Bob Dylan, cristianesimo, Cristo, musica

Gesù è giusto dietro la curva

Slow Train Coming (1979)
(Il disco precedente: At Budokan
Il successivo è… un mistero).
Nessun servo può servire due padroni; o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Non potete servire Dio e Mammona (Vangelo di Luca, 16:13).
Un giorno Bob Dylan apparve a Gesù Cristo. Fu in un albergo di Tucson, di tutti i posti al mondo. A Gesù Bob parve stanco, sfibrato, un divo del rock che si stava avvicinando alla curva della quarantina senza né casco né cinture, niente. “Oh Padre“, si sarà detto, “Prenderlo all’amo sarà persino troppo facile“.
È il primo disco di studio a non avere il volto di Dylan sulla copertina.
È il primo disco di studio a non avere il volto di Dylan sulla copertina.
“Bob, vieni a me, accetta il mio giogo: è molto leggero“.
“Eh? Chi ha parlato? Chi sei?”
“Chi vuoi che io sia? Sono Gesù Cristo: la Via, la Verità, la Vita”.
“Ma Gesù, sei sicuro? Io… sono Bob Dylan!”
“Nientemeno”.
“Sono ebreo!”
“Perché, io no?”
“In effetti”.
“Cosa c’è che ti angustia, Bob? A me puoi dirmelo”.
“Non lo so neanch’io… credo di essere stanco, soprattutto”.
“Stanco di cosa”.
“Non lo so. Di essere me, forse”.
“Troppi concerti?”
“I concerti sono ok. Mi piace suonare. Se solo non dovessi suonare tutte le volte quelle cazzo di canzoni di Bob Dylan”.
“Insomma non ne puoi più di Dylan”.
“Puoi capirmi?”
“Altroché. La celebrità è una vera tortura, sai. Ti costruiscono un personaggio e pretendono che tu ci aderisca perfettamente… poi lo innalzano davanti a tutti e…”
“Ti crocifiggono, Gesù”.
“Non dirlo a me”.
“Ma quindi tu saresti il Messia?”
“E certo, non hai visto i segni? I ciechi tornano a vedere, i sordi ci sentono, Van Morrison ha fatto un bel disco con me, Patti Smith ha dedicato una canzone a Papa Luciani… Sto tornando…”
“Stai tornando?”
“…di moda”.
“E io? Cosa vuoi che io faccia? Vendere tutto e seguirti?”
“Non esageriamo. Niente che non ti suggerisca già il buon senso. Datti una ripulita, bevi meno, basta coca. Puoi perfino continuare a uscire con le coriste…”
“Whew”.
“Magari una sola alla volta, ecco”.
“Ci proverò. Tutto qui?”
“Beh, naturalmente dovrai suonare per me”.
“Un disco?”
“Un disco sono buoni tutti, cioè se tu fossi Neil Young mi accontenterei, ma stiamo parlando di Bob Dylan, il rocker più sputtanato del decennio, qui c’è bisogno di un investimento a medio termine”.
“Ma Gesù…”
“Tre dischi in tre anni, prendere o lasciare”.
Tre dischi in tre anni? Gesù, sei peggio di Grossman”.
“Ehi, pensavi che la Via la Verità e la Vita venissero via con lo sconto? Stiamo parlando di convertirsi, Bob. Rinascere. Tu non hai idea di cosa si scatenerà là fuori tra un po’ – il punk è solo un avvertimento, sai”.
“L’Armageddon?”
“L’Armageddon sarà una passeggiata al confronto, stanno per iniziare gli anni Ottanta. Il Rock – questo gigante dai piedi d’argilla – sarà rovesciato dal trono, e in suo luogo regnerà prima l’empio Pop, poi il suo nipote degenere, Hip-Hop! E poi bestie ancora più immonde…”
“Non capisco. Stai annunciandomi che la fine è vicina?”
“Oh, la fine! La implorerete, la fine!, mentre nell’aere risuoneranno campionamenti e scratch. Hai bisogno di un altro rifugio nella tempesta, povero Bob. E io ne ho uno”.
“Non lo so… sono appena uscito da una storia difficile, forse non dovrei subito impegnarmi…”
“E pensa a un’altra cosa. Pensa a Blowin’ in the Wind…”
“Gesù, ormai la odio quella canzone”.
“Appunto. Non dovrai suonarla più”.
“Sul serio? Ma il pubblico”.
“Non dovrai più piacere a loro. Dovrai piacere soltanto a me. Molto più semplice. Basta vecchie canzoni. Mr Tambourine, Knockin’, Rolling Stone: puoi smettere di suonarle. D’ora in poi canterai solo le mie lodi”.
“Ma per rifarmi un repertorio ci metterò degli anni!”
“Dici? Ma non puoi fare come negli anni ’60? Eri molto prolifico al tempo, mi pare di ricordare”.
“Eh ma allora era più facile. Bastava suonare il blues”.
“Blues, perfetto, adoro il blues”.
“Gesù, sei sicuro?”
“Perché? Non crederai mica anche tu a quella storia della musica del diavolo, eh? Basta con le superstizioni”.
“Se lo dici tu”.
“Ah, e poi voglio piùm professionismo in sala d’incisione. Ultimamente registravi un po’ da schifo, ecco, non deve più succedere. Lavori per Gesù, adesso”.
Mark_Knopfler_-1979
Mark Knopfler nel ’79, prima di scoprire i benefici della fascia tergisudore.
Un giorno Bob Dylan apparve a Mark Knopfler: un miracolo che fino a qualche anno prima sarebbe stato meno credibile dell’apparizione di Gesù a Tucson. Le rare volte che mi capita di riascoltare Slow Train Coming finisco sempre per pensare a come dev’essersi sentito Knopfler. Hai trent’anni e ascolti Dylan da quando ne avevi undici. Hai imparato a cantare e comporre ascoltando i suoi dischi. Col tempo, mentre ti allenavi nei seminterrati e sbarcavi il lunario nei pub, hai sviluppato una strana schizofrenia artistica: più la tua voce si avvicinava a Dylan, più le tue mani ti portavano nella direzione opposta, verso uno stile chitarristico pulito, preciso, rigoroso. Alla fine sei riuscito a pubblicare un disco, e sta andando bene, e una sera alla fine del concerto si avvicina il tuo Dio e ti fa i complimenti. Vuole che tu suoni per lui. Non è incredibile? Voglio dire, Gesù è apparso a un sacco di gente con un sacco di problemi, non fa neanche notizia ormai; ma Dylan che appare a Knopfler è la fiaba di Cenerentola – e invece è successo davvero. Lo porti giù in Alabama, nella sala d’incisione dove il grandissimo Jerry Wexler ha curato i lavori dei grandi dell’Atlantic e della Stax. Tu e Jerry avete appena finito di lavorare al secondo non indimenticabile disco dei Dire Straits; ma adesso realizzerete il disco che rilancerà Bob Dylan. Ha avuto un periodo difficile, ma adesso sta tirando fuori un sacco di nuove canzoni. Roba buona. Un sacco di blues, beh, se è blues siamo nel posto giusto. C’è solo un problema.
Sono tutte canzoni su Gesù.
Cristo.
Di tutti i momenti in cui ti poteva capitare di incontrare Dylan, proprio quello in cui si è dato anima e corpo al Vangelo. Il principe azzurro si è battezzato, va a catechismo tutti i giorni, vorrebbe convertire persino te. Tu che non hai mai avuto un vero Dio – fin qui ti bastava Dylan. E adesso?
Che tu sia un divo rock, rampante sul palco;
che tu abbia ogni droga, e ogni donna al tuo comando;
che tu sia un uomo d’affari, o un ladro d’alta società;
che ti chiamino dottore o che ti chiamino Maestà…
tu devi servire qualcuno.
Potrà essere il diavolo, o potrà essere il Signore, ma devi servire qualcuno. 
“Guarda, Bob, hai a che fare con un incallito ateo ebreo di 62 anni. Sono senza speranza. Limitiamoci a fare questo disco, va bene?” (Jerry Wexler a Dylan, quando cominciò a parlargli di Gesù).
Non puoi servire Dio e mammona, diceva Gesù. Devi scegliere, ribadisce Bob Dylan in Gotta Serve Somebody, il sermone introduttivo. Eppure Slow Train Coming mi ha sempre dato l’impressione opposta, di un Dylan servitore di due padroni, deciso a tenere il piede in due scarpe tanto diverse: da una parte l’urgenza del convertito, il sacro fuoco dello zelo religioso; dall’altra il professionismo di Wrexler e Knopfler: la precisione quasi asfissiante con cui al Dylan rinato nella fede viene cucito addosso il vestito più elegante che abbia mai indossato. Gotta Serve Somebody è l’incarnazione di questa ambiguità: la canzone che rifiuta ogni compromesso col demonio è anche un singolo pulito e levigato che corre via che è un piacere, e che riporta Dylan nella top40 di Billboard. Ci vinse pure un Grammy per la “miglior performance vocale”. L’ho sempre trovato un buffo paradosso, però forse ero vittima dei miei pregiudizi. Perché il professionismo e la fede religiosa dovrebbero essere due opposti, dopotutto?
Forse ragiono da cattolico. Non trovo credibile un predicatore che non vesta di sacco e non predichi la povertà: ma in America non è così. I pastori evangelicali pubblicano best seller, vanno in tv; non trovano senz’altro sconveniente servire Dio in giacca e cravatta. Il Gesù dei born again non grida ai ricchi di lasciare tutto quello che hanno e seguirlo: è un Gesù più pragmatico, un life-coach, ti chiede di darti una ripulita e sta attento che non ti riattacchi alla bottiglia. Non c’è nessuna contraddizione nell’aver trovato in Gesù un nuovo boss e nel dare al suo messaggio la veste più radiofonica possibile: più gente avrebbe raggiunto, più anime avrebbe salvato. Funzionò talmente bene che alcuni riuscirono ad accusarlo di opportunismo: di aver usato Gesù per attirare l’attenzione, di essersi convertito per aumentare il suo bacino di fan. Solo il flop dei due dischi successivi avrebbe convinto i più cinici che BD aveva veramente preferito Cristo a Mammona. Lo stesso Slow Train Coming è scivolato col tempo nel cono d’ombra della trilogia cristiana, la fase della sua carriera che fan e critici preferiscono aggirare e che lui stesso non frequenta volentieri: eppure quando uscì fu accolto bene. Per quanto in certi punti sembrasse un invasato, il furore religioso che lo animava era tutto sommato preferibile ai lamenti enigmatici di Street-Legal. Anche quando sembra un bigotto che borbotta contro i nemici dell’America, borbotta con una grinta che sembrava aver perduto da anni.
Sembra che Gesù abbia funzionato, dopotutto… (continua sul Post)
Bibbia, Cristo, santi

Gesù sta con Equitalia

21 settembre – San Matteo Evangelista

Il giorno che tornerà Gesù, non lo troverai al Vaticano. Darà buca anche all’Onu, perché si sa, è Gesù. Se ti dico che hai più possibilità di trovarlo al bordello, tu sorridi perché in fondo ormai è una cosa da maudit il bordello: evoca più De Andrè che le piattole, il bordello è ok. Ma senti questa: lo sai dove sarà davvero più facile trovare Gesù? Dietro uno sportello di Equitalia.

Ecco, adesso sei scandalizzato.

Questo è l’effetto che faceva Gesù.

Un-due-tre, a invitarmi a pranzo tocca proprio a… te.

Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati (Vangelo secondo Matteo, 9,9-12).

Matteo è quasi tutto qui, di lui non sappiamo molto altro. Gli altri due vangeli sinottici non lo chiamano neanche Matteo (in greco: dono di Dio), ma Levi, nome così tipicamente ebraico. Il vangelo di Matteo è anonimo, ma è l’unico in cui Levi ha un nome nuovo, greco. Non sarebbe stato l’unico seguace ebreo di Gesù a rinnegare il nome: Saul divenne Paolo, Simone si faceva chiamare Pietro. Il caso di Matteo sarebbe particolare perché di tutti gli evangelisti è sicuramente quello che conosce meglio la Torah e i profeti – li cita continuamente. Marco se ne disinteressa, Luca è affascinato ma è chiaro che è un outsider, un autodidatta: Giovanni qualche libro l’ha letto bene ma è più un visionario che un biblista. Matteo è un ebreo (benché il suo vangelo ci sia arrivato in un buon greco) e ci tiene a farlo sapere; e ce l’ha con gli ebrei, e anche questo ci tiene a farlo sapere. Insomma il self-deprecating Jew esisteva già nel primo secolo.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci  (Matteo, 23,13).

Se la polemica coi farisei è una costante dei vangeli, è in quello di Matteo che questi diventano i personaggi che conosciamo, i benpensanti per antonomasia, sempre lesti a ficcare il naso e giudicare. Si capisce che tra loro e Matteo-Levi c’è ruggine; alla loro tronfia sicurezza di essere nel giusto, Matteo contrappone l’angoscia del peccatore che sa di essere l’ultimo nel Regno dei Cieli. “In verità vi dico, le prostitute e i pubblicani vi precedono nel Regno!” Le prostitute si sa che mestiere facessero; i pubblicani raccoglievano i soldi delle tasse dei Romani. Siccome i soldi i Romani li volevano in anticipo, fare il pubblicano comportava un certo rischio d’impresa: si investiva un capitale e poi si aveva carta relativamente bianca per spremere i creditori. I pubblicani insomma erano peggio dei ladri, che almeno rubano per sé e non per l’oppressore. Che Gesù potesse far comunella con loro era motivo di scandalo. Gli stessi evangelisti restano perplessi: Luca, soprattutto.

In un ipotetico parlamento degli evangelisti, se il monarchico Marco siede all’estrema destra, e Matteo al centro moderato, Luca come abbiamo visto è l’evangelista liberal, socialdemocratico: non è ebreo ma non mostra ostilità nei loro confronti, nutre qualche simpatia per i poveri e le loro rivendicazioni, e per le donne: appena può cerca di metterle in primo piano. Luca questa passione di Gesù per gli esattori non la capisce molto: la riferisce, perché rispetta le sue fonti, però cerca di spiegarsela: possibile che Gesù stia con Equitalia? C’è qualcosa che non torna, come si può stare coi poveri e con chi li vessa? Forse è andata così: Gesù stava con gli esattori buoni, quelli che fanno il loro mestiere in modo compassionevole. Ma esistono gli esattori buoni? Al limite si possono inventare. Luca propone il personaggio di Zaccheo, il pubblicano simpatico che quando passa Gesù si arrampica su un albero per riuscire a vederlo tra la folla; ma tra tutti Gesù ha scelto di farsi invitare a pranzo proprio da lui.

 «Zaccheo, scendi, presto, perché oggi debbo fermarmi a casa tua» (Luca, 19,5)

Zaccheo è l’esattore modello: metà di quel che raccoglie lo dà ai poveri (il che significa che raccoglie il 200% delle tasse che i Romani pretendevano, ma questo è un dettaglio che a Luca sfugge. Matteo una cosa del genere però non l’avrebbe scritta, Matteo conosce i tranelli del denaro). Zaccheo, quando scopre di aver truffato qualcuno, gli rende il quadruplo della somma: Zaccheo è insomma quel tipo di pubblicano che il Gesù di Luca può frequentare volentieri. I farisei storcono il naso, ma Luca si è messo la coscienza a posto.

Ecco, questo tipo di riconciliazione con la propria coscienza, Matteo non la conosce. Prima ancora di auto-disprezzarsi come ebreo, Matteo ha iniziato ad auto-disprezzarsi come pubblicano. Gesù un giorno è passato e gli ha detto di seguirlo. Da nessuna parte si legge se dopo la chiamata Matteo continuò a fare il suo mestiere. La parabola del giovane ricco suggerisce di no (“Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi”). Il Gesù di Luca sceglie Zaccheo perché è un pubblicano buono; il Gesù di Matteo sceglie Matteo perché è un pubblicano che si vergogna. Ciò che rende i farisei insopportabili a Matteo non è tanto l’ipocrisia, quanto la serenità di chi sa di essere nel giusto. Matteo non era sereno, Matteo a un certo punto ha scelto Gesù e ha rinunciato a qualcos’altro: forse alla carriera o alla sicurezza economica. I pubblicani che compaiono nel suo vangelo non sono particolarmente compassionevoli. Compaiono spesso in coppia con l’altra categoria di paria, le prostitute. Matteo non ammette nemmeno di aver organizzato un grande banchetto per Gesù: è Luca a raccontarcelo. Per Matteo (e Marco) era un pranzo qualsiasi.

Di lui sopravvive solo questa vergogna: che altro sappiamo? Dopo la pentecoste sparisce dai radar al punto che non è nemmeno stato dichiarato martire; Iacopo da Varazze lo segnala in Etiopia mentre cerca di impedire il matrimonio di un Negus con una vergine, facendosi accoltellare: è un modo di ammettere che non c’erano stati avvistamenti più vicini o verosimili. A un certo punto, ma siamo già nel 120, Papia vescovo di Ierapoli lascia scritto che l’apostolo Matteo avrebbe raccolto una raccolta di detti di Gesù in ebraico: un vangelo? Potrebbe anche essere la famosa fonte Q, o un altro cartiglio andato perso. Nel frattempo però a Roma sta prendendo piede questo Vangelo anonimo, più elegante del rozzo Marco e meno egualitario di quello di Luca (a questa altezza il vangelo di Giovanni ancora non si è visto in giro, e comunque è una cosa completamente diversa, ai limiti della fan fiction).

Il fatto che a Roma vada per la maggiore un testo evidentemente scritto da un ebreo, ricco di spunti anti-ebraici, non è così bizzarro: nell’Urbe c’era una cospicua comunità ebraica, che dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 era diventata un punto di riferimento ancora più importante. Ma a Roma c’erano anche diversi cristiani; forse fino a un certo punto la presenza dei primi aveva favorito il consolidamento dei secondi, ma già quando Luca scrive gli Atti l’ostilità tra i due gruppi è manifesta. In questa situazione non sorprende il successo di un vangelo che, oltre a dipingere i farisei nel modo più insopportabile possibile, si impossessa delle antiche scritture ebraiche e le rilegge come profezie riguardanti il Cristo. A un orecchio contemporaneo il vangelo di Matteo sembra un prodotto più maturo di quello di Marco e Luca: il primo è un resoconto grezzo, scritto in un greco approssimativo: descrive le vicende di un guaritore bizzoso che si arrabbia anche coi suoi discepoli. Luca scrive una cronaca più complessa, addolcisce di molto il carattere del protagonista e gli affibbia qualche istanza sociale. Matteo (che probabilmente non è il Matteo vero) è su un altro piano. Luca si sentiva cronista, teneva molto all’ordine cronologico; Matteo è più scrittore: ha preoccupazioni stilistiche e riorganizza in modo tematico il materiale degli altri due sinottici per non annoiare il lettore. Quando scrive, ha già in mente una comunità organizzata: lo spontaneismo di Marco e Luca è finito, e soprattutto le donne sono tornate al loro posto. Maria di Nazareth, che per Luca era il vero inizio del vangelo, in Matteo non solo non ha diritto di parola, ma non riceve nemmeno la visita dell’angelo, che invece appare in sogno a suo marito.

“Aspetta, me n’è venuta in mente un’altra:
il Regno dei Cieli è simile a…”

Il fatto che fosse più adatto alla lettura in pubblico, e che presentasse una versione più moderata di Gesù e dei fatti che lo riguardavano, ha fatto sì che la Chiesa per molto tempo considerasse quello di Matteo il primo dei vangeli – c’era anche la necessità di datarlo prima del disastro del 70, in modo che le cupe parole di Gesù sul destino del Tempio di Gerusalemme si potessero considerare una profezia. L’attribuzione all’apostolo Matteo-Levi serviva appunto a rafforzare questa impressione di primizia: Marco e Luca erano testimoni indiretti, solo Matteo era stato tra gli apostoli. L’ipotesi era basata su indizi labili, per quanto suggestivi: il fatto che solo in questo vangelo Levi si chiami Matteo, e poi la questione del denaro. Chi ha scritto il testo di Matteo aveva una dimestichezza col denaro che gli altri evangelisti non hanno. Magari Matteo ha davvero rinnegato la sua professione di pubblicano e rinunciato a tutti i suoi beni, ma non ha mai smesso di considerare il denaro un’efficace metafora di tutte le cose (continua sul Post)

cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, Cristo

Il cinema è un Messia

Ave, Cesare! (Hail, Caesar!, Joel ed Ethan Coen, 2016).

Il cinema non ha futuro, non sopravviverà agli anni Cinquanta. Presto in ogni casa ci sarà un televisore e Hollywood non avrà più soldi per i suoi Pantheon di cartapesta. Sempre che non scoppi la Bomba. Sempre che i rossi non ci attacchino. Sono già dappertutto, hanno un uomo in ogni produzione, un ballerino o una comparsa o uno sceneggiatore che inietta comunismo subliminale nei copioni. Il cinema sta per affondare, con Eddie Mannix saldo al timone. Questa settimana deve trovare un marito alla ninfetta incinta, trasformare un cowboy in un damerino, liberare un centurione e convincere l’allenatore di suo figlio a farlo giocare interbase. Ah, e smettere di fumare. Non sarebbe tanto più semplice cambiare mestiere, lavorare per la Bomba?

E se i fratelli Coen odiassero il cinema? Se l’è chiesto un critico sul Wall Street Journal. Il loro omaggio a una presunta età dell’oro è demistificante e anche un po’ gelido. L’idea di rifare i vecchi film sottolineando i temi che ai tempi dovevano passare sotto silenzio (l’omosessualità su tutti), non è più così nuova: altri ci hanno provato con più sensibilità (Haynes) o più filologia (Soderbergh). Mentre i Coen, si sa: per loro niente ha mai senso, figurati se ne possono trovarne uno nel technicolor. È più facile prenderli sul serio quando danno per primi l’impressione di voler essere seri, e affondano i loro personaggi in qualche bruma esistenziale. La giornata di Eddie Mannix è una serie di eventi assurdi esattamente come quella di Llewyn Davis, ma nelle traversie del secondo intuivamo una profondità, forse l’accanirsi di un oscuro disegno divino. Stavolta, invece… (Continua su +eventi!)

Cristo, La grande gara di spunti

Gesù è in semifinale

Benvenuti al primo appuntamento di oggi con La grande gara degli spunti! Diamo un’occhiata al primo semifinalista. Ha prevalso a fatica contro Ziggy Stardust, ha fatto la festa a Capodanno, ha espugnato Fiume, viene da 2000 anni di successi ininterrotti, un applauso per il nostro amico Gesù!

Abstract
Un tizio un po’ deluso della vita scopre che gli è stata rubata la carriera da rockstar: un tale David Bowie è venuto dal futuro e ha pubblicato tutte le sue canzoni prima che a lui venissero in mente. Per rimediare al guaio sale sulla macchina del tempo dell’impostore, ma combina un casino coi comandi e viene proiettato nel primo secolo avanti Cristo. Lui di Cristo non è che s’intenda molto, ma le sevizie inflittegli in un collegio cattolico gli hanno lasciato il segno: decide pertanto di cambiare il corso della Storia e intercettare Gesù prima che diventi un capo spirituale. Se David Bowie può cambiare il corso degli eventi, perché lui no? In realtà gli eventi gli stanno preparando una terribile sorpresa. Quando chiede a Erode se per caso è nato a Betlemme un bambino sotto una certa stella, il re fa uccidere tutti i nati a Betlemme. Quando chiede al Battista se ha visto il Messia, quello pensa che sia un messaggio in codice degli esseni e gli invia i suoi discepoli – insomma, qualsiasi cosa faccia il tizio, la gente si convince sempre di più che il Cristo è lui. L’unico a cui riesce a spiegare la sua situazione è Giuda, ma anche con lui sono frequenti gli equivoci…


Neanche un centimetro quadro
di non nostalgia per Karel Thole

Sembra interessante. Dove si possono recuperare altri frammenti della storia?
Gesù è il mio crononauta
La vita segreta di Ziggy Stardust
Lo spaziotempo in aramaico
Il mondo dei non-ancora-nati

Quando mi è venuta in mente?
La premessa su Bowie è di uno o due anni fa. La storia su Gesù l’ho improvvisata all’ultimo momento perché volevo fare un derby sui viaggi nel tempo.

