok, divertente. E forse la maggior somiglianza col caso italiano non sta nei due personaggi, ma proprio nella reazione incredula e stizzita che scatenano presso il ceto intellettuale, non solo a sinistra: effettivamente il passaggio dalla sottovalutazione all’indignazione al panico qui in Italia l’abbiamo vissuta più di vent’anni fa. E abbiamo capito – purtroppo un po’ meno di vent’anni fa – che insistere sulle gaffes del tizio non fa che renderlo più forte verso il suo serbatoio elettorale: del resto in Italia l’anti-intellettualismo lo studiamo da un secolo, siamo passati per il fascismo e il qualunquismo ed evidentemente non abbiamo ancora trovato il vaccino efficace.

Detto questo, chi paragona Trump a Berlusconi mostra di non aver capito qual era il vero problema con Berlusconi: non il parrucchino, non le barzellette e le figuracce, le smorfie ai vertici internazionali (per quanto, via, chiamare kapò un europarlamentare tedesco) e nemmeno l’imbarazzantissima esuberanza sessuale, che è poi il motivo per cui all’estero lo conoscono e ce lo ricordano ridacchiando. Non è nemmeno il populismo – o meglio, il populismo è un problema grave, ma esisteva prima di Berlusconi e non è affatto tramontato con lui. E allora cosa?

C’è bisogno di ricordarlo? A quanto pare sì. Berlusconi possedeva quasi metà dell’etere televisivo, in spregio della normativa (Rete4 avrebbe dovuto finire sul satellite); e quando vinse le elezioni modificò la normativa e mise le mani anche sull’altra metà, quella pubblica. Nel frattempo era uno dei principali editori italiani, e uno dei principali concessionari di pubblicità, che raccoglieva sul mercato e rivendeva alle sue aziende. In sostanza per qualche anno in Italia non ci furono direttori di reti televisive e tg che lui non approvasse direttamente o indirettamente: malgrado fior di opinionisti assunti in queste reti o dai suoi giornali ci spergiurasse che no, Berlusconi non vinceva le elezioni grazie alle televisioni: che il fatto che continuasse a esercitare quel controllo, arrivando a fare i nomi di chi non voleva più in RAI, fosse semplicemente una coincidenza, una cosa che gli capitava di fare perché si sa, la tv è sempre stata il suo pallino.

Quanto a Trump, per quel che ne so è un palazzinaro e una celebrità televisiva. Ma non possiede la CBS, né la FOX, né la CNN né una delle Big Three: che di conseguenza possono decidere di parlare di lui come vogliono. Anche molto male. Forse avrete intravisto anche voi lo spezzone dello show di John Oliver (definirlo “comico” è riduttivo) dedicato a Trump: venti minuti di demolizione sistematica del personaggio, andati in onda su HBO e poi rimbalzati via internet in tutto il mondo. Ecco, questo su un canale televisivo italiano nel 2002 sarebbe stato impossibile. Negli USA invece si fa abitualmente, e si continuerà a fare persino nel malaugurato ma sempre più probabile caso in cui il mitomane di turno vinca le elezioni. Perché davvero, non è che le televisioni siano indispensabili per farti vincere.

Però in Italia aiutano.

Ognuno poi ha i suoi parametri, le sue pietre di paragone: il mio canarino-in-miniera è Giuliano Ferrara, a cui Trump dà un certo fastidio. Per il populismo? Ferrara ne ha avallati di peggiori. Per il cattivo gusto? Parliamo del tizio che si mise il rossetto e andò in piazza col cartello “siamo tutti puttane”, per solidarietà col capo accusato di avviare minorenni alla prostituzione. E allora, insomma, cosa c’era in Berlusconi che Ferrara non riesce a trovare in Trump? Secondo me è una questione preconscia: Ferrara non pensa, Ferrara annusa. E per quanto inspiri, non riesce a sentire quell’odore di vero potere che gli darebbe alla testa. Per un Berlusconi si sarebbe messo in mutande; per un Bush era disposto a millantare consulenze con la CIA; per Trump niente. Lo trovo molto indicativo.

1968, aborto, anniversari, Giuliano Ferrara

Soffia sulle candeline

(Oggi Giuliano Ferrara compie 63 anni, a dar retta a wiki. Tanti auguri).

Soffia sulle candeline (G.Giacobetti/V.Savona/B.A.Stardo)


Tanti auguri per te,
tanti auguri per te,
Mille giorni felici.
Tanti auguri per te.

Se compi un anno stringi forte le manine,
prendi fiato a più non posso e soffia, soffia innanzi a te:
soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

Se son due anni e già le prime paroline
tu sai dire alla mammina, prendi fiato insieme a me:
soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

E se invece gli anni sono tre,
un brindisi puoi fare… ma non rompere il bicchier.
A quattr’anni puoi già far da te:
tagliar la torta a fette e darne un poco pure a me.

A cinque anni coi bambini e le bambine
una festa tu farai dedicata tutta a te!
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

Se son sei anni già ricevi cartoline
mentre il nuovo sillabario si fa leggere da te:
soffia sulle candeline! ecc.

Se son sette già raccogli figurine
dei campioni del pallone che gareggiano per te:
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

Quando invece otto anni avrai,
ti senti già Pioniere e i giardinetti esplorerai.
Anni nove: vuoi fare il ballerin
e balli l’hully gully con la figlia del vicin.

A dieci anni, che passione per il cine!
Entusiasta dei cow boy, cosa mai potrai temer?
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

A sedici anni vuoi già fare il Sessantotto
a Valle Giulia un poliziotto
sta inseguendo proprio te.[51]
Soffia sulle candeline! ecc.

A vent’anni metti incinte ragazzine
che abortiscon clandestine
per non dar fastidio a te[43].
Soffia sulle candeline! ecc.

A ventuno sei già ben retribuito[3],
con un posto nel partito
che papà trova per te.
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te.

A ventotto ti trovi migliorista
ti candidi a Torino e hai il primo posto nella lista[6].
Quando invece i tuoi trent’anni avrai
per Sabra e per Shatila i tuoi piedini pesterai[10].

A trentacinque hai una rubrica sul Corriere,
cosa mai potrai temere?
Craxi veglia su di te.
Soffia sulle candeline! ecc.

A quaranta che passione per la tele
ci conduci trasmissioni che si scrivono per te…
Soffia sulle candeline! ecc.