Quanto è originale?
Pochino. Come mi hanno fatto notare i miei scelti lettori, c’è un premio Nebula del ’66 che racconta una storia veramente molto simile. Io ovviamente la farei molto più farsesca, però è difficile trovare originalità nei dintorni del Vangelo.

Potenziale commerciale?
In teoria potrebbe funzionare. Cristo tira sempre, guarda Carrère. Ma non credo di avere l’approccio giusto – non mi pubblicano le storie dei Santi, figurati un romanzo dove si decostruisce Gesù di Nazareth.

Che senso avrebbe?
Mah, decostruire i monumenti storici è sempre utile. L’idea portante è che in realtà non sappiamo niente di Gesù, e qualsiasi cosa abbia detto potrebbe avere significati diversi a seconda di un contesto che in realtà ignoriamo. Ad esempio, “se un occhio ti scandalizza cavatelo” può significare che non devi guardare le donne, oppure che se le donne ti danno fastidio il problema è nei tuoi occhi, non nel loro abbigliamento. A ogni epoca ovviamente piace capire una cosa diversa. Niente di così originale, ma è un chiodo su cui non si batte mai abbastanza.

Mi farò dei nemici?
La mamma. Qualche sentinella in piedi. Direi che se proprio devo farmi dei nemici, sono i meno pericolosi in assoluto. Al massimo le sentinelle mi si piantano nel cortile. La mamma non smetterebbe nemmeno di farmi le torte.

Con Maometto non la passeresti così liscia.
Già. Ma il sequel di Houellebecq l’hanno cassato, amen.

Cosa dovrei studiare?
Rileggermi i vangeli, un’occhiata a Giuseppe Flavio, qualche studio serio sulla Giudea del I secolo (avete consigli?) e i testi di Bowie. In tre mesi si fa.

Dimensioni?
Duecento cartelle (250 se ci metto anche Bowie).

Eventuali sequel?
Apostoli: non ne resterà che uno!

Contro chi gioca in semifinale?
Contro i Catari.

Per chi tifo?
Barabba.

cristianesimo, Cristo, La grande gara di spunti

Lo spaziotempo in aramaico

Era un piccoletto. Aveva una fronte ampia e un occhio furbo, e monete troppo lisce nella sacca. Era insomma una spia dei Romani, e non si dava nemmeno troppa pena di negarlo.
Quanto a me, ne avevo avuto abbastanza di queste stronzate. Con quel po’ di argento messo da parte avevo aperto un’attività ad Arimatea, giusto un banchetto. Prestavo a un buon tasso, accettavo pegni, ma non raccoglievo imposte. Troppo rischioso. Non volevo dare nell’occhio e fino a quel momento credevo di esserci riuscito. Ma il piccoletto aveva un accento strano e nell’occhio la luce di chi ha trovato il suo uomo.
“Sei ebreo?”
Si finse sorpreso prima di rispondermi. “Se sono qui…”
“Non vuol dire niente. Io presto anche ai gentili”.

(Questo pezzo è il seguito di Gesù è il mio crononauta e partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

“E allora perché me lo chiedi?”
“Hai un accento curioso. Da dove vieni?”
“Dalla Cilicia”.
“E fin qui sei arrivato, prima di trovare qualcuno disposto a prestarti denaro?”
Affettò un sorriso. “Non cerco esattamente denaro”.
“Allora sei nel posto sbagliato”.
“Ne ho più di quanto me ne serva”.
“Buon per te, ma sei nel posto sbagliato”.
“Cerco una persona”.
“Sei nel posto sbagliato”.
“Giuda, si chiama”.
“Buona fortuna, siamo in Giudea”.
“Iscariota”.

D’istinto lo avrei preso per il collo e appeso al muro, intimandogli di non ripetere mai più quel nome. Ma se era una spia dei Romani torcergli un capello mi sarebbe costato molto più caro di quanto potessi sostenere in quel momento. Così rimasi a sentire la mia lingua che diceva:

“Quell’uomo è morto impiccato”.
“Così dicono”.
“Io peraltro non lo conoscevo”.
“Certo”.
“Fu qualche anno fa, la sera in cui Romani crocifissero…”
“Quel tipo di Nazareth”.
“Certo che in Cilicia ne sapete di cose”.
“Ci teniamo informati. Per esempio, so che il corpo non è mai stato trovato”.
“Trafugato dalla tomba, dicono. Ma i suoi discepoli vanno dicendo in giro che è risuscitato dai morti e…”
“Non mi riferivo al nazareno”.
“Ah no?”
“Ma all’Iscariota. Secondo alcuni non si è impiccato affatto”.
“Ah sì?”
“Secondo alcuni coi soldi del sinedrio ha messo su un banchetto da usuraio ad Arimatea”.
“Dunque i Romani sanno questo”.
“I Romani sanno tutto”.
“E allora che altro vogliono da me? Io sto filando dritto”.
“C’è qualcosa che non torna. Tu hai fatto tradito il tuo amico, per una certa somma in argento”.
“Non era mio amico”.
“Il sinedrio dice di non averti pagato”.
“E voi gli credete? Avranno usato fondi in nero…”
“Dicono che i soldi te li avrebbe dati lo stesso Gesù”.
“Ne ho abbastanza di queste stronzate”.
“Ti ha davvero pagato perché tu lo tradissi?”
“Non posso spiegarti”.
“Credo che dovresti sforzarti”.
“E certo, spiegare lo spaziotempo in aramaico a un tizio del primo secolo dopo Cristo, che ci vuole”.
“Cos’è il primo secolo dopo Cristo?”
“Partiamo bene”.

Se volete continuare a dare speranza a questa idea poco originale che mi era venuta e che avrebbe dovuto perdere facile contro David Bowie venuto dal futuro, dovete mettere Mi piace su facebook, o esprimervi nei commenti. 

cristianesimo, Cristo, santi

Canonizzato in direttissima

Il ladrone è un film del 1980 di Festa Campanile, con un'Edvige Fenech molto in forma. Ho ricordi vaghi ma positivi.
25 marzo – San Disma, il ladrone buono.

One of the thieves was saved. It’s a reasonable percentage. (Waiting for Godot)

Il vangelo di Marco, forse il più antico, parla in effetti di due ladroni: uno a destra e uno a sinistra di Gesù. Così si avvera tra l’altro una profezia di Isaia: “È stato messo tra i malfattori”. Dopo Marco, Matteo riprende l’episodio, ma è più ricco di particolari e aggiunge quello degli insulti a Gesù: anche i ladroni sulla croce lo scherniscono. Nessun accenno a un pentimento da parte di uno dei due. È Luca a mettere loro in bocca le parole: “Non sei tu Messia?”, dice il primo, “salvati da solo e salva anche noi”. E il secondo, con un po’ di buon senso: ma lascialo stare. Non ce l’hai un po’ di timor di Dio? Io e te ce la meritiamo, ma che ha fatto lui di male? Bellissime parole che Luca, cronista di razza, potrebbe aver recuperato da un testimone orale (Maria di Nazareth, ad esempio: Luca sa molte più cose di lei degli altri tre evangelisti). Ma potrebbe anche anche essersele inventate per dare più colore alla storia.

E però Luca è bravo e sa dove fermarsi prima di trasformare la cronaca in leggenda: il ladrone non rinnega la sua vita di peccato, non chiede a gran voce perdono: si comporta in modo semplicemente umano, rifiutandosi di passare le ultime ore della vita a ingiuriare un innocente compagno di sofferenze. Si potrebbe persino sostenere che ad avere più fede sia l’altro ladrone, quello che non si rassegna e si aspetta un miracolo in extremis – da un Messia è il minimo. Sarà stato senz’altro molesto, come molti disperati prima di morire, ma il Cattivo non fa che chiedere a Cristo quello che tutti si aspettano che Cristo faccia: staccati dalla croce e sàlvati, e già che ci sei salva anche noi. Il Buono però soggiunge:

“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno”.

È quasi certamente un Tiziano, custodito alla pinacoteca di Bologna, impaginato in modo molto singolare e moderno - ma forse è il ritaglio di una tela più grande. In alcuni quadri il Buon Ladrone non è inchiodato ma (a differenza degli altri due condannati) semplicemente legato.
Tutto qua e tanto basta: In verità ti dico, gli risponde quegli, oggi sarai con me in paradiso. Il processo di canonizzazione più rapido della Storia: l’unico a cui per ora Gesù Cristo ha partecipato direttamente e non mediante vicari facenti funzione. La semplificazione burocratica è tale che secondo alcuni il Buono è già assunto in cielo in carne e ossa, uno dei pochissimi a non dover aspettare la fine dei tempi affinché il corpo si ricongiunga con l’anima (è la condizione di Maria, forse di Giuseppe, di altri non si sa). La Chiesa non si è mai pronunciata ufficialmente, ma la credenza è così diffusa e radicata che non esistono reliquie del Ladrone Buono: neanche un ossicino, un dente, nulla. La croce, viceversa, è spezzata in varie schegge, la più grande custodita a Roma presso la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, che come dice il nome è una specie di parco a tema gerosolimitano che custodisce anche frammenti della Croce di Gesù, più alcune spine, il cartiglio di Ponzio Pilato, il dito dell’apostolo Tommaso e tanti altri souvenir della Terrasanta. Il Cattivo, per contrappasso, sarebbe stato inghiottito direttamente dall’inferno, attraverso una voragine che metterebbe tuttora la collina del Golgota in comunicazione con il fuoco eterno (continua sul Post…)

anniversari, Bibbia, corpo, cristianesimo, Cristo, ebraismo, religioni, santi

Buon anno col prepuzio o senza

1° gennaio – Circoncisione di Gesù.

Fingiamo di lavorare in una cancelleria un trentun dicembre del millequattrocentoquarantanove – quasi millequattrocentocinquanta. Il vostro principe si sposa e voi dovete mandare biglietti di inviti a tutte le corti d’Europa. La data – il primo marzo – dovrebbe corrispondere in tutto il continente; non è ancora arrivata la riforma gregoriana a complicare le cose. Ma l’anno qual è? Eh. Dipende.

Se scrivete a qualche signore di Firenze, o a un pari d’Inghilterra, è ancora il primo marzo del ’49: da loro il capodanno si festeggia il venticinque marzo. In fondo ha un senso, visto che gli anni si celebrano dalla nascita di Cristo, e per i cristiani la vita comincia col concepimento… Se però invitate anche qualche dignitario di altre città toscane, come Pisa, attenzione: da loro è già il primo marzo 1450. Pure a Pisa capodanno è il 25 marzo, ma dell’anno prima: anche questo se ci pensate ha un senso, se Gesù nasce il 25 dicembre, deve essere concepito nove mesi prima, non tre mesi dopo. Anche per i veneziani sarà già il 1450, non potete sbagliare: loro festeggiano il capodanno proprio quel giorno lì, il primo marzo. Per i bizantini, i pugliesi e i sardi invece è ancora il ’49, e continuerà a essere il ’49 fino ad agosto – e anche questo, se ci pensate, ha un senso, anzi forse nel torrido mediterraneo è la cosa che ha più senso di tutte: l’anno vero comincia il primo settembre. In Spagna è già il ’50, con loro tutto sommato non si sbaglia mai, basta ricordare che l’anno comincia una settimana prima, il 25 dicembre. Il vero problema è se scrivete ai reali di Francia. In Francia infatti gli anni si contano dalla Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore, e anche questo potrebbe avrebbe un senso (ma non bisognerebbe detrarre 33 anni al computo?) non fosse per la complicazione che ogni anno la Pasqua cade in un giorno diverso. Che razza di casino. Perché? Possibile che per arrivare a sincronizzare i capodanni dell’Europa Occidentale abbiamo dovuto aspettare fino al Settecento? Come potevano resistere i nostri antenati, a tutta questa confusione e incertezza?

Resistevano benissimo. Avevano altre priorità: la maggior parte di loro nasceva viveva e moriva nello stesso luogo; la necessità di intendersi con i forestieri su curiosità come la numerazione dell’anno in corso non li toccava. Siamo noi a vivere l’ossessione della simultaneità, a sentirci obbligati a festeggiare tutti negli stessi giorni se non negli stessi minuti e secondi, con dirette sincronizzate da orologi atomici. L’incubo dell’Anno Mille come ce lo racconta Carducci, con le folle terrorizzate dall’arrivo del primo gennaio manco fosse l’apocalisse maya, “raccolte in gruppi silenziosi intorno a’ manieri feudali, accosciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e ne’ chiostri”, è una bufala ottocentesca: la maggior parte degli europei non aveva la minima idea di che anno fosse. Era il tot anno dalla nascita del tal re o imperatore o papa o figlio maschio o vacca da latte; per sapere quanti anni fossero passati dalla nascita di Gesù bisognava chiedere al prete, lui teneva il conto. Forse.

Comunque già alla fine del Seicento la diffusione del nuovo calendario gregoriano portò la maggior parte delle corti europee a uniformarsi (Venezia si arrese soltanto un secolo dopo, con Napoleone) e adottare il calendario che comincia il primo gennaio, secondo quello che è chiamato “stile della circoncisione”. Infatti se assumiamo che Gesù sia nato il 25 dicembre, il primo gennaio è il giorno in cui secondo la legge ebraica sarebbe stato circonciso. Dunque noi non contiamo gli anni dalla nascita di Gesù (25/12) né dalla sua procreazione/incarnazione (25/3), ma dal momento in cui è diventato a tutti gli effetti un ebreo. Il primo gennaio è poi diventato ben presto anche il giorno della festa di Maria madre di Dio, ma il sospetto è che sia stato un espediente per dissimulare una verità ovvia quanto imbarazzante: Gesù era un ebreo. Circonciso.

I cristiani invece non sono circoncisi – la maggioranza, almeno (continua sul Post, buon anno a tutti col prepuzio o senza, e anche chi il pene proprio non ce l’ha. Che non è che si perdano ‘sta gran cosa, diciamocelo).

cristianesimo, Cristo, santi

Il cadavere che nessuno guarda


14 settembre – Esaltazione della Croce

C’è la mamma di Daniele Luttazzi che si fa il segno della croce con un dito. Il papà la vede e le dice: “sei fortunata che non l’hanno impalato, sennò…” Di questa battuta, che ovviamente deve essere completata da un gesto preciso della mano destra, Luttazzi andava (va?) particolarmente fiero. “Mi piace”, diceva, “il fatto che da questo momento in poi non riuscirete più a guardare un crocefisso senza pensarci”. Qualche anno fa ci fu un caso un po’ penoso di cui forse avete sentito parlare: Luttazzi dovette riconoscere che molte battute di cui si arrogava la paternità non erano farina del suo sacco. Il Cristo impalato però continuò a rivendicarlo, ignorando forse che qualche anno prima Paolo Poli era stato molto più sintetico e brutale: “Se Gesù fosse stato impalato, i Santi dove le avrebbero le stimmate?” Che Luttazzi possa non aver conosciuto la battuta di Poli è quasi probabile; difficile che ignorasse quella (già parecchio diversa) di uno dei suoi numi tutelari, Lenny Bruce: “Se Gesù fosse stato ucciso venti anni fa, i bambini delle scuole cattoliche porterebbero intorno al collo delle piccole sedie elettriche”. Dove non è chiaro se Bruce ce l’avesse più coi cattolici o più con la pena di morte, ma questo era forse il bello di Bruce. Il quale a sua volta magari pescava da Heinrich Böll: “È una fortuna per gli esteti che la croce fosse lo strumento di morte abituale in Palestina, altrimenti dovrebbero appendere in camera da letto una ghigliottina o una forca”. Böll a sua volta non poteva veramente ignorare quel famoso frammento del Discorso veritiero dove il filosofo Celso (II secolo dopo Cristo) scrive:

E dovunque da loro troverai l’albero della vita, e la resurrezione della carne dall’albero: questo, credo, perché il loro maestro fu inchiodato alla croce ed era di professione carpentiere. Così, se per caso egli fosse stato buttato giù da un dirupo, o spinto in un burrone, o strangolato con un capestro, o fosse stato ciabattino oppure scalpellino o fabbro, al di sopra dei cieli vi sarebbe un… dirupo di vita? O un burrone di resurrezione? O una corda di immortalità, o una pietra beata, o un ferro d’amore, o un cuoio santo? Ma quale vecchia intenta a canticchiare una fiaba per ninnare un bambino non si vergognerebbe di sussurrare cose del genere?

Il salto bimillenario tra Celso e Böll è dovuto – oltre alla mia ignoranza – dal fatto che in mezzo c’è stato un periodo in cui in Europa davvero, scherzare sul crocefisso non era molto consigliabile – meno di quanto lo sia oggi satirizzare su Maometto, la sua barba, i suoi costumi sessuali. Lo stesso Celso non ha avuto molta fortuna: la sua opera ha circolato liberamente finché i cristiani non hanno preso il possesso delle biblioteche, poi è rapidamente scomparsa. I frammenti che ci sono rimasti li ha salvati il suo miglior nemico, Origene, che per confutarlo scrisse un intero trattato, in cui non poteva evitare di citarlo. Se solo la Chiesa avesse avuto più apologeti alla Origene, e meno censori e raschiatori di codici antichi… ma raschiare è un risparmio, confutare è faticoso, insomma, è andata così.

Dai che un po’ vi manca.

Che il crocefisso, l’effige di un cadavere esposta alla venerazione, sia qualcosa di scandaloso non è dunque una scoperta di Luttazzi. Lo era ai tempi di Paolo di Tarso, (1 Corinzi 22-24) lo era tre anni fa quando una signora italo-finlandese rivolse alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo più o meno il seguente quesito: mio figlio in Italia è costretto a studiare in una stanza dove è appeso il similacro di un uomo torturato e sanguinante, è legale questa cosa? La Corte in un primo momento disse no, sollevando un polverone che si era già abbondantemente posato quando nel marzo 2011 cambiò idea (il che è sempre sbagliato, parlo per me: il crocefisso appeso non mi dà fastidio, me ne danno di più i giudici che cambiano idea). Nel frattempo in molte aule e luoghi pubblici il simulacro continua a essere esposto con i chiodi e le ferite e tutto quanto. A causa di un bizzarro fenomeno di assuefazione culturale, la maggior parte degli italiani (e dei cattolici in generale, forse) non ci fa caso. Ovvero: facciamo tutti caso a un crocefisso, quando c’è, e magari litighiamo sul suo significato politico-storico-religioso-identitario, ma non lo guardiamo mai veramente per quel che è. Il fatto che descriva, con orripilante realismo, l’aspetto di un uomo torturato a morte, non colpisce quasi mai la nostra attenzione. Bisogna che arrivi Daniele Luttazzi con una battuta (o Paolo Poli, o Lenny Bruce, o chi volete). (Continua sul Post…)

Cristo, santi

Gesù e la colf

Santa Marta e San Lazzaro, amici di Gesù, I secolo.

Era tutto ottimo.
Se abbiamo bisogno di qualcos’altro
ti chiamiamo noi, grazie.

Comincia tutto nel vangelo di Luca, con una episodio che sta in cinque versetti (10,38-42): Gesù predica in casa di due sorelle, Marta e Maria. Quest’ultima resta seduta ai suoi piedi ad ascoltarlo, mentre Marta attende ai lavori domestici, finché non sbotta: ehi, Gesù, lo vedi come sono messa? di’ a mia sorella che mi aiuti.

Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

Luca, lo abbiamo visto, è l’evangelista liberal: ha un debole per i poveri, gli extracomunitari, le donne. Forse, come ogni liberal si rispetti, a casa aveva pure dei domestici, che trattava con molta gentilezza, versando i contributi e usando la frusta solo in caso di estrema necessità. Chissà. In ogni caso ogni progressismo ha un limite, e quello di Luca riguarda i lavori domestici: tutti possono seguire Gesù, tutti possono entrare nel Regno dei Cieli, però gli sguatteri in seconda fila, grazie. Non è che il loro lavoro non sia utile, anzi. Però qualcun altro si è scelto la parte migliore: un modo educato per dire che a voi è rimasta la peggiore. Luca non immaginava forse che la religione che stava contribuendo a fondare avrebbe attecchito nelle metropoli proprio presso quel ceto sradicato senza tradizioni e senza prospettive, la servitù. Gli schiavi che venivano comprati e venduti nei porti del mediterraneo si mescolavano tra loro, cercavano un’identità comune e un riscatto almeno ideale: lo trovarono in una fede religiosa che implicava l’uguaglianza di schiavi e padroni davanti a Dio, ma a quel punto l’episodio di Marta cominciò a creare difficoltà. Per ogni vergine che si consacrava alla vita contemplativa, all’estasi e alle rivelazioni mistiche, dovevano esserci una o più Marte che continuassero a rigovernare le case. Tra la sorella incantata ai piedi del Salvatore, e quella indefessa e brontolona che continua ad andare su e giù tra cucina e lavatoio, lo zoccolo duro dei fedeli ha sempre istintivamente tifato per la seconda. Anche personaggi insospettabili, come Agostino e persino Teresa d’Avila, hanno lasciato scritto che la “parte” di Marta è fondamentale, irrinunciabile, complementare a quella di Maria, eccetera. Però alla fine se torniamo alla lettera del vangelo, vediamo che il Gesù di Luca la mette giù molto più semplice e brutale: Marta è una che si agita per molte cose inutili. Nel vangelo c’è scritto così, se non vi va scrivete un altro vangelo. Ciò è stato fatto (continua sul Post…)

cristianesimo, Cristo, santi

E staccati, su

22 luglio – Santa Maria Maddalena, non più peccatrice (I secolo).

Non sarò mai la tua Maria Maddalena
 (però tra qualche anno io e te fondiamo gli Enigma
e svoltiamo sul serio).

A Maddalena, che lo vede per prima risorto, Gesù dice una cosa curiosa, che nella versione latina suona Noli me tangere, “non mi toccare”. Perché Maddalena non lo può toccare? Eppure più tardi Gesù acconsentirà a farsi tastare le piaghe da Tommaso, l’apostolo incredulo. Forse perché Maddalena è donna? Forse perché ha un passato discutibile? Ma in realtà nell’originale greco si capisce che Maddalena è già riuscito a toccarlo: più che “non mi toccare” è un “lasciami andare”, “mollami”. Toccarsi insomma era consentito, ma forse Maddalena insisteva troppo, non lo lasciava andare più, mentre Gesù aveva altre cose da fare, un impegno a Emmaus di lì a poche ore, eccetera. Eppure per secoli in occidente i pittori la scena l’hanno dipinta come se tra Gesù risorto e la donna a lui più vicina ci fosse un abisso. È che Maddalena è proprio difficile da maneggiare.