A quarantadue vuoi fare per davvero
prima provi un ministero, ma non era adatto a te.
Soffia sulle candeline! ecc

A quarantatré vuoi far l’intellettuale
sopra un foglio originale
che ora stampano per te.
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

A cinquanta alla guerra vuoi chiamar
e il drappo d’Israele, eroico, in piazza sventolar.
Cinquantotto – e hai già un’altra passion:
diventi antiabortista e salvi tanti, tanti embrion.

Su questa torta rilucente di perline,
dopo sessanta candeline altre cento aspettan te.
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te.

Tanti auguri per te,
tanti auguri per te!
Mille giorni felici,
Tanti auguri per te.

Cristo, Giuliano Ferrara, preti parlanti, vita e morte

Ite retro

Piccolo testamento

Il qui presente, nel pieno benché effimero possesso delle proprie dignitose facoltà mentali,
qualora un incidente o una patologia lo costringessero in un letto, assistito da costosi macchinari da cui dipenderebbe la sua vita, in uno stato d’incoscienza protratto per tre anni almeno,

chiede

– che non si dia risalto mediatico alla cosa: la gente nasce e muore tutti i giorni;
– che i politici restino a distanza: sarebbe un Paese migliore se le leggi non si facessero pensando sempre al caso particolare;
– che gli opinionisti si tengano le loro opinioni: grazie, ho già le mie (in particolare, sarebbe carino da parte di Giuliano Ferrara lasciarmi morire in pace, visto che è una vita che mi affligge con opinioni non richieste);
– che i cantanti facciano i cantanti. O vogliono dire una preghiera? Va bene, ma in silenzio, non in prima pagina.
– che i preti facciano i preti – che pensino cioè a consolare vedove e orfani, e non a inventarsi bislacche etiche pro-life che, per quanto ho potuto appurare, dal Vangelo non risultano. E io il Vangelo un po’ l’ho letto, Santi Padri. Comincia con un vecchio Santo che chiede di morire; prosegue con un uomo, figlio di Dio, che a un certo punto decide di morire. Proprio così: il padre gli lascia la libertà di scegliere, e lui decide. Quando un amico lo prende in disparte per dissuaderlo, lui gli risponde: Vade retro Satana. Non so se mi sono spiegato: Vade Retro Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. Pecco certo di superbia nel paragonare il mio piccolo sacrificio a quello del Figlio di Dio: lui doveva mondare tutti gli uomini dal peccato originale, io vorrei soltanto che i macchinari, il tempo, le risorse e l’affetto che si spendono sul mio caso disperato vengano rivolte ad altri malati, più bisognosi di affetto, risorse, tempo e macchinari. Ma la vita è un dono, l’unico che mi resta, e dei doni si dispone a piacimento. Capisco che dire di No a un dono possa essere interpretato come un segno di scortesia: il mio però più che un No è un Grazie, mi è piaciuto, ma in queste condizioni non mi va più, ne ho avuto abbastanza, datene piuttosto un po’ di più agli altri che ne hanno avuto meno.

– E quindi: che si stacchi la spina ai macchinari.
– Che si stacchi l’eventuale sondino che mi nutre. Qualora il dottore incaricato avesse difficoltà con la sua coscienza, chiuda gli occhi e faccia finta di toglierlo a Giovanni Paolo II.
– Che mi si somministri per favore qualche oppiaceo, nell’eventualità che pure nell’incoscienza io stia provando un po’ di dolore. Se non si può fa lo stesso, ma ho sempre pensato che prima di morire mi sarebbe piaciuto provare qualche sostanza da cui mi sono saggiamente tenuto lontano da giovane.

È tutto? Sì, direi che è tutto.
E se poi l’anno dopo si scopre la cura? Beh, mi stupirei del contrario. È la storia della mia vita, no?

Bossi, campagna elettorale (permanente), Giuliano Ferrara, socialisti allo sbaraglio, Veltroni

forse Dio è malato

Te e i tuoi sfondi verde vomito

1. Mi dispiace, seriamente.
Vabbè, me l’aspettavo, ma la sconfitta di Veltroni mi addolora ugualmente. È vero, non condividevo la sua strategia. È vero, un signore che a settembre, con un gap del 22%, decide di andare da solo e giocarsi cinque anni della mia vita e del mio potere d’acquisto perché… “yes we can”, più che un leader è un cavaliere dell’apocalisse. Eppure sarei stato felicissimo di ricredermi: se ce l’avesse fatta sarei stato tutto suo, corpo e anima. Avrei cancellato tutti i pezzi livorosi nei suoi confronti (senza contare tutti quelli che mi sono proibito di scrivere) e li avrei sostituiti con citazioni ossequiose da “Forse Dio è malato” e “La scoperta dell’alba”. Quando ci promise gli anni ’60 ero anche pronto a farmi la frangetta e la Vespa 50. Ma ha perso, e ha perso male. Coi tuoi sfondi verde vomito, ma nasconditi.
“Siamo a meno sei”, dicevi un mese fa. Oggi è a meno nove. Dovevi conquistare gli indecisi? Li hai persi. Col tuo nobile gesto hai ucciso la sinistra arcobaleno, che avrà pur avuto tanti difetti, ma non meritava una fine del genere. O la meritava? E io la meritavo? Io, non Bertinotti, io, dovrò vivere altri cinque anni pagando con le mie tasse gli sgravi fiscali dei padroncini incapaci. Io finanzierò il Ponte sullo Stretto, e vedrete che se c’è un modo di farmi salvare Alitalia, magari espiantandomi il midollo, me lo espianteranno (naturalmente Ahmad sarà mio compagno di cordata). Tremonti metterà i dazi, l’Unione Europea ci multerà, e sapete chi pagherà la multa? Io.
Il minimo che possa chiedere, in questo momento, è la testa di Veltroni. Dite che non è colpa sua? Luca Sofri dà ancora la colpa a Prodi. E perché non a Occhetto? Guardiamo in faccia alla realtà. Il partito di Veltroni doveva “affascinare” gli italiani: non è successo. Dietro al gran nome, dietro alla simpatia paracula delle claques romane, dietro ai paraventi di Repubblica sempre più serrati intorno a una realtà parallela, c’era l’evidenza di un leader un po’ bollito, rassicurante ma privo di appeal, che ai giardini l’anno scorso mi fece una così triste impressione – ed era in territorio amico. Durante la campagna elettorale ho atteso vanamente il colpo da Grande Comunicatore, il coniglio nel cappello – niente. Credo che l’Africa non debba attendere ulteriormente. Il suo posto può prenderselo chiunque, meglio se gradito a nord: col senno del poi, Bersani fece proprio male a ritirare la sua candidatura alle primarie.

2. Quello che è successo a sinistra ha le dimensioni di un suicidio rituale di massa. La stessa scelta di nonno Fausto come leader gridava: “Non votate per noi, siamo vecchi stanchi e forse nocivi”. È la storia più triste che io conosca: un gruppo di politici (non tutti bravi, anzi in gran parte scarsi, ma non è quello il problema) decide di sacrificare le proprie forti idealità per assicurare un governo stabile all’Italia. Non solo non riescono ad assicurarlo, ma perdono sia il loro elettorato che l’alleanza in nome della quale si erano sacrificati. E adesso? Il passo più logico è all’indietro: le europee dell’anno prossimo sono proporzionali senza sbarramento, verdi e comunisti andranno tutti alla spicciolata alla ricerca di un euro-seggio che li tenga fuori dai guai e dalle monnezze d’Italia. Non li biasimo. Piuttosto mi chiedo cosa farò, in un’Italia senza sinistra parlamentare. Se aggiungo il quadro la crescita dei movimenti parafascisti nelle scuole, me la vedo proprio male.
Poi penso che poteva andarmi peggio, in fondo sono etero. Amici gay, l’estate scorsa litigavate con me perché i DiCo proposti dalla Bindi non erano veri matrimoni, vi ricordate? Sembra già trascorsa una vita.

3. Se i gay piangono, i Vescovi non hanno molto da ridere. A loro modo, volevano dare una dimostrazione a Berlusconi: guarda che senza di noi non vai lontano. Sbagliato. Il governo Bossi-Berlusconi sarà uno dei governi più laici della storia della Repubblica, senza Binetti e con un sacco di allegri puttanieri. Memorandum per Casini: la prossima volta che il signore che già ti regalò cinque anni di presidenza della Camera ti telefona per invitarti nel suo nuovo partito, tu digli di sì, anche se sei spossato da un viaggio in eurostar e tutti gli amichetti ti strattonano per andare a giocare nel loro nuovo partitino bianco. E lascia perdere anche i tuoi amici vescovi. Quelli brontolano un po’, ma alla fine ti assolvono sempre, dovresti saperlo.

4. Come volevasi dimostrare, il partito di Giuliano Ferrara non esiste. Purtroppo dovrò pagarlo ugualmente (nelle nazioni civili, ad es. in Francia, chi non supera una soglia percentuale non accede ai rimborsi elettorali: in Italia invece bastano due firmette di senatori e ti candidi a spese mie; chissà quanti poi gonfiano le spese e ci lucrano su). E tuttavia voglio sperare che il suo flop sia abbastanza rumoroso da chiudere per un pezzo qualsiasi speculazione su legge 194 e derivati. È l’unica vera buona notizia di stasera, direi. Però attenzione, perché da dopodomani lui ripartirà a scrivere sul suo giornaletto quanto è stato bravo, e sarà in tv tutte le sere a dire che ha perso però è stato tanto bravo, e insisterà finché gli daremo retta, e ci rimetteremo anche noi a parlare di questa archiviatissima legge 194. Perché? Perché siamo dei polli (infatti continuiamo a dar retta agli exit poll).

5. Anche Boselli non esiste – ma questo si sapeva già. Persino i numeri non sono una novità. La notizia è che, dopo 15 anni, se ne sia reso conto anche lui. Chissà come ci si sente. Come Bruce Willis in quel film quando si rende conto di essere morto, un’ora e mezza dopo che lo hanno capito gli spettatori.

6. Il successo della Lega merita un pezzo a parte – stasera mi fermo a questo: tutti avevano in mente una campagna iper-moderna, all’americana, Obama-style: e invece ha vinto il partito più vecchio dell’arco costituzionale: direttamente dai ruspanti anni ‘80, coi suoi leader cresciuti alla Scuola Radio Elettra (altro che Frattocchie) assolutamente non fotogenici, così impacciati e involuti che un ictus al cervello non li peggiora. Pensavamo che l’Italia fosse “Yes we can” e invece ha vinto “tiriamo fuori i fucili, grunt”. Però questa è l’Italia in cui vivo io. Non la amo, questo no, ma la riconosco. Quell’altra invece non riuscivo proprio a metterla a fuoco. E mi dispiace, credetemi.

aborto, cinema, famiglie, Giuliano Ferrara

Sfonderò i vostri armadietti maledetti

Un luogo appena un poco più comune

Basta armadietti
È giusto, prima di parlare di un film del genere, che il piccolo recensore confessi le sue idiosincrasie. Perché magari Juno potrebbe essere una pietra miliare del cinema mondiale, tipo Quarto Potere od Odissea nello Spazio, e tuttavia non sarei riuscito ad apprezzarlo appieno dal momento che è un film con gli armadietti e io, quei fottuti armadietti dei licei americani, non li sopporto più, levatemeli dagli occhi.

Non è colpa degli americani – che ci possono fare? Loro hanno gli armadietti, è giusto che li mostrino. E hanno anche le cheerleader e i bibitoni dai colori improbabili, e il ballo di fine anno… è normalissimo e comprensibile che continuino a fare film su queste cose. Si tratta di un problema mio: a un certo punto della mia vita ho iniziato a sentire una voce nella mia testa che mi diceva BASTA COI FOTTUTI ARMADIETTI e questo forse pregiudica la mia capacità di recensire Juno.

Forse ho visto troppi telefilm, fatto sta che a un certo punto il mio immaginario ha sviluppato un’intolleranza agli scaffali grigi lungo i corridoi. L’impressione di conoscere le scuole di laggiù meglio delle italiane, oltre che illusoria, è frustrante, perché in quella italiana ci lavoro, e benché ricopra una mansione di grande responsabilità il mio personale armadietto è largo 40x20cm.: ogni mattina che m’inginocchio per aprirlo, ripenso agli immensi armadietti degli imperialisti americani. Non sono la persona più adatta a parlare di Juno.