Di solito scrivere un’agiografia, trasformare un peccatore in un santo, consiste nel prendere la vita di un uomo o di una donna, enfatizzare le buone azioni e levare le magagne più grosse. Con Santa Maria Maddalena, che pure è un personaggio di primo piano, la cosa è andata in un modo diverso: è da duemila anni che la consideriamo una ex prostituta, e semplicemente non è vero. Cioè, basta tornare ai vangeli: in nessun punto vi è scritto che Maria di Magdala facesse quel mestiere. C’è poi qualche ‘peccatrice’, nei vangeli, con le quali Gesù si mostra piuttosto tollerante, ma non è chiaro se siano prostitute o semplicemente adultere. C’è quella che lava i piedi a Gesù con le sue lacrime, glieli asciuga coi capelli (portare i capelli sciolti nella Giudea del tempo era già un segno eloquente di vita non irreprensibile), e forse è la stessa che lo unge davanti a tutti, in quella che un fariseo del tempo avrebbe potuto prendere per una caricatura di un’unzione regale. Il vangelo di Giovanni, che è il più tardo, ma come vedremo ha un rapporto particolare con la figura di Maddalena, chiama questa peccatrice “Maria”, e soggiunge che era la sorella di Marta e Lazzaro. Vale la pena di ricordare che il nome “Maria” (“Miriam”, la sorella di Mosè) era già al tempo il più diffuso nella zona: basandosi sulle incisioni funerarie, gli archeologi hanno calcolato che il 25% della popolazione femminile portasse quel nome.

Nei vangeli di Marie ce ne sono parecchie, in realtà è impossibile contarle perché è chiaro che gli stessi evangelisti – già piuttosto elusivi sui nomi e i ruoli degli apostoli – semplicemente non ci si raccapezzano. Questo è un dettaglio verosimile: chi si metteva a scrivere dopo decenni di narrazioni orali poteva facilmente confondere le figure femminili che dalla morte di Gesù non avevano più avuto molto peso nel movimento dei cristiani, e stavano invecchiando da qualche parte in Palestina o altrove. Per prima c’è la madre di Gesù (che non in tutti i vangeli è chiamata “Maria”); poi la Maddalena, che non necessariamente si prostituisce ma sicuramente viene esorcizzata da Gesù, che le toglie dal corpo “sette demoni”, fa parte del suo entourage più ristretto ed è testimone oculare della resurrezione (il nome forse deriva da un paese sul lago di Tiberiade, Magdala appunto, forse dall’ebraico migdal, “torre”, “fortezza”); c’è poi la sorella di Marta e di Lazzaro, detta anche Maria di Betania; e ancora un’altra figura dell’entourage apostolico, Maria madre di Giacomo (il quale a sua volta potrebbe anche essere il fratello di Gesù…) A un certo punto a papa Gregorio le tre Marie non madri devono essere sembrate troppe, visto che si permise in un’omelia di ridurle a una sola; poi, siccome almeno una delle tre, in almeno un Vangelo, era chiamata “peccatrice”, se ne dedusse che oltre a una e trina la Maddalena dovesse pure essere prostituta. Più che un venticello, la calunnia è un virus.


D’altro canto è stata una calunnia con qualche conseguenza positiva. Pur restando per tutta l’era antica e il medioevo, fino ai giorni nostri, ai margini della società, le prostitute hanno potuto contare su una protettrice di primo rango, una che a Gesù dava del tu. E il fatto che Cristo risorto preferisse apparire per primo a un’ex puttana, piuttosto che agli undici patriarchi della Chiesa Apostolica, rende il cristianesimo una religione un pelo meno maschilista ed elitaria di altre (anche se l’immagine di un Gesù gioviale frequentatore di meretrici è un’altra proiezione; non le lapida, ma le perdona, purché “non pecchino più”). Nel frattempo i pittori hanno potuto raffigurare, nelle crocefissioni e deposizioni e apparizioni, almeno una donna coi capelli sciolti. Molto presto hanno deciso che doveva averli rossi. La riduzione di una sodale di Gesù a prostituta potrebbe avere avuto semplicemente questo senso: più basso era il peccato, più orribile il mestiere, più gloriosa appariva la redenzione. Un Dio che perdona le puttane è uno che davvero può salvare chiunque, non fa una grinza. Però forse c’è dell’altro. C’è che se le togli quella patina di peccatrice, Maddalena diventa un personaggio un po’ più difficile da gestire, per una Chiesa gestita dai maschi.

Alcuni dettagli sono imbarazzanti (continua sul Post, con Dan Brown, James Cameron, Umberto Eco, Martin Scorsese, i merovingi e l’eterno femminino, ma soprattutto con Yvonne Elliman).

cristianesimo, Cristo, dialoghi, omofobie, racconti

Il Cristo gay e il Grande Inquisitore

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa…

“Dunque, la scena comincia così: immaginati una processione, in una città medievale, oscurantista… facciamo Bologna”.
“Bologna, via, così oscurantista poi…”
“Bologna è perfetta, ci stanno i domenicani, quindi l’Inquisizione. Immaginati una di quelle processioni medievali coi flagellanti, no? E proprio durante questa processione, chi ti compare?”
“Chi mi compare?”
“Un Cristo gay”.
“Un Cristo gay”.
“È quel che ho detto”.
“Non so, Ivan, abbiamo già diverse polemiche in corso, se magari riusciamo a evitare di offendere cristiani e gay in un botto solo io preferirei…”
“Nonò fidati, un Cristo gay che appena compare, tutti all’improvviso capiscono che è lui, la folla si apre per lasciarlo passare, tutti lo seguono in silenzio, senza osanna, senza alleluja, tanto ovvio è che lui è Cristo”.
“E che è gay”.
“È un Cristo gay”.
“Ivan questa cosa però spiegamela meglio, perché io posso anche capire un Cristo a Bologna nel medioevo, cioè se sono in Strada Maggiore e all’improvviso vedo un ebreo con la corona di spine più o meno ci arrivo che è Cristo, ma spiegami come faccio a capire che è pure gay”.
“In effetti anch’io mi sono posto il problema”.
“Cioè non gli possiamo mica mettere l’aureola arcobaleno”.
“Perché no”.
“Perché è il medioevo a Bologna, cosa vuoi che ne sapessero dei colori del movimento LGBT”.
“Va bene, ci pensiamo dopo. L’importante è che sia evidentemente gay”.
“E tutti lo seguono”.
“Per forza, è un Cristo gay. Tu non lo seguiresti? Anche solo per curiosità?”
“E poi che succede?”
“Succede che a un trivio si devono fermare per dare la precedenza al cocchio, e il cocchio è ovviamente una cosa kitschissima, tutti intarsi e intagli e lacche in oro zecchino”.
“Nel medioevo? Non è un po’ presto?”
“Il cocchio però invece di sfilare inchioda, e dalla finestrella spunta il volto arcigno di un vecchio Inquisitore, sormontato da un tricorno fucsia molto chic”.
“Questa cosa finisce malissimo, vero?”
“Non abbiamo neanche iniziato. Anche l’Inquisitore ovviamente capisce subito chi ha davanti, ovvero…”
“…un Cristo gay”.
“Un Cristo gay, e gli basta un cenno perché gli uomini della sua scorta lo prendano in consegna. Ovviamente gli uomini della sua scorta sono maschiacci nerboruti e sudaticci, muniti di alabarde un po’ falliche”.
“Questi particolari sono tutti necessari?”
“No, però sono divertenti. Dunque l’Inquisitore si fa portare il Cristo gay nel suo palazzo, e dopo una sobria cena e un sobrio intrattenimento, decide di scendere nelle segrete per interrogarlo. Senza testimoni”.
“Ci mancherebbe”.
“La scena vera comincia adesso. Dunque l’Inquisitore entra nella cella, squadra il suo uomo a lume di candela e gli dice: taci”.
“Come taci, scusa, ma che interrogatorio è”.
“È un interrogatorio molto interessante. Gli dice, taci, non c’è bisogno che tu mi dica chi sei, e non c’è nulla che tu possa aggiungere per modificare la tua posizione. Non so cosa sei venuto a fare sulla terra una seconda volta”.
“Ma come non lo sa, scusa…”
“…ma non m’interessa, hai avuto una vita per parlare e adesso ti tocca ascoltare. Lo sai in che guaio ci hai messo? No che non lo sai. Ci hai dato la libertà, come credi che l’avremmo usata, se non per mangiarci a vicenda? Lo sai in che disastro ci hai mollati? E sai quanto ci abbiamo messo a pulire? Mille anni ci abbiamo messo. C’è toccato persino allearci col tuo nemico, sai, Satana. Abbiamo una joint-venture, adesso. Non lo sapevi? Vedi che in questo interrogatorio hai qualcosa da imparare. Non è che ne andiamo fieri, ma cos’altro potevamo fare? Siamo gay, perdio, quanti credi che siamo in tutto? Il dieci per cento della popolazione mondiale? Il quindici?”
“No, dai, il quindici no”.
“Che male ci sarebbe?”
“Mi sembra esagerato, via, il quindici”.
“Ma fosse anche il venti, è pur sempre una minoranza, lo sai cosa vuol dire?”
“Vuol dire che dovranno lottare affinché alle minoranze siano riconosciuti i loro diritti”.
“Ecco, lo vedi? Il classico ragionamento da Cristo gay. Ma non funziona così”.
“E perché non funziona così?”
“Perché l’umanità è una cosa un po’ meno nobile di come la raccontava lui, perché homo homini lupus e tutto il resto, e insomma non importa che sia una razza o un’identità di genere o una preferenza sessuale o il colore dei capelli: la minoranza sarà sempre angariata dalla maggioranza. Sempre”.
“Ma no dai, sempre no”.
“Sempre, te lo dico io. Cioè no, te lo dice il Grande Inquisitore Gay”.
“Ah, perché anche il Grande Inquisitore è…”
“Lo aveva appena detto. Quindi mettiti nei nostri panni, continua il Grande Inquisitore Gay, infilati nei nostri soffici ermellini. Se almeno fossimo stati una minoranza, che so, etnica. Potevamo sempre sperare di diventare una maggioranza da qualche parte, con guerre o complotti. Ma siamo gay. Non possiamo diventare una maggioranza, per definizione”.
“E perché no?”
“Perché siamo gay, stupido. Non siamo prolifici”.
“Ah già dimenticavo. Ma potevate adottare”.
“In effetti pensammo subito a questo. Ma come potevamo riuscirci? Tu che avresti fatto? Una bella campagna per il diritto della coppia gay all’adozione durante l’impero romano?”
“Beh, forse i tempi sarebbero stati un po’ prematuri”.
“Ah, perché invece nell’Alto Medioevo…”
“Quindi insomma niente da fare”.
“Al contrario. Ci siamo riusciti alla grandissima, spiega il Grande Inquisitore Gay (da qui in poi GIG). Siamo in assoluto la comunità che adotta di più. Abbiamo uomini in tutti gli orfanotrofi, anzi gli orfanotrofi li costruiamo direttamente noi. Non è stato difficile. Sai come abbiamo fatto?”
“Come avete fatto”.
“Abbiamo fatto coming in”.
“Coming in… cosa?”
“È un neologismo che ho inventato io, spiega compiaciuto il GIG. Ci siamo nascosti. Certo tu avresti preferito che noi vivessimo in mezzo alla gente fieri dei nostri costumi. Certo tu, caro Cristo gay, avresti preferito che il sale della terra rimanesse nella terra, e che la lucerna non restasse occultata sotto il moggio… ma ne abbiamo parlato con Satana e lui è stato molto più convincente. Ci siamo nascosti perché era l’unico modo per sopravvivere nei secoli, capisci. Noi non siam come te, che vieni, predichi tre anni e poi ciao ciao, fate i bravi, ci vediamo alla fine dei tempi. Noi abbiamo da pensare a sopravvivere per millenni, non possiamo accontentarci di qualche oasi di tolleranza qua e là, noi sappiamo che gli olocausti sono sempre dietro l’angolo e dobbiamo corazzarci”.
“Così insomma i gay ci sono sempre stati, ma si sono nascosti per sopravvivere”.
“Certo, continua il GIG, e lo sai dove ci siamo nascosti?”
“Non so, in qualche confraternita immagino”.
“Nella confraternita più esclusiva e allo stesso tempo più universale e più potente e allo stesso tempo più capillare dell’universo, sai qual è? La domanda la faccio a te, col Cristo gay non ce n’è bisogno, lui la sa già”.
“E quindi insomma…”
“Ma non hai capito? Hai davanti un Grande Inquisitore Gay, con lo zuccotto fucsia, l’ermellino, le scarpette di Gucci, eddai… dove vuoi che si siano nascosti”.
“No dai Ivan per favore”.
Nella Chiesa cattolica! Siamo tutti qui, continua il GIG. Da secoli siamo qui, e ce la spassiamo! Prolifici quanto mai, abbiamo in mano gli orfanotrofi, le scuole, i precettori nelle case private, se da qualche parte nasce un ragazzino o una fanciulla tendente all’omoerotico, fidati che lo troviamo all’istante, e ci preoccupiamo di lui per tutta la vita! Questo facciamo”.
“La Spectre gay”.
“Abbiamo inventato la Confessione, ti rendi conto? Non c’è mai stata in tutta la storia dell’uomo un età così fortunata per i gay”.
“Ivan, sei sicuro?”
“Altro che lottare per i diritti civili e la tolleranza e tutte queste menate. Noi non vogliamo la tua patetica tolleranza, dice il GIG a Cristo. Noi vogliamo il potere, e lo abbiamo. Siamo o non siamo stati bravi. Da secoli una congregazione di gay regna sull’Europa, così ben organizzata che gli etero ancora non se ne sono accorti, ed è meglio così, no? Per il loro bene”.
“Perché voi non ce l’avete con gli etero”.
“Ci sono indispensabili, poveretti. Lavorano, ci pagano le decime. E soprattutto sono prolifici, loro”.
“Qualcuno lo deve pur essere”.
“Finché non inventeremo l’inseminazione artificiale, l’utero artificiale, magari la clonazione, ecco, ma la scienza è ancora indietro, indietro…”
“Potreste provare a bruciare meno scienziati”.
“Comunque ci vorrebbero secoli, il nostro sistema è molto più efficiente. Ora capisci perché la tua libertà è solo una scemenza? Capisci perché non hai diritto di parlare con me, che sono l’esponente di un sapienza millenaria, veramente incarnata nel sangue vivo e putrescente dell’uomo? Tu sei solo il figlio di Dio, che ne sai? Uno si fa una passeggiata sulla terra, due o tre prediche e una morte in croce, e poi è convinto di aver capito, ma cosa hai capito, cosa? Non esiste la libertà, se non per piccoli periodi. Non esiste la tolleranza. Nel medio-lungo termine esiste solo il potere, esiste solo la sopraffazione, e noi gay perché dovremmo essere meglio degli altri? Perché? Perché non dovremmo anche noi tentare di prendere il potere e usarlo per abusare dei deboli e degli indifesi? Perché ce lo chiedi tu con quegli occhioni azzurri incongrui in un mediorientale? Adesso sai che faccio? Ti processo e poi ti brucio come pederasta. Gli stessi che ti hanno osannato stamattina, saranno lì a raccontare di quando molestavi i loro figli nel cortile. Io queste cose le so, io lo so come è fatto l’uomo. Adesso parla pure se ti va. Ma il Cristo gay non parla”.
“Lo sospettavo”.
“Non dice niente. Solo fa un passo avanti verso il GIG, e per miracolo le catene si sciolgono, le manette sadomaso si aprono con un clac. Il GIG spaventato si ritrae, ma il Cristo Gay lo abbraccia”.
“E lo bacia”.
“Ovviamente”.
“Avremo i troll cattolici e quelli LGBT per sei mesi, Ivan…”
“Sarà divertente”.
“Si baciano a lungo?”
“Quanto basta. Poi il GIG, sconvolto, apre la porta della cella e dice Vai Via! Vai Via e non tornare mai più”.
“E poi? Fa coming out? Denuncia la sporcizia annidata nella Chiesa?”
“No, macché. Torna nel castello in tempo per la finale del torneo canoro dei castrati Ma quel bacio, quel bacio continua a bruciargli nel cuore”.

Bibbia, cristianesimo, Cristo, santi

James the Less (not the Least)

Sta cercando la sua Lettera (se è una Bibbia di Lutero ci resta male).
Ma perché in questa Bibbia moderna
non c’è la mia lettera? E chi è ‘sto Lutero?

3 maggio – San Giacomo “il minore”, apostolo (primo secolo).

Giacomo, detto il Minore, detto il Giusto, detto il fratello del Signore, contiene in sé almeno tre enigmi: (1) davvero era fratello di Gesù?; (2) davvero era lui, e non quel pasticcione di Pietro, il capo della Chiesa di Gerusalemme?; (3) davvero è a causa della sua misteriosa Lettera, rigettata da Lutero, che il capitalismo si è sviluppato nel nord Europa invece che da noi? E a questo punto, se fossi Giacobbo, manderei la pubblicità. Ma per fortuna sono sul Post, dove la pubblicità, se c’è, a questo punto è già partita da un pezzo. Avete premuto la X rossa in alto a destra? Bravi. Ora vediamo un enigma alla volta.

1. Era il fratello di Gesù?

I fratelli di Gesù compaiono in tre vangeli su quattro. L’unico a non parlarne è proprio Luca, il più mariano di tutti: quello dell’arcangelo Gabriele, a cui la Madonna risponde “non conosco uomo!” All’idea di una Maria vergine prima durante e dopo la nascita di Gesù i cristiani si affezionarono presto: rimane questo piccolo problema, che di fratelli si parla in tre vangeli su quattro. Per i cattolici non sono proprio fratelli, è solo un modo di dire. Saranno cugini, amici, semplici conoscenti. Eppure la parola greca è proprio αδελφοι, adelphoi; certo, in tanti altri passi del Nuovo Testamento compare in senso figurato, ma sia in Matteo che Marco il contesto sembra riferirsi a una famiglia ristretta, con la quale il Messia ha quel classico rapporto conflittuale che si può avere con i consanguinei: lo prendono per matto (Mc 3,21); lo vengono a prendere, ma lui li rinnega (Mc 3,32-35).

Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».

Hai voglia a prenderli per cugini. Se la cavano meglio gli ortodossi, che immaginano dei fratellastri: Giuseppe, già vedovo, li avrebbe portati alla sacra famiglia in dote. Le due liste di fratelli, contenute in Marco 6,3 e Matteo 13,55, non combaciano perfettamente (Marco parla anche di “sorelle”, Matteo accenna a un padre “carpentiere”): ma in entrambe Giacomo è il primo. Ma è lo stesso Giacomo di Alfeo che compare in tutte le liste degli apostoli? Dopo una scenata così plateale come quella sopra citata, quante possibilità aveva un fratello o fratellastro di Gesù di essere ammesso nei Dodici? I cattolici considerano Giacomo il minore figlio di Alfeo, zio paterno di Gesù, e di Maria di Cleofa, una delle due o tre Marie che ruotano in modo confuso intorno agli apostoli. Di lui i vangeli non raccontano nient’altro: è un apostolo di seconda linea, nulla di paragonabile al Giacomo Maggiore, fratello di Giovanni evangelista, evangelizzatore della Spagna, le cui reliquie faranno la fortuna di Santiago di Compostela. Diventerà invece importantissimo (a patto che sia lui e non un omonimo) dopo la morte e resurrezione di Gesù. (Continua sul post)

Bibbia, cristianesimo, Cristo, santi

Perché non avete orecchie

25 aprile – San Marco evangelista (primo secolo)

Un profeta grida nel deserto e battezza i peccatori nelle acque del Giordano; tra di loro vi è un nuovo giocane predicatore, che dopo una quarantena nel deserto si mette a proclamare una buona novella, attraverso parabole enigmatiche e profezie di sventura. Gli va meglio con le guarigioni miracolose: usa sistemi un po’ singolari, (fango, sputi), ma tutto sommato funzionano. Un paio di volte si ritrova a dover moltiplicare pani e pesci per le folle che si radunano ad ascoltarlo. Quel che dice però non è sempre chiaro, nemmeno ai dodici collaboratori più stretti, che a volte hanno troppa soggezione per chiedere spiegazioni. In seguito il predicatore viene accusato di sedizione, arrestato e fatto uccidere. Ma il terzo giorno le donne trovano nel sepolcro, al posto del corpo, un ragazzo vestito di bianco che parla di resurrezione, e scappano impaurite. Questo è in sostanza il Vangelo di Marco, che se non si trovasse mimetizzato in mezzo agli altri risulterebbe un testo abbastanza inquietante: c’è un Gesù senza Natale e senza Pasqua, sempre un po’ arrabbiato perché la gente non capisce. Alla fine di diversi episodi, miracoli o parabole, c’è quel classico versetto alla Marco, come “E si meravigliava per la loro incredulità”, “Chi ha orecchie per intendere intenda”. Solo i bambini lo smuovono un po’ dal suo sempiterno cipiglio (“a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”). Insomma è un tizio burbero, con un cuore che lascia vedere solo a sprazzi:

Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia. Ed egli le disse:“Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Ma essa replicò: “Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli”. Allora le disse: “Per questa tua parola va’, il demonio è uscito da tua figlia”.

L’episodio c’è anche in Matteo, dove Gesù concede anche un complimento (“Donna, davvero grande è la tua fede!”). In Marco si limita a dire “va’”, e poi passa ad altro. Non è così difficile mettersi nei panni degli apostoli, sempre timidi e vagamente terrorizzati, “stupiti in sé stessi” “Essi però non comprendevano, e avevano timore a chiedere spiegazioni”. Marco è l’evangelista del leone, e il suo Gesù sembra davvero un re leone nella gabbia di un’umanità che non lo capisce. “O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?” (9,19). L’unico Vangelo che suggerisce al lettore che Cristo sulla terra abbia avuto fretta di andarsene.

Ragioni per cui amo Wikipedia.