Non so se l’ho mai spiegato, ma l’America mi fa paura. Meno della Cina, ma un po’ più del Perù. Si può viaggiare per giorni e giorni e si resta in America. Cambierà il paesaggio (non tanto), ma le città avranno nomi simili, i ristoranti i nomi identici, e nei licei le bionde faranno le cheerleader e le more ascolteranno punk. Tu pensi che sia un luogo comune. Ma l’America è precisamente questo: un immenso luogo comune. Quando esce un film, e tutti dicono che è un film diverso dagli altri, tu ti aspetti precisamente che rovesci il luogo comune. Ma un luogo comune rovesciato è ugualmente comune, come quella canzone che ascoltata all’incontrario suona uguale. Così Juno arriva a scuola, apre il suo armadietto, scambia due scortesie col bulletto di torno, e ci spiega che in realtà ai bulletti piacciono le more postpunk, mentre alle bionde piacciono i professori, avete capito come ragiona Juno? È questo che mi spaventa dell’America. La quantità ti porta a ragionare per categorie. Al massimo riconoscono che le categorie si comportano in modo un po’ più complesso (pensavi che le bionde si filassero i terzini di football? sbagliato), ma questo non toglie che le categorie esistano, e tu ci sia dentro. Hai capito, individuo di una piccola nazione esotica? Tu in realtà non esisti. La tua individualità è una somma di variabili che noi abbiamo individuato e quantificato da tempo. Esistono i nerd, esistono i fighetti, esistono quelli che prenotano la limousine per il ballo di fine anno ed esistono quelli che trovano il ballo una stronzata ma sotto sotto gli rode. Più su esistono i ricchi che vivono tra mobili per ricchi in case da ricchi nei sobborghi da ricchi, e i non ricchi che hanno lo sportello del frigo adorno di cento calamite.
Quello che mi fa più paura in questo modo di pensare, è che probabilmente gli americani hanno ragione. Se prendiamo 200 milioni di persone, e li facciamo vivere in una fascia geograficamente abbastanza omogenea, vedremo che le personalità si allineano lungo determinati standard sociali, e che l’individualità non può essere che un’illusione. Un’illusione che probabilmente è più facile coltivare in una penisola stretta e stretta ricca di paesaggi e climi diversi, dove sulle due sponde dello stesso fiume si parla un dialetto diverso. Comunque io preferisco tenermi la mia illusione di individualità, e voi tenetevi quei fottuti armadietti.

(Qui non parlo più di Juno)
A un certo punto della mia vita ho fatto la pace coi luoghi comuni. Dal momento che esistono, e funzionano, ho capito che devo imparare ad usarli e a non essere usato da loro. Per esempio io ho un blog, non so se ne avete sentito parlare. Su questo blog a volte scrivo dei racconti, li scrivo molto brevi con la scusa che sono per il blog, e siccome non ho spazio per costruire personaggi a tutto tondo (ma avendo lo spazio probabilmente mi mancherebbe la capacità), nella tazzona oversize dei luoghi comuni c’intingo alla grande, e quando i commentatori s’incazzano io sghignazzo. “Ehi, Leonardo, ho letto il tuo pezzo sugli imprenditori arroganti e i benzinai pachistani con la faccia gentile, bella roba, eh? Forse non al livello di quello sugli omosessuali petulanti, ma insomma quando arriva il pezzo sui negri col senso del ritmo?” Tempo al tempo, arriverà anche quello, non fatemi pressione. Siccome non ho pretese di naturalista ottocentesco, né di monologhista interiore novecentesco, ma vorrei semplicemente descrivere la mia società in abbozzi sintetici ed efficaci che arrivino a più gente possibile, io ho da tempo incluso i luoghi comuni nella mia cassetta degli attrezzi, e non credo di falsificare la realtà quando li uso, anzi.

Forse l’ultimo Virzì mi è piaciuto tanto perché ci leggo la stessa premessa: perché darsi pena ad evadere dai luoghi comuni, quando la realtà stessa è ben più macchiettistica del vero? Virzì descrive la realtà abitata da tizi come quel manager della Telecom che incita a vincere come “Napoletone a Waterloo”: l’avete visto tutti. Sembrava o non sembrava un provino di Tutta la vita davanti? Ma probabilmente i critici l’avrebbero trovato troppo caricaturale. E allora non prendetevela con Virzì, l’Italia è questa. Se mai mi piace che Virzì abbia scelto l’opzione della vecchia commedia all’italiana: dati gli stereotipi, carichiamoli finché scoppiano. Il suo è un film dove la gente litiga, impazzisce, imputtanisce, in generale fa male a sé stessa e agli altri. Questo mi piace, tanto più ultimamente al cinema m’imbatto sempre più spesso in film che praticano una via opposta.

(Adesso parlo di Juno, raccontando quasi tutta la trama)
Juno è per l’appunto un rappresentante di questa seconda via, che potrei descrivere così: siccome i luoghi comuni esistono, li diamo per scontati, li accenniamo appena appena, e poi lavoriamo per sottrazione. E quindi, caro spettatore che conosci a memoria tutto lo sfondo umano del liceo americano: ti aspetti che Juno sia una sedicenne irresponsabile e deficiente? Ecco, no, vedrai che non è così irresponsabile e deficiente. Ti aspetti che il suo ragazzo sia nerd e immaturo? Dai, non è così nerd, corre gli 800 metri e si preoccupa dell’alito. Ti aspetti che la migliore amica sia una bionda senza cervello? Scoprirai che ne ha abbastanza per dare a Juno i consigli migliori. Ti aspetti che la matrigna manicure voglia più bene ai cani che a Juno? E invece no, anche lei ha un gran cuore. Forse la madre affittuaria è una donna in carriera maniaca delle creme? Ma al centro commerciale gioca per dieci secondi con una bambina bionda, e quindi probabilmente sarà una brava madre. Forse suo marito è un Peterpan con la crisi dei quarant’anni, pronto a gettarsi su una 16enne incinta di suo figlio? Ehi, ehi, piano, messa così potrebbe sembrare un mostro, e invece vedete che anche lui si ferma subito, capisce il suo errore, chiede il divorzio, naturalmente consensuale e collaborativo perché mostrare un litigio coniugale in un film fa trooooppo anni Novanta, insomma… è un luogo comune.

Il problema è che un luogo comune “impoverito” non è meno comune di prima: è semplicemente appiattito, una versione bidimensionale della realtà (e come tale forse in grado di suscitare un effetto cromatico che solo le ragazze riescono veramente ad apprezzare, il famoso effetto Klimt), dove non ci sono più veri conflitti e tutto è così… carino, ma così carino, che a un certo punto fantastichi di Juno che torna a casa dalle prove del complesso e ci trova Javier Bardem che ha ucciso tutta la sua famiglia con una bombola da enfisema (avete notato che i marciapiedi sono identici? Ma tutta l’America suburbana è così, anche quando la girano in Canada).

Immaginate la storia di Juno scritta e girata da un cultore del conflitto grottesco. La ragazzina scopre d’essere incinta: piange, strepita, poi si mette a cercare dei genitori seri. Perché mai dovrebbe trovarli al primo colpo? Quando mai nella vita è buona la prima? Io mi sarei preso venti minuti almeno di tour nelle case degli aspiranti genitori: madri isteriche, fratelli bulimici, padri passivi aggressivi con uncini appesi al garage, non mi sarei fatto mancare nessun luogo comune, dal momento che tutti questi luoghi comuni sono documentati nella cronaca, sono stramaledettamente veri. Poi avrei fatto litigare Juno con padre e matrigna: so benissimo che esistono genitori che sanno prendere le cose con filosofia, ma che gusto c’è a mostrarli in un film? Io al cinema voglio vedere la gente che litiga, è una cosa che Aristotele chiamava catarsi, e funziona: dopo torno a casa placido come un agnellino e se trovo mia figlia a letto con un cingalese sono io che la prendo con filosofia.
Invece un film carino e pacificato come Juno mi rende nervoso, finisce che litighiamo per una svolta a sinistra, non è certamente questo lo scopo dell’arte. E anche il Peterpan, l’avrei voluto un po’ più stronzo, perché che gusto c’è a mostrarci uno stronzo senza mordente? Siamo tutti stronzi così, ma quando andiamo al cinema vorremo vedere uno stronzo assoluto, qualcuno che prenda su di sé i nostri vizi e li potenzi al massimo, onde farcene realmente vergognare (o al limite darci la consolazione dei vili: sono pur sempre meno stronzo di lui). Un fighetto ex grunge coi sensi di colpa non ci fa neanche arrabbiare, non ci fa nulla, quasi quasi ha ragione lui, genitori non ci si improvvisa. Dateci una vera canaglia. E il ragazzo di Juno, lo vogliamo caratterizzare in qualche modo? Non è troppo nerd, non è troppo atleta, non è troppo niente, gelatina al gusto di gelatina, nessuno si innamora veramente di un tipo così.

I luoghi comuni esistono, ma non diventano più interessanti a smussarne le punte e a ricoprirli di melassa. Ma quel che è paggio è che in questo modo si tradisce l’adolescenza di cui si vorrebbe parlare, che non è – per quel che ne so e che mi ricordo – un’età carina. Ma neanche un po’. È un’età grottesca e piena di conflitti, in cui si urla e si strepita per un biglietto dei Tokyo Hotel – figurarsi per un bambino. È l’età dei brufoli, e Juno non ne ha: questo per me chiude ogni discorso. E poi, scusate, è un’età manichea. Se ti piacciono gli Stooges, non suoni i Moldy Peaches. I Moldy Peaches li mangi vivi e li vomiti nel vaso della matrigna, perché se ti piacciono di Stooges e Patti Smith l’ultima cosa che vuoi dare di te è un’immagine “tanto carina”.

Certo, se facciamo finta che i sobborghi americani (e quelli italiani, di riflesso), siano pieni di ragazze carine e vitali e sotto-sotto-sotto-sagge come Juno, è chiaro che l’aborto diventi una cosa assurda: che bisogno ce n’è? Nove mesi di nausea e poi un bel pianto, in casa tutti capiscono le tue scelte, fuori è pieno di simpatici ricchi che non vedono l’ora di prenotare il pargolo, insomma, per raschiarlo via bisogna essere veri mostri. Così l’estetica “carina” finisce anche suo malgrado per contribuire alla battaglia dei più salottieri degli attivisti pro-life. Anche se… ma quindi i ratzingeriani atei sono favorevoli all’adozione da parte dei single? No, perché non lo sapevo. E Ratzinger lo sa? Forse è anche per quello che non manda nessuno alle loro manifestazioni. Vabbè, si consolino coi pomodori di Bologna, città generosa.

aborto, campagna elettorale (permanente), campagne, Capezzone, Ferretti e co., Giuliano Ferrara

e chi non c’è, non c’è

Aborto terapeutico

Mi dispiace per aver creato delle attese, ma dopo l’esito della manifestazione “Aborto no grazie” di sabato 8 marzo, durante la quale Ferretti ha intonato il Te Deum per un pubblico inferiore a quello dei suoi primi concerti punchettoni a Scandiano o Codemondo, ho deciso di sospendere unilateralmente la mia campagna di presa per il culo di Giuliano Ferrara, un uomo solo di fronte al ridicolo.

La mia non è pietà, che riservo ai puri di cuore, o comunque non ai raccomandati storici, ma puro calcolo: a sfottere Ferrara siamo già in troppi (e quasi tutti più bravi di me: Disegni, Guzzanti, Cortellesi, vado a nascondermi). È un accanimento degno di miglior causa. La verità, illustrata dal clamoroso flop di sabato, è che se non fosse per noi che lo prendiamo in giro, di questo signore non parlerebbe nessuno, perché le cose che dice non sono interessanti.

[Per inciso, mi piacerebbe proporre una legge non molto democratica che imponesse l’abbandono della politica a tutti quelli che indicono una manifestazione nazionale e non riescono a raccogliere in un sabato nemmeno mille persone – pensate, in un colpo solo ci libereremmo di Ferrara e Capezzone (e anche Mastella e Boselli, che però sono più furbi e in piazza da soli non si fanno trovare mai)].

La mia sensazione è che la campagna di Ferrara, come il portale di Capezzone, o le campagne elettorali di Adinolfi, o le teorie quantistiche di Gabriella Carlucci, o i gatti bonsai, facciano parte di quell’insieme di cose che esiste soltanto su internet, e magari un po’ su La7, ma che se ne parli nel mondo vero la gente ti guarda strano, chi è Adinolfi? La Carlucci non fa la soubrette? E Ferrara è da un pezzo che non si sente più, che combina?