È anche il più breve: nessuna genealogia, nessuna storia sull’infanzia di Gesù (al punto da far sorgere più di un sospetto di adozionismo: Gesù diventerebbe figlio di Dio solo col battesimo nel Giordano, quando si sente una voce dal cielo dire “Tu sei il Figlio mio prediletto”). All’inizio non era inclusa nemmeno – cosa più sorprendente – un’apparizione di Gesù risorto: solo questo ragazzo vestito di bianco che dice alle donne “Non abbiate paura, Gesù è risorto, andate a dire a Pietro che vi precede in Galilea”. Al che le donne scappano terrorizzate “e non dissero niente a nessuno, perché avevano paura”. La versione più antica finisce così: non molto promettente, per il testo fondativo di una religione. Del resto, se le donne non l’hanno detto a nessuno, come facciamo a saperlo? Logica e sintassi greca dell’ultima frase ci lasciano il sospetto che esistesse un seguito, andato perduto quasi subito e rimpiazzato a volte con un solo versetto, a volte con una paginetta che è quella che di solito troviamo nelle nostre traduzioni. In questo finale Gesù appare di nuovo a Maria di Magdala, che lo dice agli apostoli (“Ma essi non vollero credere”), poi a due di loro (ma gli altri “non vollero credere”) e alla fine a tutti gli undici a tavola “e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore”. Il finale lungo probabilmente non è di Marco, ma come si vede è coerente con il suo protagonista: neanche una parola gentile (Ehi, che piacere ritrovarvi, scusate se vi ho fatto prendere paura con questa cosa della passione e morte…) Del resto Cristo è un re, poche smancerie. (Continua sul Post)

cantautori, cinema, Cristo, italianistica, musica, Pasque, Petrarca

Innamorarsi di venerdì (santo)

Poterti smembrare coi denti e le mani
sapere i tuoi occhi bevuti dai cani,
di morire in croce puoi essere grato
a un brav’uomo di nome Pilato…

6 aprile 2012 – Venerdì Santo. Passione e morte di Nostro Signore

E per quattro secoli abbiamo preso lezioni
d’amore da questo tizio

Il sei aprile 1327 era un venerdì santo, come oggi. Non è una coincidenza rara, ma nemmeno così frequente. Il sei aprile 1327 non fu un venerdì santo come tutti gli altri, in cui muore Gesù, si legano le campane, e buona notte. Il 6/4/1327 potrebbe essere “il giorno ch’al sol si scoloraro / per la pietà del suo factore i rai, / quando i’ fui preso, et non me ne guardai, / ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro“, insomma il giorno in cui Cecco di ser Petracco, meglio conosciuto col nom de plume di Francesco Petrarca, in una chiesa di Avignone incrocia gli occhi di Madonna Laura e si innamora per tutta la vita. Ma ci dobbiamo credere? Petrarca è un poeta tra medioevo e umanesimo, ragiona in termini di microcosmo e macrocosmo, inoltre ha la segreta ma ferma sensazione di essere il più grande poeta del secolo e ah, che ironia, in qualsiasi altro secolo avrebbe avuto ragione: dunque la sua storia d’amore non è una storiella qualsiasi, ma deve ottemperare a precise caratteristiche cosmiche, deve inchiavardarsi anche lei tra la terra e il cielo delle stelle fisse, tutto deve procedere come una complicata orologeria e se uno ci pensa bene, Francesco Petrarca non poteva che innamorarsi di venerdì santo, mentre Cristo muore e non può dargli un’occhiata “onde i miei guai / nel commune dolor s’incominciaro”. Petrarca è uno di quei poeti che sembrano non tornare mai di moda. Ogni tanto qualcuno ci prova – c’è stato un centenario di recente – ma niente da fare, il petrarchismo non tira. Troppo levigato, troppo asessuato, chi lo sa. Però, se posso spezzare la lancia, sul venerdì santo Petrarca aveva avuto una bella intuizione. È il giorno perfetto per innamorarsi: c’è la primavera che spunta dappertutto, i pollini che pizzicano gli occhi (“che di lagrime son fatti uscio et varco”), ma c’è anche la morte, spesso annunciata da rovesci temporaleschi che bagnano le prime magliette a maniche corte, e certi colpi di fulmine a metà pomeriggio. Comunque non è una morte seria, non è come il mercoledì delle ceneri che porta con sé quaranta giorni di astinenze e fioretti; il venerdì santo è una morte per scherzo, l’uovo di Pasqua è già sull’alzata a centrotavola. Per chi è curioso, Francesco e Laura non ebbero nessuna storia. Lei andò forse sposa a un marchese di Sade, non quello famoso, un suo antenato; lui tre anni dopo si fece prete, una cosa che nessuno dice mai, eppure sta su tutti i libri: Petrarca era un prete. Lo sapevate? Ebbe due figli da due donne diverse, scrisse per tutta la vita caste poesie d’amore a questa Madonna Laura, fu poeta laureato e girava l’Italia in missione di pace, ma per lo più campava di benefici ecclesiastici (oggi si chiama otto per mille). (No, perché poi ci si domanda come campavano gli artisti prima della SIAE: per esempio, facevano i preti).

Ben più della morte che oggi ti vuole,
ti uccide il veleno di queste parole
le voci dei padri di quei neonati,
da Erode, per te, trucidati.
Nel lugubre scherno degli abiti nuovi
misurano a gocce il dolore che provi:
trent’anni hanno atteso col fegato in mano,
i rantoli d’un ciarlatano.

Il venerdì santo è uno di quei giorni che fa veramente la differenza tra chi è cristiano praticante e chi no. Il Natale lo festeggiano anche in Cina, ormai. Santi e profeti e parole di vita eterna ce li hanno un po’ tutti, ma un Dio che muore in croce per i loro peccati ce l’hanno solo i cristiani, e ci tengono. Il palinsesto televisivo si adatta come può: un Jesus Christ Superstar qua, una Passion là – a proposito, quale dei due trovate più blasfemo? Io non ho dubbi, il super-dio di Mel Gibson che sopravvive a mazzate che stenderebbero un elefante mi sembra da scomunica. E invece ai tempi l’ufficio stampa lavorò molto bene, riuscirono in qualche modo a scrivere che il Papa lo aveva visto e gli era piaciuto. Wojtyla nel 2004 aveva un anno scarso da vivere ed è triste pensare che davvero abbia buttato via due ore per sorbirsi un film horror in latino ecclesiastico.

Si muovono, curve, le vedove in testa,
per loro non è un pomeriggio di festa;
si serran le vesti sugli occhi e sul cuore,
ma filtra dai veli il dolore.
Fedeli umiliate da un credo inumano,
che le volle schiave già prima di Abramo,
con riconoscenza ora soffron la pena
di chi perdonò a Maddalena;
di chi con un gesto, soltanto fraterno,
una nuova indulgenza insegnò al Padreterno,
e guardano in alto, trafitte dal sole,
gli spasimi d’un redentore.

A proposito del latino, fu una trovata geniale: (continua sul Post…)

cristianesimo, Cristo, cultura, repliche, scuola

Crux desperationis

Io l’ultima sentenza di Strasburgo, se devo essere sincero, non l’ho molto capita. Il problema del crocefisso non mi sembra così complesso, e trovo molto strano che in due anni si riescano a scrivere sentenze così diverse. Comunque ne approfitto per ripubblicare l’unico pezzo di questo blog che piacque anche a Giuliano Ferrara, a proposito buongiorno Giuliano Ferrara, l’ho rivista in tv, una volta non era così noioso.

Il Calvario quotidiano

Io un crocefisso l’ho già tolto.
Due settimane fa, nell’intervallo. Stavo dando un’occhiata ai traffici loschi in zona distributore di merendine, quando vengono in due a dirmi che in Seconda è caduto Gesù. Mi reco immediatamente sul luogo del misfatto e interrogo i testimoni oculari. Chi è stato? Silenzio. Proiettili, elastici, palline di carta? Negano tutti, del resto non mi pare l’abbiano mai considerato un bersaglio; hanno una certa soggezione. Forse una vibrazione del pavimento, qualcuno che saltella o che va a sbattere contro la parete, una porta chiusa di scatto: sia come sia, sembra caduto da solo. Ne traggo auspici non buoni.
Ma in quanto insegnante ostento razionalità e pragmatismo. Do un’occhiata al Cristo in questione: è caduto per l’ultima volta. Frattura completa del polso sinistro, il destro era già partito mesi fa. O anni fa. Anche il chiodino sotto i piedi è sparito da molto. A questo punto mi spiace, ma finché qualcuno (chi?) non stanzia nuovi fondi, il crocefisso se ne resta nel cassetto in fondo.

Oggi l’ho rivisto in corridoio, però a grandezza naturale. Sanguinava copioso. Subito ho pensato a una rissa in IIC, poi mi sono accorto della corona di spine e della croce che portava in spalla, quindi, insomma, era Lui.
“Domine, quo vadis?”
“E non parlare latino, che tu sappia io ho mai saputo il latino?”
“No, che io sappia no”.
“Mi dà anche un po’ ai nervi”.
“In effetti è comprensibile. Ma insomma, Signore, dove vai?”
“Dove vado, dove vuoi che vada. A farmi crocifiggere un’altra volta, vado”.
“Ma no, dai, Maestro…”
“…visto che la prima non è bastata”.
“Non te la prendere, ti prego. A scuola succede, le cose cadono, si rompono… ho dovuto metterti nel cassetto, ma ti giuro che…”
“Ma non ce l’ho con te, cosa c’entri te. Sei anche tu un povero cristo”.
“Grazie, Maestro”.
“Ce l’ho con i farisei, per prima cosa”.
“Aaah, i farisei”.
“Hai capito, no?”
“Beh, magari un aiutino…”
“Quelli che mi hanno preso per un simbolo della cultura, della tradizione. Una bandierina, praticamente. Aho’, ma stiamo a scherzare?”
“Però anche la tradizione ha la sua importanza…”
“Cioè secondo voi io mi sono fatto inchiodare mani e piedi per rappresentare una tradizione? Cioè, siamo a questo? Babbo Natale, la Befana e Cristo in Croce? Magari vi aspettate che vi porti anche i regali?”
“Ma no, non dico questo, però…”
“Però niente. Li vedi questi chiodi qua? Li vedi?”
“Ehm, sì”.
“Sono autentici, va bene? Non sono un simbolo, sono una rappresentazione realistica. Duemila anni fa i ribelli li uccidevano così. Li esponevano su un trespolo finché non morivano soffocati. Perché fossero da esempio. Tutto molto razionale, ma anche molto teatrale, ma anche violentissimo, Dio Me! Io rappresento questo, va bene? Rappresento un supplizio capitale! Rappresento la crudeltà dell’uomo e la ribellione dell’uomo! Rappresento la Morte! Rappresento il…”
“Ehm, Maestro… forse sarebbe meglio abbassare un po’ la voce”.
Il Martirio!
Ssssssssssssh!
“Cos’è, hai paura?”
“Maestro, in effetti sì. Siamo nel 2009, è pieno di bambini musulmani qui, e quella parola…”
“Quella parola è italiana, ha radici nel latino che ti piace tanto, è il fondamento della tua cosiddetta tradizione, sepolcro imbiancato che non sei altro”.
“Sì, sì, Maestro, è vero… d’altronde…”
“D’altronde?”
“Non puoi negare che suoni po’, come dire… scandalosa”.
“E che m’interessa a me? Guarda che io non sono mica un santone indiano peace and love! Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada”.
“Matteo Dieci Trentaquattro”.
“Appunto. Io sono lo Scandalo! Sono pornografia, non so se è chiaro! Un uomo trafitto da chiodi che grida dai vostri muri, che chiama al combattimento per la salvezza! Io sono questo, mica l’albero di Natale”.
“Ecco, Maestro, in effetti, se mi ci fai pensare, sì. Tu sei molto scandaloso. Molto più di quanto io quotidianamente possa sopportare”.
“Tuo problema, non mio”.
“Però succede un po’ come con tutti gli spettacoli disgustosi… all’inizio non riesci a guardarli, ma se ti abitui a darci un’occhiata tutti i giorni, dopo un po’ non ci fai più caso… diventi parte di uno sfondo familiare”.
“Ah, dici che è così? Va bene, allora toglietemi immediatamente”.
“Ma poi i Vescovi…”
“Tiratemi fuori solo ogni tanto, quando i fedeli meno se lo aspettano. Io non voglio passare sullo sfondo, io voglio spaventarvi”.
“Se la metti così…”
“E aggiungo una cosa. È proprio sulla mia consistenza di carne e sangue e ossa e chiodi che è fondato il realismo europeo, è chiaro? Se avete avuto Giotto Caravaggio e Mapplethorpe lo dovete solo a me! Esclusivamente a me!”
“Adesso, Mapplethorpe…”

“Adesso niente. Rileggiti Auerbach. Che se era per gli ebrei o per Maometto, con le loro menate filosofiche sulla non rappresentabilità del divino, a quest’ora eravate ancora lì a eccitarvi sui triangoli e gli ottagoni. Dario Argento deve tutto a me. Che dico. Tinto Brass…”
“Piano, Gesù, piano!”
“E adesso salta fuori che sono solo una tradizione. Il mandolino è una tradizione. La pizza è una tradizione. Appendete i mandolini e non rompete, io sono Gesù Cristo morto in croce, non ci credi?, vuoi toccare?”
“No, no, no, mi fido”.
“No, ma guarda, tocca”.
“Maestro, sul serio, io…”
“No, tu adesso tocchi. Il cristianesimo si tocca, va bene? Non è una menata filosofica: è carne e sangue, pane e vino. E i farisei lo sai che fine fanno. Finiscono in vomito”.
“Apocalisse Tre Quindici”.
“Precisamente. E poi ce l’ho anche coi Sadducei”.
“I sadducei”.
“Hai capito, no?”
“Ehm”.
“Ma perché perdo tempo con te. Matteo Ventidue Ventitré”.
“Quelli che non credono nella resurrezione”.
“Ecco. Non ci vogliono credere? Va bene. Che problema c’è? Nessun problema. Voi non ci credete, io non vi risorgo. Non esisto nemmeno, per voi. Facciamo che sono un pezzo di legno”.
“Quindi?”
“Quindi cos’è questa storia che mi denunciate a Strasburgo? Cosa posso aver fatto, se sono un pezzo di legno?”
“Dunque, se ho ben capito la sentenza, la tua presenza sul muro, in quanto pezzo di legno… impedirebbe ai loro figli di crescere secondo i principi dei genitori”.
“Vabbè, siamo alle comiche. Ma che principi hanno questi genitori, si può sapere?”
“Beh, presumo che si tratti dell’illuminismo, del razionalismo…”
“Non conosco, ma dev’essere un pensiero molto debole, se si cancella appena fissi un pezzo di legno. Cos’è, sono un totem, adesso? Se mi fissi ti faccio dimenticare la lezione? Mi volto un attimo e mi tornate all’età della pietra?”
“Maestro, ci vuole tolleranza…”
“Ma tolleranza di che. È come quelli che si sbattezzano. In teoria non credono nel battesimo. In pratica però hanno paura di restare segnati per sempre da uno schizzo d’acqua. Va bene, allora a questo punto chiamiamo Wanna Marchi che vi fa le carte e vi vende i numeri del lotto, a proposito, di che segno sei?”
“Maestro, ci vuole rispetto…”.
“Che poi, spiegami. Il genitore ha il diritto che il figlio sia educato secondo i suoi principi? Non suona un po’ totalitario? E quindi ti cresci un piccolo a tua immagine e somiglianza, che creda solamente nelle cose in cui credi in te, e poi la prima volta che lo lasci libero nel mondo, lui vede due legnetti appesi al muro che non corrispondono al suo sistema di credenze e va in confusione? Corte dei diritti dell’uomo, intervieni immediatamente! Il pezzetto di legno sta fissando il mio bambino! Ma come li tirate su questi ragazzi?”
“Facciamo quel che possiamo”.
“Il mondo è pieno di cose. Per dire, ci sono i semafori e non sempre segnano verde. I bambini lo devono sapere. Ci sono persone nel parco che offrono caramelle e non sono tutti buoni. Poi ci sono i pezzetti di legno e non tutti corrispondono alle cose a cui crede mamma o papà. Vogliamo abolirli a scuola? E quando li incontreranno nella vita, come si comporteranno?”
“Quindi Maestro, in conclusione, dobbiamo riappenderti o no?”
“Ma fate quel che vi pare, tanto comunque sia non avete capito. Mi sembra tutto così poco serio. Il fariseo che mi pianta come una bandierina, il sadduceo che vede la bandierina e si sente leso nei suoi diritti umani, è l’umanità? Sembra un pollaio. Non ci sono cose più serie? A scuola, poi. Che io nelle scuole ci vado, lo so quali sono i veri problemi”.
“Eh, immagino”.
“No, non puoi neanche immaginare, fidati. Sai quante non sono a norma? Sai quante non rispettano la 626? Sai quanto costerebbe metterle tutte in sicurezza?”
“Ecco, Maestro, questi sono effettivamente problemi seri…”
“Sai che mancano i sostegni? I corsi di recupero? Sai che la scuola assomiglia sempre meno un luogo educativo e sempre più a una casa di detenzione? Parliamo di questo!”
“No, Maestro, appunto. Proprio perché sono problemi seri, è meglio non parlarne”.
“E perché?”
“Perché, perché… perché a parlarne non si risolvono, e allora ci si deprime soltanto. Siamo in crisi, tutti vorrebbero scuole più belle, ma votano il primo che gli promette una tassa in meno, quindi…”
“Vi consolate chiacchierando di bandierine”.
“Sì. I problemi veri sono deprimenti. I problemi identitari invece, come dire, sono sexy. Tutti possono dire la loro senza impegno… ieri le bandierine, domani i dialetti…”
“Oggi i Cristi in croce…”
“Maestro, sì. Ma non devi prendertela”.
“No, no, non me la prendo. Adesso però vado. Mi aspettano in sala mensa”.

cristianesimo, Cristo, dialoghi, futurismi, musica, repliche

Chi se ne andrà per primo

[Dieci anni fa, quando nacque, mai e poi mai questo blog si sarebbe immaginato di essere oggi ancora qui a pubblicare più o meno le stesse cose. Eppure è successo, bisogna accettarlo, aggrapparsi all’idea che tutta questa roba non è andata interamente sprecata, che qualcuno se ne ricorderà, certo non fino al 3754, ma alla fine poi cosa dovrebbe fregare a noialtri della gente del 3754, con le loro idee religiose un po’ balzane e i loro gusti musicali discutibili. Questo era un pezzo dello scorso aprile]:

Più grandi di J.

DAL NOSTRO INVIATO – SILVABUL, 10 APRILE 3754.
Gsaui Rradoc, il più famoso lennonologo ‘laico’ del nostro semisfero, autore del controverso Intervista su Jesus mi accoglie nella sua confortevole cella di rigenerazione. Quando gli racconto delle ultime dichiarazioni di Ganesh XXVI, le rughe intrecciate sul suo volto sussultano; è il suo modo di ridere.