Certo, gli fanno scrivere un giornale: ma non lo legge nessuno (se non per sfotterlo, appunto). Certo, è continuamente in tv per via di una complicata politica di scambio di favori; ma la gente cambia canale. Anche i vescovi, probabilmente.
Rispondendo alle sue provocazioni si finisce per accettare il postulato che il dibattito sulla vita sia prioritario in questa campagna elettorale. Personalmente non ritengo che lo sia, né vorrei che lo diventasse. Non solo, ma tutte queste chiacchiere sventate sulla sepoltura per gli aborti hanno il risultato perverso e non casuale di far apparire Silvio Berlusconi un campione di laicità semplicemente perché queste cose non gli interessano (come non interessano buona parte della società civile o incivile che sia, che di aborto comincia a preoccuparsi soltanto il giorno che la figlia si mette a piangere per il ritardo). È un gioco di sponda, involontario o no: io mi smarco. In questi giorni ho parecchio da fare e forse neanche un minuto al giorno per le farneticazioni di un signore che pur variando i dosaggi dei farmaci non ha ancora nemmeno visto Dio. Evidentemente non è portato: però è un problema suo.

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If the Sperm is Wasted


Anche noi abbiamo i 12 punti!

Passato un incantevole fine settimana da mia suocera, approfittato di questo meraviglioso lunedì di inoltrata primavera per l’autolavaggio (il riscaldamento globale, davvero, non è quel mostro malvagio che dipingono taluni catastrofisti della domenica) eccomi pronto a ribattere il chiodo della mia polemica umile, ma universale, che nel fine settimana ha attirato anche l’attenzione del primo quotidiano on line in Italia.

Bando alle ciance, ecco i 12 punti che i sostenitori della lista “Risparmia lo sperma” si impegnano a difendere (un grazie a Pessimesempio per il nome)

Preso atto che ogni Spermatozoo è Vita, e che la Vita è sacra, e se sprechi la Vita, Dio non è contento, noi sostenitori di Risparmia lo sperma c’impegniamo a:

  1. Promuovere legislativamente il dovere di dare cristiana sepoltura a tutti gli spermatozoi sparsi sul territorio nazionale. Le spese sono a carico del pubblico erario.
  2. Vietare per decreto legge l’introduzione in Italia del preservativo in plastica o caucciù, e simili veleni che negli ultimi anni di lassismo laicista hanno portato a uno sterminio di innocenti che non ha precedenti nella Storia; e se li ha, chi se ne frega della Storia, noi viviamo nel presente.
  3. Stabilire per via di legge che ogni spermatozoo sfuggito al suo genitore naturale, in quanto Essere Umano, ha il diritto di essere accolto da un Ovulo, e che provvedere a questa accoglienza è un compito deontologico dei medici a prescindere da qualunque autorizzazione di terzi. Non sono previsti obiettori di coscienza, perché la coscienza ce l’hanno solo i medici cattolici e quelli saranno d’accordo con noi: tanto più che per ogni spermatozoo allevato li paghiamo. Cioè, li paga il pubblico erario.
  4. Emendare l’articolo 3 della Costituzione, comma 1. Dove è scritto “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” aggiungere una virgola e la frase “dal l’emissione paterna fino alla morte naturale”. Questo, oltre a rendere la nostra Costituzione la più avanzata del mondo sul riconoscimento della Vita, tapperà per sempre la bocca a quelle donnacce che con la scusa della gestazione si credono padrone della Vita altrui fino al nono mese d’età – che, scherziamo? E’ ora di stabilire per legge ciò che ogni buon italiano ha intuito da tempo: noi nasciamo dai coglioni. In Italia, perlomeno. All’estero chissà.
  5. Impegnare il governo della Repubblica – che non si capisce bene che altre priorità dovrebbe avere – a costruire un’alleanza capace di emendare la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite all’articolo 3. Dove è scritto “ogni individuo ha diritto alla vita” aggiungere una virgola e la frase “dall’emissione paterna fino alla morte naturale”. Siamo convinti che al Palazzo di Vetro si annoino delle solite emergenze umanitarie, e che non aspettino altro che qualcuno abbastanza coraggioso per aprire il dibattito su queste cose. Che la crisi energetica e la Striscia di Gaza, lasciatecelo dire, hanno veramente rotto le palle a tutti.
  6. Difendere la legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita. Con gli spermatozoi non c’entra nulla, forse, ma mi dicono che dobbiamo coprirci a destra.
  7. Fondare in ogni regione italiana una Agenzia per le Fecondazioni il cui compito specifico sia quello di favorire l’adozione, con procedura riservata e urgente, di quegli spermatozoi di cui malgrado tutto il genitore si voglia disfare. Immaginatevi la scena: l’uomo entra nell’Agenzia piangendo: “basta, non ne posso più (di tutta questa vita dentro di me), ora faccio un gesto disperatocrede di trovarsi di fronte a persone che lo giudicano e lo compatiscono, e invece no: giovani uomini e donne sorridenti lo prendono per mano e gli spiegano che va tutto bene, non c’è nulla di sbagliato a dare luce a una Vita, a patto che essa sia consegnata nell’apposito involucro refrigerato. Queste Agenzie Regionali per le Fecondazioni (AgRegPerLeFec), se ci pensate, creeranno centinaia di posti di lavoro in tutt’Italia, e questo è già un bene: avete una cugina ottusa? Un nipote al terzo anno fuoricorso in Scienze della Comunicazione che non sa ancora cosa fare dopo? Un cognato deluso dalle dinamiche del casting del Grande Fratello? Ecco, è la tipica persona adatta per lavorare in un’Agenzia per la Fecondazione. Tanto paga il Pubblico Erario.
  8. E siccome siamo utopisti, ma previdenti, c’impegniamo a sostenere i primi nove mesi di vita degli ovuli fecondati con… con altri soldi, soldi a pioggia, viva viva il Pubblico Erario.
  9. E dopo i nove mesi? L’idea sarebbe convincere le madri a tenerseli, vale a dire… c’impegniamo ad applicare la parte preventiva e di tutela della maternità della legge 194. Potenziare in termini di risorse disponibili e di formazione del personale pubblico, valorizzando il volontariato pro vita, la rete insufficiente dei consultori e dei Centri di aiuto alla vita in ogni regione e provincia italiana. E ancora qui, un sacco di lavoro per tutti gli imbecilli in grado di lucrare una raccomandazione, e un’ola al Pubblico Erario, se non ci fosse lui.
  10. Siamo consapevoli che non tutti gli spermini recano cromosomi di qualità, e che quindi l’Italia si popolerà di freak… volevo dire, di persone diversamente abili. Questo, se da una parte farà sembrare più belli noialtri, avrà un certo costo per la collettività… ma chi se ne frega? Quadruplicare i fondi per la ricerca sulle disabilità e istituire una Agenzia di tutela e integrazione del disabile in ogni regione italiana. E chi non è d’accordo è un nazista che odia i disabili. Noi, invece, li amiamo (e ne vogliamo sempre più).
  11. Sostenere con sovvenzioni pubbliche adeguate l’attività dell’associazione di promozione sociale denominata Movimento per la vita. Come si vede, non c’è limite alla nostra capacità di immaginare modi di spender soldi pubblici. E questo ci porta al punto 12.
  12. Le risorse per il nostro programma di sostegno alla vita in tutte le sue forme sono da fissare nella misura di mezzo punto calcolato sul prodotto interno lordo e verranno rese disponibili attraverso lo stanziamento di 7 miliardi di euro attualmente giacenti presso i conti correnti dormienti in via di smobilitazione e altri cespiti di entrata. Siccome non basteranno, bisognerà saccheggiare le case degli opinionisti laicisti, che negli anni scorsi hanno lucrato enormi compensi da rai e mediaset per parlar dei fatti loro e difendere i loro interessi. Meglio farlo adesso, perché poi da vecchi si convertono e diventano ancora più costosi.