“Cos’è che avrebbe detto, l’elefantino?”
“Ganesh XXVI, il Dio vivente del Punjab, ha dichiarato ai giornalisti di essere diventato più grande di Lennon. È stato il suo modo di festeggiare la quarantesima settimana in testa alla top 20 Divinità”.
“Ah, già, la top 20. Beh, io non m’intendo molto di queste cose…”
“Si calcola che in media GXXVI richiami venti milioni di fedeli alle sue celebrazioni settimanali. È in effetti un record con pochi precedenti nella Storia recente”.
“Beh, se la mettiamo su questo piano, sì, non credo che Lennon facesse numeri del genere, ma vede, è sulla distanza che si vedono queste cose… non so se si ricorda T-re§”
“Vagamente. Faceva uno show coi serpenti…”
“L’incantatore di rettili transessuale di Ganimede. Fece il botto quindici anni fa, milioni di fedeli in tutto il sistema solare, anche a lui a un certo punto scappò detto di essere più grande di Lennon. E poi che fine ha fatto?”
“Che fine ha fatto?”
“Pare abbia aperto una concessionaria di condizionatori su Plutone. Vede, Jesus Lennon resta il più grande predicatore della Storia, non per i milioni di contemporanei che ha portato dalla sua parte; ma per il solo fatto che a duemila anni di distanza stiamo ancora parlando di lui. Tra dieci, vent’anni, arriverà qualche nuovo fenomeno da baraccone – una donna con dodici mani, un dio-lucertola, che ne so – e di loro, scommetto, nessuno dirà che sono “più grandi di Ganesh XXVI”. Diranno che sono più grandi di Lennon”.
“Gli Dei passano, Jesus Lennon resta. Come mai?”
“Il tempo è dalla sua parte, come recita un suo inno (per la verità di incerta attribuzione). Essere vissuto due millenni fa, nell’oscuro medioevo prediluviano, lo mette al riparo dalla luce troppo invadente dei riflettori. Di lui in effetti non sappiamo poi molto”.
“Chi era veramente Jesus?”
“Dopo duemila anni di rielaborazione mitologica è difficile rispondere a una domanda come questa. Ma almeno viviamo nel semisfero dove possiamo porcela senza temere di essere crocifissi da qualche inquisitore troppo zelante”.
“Profeta o figlio di Dio?”
“Io preferisco pensare a lui laicamente, come a un grande musicista. Per molti secoli questo aspetto della sua biografia è stato tralasciato; ci si concentrava sui contenuti degli inni, senza riprodurre la musica (che comunque era molto lontana dalla nostra sensibilità). Ma io resto convinto che non sarebbe diventato il più grande predicatore della Storia se non avesse avuto l’idea geniale di musicare le parabole e trasformarle in canzoni. Penso a certi inni immortali, come Stairway to Heaven o God Save The Queen. Figlio di Dio… mah, senz’altro nei suoi inni il padre è visto come un’entità lontana; è possibile che Lennon fosse orfano di padre, o comunque avesse sperimentato l’abbandono durante l’infanzia”.
“Falegname o chitarrista?”
“Le due cose potrebbero andare assieme; abbiamo trovato in vari siti archeologici esemplari di chitarre interamente lignee; può darsi che il giovane Jesus abbia svolto un breve apprendistato musicale in una bottega di falegnameria”.
“Fino all’incontro, che gli sconvolge la vita, con Elvis il Battista”.
“Su questo i Vangeli concordano: la predicazione di Lennon ha inizio solo dopo che Elvis lo battezza nel Giordano. È un evidente passaggio di consegne; il Battista è nella fase calante della sua carriera; i seguaci gli hanno voltato le spalle, lui stesso si considera Vox Clamans in Las Vegas
“Eh?”
“È latino. Voce che chiama nel deserto”.
“Ah”.
“Nel frattempo in Galilea Jesus raccoglie i primi discepoli, gli Scarabei”.
“Questi li so, li so. Luca, Matteo, George e Ringo”.
“Così secondo i Vangeli, che sono attribuiti a loro. Ma gli storici tendono a escludere George, che nei documenti più antichi è visto indossare una chitarra lignea”.
“Ma non era lo strumento di Lennon?”
“Appunto. La tesi più accreditata è che gli Scarabei fossero quattro in tutto, e che Lennon fosse uno di loro; San George sarebbe stato aggiunto al racconto un millennio più tardi, durante le crociate, quando diventa il patrono dei crociati e poi dell’Inghilterra.; probabilmente un soldato inglese reduce dalla prima crociata in Terrasanta, che tornando nel Merseyside riscuote un incredibile successo spacciando per sue le canzoni di Lennon, e trasformandosi in una vera e propria reincarnazione di Lennon in una terra tanto lontana da quella che aveva assistito alle esibizioni del quartetto originale”.
“Quindi lei non ammette l’ipotesi che Jesus Lennon e gli Scarabei d’Argento abbiano vissuto gran parte della loro vita in Inghilterra”.
“È una deformazione medioevale, quando fioriva il mercato delle reliquie e ogni nazione si inventava luoghi santi in cui avevano vissuto… pensi che un culto di Lennon sopravvive anche nelle isole del Pacifico Orientale, dove rappresenta il Sole, contrapposto al Dio Luna Yoko…”
“Ma la Sindone mostra i lineamenti di un inglese biondo, capellone…”
“La Sindone è una reliquia medievale. Potrebbe essere effettivamente il sudario di un crociato, chissà, magari proprio George. Ma il Lennon storico deve avere avuto lineamenti molto diversi da quelli con cui viene raffigurato di solito. Tratti somatici mediorientali, carnagione olivastra…”
“Niente capelli biondi, quindi. E niente occhialini”.
“Nella Palestina romana? No”.
“Già, i Romani. Sono stati davvero loro a ucciderlo?”
“Anche questo ovviamente non è chiaro. Lennon viveva in un periodo turbolento, in cui molti predicatori sobillavano alla rivoluzione. All’inizio però la sua posizione è ambigua. C’è un inno, Revolution, di cui si conoscono due versioni. In una dice “You can count me in”, che in aramaico significa “Includetemi, anch’io voglio fare la vostra rivoluzione”. In un’altra dice l’esatto contrario: “You can count me out”, tenetemi fuori”.
“Probabilmente una delle due è apocrifa”.
“Sì, ma è praticamente impossibile determinare quale; entrambe le versioni sono antichissime, al punto che alcuni ipotizzano che lo stesso Lennon fosse indeciso sulla strada da prendere, e che abbia inciso la canzone in due versioni. In ogni caso all’inizio non si considerava un predicatore politico nel senso che diamo oggi all’espressione. La sua figura era più simile a quella che oggi chiameremmo artista”.
“Jesus Lennon, un artista?”
“Nei primi anni di predicazione con gli Scarabei, Lennon non sobilla nessuna rivoluzione. È soltanto un musicista ispirato che richiama folle ovunque si esibisca, in Galilea, Giudea, e nella misteriosa Bolla degli Olivi”.
“È il periodo dei miracoli: dà la vista ai ciechi, risuscita i morti…”
“La tradizione dei miracoli è probabilmente un equivoco linguistico. Quante volte ci capita di dire che la tal cosa “risuscita i morti”. È un’espressione enfatica che sottolinea la grande potenza espressiva delle parabole musicali di Jesus”.
“Quindi Lennon non risuscitava i morti”.
“Solo in senso figurato”.
“Non tramutava l’acqua in birra”.
“Probabilmente i birrai in sua presenza preferivano spillare birra vera e non la solita broda annacquata”.
“E il grande miracolo di Woodstock?”
“Su Woodstock ci sono diverse teorie. Tutti gli studiosi concordano che fu un disastro logistico, e che migliaia di persone rimasero in mezzo al fango senza nulla da mangiare”.
“Finche Lennon non moltiplicò i pani e i pesci”.
“È indimostrabile, ovviamente. Il vero miracolo di Woodstock sono le sue parole, il cosiddetto discorso della montagna, sul quale è fondato il lennonismo occidentale: “Beati i miti perché erediteranno la terra, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia…” peccato che di questa canzone si sia persa la musica. Comunque i Romani non avevano nulla da temere da un fenomeno musicale-religioso di questo tipo. Gran parte dei riferimenti delle sue canzoni (il divino Tricheco, la Lucia nel Cielo di Diamanti, i Perpetui Campi di Fragole) erano oscuri già allora”.
“E allora perché lo crocifiggono?”
“A un certo punto qualcosa cambia. Lennon è accusato di avere frequentazioni scandalose: pubblicani, prostitute, spacciatori, artisti concettuali. Gli Scarabei d’Argento si sbandano”.
“Forse il successo gli stava dando alla testa”.
“È la tesi forte del Vangelo di Ringo, che però è il più tardo dei quattro. In realtà i suoi inni del periodo post-Scarabei sono i più politicizzati. È possibile che a un certo punto Lennon si sia veramente trasformato in oppositore al regime di occupazione romana che, non dimentichiamocelo, era fondato sulla violenza e sulla prevaricazione. Anche nell’ultimo periodo Lennon rimane comunque un pacifista; non inneggia alla lotta armata, al contrario. Ma è possibile che il suo antimilitarismo desse ugualmente fastidio. Era il periodo in cui l’Impero reclutava legionari anche nelle province per difendersi dalle incursioni Sovietiche e Persiane”.
“Tradito dal suo manager, Lennon viene arrestato e condannato alla morte sulla croce”.
“Il resto è leggenda”.
“Una leggenda comunque miracolosa, per aver resistito tutti questi secoli”.
“Chissà quanti altri cantanti e predicatori infiammarono i cuori per una breve stagione e poi furono dimenticati. Lennon ha potuto contare su uno dei più grandi PR della Storia”.
“Si riferisce a Paul McTarso?”.
“Il buffo è che probabilmente i due non si sono mai conosciuti di persona. Paul aveva ricevuto un’educazione musicale classica, e all’inizio non aveva assolutamente orecchio per le composizioni di Lennon. Anzi, con le sue prime ferocissime recensioni Paul dà inizio a una vera e propria campagna di persecuzione contro il lennonismo e i suoi seguaci”.
“Poi succede qualcosa… Un incidente, mi pare”.
“Sull’autostrada Damasco-Liverpool. Paul vede una luce abbagliante, sbanda ed esce di strada. Viene soccorso, ma rimane temporaneamente cieco, muto, e apparentemente sordo. Ma è evidentemente una sordità selettiva. Immerso nel silenzio, Paul sperimenta una vera e propria epifania. Può ascoltare le composizioni di Lennon senza pregiudizi culturali. La sua conversione fa scalpore e getta le basi per il successo del credo lennoniano in tutto il bacino del mediterraneo”.
“C’è anche chi dice che il vero Paul sia morto nell’incidente”.
“È una leggenda durissima a morire. Ma ce ne sono di più interessanti. Secondo alcuni è Paul il vero inventore del lennonismo moderno: molti ritornelli degli inni lennoniani sarebbero suoi. In effetti è difficile pensare che la stessa persona possa aver scritto composizioni musicalmente così diverse tra loro come Helter Skelter o Yesterday. Alcuni si spingono ad affermare che Lennon non sarebbe che una figura mitica, un musicista biondo e capellone studiato a tavolino per rendere più appetibili le composizioni dello stesso Paul. Come vede, c’è una teoria per tutti”.
“Non c’è proprio niente di cui possiamo essere sicuri?”
“Io sono ragionevolmente sicuro di un paio di cose. La prima è che tra un millennio o due ci sarà ancora qualcuno, come lei o come me, che ha voglia di discuterne. La grandezza di Lennon è questa”.
“E la seconda cosa è…”
“Anche l’invidia non cesserà mai. Ci sarà sempre qualche Messia o Avatar pronto a dichiarare di essere diventato Più Grande di Lui. Guardi questa, è la riproduzione di un antichissimo ritaglio giornalistico. Come sa, gran parte dei documenti originali dell’epoca lennoniana non ci sono arrivati, perché gli archivi erano stati digitalizzati nei decenni precedenti al diluvio, e non abbiamo mai capito come si leggono i loro supporti magnetici. Di loro ci è rimasta solo la carta stampata che si erano dimenticati di riciclare. Vede? Questo è un antichissimo ritratto fotostatico di Lennon, molto sbiadito. La scritta in basso è in aramaico. Sa cosa dice?”
“IGGER THAN JESUS LENNON CLAIMS. Ovviamente no”.
“La traduzione più accreditata è: Qualcuno afferma di essere più grande di Jesus Lennon. Evidentemente Lennon veniva attaccato dagli emuli già in vita. Eppure loro sono passati, lui no. La sua musica era semplicemente migliore”.
“Io in realtà non ne ho ascoltato molto”.
“Venga, le faccio sentire un pezzo rarissimo”.
“Ma veramente… non m’intendo molto di musica classica, sa…”
“Quando è buona musica, non è classica né moderna: è eterna. Sente?”
“Sento solo rumore”.
“Deve abituarsi un po’. Vede, in questo pezzo Lennon chiede all’ascoltatore di ascendere, di immaginare un luogo meraviglioso dove qualsiasi cosa è possibile”.
“Le parole dicono questo?”
“Le parole dicono: Portami laggiù, nella Città Paradisiaca, ove l’erba è verde e le fanciulle sono leggiadre”.
“Molto bello. Si è fatto tardi, devo andare”.

Attraverso la loro musica quei quattro ragazzi di Liverpool, splendidi e imperfetti, sono stati capaci di leggere e di esprimere i segni di un’epoca che a tratti hanno persino indirizzato, imprimendovi un marchio indelebile. Un marchio che segna lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dopo, musicalmente, nulla è più stato come prima
L’Osservatore Romano, 10/4/2010.


Siamo più famosi di Gesù adesso. Non so chi se ne andrà per primo, se il rock’n’roll o il Cristianesimo
John Lennon, 1965.
Cristo, dialoghi, non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo, preti parlanti

Et itervm ventvrvvs est cvm gloria

Il secondo avvento

“Allora, Don Peppino…”
“Oh, Agnese, eccoti”.
“Si tratta di due persone. Un signore di mezza età e una…”
“Fammi un favore intanto, allungami un Mago”.
“Un mago?”
“Un Re Mago, avrai presente com’è un Re Mago, no? Nella scatola delle statuine, quelli grossi a dorso di cammello”.
“Aaaah, un magio! ma me lo poteva dire… pensi che avevo capito un mago con la bacchetta magica e il cappello…”
“Seh, Harry Potter. E allora, ‘sto Mago arriva o no?”
“Vuole il bianco o il negro?”
“E dammeli tutti e due, che non si dica mai… oh. Ecco. Se li metto qui dietro le palme, cosa dici?”
“Ma don Peppino, io sapevo che i Magi si mettono alla Befana”.
“All’Epifania. Lo so. Però sono i pezzi più belli che abbiamo. Artigianato napoletano dell’Ottocento. Parliamoci chiaro, Agnese, non fosse per questi magi, il nostro presepe parrocchiale sarebbe…”
“’na mezza ciofeca”.
“E bada a come parli, nella casa del Signore. Mi dovevi dire qualcosa?”
“Sì, don Peppino, per via di quei due… un signore di mezza età e una ragazzina”.
“Ah”.
“Lui dice che vengono da fuori, erano qui per rinnovare il permesso di soggiorno, se ne ripartono appena possono”.
“Certo, certo, come no”.
“Lui dice che pensava di ripartire in giornata, ma si è trovato una coda lunghissima in questura che non se l’aspettava… quando ha visto venir sera hanno provato a cercare un albergo, ma sa com’è. E gli hanno detto di provare qui”.
“Ovviamente”.
“Don Peppino, ma scusi, ma di Re Magi quanti ce ne vuol mettere?”
“Te l’ho detto, sono i pezzi più belli che abbiamo”.
“Sì, però così tanti non vanno bene”.
“È che sono indeciso. Vedi questi qui, più piccoli, sui dromedari… sono meno antichi degli altri, però… mi sembrano più eleganti, cosa dici?”
“Mah, per me…”
“Con queste finiture in oro che riflettono l’illuminazione… li mettiamo un po’ più lontani alla stalla, così non si nota la differenza di proporzioni, e vedrai che…”
“Don Peppino, insomma, qui stiamo a fare un’eresia”.
“Ma cosa dici, un’eresia. Non sai nemmeno di cosa parli”.
“Sarò anche ignorante e quel che vuole lei, però sei Re Magi in un presepe non si sono mai visti”.
“Ne sei sicura?”
“E insomma lo sanno tutti che i Re Magi sono tre”.
“Lo sanno tutti. E dove starebbe scritto?”
“E che ne so io… nel Vangelo”.
“Che Vangelo? Matteo, Marco, Luca… Che Vangelo?”
“Me lo dica lei”.
“Perché vedi Agnese, se tu il Vangelo l’avessi preso in mano sul serio, anche una volta sola, lo sapresti che il numero di magi non c’è, né in Luca né in Matteo. Non è specificato, capisci? Tu pensi che siano in tre perché li hai sempre visti in tre. Ma è un numero come un altro. Due sembravano pochi, quattro sarebbero costati troppo, e così la gente ne metteva tre. Ed è rimasta l’usanza. Però io qui ho due serie, e sono tutti pezzi molto belli, e francamente se devo scegliere tra quei pastori lerci e questi re Magi…”
“Ma dopo non ci sta più spazio per le pecore”.
“Le pecore son tutte grigie. Si son prese il fumo di cent’anni di candele, sembrano sorci giganti. Allora, qui i casi sono due: o usciamo a comprarne di nuove…”
“S’era deciso di fare economia”.
“Ecco, appunto. Oppure lasciamo perdere le pecore e aumentiamo i Magi, che fanno una più bella figura. Ma mi stavi dicendo di quei due. Cosa vogliono?”
“E cosa pensa che vogliano. Chiedevano un posto per dormire”.
“Gliel’hai detto, che in canonica siamo al completo?”
“Gliel’ho spiegato. Hanno chiesto di dormire qui”.
“Eh, certo, come no. Nella casa del Signore. Ci mettiamo due materassi e il vaso da notte”.
“Don Peppino, lo so che è una cosa che non andrebbe fatta. Però fuori sta notte va sottozero… lei li mette qui, li chiude a chiave, e domani sul presto io…”
“Se vogliono escono lo stesso”.
“Ma pensa che possano rubare? Ma non c’è niente di prezioso”.
“Le statuine”.
“Don Peppino, andiamo, le statuine”.
“Artigianato dell’Ottocento. Agnese, noi qui abbiamo un servizio da offrire. Quando vengono i fedeli sotto Natale, e avrai notato che magari si svegliano tardi tutto l’anno, ma sotto Natale non mancano mai, ci sono certe cose che vogliono vedere. Ci sono delle cose a cui tengono, e noi gliele dobbiamo dare, Agnese, sennò tanto vale piantare baracca e burattini”.
“Ma aspettiamo domani a montarlo, il presepe, li mettiamo a dormire qui, e domani…”
“Domani è domenica, e cosa gli mostriamo ai nostri fedeli? Al posto del presepe, un materasso con due stranieri? Da dove dicono di venire?”
“Palestina”.
“Come no. La balla dell’asilo politico. Ci provano tutti. Fidati che sono marocchini come tutti gli altri. Ti hanno mostrato documenti?”
“No. L’uomo dice che si chiama Yussuf. La ragazzina non dice niente”.
“Seh, Yussuf. Tutti Yussuf, si chiamano. E secondo te io domattina ai fedeli, al posto del presepe, ci devo mostrare Yussuf”.
“Don Peppino, lo so, ma se li svegliamo presto…”
“Quello che mi fa più rabbia, Agnese, è che tu magari mi prendi pure per un fanatico. Uno che potrebbe salvare la vita a ‘sto Yussuf e invece si preoccupa per le statuine. Perché tu alla fine pensi che io sto giocando con le statuine, che questo è un gioco per me. È questo che mi fa ammattire”.
“Ma io lo so che lei…”
“Il problema è che queste statuine sono il mio lavoro e la mia fede, Agnese, lo capisci o no? Che se volevo fare l’assistente sociale non studiavo per prendermi questo vestito, e non stavo a venire qui, e che va bene l’accoglienza, va bene tutto, ma c’è un limite anche per don Peppino. Adesso mi dici di metter via il presepe per far posto a Yussuf. E il prossimo Yussuf che ha bisogno? Spostiamo la Madonna di Lourdes?”
“Ma è solo per una notte..”
“Una notte, come no. E avranno freddo. Però magari potremmo bruciare un po’ di roba, qui, per scaldarli. Tutte ‘ste croci, eh? Potremmo infilarle nella stufa a legna”.
“Don Peppino, non dica così”.
“E anche queste statuine. Cosa vuoi che siano delle statuine dell’Ottocento davanti a Yussuf. Questo bambino di legno qui, per esempio, Agnese, lo riconosci?”
“E certo che lo riconosco”.
“E invece magari dopo cinquant’anni che ci passi davanti ti rendi conto che non l’hai mai visto davvero, non ci hai mai riflettuto sul serio. Allora avanti, Agnese, cosa ci vedi?”
“Cosa vuole che ci veda, don Peppino… il bambino, ci vedo”.
“Ma tu ci credi, Agnese, che questo bambino è Gesù Cristo Dio, che si è fatto uomo per salvarci dai nostri peccati, e di nuovo verrà nella gloria, per giudicare… continua tu, Agnese, per giudicare?”
“…i vivi e i morti”.
“Ma ci credi o no?”
“E certo che ci credo”.
“Che lo vedrai, nella sua gloria, quando ritorna, nel Secondo Avvento”.
“Certo”.
“E quindi lo sai che noi siamo qui per testimoniare, e che queste statuette, questo giochino, sono un modo per rendere testimonianza, per ricordare alla nostra gente, ai bambini, agli anziani, che Gesù è in mezzo a noi, per ricordare che bisogna fargli spazio, al momento giusto”.
“Massì…”
“E il giorno che tornerà, il giorno che lo vedrai, perché hai detto che ci credi, Agnese: cosa gli dirai? Signore, scusa, ma quel giorno invece di renderti testimonianza dovevamo far posto a uno nemmeno battezzato, Yussuf, e a sua figlia che…”
“Non è sua figlia”.
“Andiamo bene. Non è sua figlia. E perché sta con lui?”
“Non me l’ha voluto dire”.
“Ma quanti anni avrà?”
“Don Peppino, lei lo sa, queste donne straniere… non me ne intendo”.
“Dimmi quanti anni ha, secondo te”.
“Non più di quindici”.
“Perfetto, allora chiamiamo i carabinieri, che un tetto glielo trovano”.
“No, Don Peppino, non si può. La ragazza ha bisogno di stare tranquilla stanotte. Molto tranquilla”.
“Perché. Cos’ha questa ragazza”.
“Parecchia pancia”.
“Che tipo di pancia?”
“Quella di nove mesi, secondo me”.
“Ma che ne sai, tu, mica ti intendi di donne straniere”.
“Di donne no, di pance sì”.
“Massì, in fondo, che male c’è. Veniamo pure in Italia. Sposiamo pure le bambine, mettiamole pure incinta. Tanto se non si trova un tetto alla fine c’è sempre un prete che ci mette la pezza”.
“Don Peppino, ho capito, allora facciamo così: lei li mette nella mia stanza e col presepe ci resto io”.
“Agnese, per carità non mi fare la santa”.
“E che sarà mai. Mi metto su quella panca lì dietro, lei non sa quante ore ci ho già dormito su quella panca”.
“Lo so, Agnese, però non ti ci addormenti, se non ci sono io che attacco la predica”.
“E lei mi metta il musimatic, vedrà che a mezzo nastro mi addormento. Così, se proprio deve venire stanotte Gesù a giudicare i vivi e i morti, qui trova tutto regolare, va bene?”
“Agnese…”
“Punto la sveglia alle sei”.

Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.


Era il Post sotto l’Albero. Buon Natale.

Cristo, futurismi, preti parlanti

Intervista su Jesus L.

We’re more popular than Jesus now. I don’t know which will go first, rock and roll or Christianity.
John Lennon, 1965.
Attraverso la loro musica quei quattro ragazzi di Liverpool, splendidi e imperfetti, sono stati capaci di leggere e di esprimere i segni di un’epoca che a tratti hanno persino indirizzato, imprimendovi un marchio indelebile. Un marchio che segna lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dopo, musicalmente, nulla è più stato come prima
L’Osservatore Romano, 10/4/2010.

Più Grandi di Lennon?

DAL NOSTRO INVIATO – SILVABUL, 10 APRILE 3754.
Gsaui Rradoc, il più famoso lennonologo ‘laico’ del nostro semisfero, autore del controverso Intervista su Jesus mi accoglie nella sua confortevole cella di rigenerazione. Quando gli racconto delle ultime dichiarazioni di Ganesh XXVI, le rughe intrecciate sul suo volto sussultano; è il suo modo di ridere.