Che ne dite? Sembra finto, vero?
Beh, non lo è poi così tanto.

campagne, Giuliano Ferrara, sesso

Every Sperm is Great

Avanti così, mm. dopo mm.

Questa iniziativa, che mi è umilmente passata per la testa ieri, mentre non sapevo cosa scrivere, sta finalmente dando un senso alla mia vita. Devo veramente ringraziarvi: forse non siete tantissimi, ma in queste ore mi avete fatto sentire meno solo. E allora coraggio, ora che finalmente dopo anni abbiamo una Causa, diamoci da fare.

Prendiamo esempio da loro, che non si danno mai per vinti. L’obiettivo è lontano, le speranze di raggiungerlo minime, eppure loro scodinzolano e scodinzolano senza perdersi d’animo, millimetro dopo millimetro. Noi non dobbiamo fare niente di meno.

Ora si tratta di trovare un nome, perché si sa che la politica ha bisogno di messaggi semplici e accattivanti. Ho visto che “Spargi sperma? no, grazie” non vi ha convinto, e devo dire che non avete tutti i torti. Inviatemi pure le vostre proposte scritte di vostro pugno… qualcosa mi dice che ora avete un po’ più di tempo di libero, no? e allora usatelo per qualcosa di proficuo, finalmente.

Dopo il nome penseremo al logo, al programma, e perché no, all’Inno. Su suggerimento anche vostro stavo pensando di tradurre e aggiornare questo vecchio classico:

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every s**** is sacred

Ma non so neanch’io cos’è, questa stanchezza.
La stagione forse, boh.

Però questa campagna elettorale non mi prende. Saranno le facce. Oppure no. Sono i problemi. Non ci sono quei bei problemi di una volta.
Perché va bene, d’accordo, l’Euro a 1.50$. La benzina ai massimi. Il metro quadro a peso d’oro. La crisi della quarta settimana. La crisi della terza settimana. La crisi. La stangata del riscaldamento. I rifiuti. La camorra. La ‘ndrangheta. La mafia, che è pure un po’ depressa. Il mancato ricambio generazionale in tutte le professioni, dalla pubblica istruzione allo spettacolo (ma sul serio a Sanremo non riescono più a trovare un fonico decente?) La pubblica istruzione. Il bullismo. I prof psicopatici. Il derby bulli-prof psicopatici. La droga, sempre più cara, dannazione. La sanità. Gli zingari. I gay che non si possono sposare. I migranti che non si possono sposare (anche coi gay). La criminalità. Le case diroccate che attirano i ragazzini. Tutti questi vi potranno anche sembrare temi interessanti, per mezz’ora, ma dopo sai che noia? E’ il solito trantran delle democrazie mediorientali. Insomma, ci vorrebbe qualcosa di completamente diverso. Qualcosa di forte. Un argomento in cui si potessero riconoscere tutti.

Io non dovrei lamentarmi, non mi manca niente: gente che viene a leggermi ne ho, eppure so che mi meriterei di più, se soltanto… se soltanto riuscissi a esprimere tutto quello che c’è dentro di me, tutta quell’energia, quella genialità… se solo penso a tutti quegli spermini, voi ci pensate mai? Io ci penso.
Sapete quanti spermini contiene un ometto come me? Beh, parecchi. E… volete sapere una cosa? Sono vivi. Li ho anche visti ingranditi su youtube, non mi posso sbagliare. Quelli scalciano, capite? Scalciare è una cosa che fanno gli organismi viventi. Scalciano, nuotano, lottano per uno scopo. Sono più vivi di parecchi di voialtri. Voi ce l’avete uno scopo chiaro per cui lottare? E una coda da scalciare, ce l’avete? Ecco, appunto.

Provate a guardarveli, la prossima volta che li sbattete via come monnezza. Se ammettete che sono vivi – e non vedo proprio come potrebbe essere altrimenti – dovete accettare anche che hanno il vostro stesso DNA. Insomma. Vivi e col vostro DNA. Finché…
Finché un bel mattino, o una sera, o un pomeriggio, non vanno a sbattere ai 100 all’ora contro un muro di plastica, l’invenzione più odiosa dell’umanità, o peggio finiscono a chiazzare i materassi, o la biancheria, o… gli orifizi sbagliati, o la terra non sconsacrata, come capitò a Onan, e a Dio non piacque, proprio no. Sta sulla Bibbia, nero su bianco.

Forse ci sono. Ecco cosa ci vuole per questa campagna elettorale. Un bel tema forte, un argomento ben presente a tutti, blogger compresi.
Altroché i rifiuti. Altroché l’affitto al metro quadro. Qua si difende la vita! In tutte le sue forme. E soprattutto le forme piccole e scalcianti che i laicisti esasperati fanno finta di non vedere.
La campagna contro lo spargimento. Che idea. Ma come mi vengono?
E dire che mi sembrava una di quelle giornate grigie – adesso però ci vuole il logo. Qualcosa di semplice, che possa unire tutti…


…bello schifo. C’è per caso un grafico bravo, qui?
Dai, che è una lotta per tutti.