“Cos’è che avrebbe detto, l’elefantino?”
“Ganesh XXVI, il Dio vivente del Punjab, ha dichiarato ai giornalisti di essere diventato più grande di Lennon. È stato il suo modo di festeggiare la quarantesima settimana in testa alla top 20 Divinità”.
“Ah, già, la top 20. Beh, io non m’intendo molto di queste cose…”
“Si calcola che in media GXXVI richiami venti milioni di fedeli alle sue celebrazioni settimanali. È in effetti un record con pochi precedenti nella Storia recente”.
“Beh, se la mettiamo su questo piano, sì, non credo che Lennon facesse numeri del genere, ma vede, è sulla distanza che si vedono queste cose… non so se si ricorda T-re§”
“Vagamente. Faceva uno show coi serpenti…”
“L’incantatore di rettili transessuale di Ganimede. Fece il botto quindici anni fa, milioni di fedeli in tutto il sistema solare, anche a lui a un certo punto scappò detto di essere più grande di Lennon. E poi che fine ha fatto?”
“Che fine ha fatto?”
“Pare abbia aperto una concessionaria di condizionatori su Plutone. Vede, Jesus Lennon resta il più grande predicatore della Storia, non per i milioni di contemporanei che ha portato dalla sua parte; ma per il solo fatto che a duemila anni di distanza stiamo ancora parlando di lui. Tra dieci, vent’anni, arriverà qualche nuovo fenomeno da baraccone – una donna con dodici mani, un dio-lucertola, che ne so – e di loro, scommetto, nessuno dirà che sono “più grandi di Ganesh XXVI”. Diranno che sono più grandi di Lennon”.
“Gli Dei passano, Jesus Lennon resta. Come mai?”
“Il tempo è dalla sua parte, come recita un suo inno (per la verità di incerta attribuzione). Essere vissuto due millenni fa, nell’oscuro medioevo prediluviano, lo mette al riparo dalla luce troppo invadente dei riflettori. Di lui in effetti non sappiamo poi molto”.
“Chi era veramente Jesus?”
“Dopo duemila anni di rielaborazione mitologica è difficile rispondere a una domanda come questa. Ma almeno viviamo nel semisfero dove possiamo porcela senza temere di essere crocifissi da qualche inquisitore troppo zelante”.
“Profeta o figlio di Dio?”
“Io preferisco pensare a lui laicamente, come a un grande musicista. Per molti secoli questo aspetto della sua biografia è stato tralasciato; ci si concentrava sui contenuti degli inni, senza riprodurre la musica (che comunque era molto lontana dalla nostra sensibilità). Ma io resto convinto che non sarebbe diventato il più grande predicatore della Storia se non avesse avuto l’idea geniale di musicare le parabole e trasformarle in canzoni. Penso a certi inni immortali, come Stairway to Heaven o God Save The Queen. Figlio di Dio… mah, senz’altro nei suoi inni il padre è visto come un’entità lontana; è possibile che Lennon fosse orfano di padre, o comunque avesse sperimentato l’abbandono durante l’infanzia”.
“Falegname o chitarrista?”
“Le due cose potrebbero andare assieme; abbiamo trovato in vari siti archeologici esemplari di chitarre interamente lignee; può darsi che il giovane Jesus abbia svolto un breve apprendistato musicale in una bottega di falegnameria”.
“Fino all’incontro, che gli sconvolge la vita, con Elvis il Battista”.
“Su questo i Vangeli concordano: la predicazione di Lennon ha inizio solo dopo che Elvis lo battezza nel Giordano. È un evidente passaggio di consegne; il Battista è nella fase calante della sua carriera; i seguaci gli hanno voltato le spalle, lui stesso si considera Vox Clamans in Las Vegas
“Eh?”
“È latino. Voce che chiama nel deserto”.
“Ah”.
“Nel frattempo in Galilea Jesus raccoglie i primi discepoli, gli Scarabei”.
“Questi li so, li so. Luca, Matteo, George e Ringo”.
“Così secondo i Vangeli, che sono attribuiti a loro. Ma gli storici tendono a escludere George, che nei documenti più antichi è visto indossare una chitarra lignea”.
“Ma non era lo strumento di Lennon?”
“Appunto. La tesi più accreditata è che gli Scarabei fossero quattro in tutto, e che Lennon fosse uno di loro; San George sarebbe stato aggiunto al racconto un millennio più tardi, durante le crociate, quando diventa il patrono dei crociati e poi dell’Inghilterra.; probabilmente un soldato inglese reduce dalla prima crociata in Terrasanta, che tornando nel Merseyside riscuote un incredibile successo spacciando per sue le canzoni di Lennon, e trasformandosi in una vera e propria reincarnazione di Lennon in una terra tanto lontana da quella che aveva assistito alle esibizioni del quartetto originale”.
“Quindi lei non ammette l’ipotesi che Jesus Lennon e gli Scarabei d’Argento abbiano vissuto gran parte della loro vita in Inghilterra”.
“È una deformazione medioevale, quando fioriva il mercato delle reliquie e ogni nazione si inventava luoghi santi in cui avevano vissuto… pensi che un culto di Lennon sopravvive anche nelle isole del Pacifico Orientale, dove rappresenta il Sole, contrapposto al Dio Luna Yoko…”
“Ma la Sindone mostra i lineamenti di un inglese biondo, capellone…”
“La Sindone è una reliquia medievale. Potrebbe essere effettivamente il sudario di un crociato, chissà, magari proprio George. Ma il Lennon storico deve avere avuto lineamenti molto diversi da quelli con cui viene raffigurato di solito. Tratti somatici mediorientali, carnagione olivastra…”
“Niente capelli biondi, quindi. E niente occhialini”.
“Nella Palestina romana? No”.
“Già, i Romani. Sono stati davvero loro a ucciderlo?”
“Anche questo ovviamente non è chiaro. Lennon viveva in un periodo turbolento, in cui molti predicatori sobillavano alla rivoluzione. All’inizio però la sua posizione è ambigua. C’è un inno, Revolution, di cui si conoscono due versioni. In una dice “You can count me in”, che in aramaico significa “Includetemi, anch’io voglio fare la vostra rivoluzione”. In un’altra dice l’esatto contrario: “You can count me out”, tenetemi fuori”.
“Probabilmente una delle due è apocrifa”.
“Sì, ma è praticamente impossibile determinare quale; entrambe le versioni sono antichissime, al punto che alcuni ipotizzano che lo stesso Lennon fosse indeciso sulla strada da prendere, e che abbia inciso la canzone in due versioni. In ogni caso all’inizio non si considerava un predicatore politico nel senso che diamo oggi all’espressione. La sua figura era più simile a quella che oggi chiameremmo artista”.
“Jesus Lennon, un artista?”
“Nei primi anni di predicazione con gli Scarabei, Lennon non sobilla nessuna rivoluzione. È soltanto un musicista ispirato che richiama folle ovunque si esibisca, in Galilea, Giudea, e nella misteriosa Bolla degli Olivi”.
“È il periodo dei miracoli: dà la vista ai ciechi, risuscita i morti…”
“La tradizione dei miracoli è probabilmente un equivoco linguistico. Quante volte ci capita di dire che la tal cosa “risuscita i morti”. È un’espressione enfatica che sottolinea la grande potenza espressiva delle parabole musicali di Jesus”.
“Quindi Lennon non risuscitava i morti”.
“Solo in senso figurato”.
“Non tramutava l’acqua in birra”.
“Probabilmente i birrai in sua presenza preferivano spillare birra vera e non la solita broda annacquata”.
“E il grande miracolo di Woodstock?”
“Su Woodstock ci sono diverse teorie. Tutti gli studiosi concordano che fu un disastro logistico, e che migliaia di persone rimasero in mezzo al fango senza nulla da mangiare”.
“Finche Lennon non moltiplicò i pani e i pesci”.
“È indimostrabile, ovviamente. Il vero miracolo di Woodstock sono le sue parole, il cosiddetto discorso della montagna, sul quale è fondato il lennonismo occidentale: “Beati i miti perché erediteranno la terra, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia…” peccato che di questa canzone si sia persa la musica. Comunque i Romani non avevano nulla da temere da un fenomeno musicale-religioso di questo tipo. Gran parte dei riferimenti delle sue canzoni (il divino Tricheco, la Lucia nel Cielo di Diamanti, i Perpetui Campi di Fragole) erano oscuri già allora”.
“E allora perché lo crocifiggono?”
“A un certo punto qualcosa cambia. Lennon è accusato di avere frequentazioni scandalose, pubblicani, prostitute, spacciatori, artisti concettuali. Gli Scarabei d’Argento si sbandano”.
“Forse il successo gli stava dando alla testa”.
“È la tesi forte del Vangelo di Ringo, che però è il più tardo dei quattro. In realtà i suoi inni del periodo post-Scarabei sono i più politicizzati. È possibile che a un certo punto Lennon si sia veramente trasformato in oppositore al regime di occupazione romana che, non dimentichiamocelo, era fondato sulla violenza e sulla prevaricazione. Anche nell’ultimo periodo Lennon rimane comunque un pacifista; non inneggia alla lotta armata, al contrario. Ma è possibile che il suo antimilitarismo desse ugualmente fastidio. Era il periodo in cui l’Impero reclutava legionari anche nelle province per difendersi dalle incursioni Sovietiche e Iraniane”.
“Tradito dal suo manager, Lennon viene arrestato e condannato alla morte sulla croce”.
“Il resto è leggenda”.
“Una leggenda comunque miracolosa, per aver resistito tutti questi secoli”.
“Chissà quanti altri cantanti e predicatori infiammarono i cuori per una breve stagione e poi furono dimenticati. Lennon ha potuto contare su uno dei più grandi PR della Storia”.
“Si riferisce a Paul McTarso?”.
“Il buffo è che probabilmente i due non si sono mai conosciuti di persona. Paul aveva ricevuto un’educazione musicale classica, e all’inizio non aveva assolutamente orecchio per le composizioni di Lennon. Anzi, con le sue prime ferocissime recensioni Paul dà inizio a una vera e propria campagna di persecuzione contro il lennonismo e i suoi seguaci”.
“Poi succede qualcosa… Un incidente, mi pare”.
“Sull’autostrada Damasco-Liverpool. Paul vede una luce abbagliante, sbanda ed esce di strada. Viene soccorso, ma rimane temporaneamente cieco, muto, e apparentemente sordo. Ma è evidentemente una sordità selettiva. Immerso nel silenzio, Paul sperimenta una vera e propria epifania. Può ascoltare le composizioni di Lennon senza pregiudizi culturali. La sua conversione fa scalpore e getta le basi per il successo del credo lennoniano in tutto il bacino del mediterraneo”.
“C’è anche chi dice che il vero Paul sia morto nell’incidente”.
“È una leggenda durissima a morire. Ma ce ne sono di più interessanti. Secondo alcuni è Paul il vero inventore del lennonismo moderno: molti ritornelli degli inni lennoniani sarebbero suoi. In effetti è difficile pensare che la stessa persona possa aver scritto composizioni musicalmente così diverse tra loro come Helter Skelter o Yesterday. Alcuni si spingono ad affermare che Lennon non sarebbe che una figura mitica, un musicista biondo e capellone studiato a tavolino per rendere più appetibili le composizioni dello stesso Paul. Come vede, c’è una teoria per tutti”.
“Non c’è proprio niente di cui possiamo essere sicuri?”
“Io sono ragionevolmente sicuro di un paio di cose. La prima è che tra un millennio o due ci sarà ancora qualcuno, come lei o come me, che ha voglia di discuterne. La grandezza di Lennon è questa”.
“E la seconda cosa è…”
“Anche l’invidia non cesserà mai. Ci sarà sempre qualche Messia o Avatar pronto a dichiarare di essere diventato Più Grande di Lui. Guardi questa, è la riproduzione di un antichissimo ritaglio giornalistico. Come sa, gran parte dei documenti originali dell’epoca lennoniana non ci sono arrivati, perché gli archivi erano stati digitalizzati nei decenni precedenti al diluvio, e non abbiamo mai capito come si leggono i loro supporti magnetici. Di loro ci è rimasta solo la carta stampata che si erano dimenticati di reciclare. Vede? Questo è un antichissimo ritratto fotostatico di Lennon, molto sbiadito. La scritta in basso è in aramaico. Sa cosa dice?”
“IGGER THAN JESUS LENNON CLAIMS. Ovviamente no”.
“La traduzione più accreditata è: Qualcuno afferma di essere più grande di Jesus Lennon. Evidentemente Lennon veniva attaccato dagli emuli già in vita. Eppure loro sono passati, lui no. La sua musica era semplicemente migliore”.
“Io in realtà non ne ho ascoltato molto”.
“Venga, le faccio sentire un pezzo rarissimo”.
“Ma veramente… non m’intendo molto di musica classica, sa…”
“Quando è buona musica, non è classica né moderna: è eterna. Sente?”
“Sento solo rumore”.
“Deve abituarsi un po’. Vede, in questo pezzo Lennon chiede all’ascoltatore di ascendere, di immaginare un luogo meraviglioso dove qualsiasi cosa è possibile”.
“Le parole dicono questo?”
“Le parole dicono: Portami laggiù, nella Città Paradisiaca, ove l’erba è verde e le fanciulle sono leggiadre”.
“Molto bello. Si è fatto tardi, devo andare”.

contro l'identità, Cristo, migranti, non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo, razzismi

Identità è una statuetta pitturata

Presepi viventi, presepi morti

Una cosa che non ho ancora capito, malgrado il meritevole sforzo dei giornalisti accorsi a Rosarno, è se questi immigrati clandestini, che raccolgono pomodori a venti euro la giornata, dormendo su giacigli di cartone in compagnia dei topi, e ogni tanto si prendono pure qualche pistolettata dai locali… dicevo: una cosa che non ho capito è se siano musulmani o no.

Ed è strano, perché fino a ieri mattina sembrava l’unica cosa importante, quando si parlava di stranieri in Italia. Qual è il motivo per cui non si integrano? Forse perché vengono pagati una miseria? No. Perché vivono in condizioni disumane? Macché. Il motivo per cui non si integrano – almeno a sentire i più prestigiosi corsivisti del Corriere – non ha niente a che vedere con queste banali condizioni materiali. È un motivo ben più alto, spirituale. Insomma, è Allah. Tant’è vero che, come dice Sartori, solo i musulmani rifiutano di integrarsi.

Gli altri si integrano benissimo, no? Prendi i cinesi. Chi di voi non ha un amico cinese. Son così simpatici i cinesi, e si sono integrati così bene. Quel loro modo così occidentale di comprare rustici in campagna, chiuderci dentro una ventina di cottimisti e farli lavorare giorno e notte… in fin dei conti è anche quello un modo per integrarsi, no? Perché alla fine dei conti quelli che gli danno le commesse sono imprenditori italiani, no? E i rustici, in campagna, o i garage in via Sarpi, chi glieli vende?

Ma il musulmano non fa così. Il musulmano ha delle brutte abitudini. La preghiera del venerdì. Il Ramadan. Vade retro. Sono tutte manifestazioni del suo rifiuto ad integrarsi. Ed è per quello che protesta.

Non vuole garanzie, non vuole diritti, no, lui vuole di più. Il musulmano vuole attentare alle nostre radici, punto e basta. Lo scriveva anche ieri Panebianco. I neri di Rosarno non avevano ancora smesso di prendersi le pistolettate, e Panebianco sul Corriere aveva già individuato i responsabili. Sapete di chi è colpa se c’è una rivolta a Rosarno? Non ci credereste mai, sono gli intellettali liberal, “(e cioè politicamente corretti)”. Siamo noi che li abbiamo invitati qui. O credevate che fuggissero da una carestia mondiale, seguendo inconsapevolmente, in quanto offerta di manodopera a basso costo, un principio del libero mercato?

No, probabilmente essi vivevano beati nei loro tucul africani finché noi intellettuali liberal “(e cioè politicamente corretti”) abbiamo bombardato i loro pacifici villaggi con copie gratuite di Micromega. Costringendoli a venire qui. In cerca di condizioni migliori? No. Quello che veramente li ha spinti sulle nostre belle spiagge è il desiderio di toglierci le nostre belle tradizioni, a cominciare, indovinate… dalle statuine del presepe.

Proprio così. Il giorno che ricorderemo come l’inizio della rivolta di Rosarno, Panebianco dedica un capoverso del suo atto di accusa a quelle scuole (cinque? Sei? Fossero anche una dozzina?) che per risibili questioni di integrazione non hanno fatto il presepe. Altro che topi nelle baracche: il presepe. È quello il problema, secondo Panebianco.

Ci sono educatori (è inappropriato definirli diseducatori?) che hanno scelto di abolire il presepe e gli altri simboli natalizi, lanciando così agli immigrati non cristiani (ma anche ai piccoli italiani) il seguente messaggio: noi siamo un popolo senza tradizioni o, se le abbiamo, esse contano così poco ai nostri occhi che non abbiamo difficoltà a metterle da parte per rispetto delle vostre tradizioni. Intendendo così il rispetto reciproco e la «politica dell’integrazione», quegli educatori contribuiscono a preparare il terreno per futuri, probabilmente feroci, scontri di civiltà.

Voi capite, il bimbo musulmano che non fa il presepe comincia a pensare “ehi, non lo fanno per rispetto a me, che mammolette! Non vedo l’ora di crescere e chiedere l’abolizione degli spaghetti! Oggi il presepe, domani il festival di Sanremo!” Ecco, nel cervello di Panebianco (e dei suoi lettori) il futuro probabilmente feroce scontro di civiltà scoppierà così. Non saranno neri derelitti che escono dalle loro tane puzzolenti e chiedono di essere rispettati per il lavoro che fanno: no, saranno adolescenti arroganti perché da bambini non li abbiamo esposti alla miniatura di Bue, Asinello e Bambino Gesù.


E lasciamo da parte ciò che possiamo solo immaginare: cosa essi raccontino, sulle suddette tradizioni, nelle aule, ai piccoli italiani e stranieri.

Già, chissà cosa raccontano. No, sul serio, cosa raccontano? Che la polenta è un cibo demoniaco? Che la pizza in realtà è un’invenzione africana? Che il campionato italiano di calcio ultimamente è una palla tremenda? Sia come sia, quello che succede a Rosarno è anche colpa loro. Ovvero, nostra. Insomma, mia. Soltanto mia? Eh, no, troppo facile. Panebianco, sapete, non è uno che si nasconde: e ha il coraggio (notevole, diciamo, per un corsivista del Corriere) di prendersela con una categoria molto meno toccabile: i preti.

Questi preti che invece di pensare alle tradizionali statuette, si dedicano all’accoglienza del loro prossimo. Questi preti che sfamano chi è affamato, dissetano chi è assetato, alloggiano chi è sfitto, curano chi è malato, ma che razza di cristiani sono? Pensassero di più a collocare il Bue e l’Asinello e meno alla cura di ‘sti maledetti samaritani a venti euro la giornata, che tolgono lavoro agli schiavi italiani.

La prossima volta che vi friggono un discorso a base di paroloni come Identità o Tradizione, pensate, per favore, al presepe di Panebianco. Secondo lui i preti sono “troppo accoglienti”: da un punto di vista razionale potrebbe avere anche ragione, qualsiasi spazio limitato non può accogliere tutti, e l’Italia non fa eccezione. Ma i preti non sono razionali: sono preti. Se accolgono tutti indiscriminatamente, è perché glielo ha detto Gesù, a chiare lettere, nel Vangelo. E quando a saper leggere il Vangelo erano ancora pochi, i preti hanno inventato strumenti come il Presepe, che servivano proprio a ricordare il principio: Giuseppe e Maria erano due viaggiatori senza un tetto, e Dio si è incarnato in mezzo a loro. Prima di essere una tradizione, il Presepe era una lezione sull’ospitalità. Ma Panebianco non lo sa, o se l’è dimenticato, o non gli interessa. A lui interessa il Presepe in quanto tradizione, ovvero statuetta, guscio vuoto che non spiega più niente a nessuno, rimandando solo a sé stesso. E bisogna averne di cose vuote in testa, per vedere le baracche di Rosarno e di non accorgersi di quel che sono: presepi viventi, in mezzo a noi. Che frigniamo se ci toccano le statuette dipinte.
Bibbia, Cristo, Israele-Palestina, non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo

Mite agnello redentor

Che toglie i peccati del mondo

Al mondo siamo sei, massimo sette miliardi, ciascuno con i suoi problemi: ciò che tutti ci consola è la possibilità di prendercela con chi è messo peggio di noi.
Di solito si tratta di islamici.
Gli islamici sono appena un miliardo, e se date un’occhiata al planisfero vi rendete conto che stanno proprio in mezzo, di modo che di solito le prendono un po’ da tutti; e probabilmente se le meritano. Un po’ per quel colore della pelle che non è bianco né nero, è… ambiguo; e poi quel profeta ultimo arrivato che nessuno ha visto in faccia, quelle usanze demodé, insomma con gli islamici vai sul sicuro: tu intanto dàgli addosso, ché un motivo si trova sempre.

E tuttavia, è inevitabile che a furia di prenderle diventino un po’ nervosi. Fortunatamente in mezzo a tutto quel miliardo di islamici (che visto da vicino fa un po’ spavento, dico, un miliardo! Tutto insieme!) c’è una nazione minuscola di cinque milioni di ebrei; si chiama Israele, e quando gli islamici vogliono sfogarsi possono sempre cominciare una guerra santa. Le fanno spesso nei giorni di festa, vecchio scherzo che funziona sempre.

Col tempo tuttavia anche i cinque milioni di israeliani hanno cominciato a seccarsi. E certo, in mezzo a un miliardo di islamici possono sembrarti pochi, ma visti un po’ da vicino, son pur sempre cinque milioni… però non sono sparsi in modo omogeneo; infatti all’interno del loro Stato c’è un territorio che non è proprio uno Stato, dove vive un altro popolo: si chiamano palestinesi, e quando Israele è nervoso corre a mazzolarli, è una gran valvola di sfogo.

I palestinesi però sono un popolo fiero, e quando hanno iniziato a prenderne troppe dall’esterno, si sono guardati dentro, chiedendosi: c’è qualcuno più piccolo di noi che possiamo a nostra volta mazzolare, al fine di sbollire la nostra troppo giusta ira? In effetti qualcuno c’è: nel bel mezzo dei territori dove vivono milioni di palestinesi (e visti da vicino sono tanti!) c’è… ma sì, c’è ancora qualche piccolo villaggio superaccessoriato dove alloggiano coloni ebrei, alcune centinaia. E quindi questi palestinesi cominciano a tirare razzi ai coloni ebrei.

I quali non è che sopportino sempre pazientemente. Per esempio c’è questo insediamento di coloni a pochi km. da Betlemme, dove vive Jesse, che di mestiere fa il pastore. Allora, quando un razzo
palestinese atterra nella fattoria di Jesse, a pochi metri dal lettino della figlia, cosa fa Jesse? Entra nel recinto delle sue pecore e si mette a prenderle a calci: poi sta meglio. In pratica è come se tutta la rabbia e la frustrazione dell’umanità andassero a finire nel recinto delle pecore di Jesse.

Ma l’umanità non è la fine di tutto: infatti anche le pecore di Jesse non è che accettino pazientemente la loro missione purificatrice. Appena Jesse se n’è andato, cominciano le discussioni: pee-e-rché le pre-e-endiamo se-e-empre? Cosa abbiamo fatto di male? C’è chi dice che è colpa dei loro pe-e-eccati.
Altre rispondono, ma quali pe-e-eccati? Non facciamo niente di male, siamo tutte fedeli al nostro montone (anche pe-e-rché è l’unico del villaggio), al sabato ci asteniamo dall’erba grassa, e quindi?
Forse si tratta di un pe-e-eccato originale, siccome la prima pecora nel Paradiso Terrestre brucò dall’aiuola del Be-e-ene e del Male, benché il Signore gliel’avesse espressamente….
“Son tutte balle”, dice a un certo punto una del mucchio. “Non esiste nessun peccato originale: sapete cosa esiste invece? La pecora nera, che ci rovina la reputazione a tutte quante”.

Le pecore si voltano verso Azazel, l’agnello dal manto un po’ più scuro delle altre, che in effetti qualche zoccolata se la merita, anche solo per quest’ambiguità cromatica… e poi sta sempre zitto, non si sa mai a cosa pensa… insomma, la circondano, loro sono tante, lui è solo, e dopo un po’ il suo manto grigio comincia a screziarsi di rosso sangue, l’agnello nero crolla in un angolo, e il morale del gregge è di nuovo alto.

Azazel guarirà – non è mica la prima volta che le prende, né sarà l’ultima. Si tratta ora di capire a chi tocca dopo di lei: a chi passerà inconsapevolmente il fardello di tutto il male, tutto il dolore, tutta la frustrazione dell’umanità. Potrebbe pestare un agnellino, o pianificare lo sterminio di una specie d’insetti, qualsiasi cosa. In fondo non è che un anello di una catena infinita che va dalle nebulose agli organismi unicellulari: ovunque ti guardi è pieno di entità più grandi che ti circondano e te la fanno pagare per qualcosa che viene da fuori, e adesso tocca ad Azazel.

Azazel invece non fa niente, non gli interessa. Non è che non gli dispiaccia essere odiata dai suoi simili, però non abbastanza da rifarsi contro qualcuno più piccolo di lei. Può darsi che sia una regola universale, però Azazel non la rispetta, si chiama fuori. Così il fardello di tutto l’odio, tutta la sofferenza dell’umanità, finisce lì: in un recinto a poche miglia di Betlemme.

Quando Gesù Cristo tornerà, a giudicare i vivi e i morti, non credo che la tirerà per le lunghe. Ci guarderà tutti quanti, scrollerà la testa e dirà: scusate il disturbo, dov’è l’agnello Azazel? Ero venuto per lui. Se lo caricherà sulle spalle e se ne tornerà al Padre suo, lasciandoci qui, alle nostre contese sempre molto interessanti. Perché in fondo non ci meritiamo un inferno peggiore di questo.

(Era uno dei Post sotto l’albero 2009. Lì ce ne sono senz’altro di più allegri. Buon Natale a tutti!)

Cristo, preti parlanti, scuola

Croce e delizia

Il Calvario quotidiano

Io un crocefisso l’ho già tolto.
Due settimane fa, nell’intervallo. Stavo dando un’occhiata ai traffici loschi in zona distributore di merendine, quando vengono in due a dirmi che in Seconda è caduto Gesù. Mi reco immediatamente sul luogo del misfatto e interrogo i testimoni oculari. Chi è stato? Silenzio. Proiettili, elastici, palline di carta? Negano tutti, del resto non mi pare l’abbiano mai considerato un bersaglio; hanno una certa soggezione. Forse una vibrazione del pavimento, qualcuno che saltella o che va a sbattere contro la parete, una porta chiusa di scatto: sia come sia, sembra caduto da solo. Ne traggo auspici non buoni.
Ma in quanto insegnante ostento razionalità e pragmatismo. Do un’occhiata al Cristo in questione: è caduto per l’ultima volta. Frattura completa del polso sinistro, il destro era già partito mesi fa. O anni fa. Anche il chiodino sotto i piedi è sparito da molto. A questo punto mi spiace, ma finché qualcuno (chi?) non stanzia nuovi fondi, il crocefisso se ne resta nel cassetto in fondo.

Oggi l’ho rivisto in corridoio, però a grandezza naturale. Sanguinava copioso. Subito ho pensato a una rissa in IIC, poi mi sono accorto della corona di spine e della croce che portava in spalla, quindi, insomma, era Lui.
“Domine, quo vadis?”
“E non parlare latino, che tu sappia io ho mai saputo il latino?”
“No, che io sappia no”.
“Mi dà anche un po’ ai nervi”.
“In effetti è comprensibile. Ma insomma, Signore, dove vai?”
“Dove vado, dove vuoi che vada. A farmi crocifiggere un’altra volta, vado”.
“Ma no, dai, Maestro…”
“…visto che la prima non è bastata”.
“Non te la prendere, ti prego. A scuola succede, le cose cadono, si rompono… ho dovuto metterti nel cassetto, ma ti giuro che…”
“Ma non ce l’ho con te, cosa c’entri te. Sei anche tu un povero cristo”.
“Grazie, Maestro”.
“Ce l’ho con i farisei, per prima cosa”.
“Aaah, i farisei”.
“Hai capito, no?”
“Beh, magari un aiutino…”
“Quelli che mi hanno preso per un simbolo della cultura, della tradizione. Una bandierina, praticamente. Aho’, ma stiamo a scherzare?”
“Però anche la tradizione ha la sua importanza…”
“Cioè secondo voi io mi sono fatto inchiodare mani e piedi per rappresentare una tradizione? Cioè, siamo a questo? Babbo Natale, la Befana e Cristo in Croce? Magari vi aspettate che vi porti anche i regali?”
“Ma no, non dico questo, però…”
“Però niente. Li vedi questi chiodi qua? Li vedi?”
“Ehm, sì”.
“Sono autentici, va bene? Non sono un simbolo, sono una rappresentazione realistica. Duemila anni fa i ribelli li uccidevano così. Li esponevano su un trespolo finché non morivano soffocati. Perché fossero da esempio. Tutto molto razionale, ma anche molto teatrale, ma anche violentissimo, Dio Me! Io rappresento questo, va bene? Rappresento un supplizio capitale! Rappresento la crudeltà dell’uomo e la ribellione dell’uomo! Rappresento la Morte! Rappresento il…”
“Ehm, Maestro… forse sarebbe meglio abbassare un po’ la voce”.
Il Martirio!
Ssssssssssssh!
“Cos’è, hai paura?”
“Maestro, in effetti sì. Siamo nel 2009, è pieno di bambini musulmani qui, e quella parola…”
“Quella parola è italiana, ha radici nel latino che ti piace tanto, è il fondamento della tua cosiddetta tradizione, sepolcro imbiancato che non sei altro”.
“Sì, sì, Maestro, è vero… d’altronde…”
“D’altronde?”
“Non puoi negare che suoni po’, come dire… scandalosa”.
“E che m’interessa a me? Guarda che io non sono mica un santone indiano peace and love! Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada”.
“Matteo Dieci Trentaquattro”.
“Appunto. Io sono lo Scandalo! Sono pornografia, non so se è chiaro! Un uomo trafitto da chiodi che grida dai vostri muri, che chiama al combattimento per la salvezza! Io sono questo, mica l’albero di Natale”.
“Ecco, Maestro, in effetti, se mi ci fai pensare, sì. Tu sei molto scandaloso. Molto più di quanto io quotidianamente possa sopportare”.
“Tuo problema, non mio”.
“Però succede un po’ come con tutti gli spettacoli disgustosi… all’inizio non riesci a guardarli, ma se ti abitui a darci un’occhiata tutti i giorni, dopo un po’ non ci fai più caso… diventi parte di uno sfondo familiare”.
“Ah, dici che è così? Va bene, allora toglietemi immediatamente”.
“Ma poi i Vescovi…”
“Tiratemi fuori solo ogni tanto, quando i fedeli meno se lo aspettano. Io non voglio passare sullo sfondo, io voglio spaventarvi”.
“Se la metti così…”
“E aggiungo una cosa. È proprio sulla mia consistenza di carne e sangue e ossa e chiodi che è fondato il realismo europeo, è chiaro? Se avete avuto Giotto Caravaggio e Mapplethorpe lo dovete solo a me! Esclusivamente a me!”
“Adesso, Mapplethorpe…”

“Adesso niente. Rileggiti Auerbach. Che se era per gli ebrei o per Maometto, con le loro menate filosofiche sulla non rappresentabilità del divino, a quest’ora eravate ancora lì a eccitarvi sui triangoli e gli ottagoni. Dario Argento deve tutto a me. Che dico. Tinto Brass…”
“Piano, Gesù, piano!”
“E adesso salta fuori che sono solo una tradizione. Il mandolino è una tradizione. La pizza è una tradizione. Appendete i mandolini e non rompete, io sono Gesù Cristo morto in croce, non ci credi?, vuoi toccare?”
“No, no, no, mi fido”.
“No, ma guarda, tocca”.
“Maestro, sul serio, io…”
“No, tu adesso tocchi. Il cristianesimo si tocca, va bene? Non è una menata filosofica: è carne e sangue, pane e vino. E i farisei lo sai che fine fanno. Finiscono in vomito”.
“Apocalisse Tre Quindici”.
“Precisamente. E poi ce l’ho anche coi Sadducei”.
“I sadducei”.
“Hai capito, no?”
“Ehm”.
“Ma perché perdo tempo con te. Matteo Ventidue Ventitré”.
“Quelli che non credono nella resurrezione”.
“Ecco. Non ci vogliono credere? Va bene. Che problema c’è? Nessun problema. Voi non ci credete, io non vi risorgo. Non esisto nemmeno, per voi. Facciamo che sono un pezzo di legno”.
“Quindi?”
“Quindi cos’è questa storia che mi denunciate a Strasburgo? Cosa posso aver fatto, se sono un pezzo di legno?”
“Dunque, se ho ben capito la sentenza, la tua presenza sul muro, in quanto pezzo di legno… impedirebbe ai loro figli di crescere secondo i principi dei genitori”.
“Vabbè, siamo alle comiche. Ma che principi hanno questi genitori, si può sapere?”
“Beh, presumo che si tratti dell’illuminismo, del razionalismo…”
“Non conosco, ma dev’essere un pensiero molto debole, se si cancella appena fissi un pezzo di legno. Cos’è, sono un totem, adesso? Se mi fissi ti faccio dimenticare la lezione? Mi volto un attimo e mi tornate all’età della pietra?”
“Maestro, ci vuole tolleranza…”
“Ma tolleranza di che. È come quelli che si sbattezzano. In teoria non credono nel battesimo. In pratica però hanno paura di restare segnati per sempre da uno schizzo d’acqua. Va bene, allora a questo punto chiamiamo Wanna Marchi che vi fa le carte e vi vende i numeri del lotto, a proposito, di che segno sei?”
“Maestro, ci vuole rispetto…”.
“Che poi, spiegami. Il genitore ha il diritto che il figlio sia educato secondo i suoi principi? Non suona un po’ totalitario? E quindi ti cresci un piccolo a tua immagine e somiglianza, che creda solamente nelle cose in cui credi in te, e poi la prima volta che lo lasci libero nel mondo, lui vede due legnetti appesi al muro che non corrispondono al suo sistema di credenze e va in confusione? Corte dei diritti dell’uomo, intervieni immediatamente! Il pezzetto di legno sta fissando il mio bambino! Ma come li tirate su questi ragazzi?”
“Facciamo quel che possiamo”.
“Il mondo è pieno di cose. Per dire, ci sono i semafori e non sempre segnano verde. I bambini lo devono sapere. Ci sono persone nel parco che offrono caramelle e non sono tutti buoni. Poi ci sono i pezzetti di legno e non tutti corrispondono alle cose a cui crede mamma o papà. Vogliamo abolirli a scuola? E quando li incontreranno nella vita, come si comporteranno?”
“Quindi Maestro, in conclusione, dobbiamo riappenderti o no?”
“Ma fate quel che vi pare, tanto comunque sia non avete capito. Mi sembra tutto così poco serio. Il fariseo che mi pianta come una bandierina, il sadduceo che vede la bandierina e si sente leso nei suoi diritti umani, è l’umanità? Sembra un pollaio. Non ci sono cose più serie? A scuola, poi. Che io nelle scuole ci vado, lo so quali sono i veri problemi”.
“Eh, immagino”.
“No, non puoi neanche immaginare, fidati. Sai quante non sono a norma? Sai quante non rispettano la 626? Sai quanto costerebbe metterle tutte in sicurezza?”
“Ecco, Maestro, questi sono effettivamente problemi seri…”
“Sai che mancano i sostegni? I corsi di recupero? Sai che la scuola assomiglia sempre meno un luogo educativo e sempre più a una casa di detenzione? Parliamo di questo!”
“No, Maestro, appunto. Proprio perché sono problemi seri, è meglio non parlarne”.
“E perché?”
“Perché, perché… perché a parlarne non si risolvono, e allora ci si deprime soltanto. Siamo in crisi, tutti vorrebbero scuole più belle, ma votano il primo che gli promette una tassa in meno, quindi…”
“Vi consolate chiacchierando di bandierine”.
“Sì. I problemi veri sono deprimenti. I problemi identitari invece, come dire, sono sexy. Tutti possono dire la loro senza impegno… ieri le bandierine, domani i dialetti…”
“Oggi i Cristi in croce…”
“Maestro, sì. Ma non devi prendertela”.
“No, no, non me la prendo. Adesso però vado. Mi aspettano in sala mensa”.

Cristo

Opera di misericordia 7bis

Chiose apocrife a Matteo 25

A sentire il primo evangelista, quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, pare che gli toccherà effettivamente separarci gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri: e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
A quelli che stanno alla sua destra dirà: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”.
I giusti si guarderanno l’un l’altro un po’ sbigottiti e gli risponderanno: “Signore, con rispetto, ma quando mai? Quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere, forestiero e ti abbiamo ospitato, ecc. ecc.? E quando soprattutto ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”
Il re dirà loro: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. E loro: Aaaah, ecco qual era il trucco. Beh, meno male.

Fin qui tutto liscio; poi verrà il turno di quelli alla sinistra.
A loro il re dirà: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Ovviamente anche loro risponderanno sbigottiti: “Signore, quando mai? Non ti abbiamo mai visto affamato, o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere, altrimenti ti avremmo allestito al più presto un sontuoso comitato di ricevimento”.
Ma egli risponderà: “Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l`avete fatto a me”.
E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna.

A quel punto, nell’enorme pascolo del giudizio resterà giusto qualche insigne prelato, con l’aria piuttosto contrariata.
Il re dirà: “Ancora qui? Non avete capito dov’è che dovete andare?”
E loro: “Signore, perdonaci, ma qui c’è qualcosa che non ci torna. Noi siamo gente di chiesa, Matteo 25 lo sapevamo a memoria. Senz’altro non siamo stati perfetti, ma molti affamati li abbiamo saziati”
“Questo è vero”, dirà il re, scarabocchiando sulla sabbia.
“Per non parlare dei forestieri che abbiamo ospitato”.
“In effetti”.
“E dei carcerati che abbiamo visitato”.
“In Guyana però non ci sei venuto, cardinale”.
“Eh?”
“E’ stato qualche millennio fa, ai tuoi tempi. Un fratello più piccolo di me era recluso in Guyana a causa di un certo vizietto, e non lo sei andato a trovare”.
“Signore, mica potevo essere dappertutto…”
“Certo che no. Eri troppo impegnato negli stessi giorni a rifiutare per conto del Vaticano la proposta di depenalizzazione universale dell’omosessualità“.
“Signore, però, con tutto il rispetto…”
“Sì?”
“Potevi dircelo prima, che avevi anche dei fratelli gay”.
“Mi sembrava implicito”.
“No, Signore, no! Non era affatto implicito”.
“Avrebbe cambiato qualcosa? Vi sareste fatti musulmani? Troppo tardi, in ogni caso”, sbufferà il re: e a un suo cenno gli angeli accompagneranno gli insigni prelati all’uscita di sinistra, dove già li attendono i loro colleghi attivissimi e non passivissimi.

(Vedi, fra gli altri, Malvino)

arti contemporanee, Cristo, preti parlanti, religioni

Tutti i bambini, con i chiodini

Ma Benedetto Papa

Ma se voi foste il Papa – ci avete mai pensato bene?
Se tra tutte le creature senzienti, lo Spirito Santo avesse scelto voi, proprio voi, per fare le veci di Gesù Cristo sulla terra, come vi sentireste? Investiti di un pesante fardello, di una tremenda responsabilità, certo.

Dar voce a un miliardo di credenti. Ma anche tentare di evangelizzare gli altri cinque miliardi, senza però offendere la sensibilità di Chiese e religioni concorrenti. C’è da perderci la salute – uomini più santi di voi l’hanno già persa.
Ma insomma, se voi foste il Papa, con un’agenda così, non avreste proprio meglio da fare che occuparvi di questa roba?


No, dico, e la prossima volta cosa? Harry Potter? Ah, no, dimenticavo, quello è già stato scomunicato a tempo debito.

Poi hai un bel da dire, Santa Sede, che le prese di posizione di Famiglia Cristiana non ti rappresentano. Eh, certo, può darsi che schedare i bambini sia una vergogna, però noi abbiamo altri problemi di cui occuparci, per esempio il ranocchio crocefisso. Sacrilegio! Eresia!

Ma Benedetto Papa, tu stai dando una nuova speranza agli artisti d’avanguardia. Da troppo tempo si ostinavano incarogniti in atteggiamenti provocatori che ormai non provocano più niente e nessuno. Nessuno? Ma no, vedi che uno che ci casca ancora c’è, e sei tu! Finalmente un Papa che si prende a cuore l’arte, come ai tempi di Giulio II e Sisto IV! Perché diciamolo, ai tempi del tuo predecessore, il signor Martin Kippenberger chi se lo sarebbe filato? Dopo qualche mese di esposizione a Bolzano, si sarebbe re-impacchettato il suo ranocchio in croce e se ne sarebbe tornato all’oblio da cui proveniva. E invece grazie a te il ranocchio in croce sta per diventare l’Opera d’arte più discussa del 2008, vale a dire la più riuscita… e magari anche la più quotata. A questo punto non è difficile prevedere per il 2009 un fiorire di animaletti in croce, santini osé e tutto quello che potrebbe urtare la sensibilità del vostro curato di campagna… a proposito, il vostro nanetto da giardino vi sembra ritratto in una posa vagamente mistica? Magari guarda in alto, come i santi rapiti di Guido Reni? Ehi, pensateci bene, magari potreste avere in casa il prossimo capolavoro proibito!

Sull’argomento segnalo le parole del grande poeta Davide Rondoni, al tg2 di oggi:
“Io credo che un artista sia libero di fare quello che vuole e anche il Papa di dire che gli fa schifo, evidentemente. In genere registro che i grandi artisti della storia non hanno mai offeso nessuno: né Michelangelo né Caravaggio sono diventati noti perché hanno fatto opere offensive”.

//www.youtube.com/get_player
Come dire, sacrosanto. Cioè, v’immaginate se Michelangelo o Caravaggio si fossero messi in testa di offendere qualcuno? Per dire, se il Buonarroti avesse preteso di mettere nudi integrali nel Giudizio Universale? O se il Merisi avesse cominciato a ritrarre le Sante coi piedi da popolani? Oggi nessuno parlerebbe più di loro, proprio come nessuno parla più di quel rancoroso e offensivo gobbetto, come si chiamava, Giacomo Leopardi, mentre fuori dalla libreria ci sono le file per acquistare i libri di versi del grande Davide Rondoni.

Cristo, Giuliano Ferrara, preti parlanti, vita e morte

Ite retro

Piccolo testamento

Il qui presente, nel pieno benché effimero possesso delle proprie dignitose facoltà mentali,
qualora un incidente o una patologia lo costringessero in un letto, assistito da costosi macchinari da cui dipenderebbe la sua vita, in uno stato d’incoscienza protratto per tre anni almeno,

chiede

– che non si dia risalto mediatico alla cosa: la gente nasce e muore tutti i giorni;
– che i politici restino a distanza: sarebbe un Paese migliore se le leggi non si facessero pensando sempre al caso particolare;
– che gli opinionisti si tengano le loro opinioni: grazie, ho già le mie (in particolare, sarebbe carino da parte di Giuliano Ferrara lasciarmi morire in pace, visto che è una vita che mi affligge con opinioni non richieste);
– che i cantanti facciano i cantanti. O vogliono dire una preghiera? Va bene, ma in silenzio, non in prima pagina.
– che i preti facciano i preti – che pensino cioè a consolare vedove e orfani, e non a inventarsi bislacche etiche pro-life che, per quanto ho potuto appurare, dal Vangelo non risultano. E io il Vangelo un po’ l’ho letto, Santi Padri. Comincia con un vecchio Santo che chiede di morire; prosegue con un uomo, figlio di Dio, che a un certo punto decide di morire. Proprio così: il padre gli lascia la libertà di scegliere, e lui decide. Quando un amico lo prende in disparte per dissuaderlo, lui gli risponde: Vade retro Satana. Non so se mi sono spiegato: Vade Retro Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. Pecco certo di superbia nel paragonare il mio piccolo sacrificio a quello del Figlio di Dio: lui doveva mondare tutti gli uomini dal peccato originale, io vorrei soltanto che i macchinari, il tempo, le risorse e l’affetto che si spendono sul mio caso disperato vengano rivolte ad altri malati, più bisognosi di affetto, risorse, tempo e macchinari. Ma la vita è un dono, l’unico che mi resta, e dei doni si dispone a piacimento. Capisco che dire di No a un dono possa essere interpretato come un segno di scortesia: il mio però più che un No è un Grazie, mi è piaciuto, ma in queste condizioni non mi va più, ne ho avuto abbastanza, datene piuttosto un po’ di più agli altri che ne hanno avuto meno.

– E quindi: che si stacchi la spina ai macchinari.
– Che si stacchi l’eventuale sondino che mi nutre. Qualora il dottore incaricato avesse difficoltà con la sua coscienza, chiuda gli occhi e faccia finta di toglierlo a Giovanni Paolo II.
– Che mi si somministri per favore qualche oppiaceo, nell’eventualità che pure nell’incoscienza io stia provando un po’ di dolore. Se non si può fa lo stesso, ma ho sempre pensato che prima di morire mi sarebbe piaciuto provare qualche sostanza da cui mi sono saggiamente tenuto lontano da giovane.

È tutto? Sì, direi che è tutto.
E se poi l’anno dopo si scopre la cura? Beh, mi stupirei del contrario. È la storia della mia vita, no?

Cristo, preti parlanti, religioni

l’Egitto dopo Sharm-el-Sheik

Saltando sui treni in ritardo

Quel che scrissi a suo tempo per il grande Tony Blair, può andar bene anche per il piccolo (subdolo) Magdi Allam: convertirsi è legittimo, ma convertirsi al cattolicesimo ai tempi di Ratzinger è un po’ come scoprire i Genesis ai tempi di “Invisible touch”.

O i Pink Floyd quando vennero a Venezia.
O i Beatles quando uscì “Imagine”.
O Battiato dopo “La cura” (era meglio prima, dai)
O i Clash quando “Should I stay” divenne uno spot dei Levi’s.
Oppure… continuate voi

Cristo, preti parlanti

diranno ogni sorta di male contro di voi

Sua Santità il Piangina

Vale la pena di ricordare, in questo tripudio di pace e tolleranza, che nessuno ha mai proibito a papa Benedetto XVI di tenere una lezione alla Sapienza: che la decisione di dare buca è stata sua, unicamente sua, e nemmeno dettata da particolari esigenze di sicurezza. Insomma, non se l’è sentita. Come diceva quel romanziere un po’ datato, ma gran conoscitor di preti: il coraggio, uno non se lo può dare.

Certo, qualche professore non sarebbe stato contento: ma la petizione dei docenti era un documento interno, che (come scrive l’ottima Lia) avrebbe dovuto restare interno, e probabilmente è stato divulgato per complicare la carriera di un barone, in quel clima di amicizia e collaborazione che notoriamente caratterizza gli atenei italiani. La protesta degli studenti non è parsa mai particolarmente violenta, ed è comunque fisiogica, in un Paese dove esiste la libertà di pensiero e di associazione. Insomma, il Papa alla Sapienza poteva andarci: il Viminale lo dava sicuro “al mille per cento”. Il massimo rischio era prendersi qualche fischio. Ma appunto: il coraggio, uno non se lo può dare.

Come rimproverare il pavido Benedetto, se ha preferito incassare la solidarietà dell’Italia intera alla domenica, invece di qualche fischio e molti sbadigli al giovedì? È un Papa, mica un politico. Già. I politici ai fischi ci si abituano. Lui nicchia, un Papa fischiato è effettivamente una novità. Lo posso anche capire.

Soltanto, trovo un po’ fastidioso che quando alla fine ha fatto capolino dal balcone, mettendo fine a un’interminabile settimana di bieco oscurantismo laico, abbia voluto esortare i fedeli a cercare la verità, testimoniare la verità. Belle parole, per carità, e giustissime. Ma dette da uno che non ha nemmeno il coraggio di andarle a testimoniare dall’altra parte del Tevere. Il vicario di Cristo. Beh, Cristo al suo posto i fischi se li sarebbe presi.

Gesù, testimone della verità (se non proprio la Verità fatta persona), ebbe qualche problema con le autorità del tempo, e anche con la folla. A un certo punto alcune dichiarazione furono traviate al punto che si ritrovò inquisito come bestemmiatore, processato per sedizione, e crocefisso tra gli sputi. Cose che accadono ai testimoni della verità.

Stefano, il primo martire della Chiesa, era un altro testimone della verità. Anche a lui non andò molto bene: siccome insisteva a testimoniare la gloria divina di Gesù – nient’altro che un cadavere trafugato di fresco, secondo le autorità religiose del tempo – finì lapidato. Cose che capitano, appunto. Del resto Gesù lo aveva detto: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli!” (Matteo 5,11-12).

Pietro, il primo capo della Chiesa, incontrò anche lui diverse difficoltà mentre compiva il suo apostolato. Finì crocefisso a testa in giù, a Roma. E sempre a Roma, duemila anni più tardi, il suo successore non ha il coraggio di prendersi qualche fischio, per testimoniare la verità. E poi incoraggia gli studenti delle scuole cattoliche “malgrado le difficoltà che incontrate”… come a dire: le difficoltà, incontratele voi, io tengo impegni. Naturalmente, se qualcuno venisse fischiato a morte, lui è pronto a beatificarli seduta stante. Ma pigliarsi i fischi in prima persona, eh no. Armiamoci e partite.

Torna in mente il caso di Andrea Rivera, quel comico che al concerto del Primo Maggio si permise di dire due cosette contro la Chiesa. Fosse stato Prodi, o Berlusconi, sarebbe stata ordinaria amministrazione. Ma era la Chiesa, e l’Osservatore Romano parlò di “terrorismo”. Copio e incollo quello che ho scritto in maggio: “quella di Ratzinger-Bagnasco è una Chiesa un po’ arroccata, sì, ma soprattutto capricciosa, petulante. Sa tutto lei, ti cita a memoria i discorsi di Alessio Comneno, ma al primo fischio trema tutta e chiama i carabinieri”. Altri cercheranno di dimostrare che l’episodio della Sapienza è stato un trionfo per il Vaticano, che approfittando di un’ingenuità del fronte laico ha dimostrato ecc. ecc..
Sarà. Ma tra Bagnasco che alla prima scritta sui muri si fa mettere la scorta, e un Ratzinger che non ha il coraggio di parlare a dei docenti universitari, io questa Chiesa non la vedo tanto bene. E comincio persino a temere che dietro alle sue rivendicazioni (la 194, i soldi alle scuole confessionali, ecc.) non ci sia un vero disegno egemonico, qualcosa di serio a cui opporsi con altrettanta serietà… quanto piuttosto le lagne di un vecchietto terrorizzato che non vuole andare all’altro mondo senza che nessuno se ne accorga. Che dire. Wojtyla aveva un altro stile, indubbiamente.

Cristo, religioni, superstizioni

Non di soli feti

Per una Sana Inquisizione

Santità, Le scrivo per farLe umilmente sapere che nel 2007 mi ha molto deluso. Come del resto nel 2006. In verità aveva iniziato a deludermi nel 2005, ma al tempo ero propenso a considerarLa con la benevolenza che si riserva agli esordienti.
Santità, chi le scrive è uno dei tanti cristiani – senz’altro uno dei peggiori – che non può più soffrire di sentirsi minoranza in casa sua. Non è forse l’Italia un Paese di salde radici cristiane? Non è Roma la capitale della Cristianità? E allora perché noi cristiani dobbiamo sentirci, giorno dopo giorno, una minoranza sotto assedio? E perché i nostri pastori non fanno nulla di concreto per difenderci? E perché Colui che dovrebbe guidarli, il Vicario di Cristo in terra, sembra piuttosto assorto in preoccupazioni mondane, come ripassare le declinazioni del latino o provarsi le nuove frangette rosse che piacciono tanto a quella vecchia zia di Zeffirelli? Eh? Sto parlando di lei, Santità: crede che ci basti un’enciclica, mentre qui fuori i barbari ci inquinano le sorgenti?