Cristo, Giuliano Ferrara

la leggenda di San Giuliano il digiunatore

Un giorno da leone

Caro Gesù Bambino, che vedi tutto: non ti sarà sfuggita l’ultima iniziativa di Giuliano Ferrara.

Da qualche giorno sta facendo una dieta di soli liquidi, che probabilmente gli gioverà. Il pretesto è una specie di moratoria contro l’aborto, bla bla. Il vero motivo per cui Ferrara si sottopone a questa innocua privazione è chiaro a ogni povero di Spirito: Ferrara ha intenzione di vedere Dio entro la fine dell’anno, e metter fine alla manfrina dell’“ateo devoto”, che oggettivamente fa ridere. Ormai lo dice a chiare lettere: “E’ un mezzo di contatto subliminale”; e chi dovrebbe contattare, se non Tuo Padre? Bene, sono abbastanza sicuro che durante un calo di zuccheri ci riuscirà (è il vecchio trucco degli anacoreti), e sono altrettanto certo che da quel momento le porte di Santa Romana Chiesa si spalancheranno definitivamente per questo figliol prodigo. Del resto sono fatte per questo, quelle benedette porte, no? Per spalancarsi. Bene, molto bene. Salvo che io non vorrei esserci, in quel momento. Per questo ti scrivo, Gesù Bambino. Ti saluto. Mi prendo un po’ di ferie.

Caro Gesù, mio Buon Pastore: io sono uno delle 99 pecorelle che non hanno mai dato pensieri ai tuoi cagnoloni – a parte quando schitarravo i salmi in chiesa con una certa foga, ai bei tempi del Vaticano II. Per il resto ho frequentato con profitto anni di catechismo, arrivando puntuale a ogni sacramento. Ho pregato, sin da bambino, e ho letto le Scritture. Tutte. Senza smettere di credere in te, il che è già un miracolo della fede. Proprio per questo motivo so bene che c’è più gioia in cielo per una pecorella smarrita e ritrovata che per 99 come me, che beeelano beeelano la loro devozione da una vita. Proprio per questo motivo so che nelle cucine pontificie sono già indaffarati a condire il vitello grasso. Tutto giustissimo, ma io stavolta non ne assaggerò. Il mio amore per il prossimo ha evidentemente un grosso difetto: se domani entrasse da quella porta Bin Laden, sinceramente pentito, me ne rallegrerei. Ma Giuliano Ferrara, Santo Dio, no. C’è incompatibilità.

Caro Gesù, che tornerai sulla terra per giudicare i vivi e i morti, mi rendo conto che il motivo del mio traviamento è sciocco e gretto, però Ferrara veramente non lo reggo. Non so neanch’io il perché. Probabilmente l’insofferenza nasce dall’averlo visto sempre in cattedra. È da quando sono al mondo che me lo trovo in una posizione di privilegio, a farmi lezioni d’ogni tipo.

Quando ho cominciato a pensare d’essere di sinistra, lui era già là, nella foto di famiglia, senz’altro merito fuorché un cognome illustre. Poi si è convertito alla socialdemocrazia e ha voluto insegnarla a tutta una generazione. Siccome è stata la stessa generazione che ha tirato le monetine a Craxi e ancora ne va fiera, forse il maestro non era così buono, ma che importa? Il tempo di fiutare il vento, e si è fatto liberale. È stato il cervello dietro a Berlusconi, e in quanto cervello si è trovato ad avere molto tempo libero. Allora si è messo in testa d’essere un giornalista, e a molte persone perbene e ragazzi ambiziosi è convenuto credergli. Nell’anno in cui il capo del governo poteva contare su due canali nazionali filogovernativi ed era proprietario privato di altri tre, Ferrara ha occupato stabilmente la prima serata del settimo. Nel frattempo scrive un giornale a spese mie, in cui ha insegnato il laicismo ai laici, il radicalismo ai radicali, l’America agli americani, il conservatorismo ai conservatori, la democrazia ai fondatori del PD e… e adesso è venuto il momento di spiegare il catechismo ai chierichetti. Mi pare giusto, ma non ci sto.

Caro Gesù, ti rendi conto? Lui che non sa distinguere una virtù cardinale da una teologale, gli Efesini dai Tessalonicesi, Sant’Antonio da Padova da Sant’Antonio Abate, domani salirà in cattedra e m’intimerà di convertirmi e credere al Vangelo! A me, cresciuto a Vespri e Lodi mattutine! Fino a questo momento tu eri l’unico con cui potevo parlare senza che lui ci si mettesse in mezzo. Ma da domani sarà diverso. Domani, quando proverò a dirti le preghiere, sentirò la sua presenza non discreta. Probabilmente disapproverà il modo in cui m’inginocchio o incrocio le mani, mi darà dell’ingenuo o del fighetto, o del gnégnegne… le solite cose. Non mi dirà nulla che non so già, e lo dirà con un sacco di parole brutte e strane, annoiandomi come un qualunque prete di campagna, ma con un sacco di ammiccamenti a cose e persone che non conosco e non m’interessano. Non m’insegnerà niente.

E dire che nella mia vita ho imparato da tutti: meccanici, casalinghe, venditori porta a porta. Addirittura qualche volta persino dagli insegnanti. Tutti mi hanno detto qualcosa che ancora non sapevo. Tranne lui. Lui in fin dei conti parla solo e sempre di sé, perché dovrebbe interessarmi?

D’altro canto, caro Gesù, io so che quando dicevi “Beati gli ultimi perché saranno i primi” ti riferivi anche a quelli come lui, che arrivando all’ultimo momento all’appuntamento con la Fede, ci sopravanzano, proprio come i velocisti nello sprint. Dunque Ferrara, già burocrate PCI e fonte riservata CIA, giunto al Vangelo in zona Cesarini, sarà uno dei primi nel tuo Regno…c’è una scandalosa giustizia in tutto questo, te lo riconosco. Ma d’altro canto devi pur immaginare che la prospettiva di un paradiso dove ogni sera alle otto e mezza c’è lui che mi spiega come stare all’Altro Mondo non mi sembra un’alternativa così interessante al fuoco eterno.

Per questo pensavo di andarmene un po’. Non so neanche dove. Da Maometto no, a meno che non venga lui. Budda, con quella storia delle respirazioni, mi spaventa. Probabile che me ne resti qua fuori nel parcheggio, come fanno tanti. Giusto il tempo di sbollire. Sono la 99ma pecorella, non ho diritto anch’io almeno a un giorno da leone?