Santità, la prego, volga uno sguardo al suo povero gregge italico, che come ogni trentun dicembre si ritrova sbalordito davanti alla televisione e constata una volta di più l’amara verità: la Chiesa ha perso. L’Italia è pagana. Forse non ha mai smesso di esserlo, in ogni caso negli ultimi anni ha smesso di vergognarsene e lo proclama a testa alta. Fino a qualche tempo fa gli oroscopi erano un passatempo da parrucchiere, ora ormai sono una presenza istituzionale in tutti i canali. Compreso quelli di Stato. Compreso quello in quota CEI, e Lei che fa? Cosa ne pensa? Niente, lei continua a prendersela con gli atei. Ma Santità, si può sapere dove li ha visti tutti questi atei in Italia? Magari ce ne fossero. Almeno gli atei sono razionalisti, ci si può discutere. In fondo gli atei e i monoteisti hanno centinaia di cose in comune, basti pensare a tutti gli Dei a cui non credono. Ma in Italia non ce n’è, si fidi, hanno tutti almeno un cornetto al collo, e cosa vuoi discutere con qualcuno che crede ai poteri invisibili del corallo? O ai poteri di Venere nello Scorpione? O nella sfiga? O nel malocchio? O nei maghi che conoscono in anticipo i numeri del lotto, e invece di giocarseli te li vendono in offerta speciale? Ci vuoi anche discutere, con questi qui? L’unica è bruciarne un po’. Potremmo cominciare con gli stregoni – gli indirizzi sono sulle pagine gialle.

Santità, i suoi uomini continuano a prendersela con Odifreddi, e intanto Wanna Marchi è a piede libero. Si rende conto? Magari nessuno le ha mai parlato di Wanna Marchi, mentre le hanno raccontato che Odifreddi è una grave minaccia; è possibile essere così mal consigliati? Odifreddi non è che un cane sciolto, sconosciuto ai più, mentre la Marchi rappresenta l’Italia profonda, l’Italia crapulona e bottegaia, l’Italia credulona e felice d’esserlo, l’Italia pagana, la Babilonia, la Grande Meretrice! E Lei, Santità, vive al centro di tutto questo e… di cosa si preoccupa? Delle radici cristiane dell’Europa, mentre qua fuori i santoni ancora ci curano con gli estratti di mandragola? Contro gente come questa, andrebbe rifatto un tribunale della Santa Inquisizione, e subito. E Odifreddi, lo si potrebbe cooptare come membro esterno. C’è tanto da imparare dagli scettici come lui.

Santità, all’inizio del 2008 vogliamo finalmente porci il problema delle cosiddette “previsioni astrali”? Vogliamo dire che è un rito pagano e repellente, e che nessun editore o responsabile di rete cristiano dovrebbe averci a che fare? Se lei va al balcone a ordinare di bruciare tutte le riviste astrologiche nei chioschi, io son pronto; soltanto, è meglio se me lo dice un po’ per tempo, così mi tengo da parte la benzina, con quel che costa. Perché anche in questo 2007 mi è capitato di vedere in tv persone sorridenti dichiarare che loro non assumerebbero mai un Ariete o un Sagittario o un vattelapesca; e sono sicuro che non scherzano. Ne vogliamo parlare? Se le stesse persone dicessero che non assumono neri, o musulmani, o circoncisi, cascherebbe giustamente il mondo; in quest’Italia hypocritally correct la segregazione razziale è proibita e la segregazione religiosa un’eresia; invece la segregazione zodiacale è perfettamente tollerata. Andate poi a lamentarvi della fuga dei cervelli – se la selezione del personale la fanno coi tarocchi, di cosa vi stupite? In Italia, nel 2007, c’è gente che perde opportunità di lavoro perché è Scorpione. Nessuno dice niente, e intanto tutti si toccano le parti basse. È uno schifo, Santità, uno schifo.

Santità, prima ancora di essere cristiano, io sono un monoteista. E so cosa significa. Banalmente: c’è un solo Dio, e il resto sono stronzate. Idoli. Vanno bruciati, e va bruciato chi si ostina ad adorarli: perché chi è tanto stupido da adorare pezzi di legno, o addobbi dorati, o astri lontani anni luce, o è in malafede o ignorante senza redenzione.
Prima della sua elezione avevo udito mirabilie sul suo conto. Mi aspettavo dunque da lei lo zelo del vero Monoteista. Il Mosè che fonde il vitello d’oro e lo fa bere agli ignoranti. O il Maometto che torna alla Mecca e spazza via tutta la chincaglieria pagana intorno alla Ka’ba. O almeno il Gesù che frusta i mercanti al Tempio. Invece lei si preoccupa degli… aborti. Ma Santità, col dovuto rispetto, che problema saranno mai gli aborti? Non ci sono più, forse non ci sono mai stati, e comunque se esistono non possono più essere nel Limbo e quindi probabilmente stanno in Paradiso. Problema risolto, direi. Vogliamo dunque cominciare a preoccuparci anche dei poveri cristiani post-partum, bambini e adulti, costretti a destreggiarsi in un mondo di ignoranza e superstizione? Non si vive di soli feti, Santità. Suo devoto
Leonardo

Cristo, Giuliano Ferrara

la leggenda di San Giuliano il digiunatore

Un giorno da leone

Caro Gesù Bambino, che vedi tutto: non ti sarà sfuggita l’ultima iniziativa di Giuliano Ferrara.

Da qualche giorno sta facendo una dieta di soli liquidi, che probabilmente gli gioverà. Il pretesto è una specie di moratoria contro l’aborto, bla bla. Il vero motivo per cui Ferrara si sottopone a questa innocua privazione è chiaro a ogni povero di Spirito: Ferrara ha intenzione di vedere Dio entro la fine dell’anno, e metter fine alla manfrina dell’“ateo devoto”, che oggettivamente fa ridere. Ormai lo dice a chiare lettere: “E’ un mezzo di contatto subliminale”; e chi dovrebbe contattare, se non Tuo Padre? Bene, sono abbastanza sicuro che durante un calo di zuccheri ci riuscirà (è il vecchio trucco degli anacoreti), e sono altrettanto certo che da quel momento le porte di Santa Romana Chiesa si spalancheranno definitivamente per questo figliol prodigo. Del resto sono fatte per questo, quelle benedette porte, no? Per spalancarsi. Bene, molto bene. Salvo che io non vorrei esserci, in quel momento. Per questo ti scrivo, Gesù Bambino. Ti saluto. Mi prendo un po’ di ferie.

Caro Gesù, mio Buon Pastore: io sono uno delle 99 pecorelle che non hanno mai dato pensieri ai tuoi cagnoloni – a parte quando schitarravo i salmi in chiesa con una certa foga, ai bei tempi del Vaticano II. Per il resto ho frequentato con profitto anni di catechismo, arrivando puntuale a ogni sacramento. Ho pregato, sin da bambino, e ho letto le Scritture. Tutte. Senza smettere di credere in te, il che è già un miracolo della fede. Proprio per questo motivo so bene che c’è più gioia in cielo per una pecorella smarrita e ritrovata che per 99 come me, che beeelano beeelano la loro devozione da una vita. Proprio per questo motivo so che nelle cucine pontificie sono già indaffarati a condire il vitello grasso. Tutto giustissimo, ma io stavolta non ne assaggerò. Il mio amore per il prossimo ha evidentemente un grosso difetto: se domani entrasse da quella porta Bin Laden, sinceramente pentito, me ne rallegrerei. Ma Giuliano Ferrara, Santo Dio, no. C’è incompatibilità.

Caro Gesù, che tornerai sulla terra per giudicare i vivi e i morti, mi rendo conto che il motivo del mio traviamento è sciocco e gretto, però Ferrara veramente non lo reggo. Non so neanch’io il perché. Probabilmente l’insofferenza nasce dall’averlo visto sempre in cattedra. È da quando sono al mondo che me lo trovo in una posizione di privilegio, a farmi lezioni d’ogni tipo.

Quando ho cominciato a pensare d’essere di sinistra, lui era già là, nella foto di famiglia, senz’altro merito fuorché un cognome illustre. Poi si è convertito alla socialdemocrazia e ha voluto insegnarla a tutta una generazione. Siccome è stata la stessa generazione che ha tirato le monetine a Craxi e ancora ne va fiera, forse il maestro non era così buono, ma che importa? Il tempo di fiutare il vento, e si è fatto liberale. È stato il cervello dietro a Berlusconi, e in quanto cervello si è trovato ad avere molto tempo libero. Allora si è messo in testa d’essere un giornalista, e a molte persone perbene e ragazzi ambiziosi è convenuto credergli. Nell’anno in cui il capo del governo poteva contare su due canali nazionali filogovernativi ed era proprietario privato di altri tre, Ferrara ha occupato stabilmente la prima serata del settimo. Nel frattempo scrive un giornale a spese mie, in cui ha insegnato il laicismo ai laici, il radicalismo ai radicali, l’America agli americani, il conservatorismo ai conservatori, la democrazia ai fondatori del PD e… e adesso è venuto il momento di spiegare il catechismo ai chierichetti. Mi pare giusto, ma non ci sto.

Caro Gesù, ti rendi conto? Lui che non sa distinguere una virtù cardinale da una teologale, gli Efesini dai Tessalonicesi, Sant’Antonio da Padova da Sant’Antonio Abate, domani salirà in cattedra e m’intimerà di convertirmi e credere al Vangelo! A me, cresciuto a Vespri e Lodi mattutine! Fino a questo momento tu eri l’unico con cui potevo parlare senza che lui ci si mettesse in mezzo. Ma da domani sarà diverso. Domani, quando proverò a dirti le preghiere, sentirò la sua presenza non discreta. Probabilmente disapproverà il modo in cui m’inginocchio o incrocio le mani, mi darà dell’ingenuo o del fighetto, o del gnégnegne… le solite cose. Non mi dirà nulla che non so già, e lo dirà con un sacco di parole brutte e strane, annoiandomi come un qualunque prete di campagna, ma con un sacco di ammiccamenti a cose e persone che non conosco e non m’interessano. Non m’insegnerà niente.

E dire che nella mia vita ho imparato da tutti: meccanici, casalinghe, venditori porta a porta. Addirittura qualche volta persino dagli insegnanti. Tutti mi hanno detto qualcosa che ancora non sapevo. Tranne lui. Lui in fin dei conti parla solo e sempre di sé, perché dovrebbe interessarmi?

D’altro canto, caro Gesù, io so che quando dicevi “Beati gli ultimi perché saranno i primi” ti riferivi anche a quelli come lui, che arrivando all’ultimo momento all’appuntamento con la Fede, ci sopravanzano, proprio come i velocisti nello sprint. Dunque Ferrara, già burocrate PCI e fonte riservata CIA, giunto al Vangelo in zona Cesarini, sarà uno dei primi nel tuo Regno…c’è una scandalosa giustizia in tutto questo, te lo riconosco. Ma d’altro canto devi pur immaginare che la prospettiva di un paradiso dove ogni sera alle otto e mezza c’è lui che mi spiega come stare all’Altro Mondo non mi sembra un’alternativa così interessante al fuoco eterno.

Per questo pensavo di andarmene un po’. Non so neanche dove. Da Maometto no, a meno che non venga lui. Budda, con quella storia delle respirazioni, mi spaventa. Probabile che me ne resti qua fuori nel parcheggio, come fanno tanti. Giusto il tempo di sbollire. Sono la 99ma pecorella, non ho diritto anch’io almeno a un giorno da leone?

Cristo, pontefici, preti parlanti

limbo lower 2

Tutti fuori

Per molti secoli, il Cristianesimo ha riguardato soprattutto la Morte.
Intendo dire che era una religione che faceva il possibile per aiutare i suoi fedeli a convivere con l’idea, terribile e familiare, della morte. Questo mistero che ci portiamo con noi tutti i giorni: perché siamo al mondo se non è per sempre? Quando moriremo? Nessuno lo sa.

I cristiani arrivano dopo millenni di angoscia a proporci una serie di misure difensive. Non sono stati i primi, ma bisogna ammettere che sono stati più bravi di altri. La morte non è che l’inizio, dice il cristiano: prova a immaginartela come un cancello espugnato da Cristo, afferma più o meno San Paolo. Considera la tua povera vita come un investimento. Gesù aveva già accennato con gli apostoli a un Regno dei Cieli, a un Giudizio Universale: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. Se sei buono – o pensi di esserlo – di morire a questo punto ti vien quasi voglia.

E se non sei buono, puoi sempre rimediare con una nobile morte. Da qui il martirio – che esisteva già nel mondo degli eroi, ma col Cristianesimo diventa una manifestazione religiosa. Da qui, inoltre, una serie di manifestazioni esteriori un po’ luttuose (i crocifissi, i teschi, i monaci che ammoniscono: “ricordati che devi morire”) che ultimamente abbiamo un poco accantonato. Perché? Perché questa enfasi sulla morte è passata di moda. Anche tra i cristiani.

Dalla metà del Novecento, in effetti, il Cristianesimo ha iniziato a preoccuparsi soprattutto della Vita. Non di quella eterna, come ci si potrebbe aspettare: no, proprio delle nostre vite effimere ed imperfette. Verrebbe da chiedersi il perché: qualcuno si chiede il perché? Voglio dire, come si spiega che la religione dell’Estrema Unzione è diventata la religione antiabortista per eccellenza?

Qualunque sia il motivo, il Limbo è rimasto fregato nel mezzo. Nel medioevo, in piena ansia per la vita dopo la Morte, il Limbo era stato escogitato per spiegare un’apparente ingiustizia del Sommo Giudice: se solo chi ha ricevuto la Buona Novella è degno di entrare nel Regno dei Cieli, come la mettiamo con le persone oneste e pie che la Buona Novella non l’hanno ricevuta perché sono vissuti prima di Gesù, o in un’altra parte del mondo, o sono morti troppo presto? Come può essere così ingiusto Dio da dare tanta importanza al luogo e al tempo in cui abbiamo vissuto una vita che è solo una percentuale infinitesima dell’Eternità dopo la morte?
Qualche oscuro architetto dell’oltretomba suggerì che doveva esserci nell’inferno una zona dove, pur in assenza di Dio, si stava bene; qualche alto prelato ne parlò, Dante lo sistemò nel suo poema, e da allora il Limbo si è imposto nell’immaginario collettivo – ma da parte dei Pontefici, nessuna dichiarazione definitiva.

E meno male, perché il problema che angustiava Ratzinger fino ad oggi è di segno opposto: se nulla è più sacro della Vita, come si spiega che la vita degli embrioni, in sede di Giudizio Universale, sia considerata robetta da serie B? Perché i preti dovrebbero spendersi tanto per creature comunque destinate al Limbo? Insomma, questo rimasuglio della struttura medievale finiva per accreditare la sensazione (suggerita anche da un certo borghese buon senso) che un esserino concepito da pochi giorni non sia cosa da mandare né in Cielo, né all’inferno, né altrove: qualche laico prima o poi lo avrebbe interpretato in questo senso. Meglio rimuovere. Del resto si sa, le chiavi del cielo le ha lui. A chi scioglie in terra, sarà sciolto in eterno, no?

E quindi il Limbo è chiuso. Tutti fuori. Come si diceva qualche tempo fa, preparatevi a un paradiso asiatico, perché la maggior parte degli aborti clandestini si pratica in Cina e India; e presupporre che solo gli embrioni di radici cristiane vadano in cielo sarebbe vagamente nazista (e io non vorrei nemmeno scriverle nello stesso pezzo, le parole “nazista” e “Ratzinger”).

Per farla breve: la sorte toccata al Limbo è un segno di come cambia nei secoli questo Cristianesimo che crediamo monolitico: nel Medioevo lo inventano perché sono ossessionati dalla sistemazione del mondo dopo la Morte; nel Duemila lo tolgono perché sono altrettanto ossessionati dalla sistemazione della Vita. E domani? Chi lo sa. Anche il Regno dei Cieli si aggiorna: questa è comunque una buona notizia.

Cristo, Dio

tu non pensi secondo Dio, ma come gli uomini

Nessuno si attenti a zittire Bagnasco

Mettiamola così: negli ultimi anni in Italia si sono aperte splendide opportunità, per i preti (anche grazie alla pochezza di molti laici, specie quelli in perenne fregola referendaria). E tuttavia in fin dei conti restano pur sempre preti. Che possono fare, a parte parlare e parlare? E parlando e parlando, che possono fare, a parte scoprire le proprie debolezze e contraddizioni?

In sostanza: Bagnasco è caduto in una trappola. Parlando e parlando, gli è uscita una castroneria che resterà alla Storia. Non fosse il suo mestiere, ci sarebbe da compatirlo: lui mica pensava di sollevare tutto questo polverone. Non era una Nota ufficiale del CEI, se provate a cercarla sul Sito Ufficiale o altrove farete molta fatica: l’infelice paragone tra convivenza, pedofilia e incesto gli è uscita dalle eminenti labbra a un convegno di animatori della cultura e della comunicazione della diocesi di Genova. E insomma, chi se l’aspettava un’imboscata dei giornalisti del Secolo XIX? Puntuale è infatti fiorita la smentita: Bagnasco non intendeva davvero paragonare, è stato frainteso, estrapolato, eccetera eccetera. Già: ma come fa notare il pur prolisso Malvino, il testo completo non lo ha ancora pubblicato nessuno. Può anche darsi che Bagnasco volesse dire il contrario di quel che i maledetti giornalisti hanno estrapolato: ma in attesa della pubblicazione integrale, l’impressione è che Bagnasco abbia detto esattamente le cose ampiamente riportate dai virgolettati – anche se avrebbe preferito che i giornalisti non lo ascoltassero. Ma appunto, questo è il grosso limite dei preti, ancorché “animatori della cultura e della comunicazione”: a furia di parlare, c’è il rischio che qualcuno ti ascolti sul serio.

Gesù, che di comunicazione un po’ ne capiva, spesso e volentieri stava zitto: il silenzio si addice ai profeti e ai re. Piuttosto di dire qualcosa di avventato, si metteva a scarabocchiare nella sabbia. Coi preti è diverso: loro nel dubbio parlano. E da qualche tempo in qua, parlano senza rete.
Nessuna nostalgia, per carità: eppure non si può fare a meno di osservare che ai tempi della Dc un incidente del genere non sarebbe scoppiato. Qualche cavallo di razza avrebbe preso il telefono e – con tutta l’umiltà del caso – ammonito fraternamente sua Eccellenza a non cadere più in simili trappoloni, e lasciare la politica a chi la faceva di mestiere. L’unità politica dei cattolici era una specie di filtro che dei preti lasciava passare qualche santa parolina ogni tanto. Oggi è diverso. Sparsi in cinque partiti in concorrenza tra di loro, i cattolici fanno a gara ad attaccarsi alle sottane (dei vescovi). I vescovi se ne sono accorti e, come fanciulle in fiore, parlano, parlano. E voi non avete che lasciarli parlare:

Nel momento in cui si perde la concezione corretta autotrascendente della persona umana, non vi è più un criterio di giudizio per valutare il bene e il male e quando viene a cadere un criterio oggettivo per giudicare il bene e il male, il vero e il falso, ma l’unico criterio o il criterio dominante è il criterio dell’opinione generale, o dell’opinione pubblica, o delle maggioranze vestite di democrazia – ma che possono diventare ampiamente e gravemente antidemocratiche, o meglio violente – allora è difficile dire dei no, è difficile porre dei paletti in ordine al bene. Perché dire di no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia? Perché dire di no? Perché dire di no all’incesto come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano? E via discorrendo, perché poi bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso comune e che sono già presenti almeno come germogli iniziali. Oggi ci scandalizziamo ma, a pensarci bene, se viene a cadere il criterio antropologico dell’etica che riguarda la natura umana, che è anzitutto un dato di natura e non di cultura, è difficile dire ‘no’. Perché dire no a questo a quello o a quell’altro. Se il criterio sommo del bene e del male è la libertà di ciascuno, come autodeterminazione, come scelta, allora se uno, due o più sono consenzienti, fanno quello che vogliono perché non esiste più un criterio oggettivo sul piano morale e questo criterio riguarda non più l’uomo nella sua libertà di scelta ma nel suo dato di natura. Vi è necessità di porre dei paletti a una società che sta andando alla deriva.

Un primo appunto: se parla agli animatori della comunicazione, forse è meglio che adoperi frasi più brevi e incisive. E magari concetti un po’ più chiari: cos’è la “concezione autotrascendente”? qualcosa che trascende, va bene, ma allora perché “auto”? Qualunque cosa sia, sembra proprio che non esistano altri “criteri oggettivi per giudicare il bene e il male”. Oggettivi? Sua Eminenza sta dicendo che l’unico criterio morale oggettivo è… autotrascendente? Se è così, ok: ma forse c’è un modo per comunicarlo meglio.

Poi c’è un certo malcelato disprezzo per le masse, che si vestono di democrazia ma che sono prontissime a cambiarle non appena torna di moda il nero (il che a volta in effetti avviene: e di solito nei paraggi c’è qualche prete che parla parla e approva). Quindi si arriva al famigerato “perché dire di no?” Il senso è abbastanza chiaro: per Bagnasco l’unica morale oggettiva arriva da Dio; quel che legifera la maggioranza non ha importanza, perché la maggioranza è fascista o sta per diventarlo. Per di più, la maggioranza non ha gli strumenti per “dire di no” a chi difende un’aberrazione morale in nome della libertà. Potrebbe avere un senso, non fosse che i due casi citati da Bagnasco siano due clamorosi autogol. Infatti:

1. Il partito olandese non si è candidato alle elezioni, per mancanza di firme; evidentemente le masse vestite di democrazia non sono ancora pronte a tanta liberà. Per ora l’organizzazione ufficiale che nell’Occidente si è spesa di più per coprire i pedofili rimane la Chiesa Cattolica. In nome di non si sa ancora quale morale oggettiva o autotrascendente: Gesù aveva per i pedofili parole di fuoco, si vede che lui non era ancora autotrasceso abbastanza.
2. Il fratello e la sorella che “hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene” non vivono in Inghilterra, ma in Germania (come sanno più o meno tutti i lettori di quotidiani tranne Bagnasco) dove l’incesto è reato, appunto; anche in Italia del resto è reato, ma punibile solo se dà pubblico scandalo. Qui Eminenza confonde la regola con l’eccezione: l’esempio semmai prova che le maggioranze vestite di democrazia riescono a dire di no all’incesto anche senza l’intervento di Bagnasco.

Nella seconda parte della citazione salta fuori nientemeno che il “criterio antropologico dell’etica che riguarda la natura”. Sarebbe a dire? Ricordiamo che Bagnasco parla a braccio, e ha già scambiato una volta la Germania per Inghilterra. Ma insomma, l’impressione è che sua eminenza persista nel lapsus di ritenere la morale cattolica fondata nell’“oggettività” e addirittura nella “natura” (o nell’“antropologia”). Ma quando mai? La Bibbia è un campionario di casi morali aberranti; il Vangelo (che contiene un “comandamento nuovo”) non è fondato sull’oggettività, ma sul paradosso. I miti erediteranno la terra. Chi non ha peccato scagli la prima pietra. È più facile per un crine di cammello entrare nella cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli. E cosi via. È tutto così poco “oggettivo” e “naturale” che i preti del tempo, chiacchierini quanto i nostri, a un certo punto ritennero giusto crocifiggerlo in quanto bestemmiatore. Con tutto che parlava poco.
Bagnasco invece parla, parla. E voi fatelo parlare.