1500 caratteri, Pasque

Peggio dei Maya

Immaginate un’antica civiltà che misurasse il tempo in cicli solari di 365 rotazioni terrestri (aggiungendo una rotazione ogni quattro cicli), o “grande computo”, e in cicli più corti di sette rotazioni terrestri, o “piccolo computo”. La settima rotazione era un periodo dedicato a riposo e preghiera. Si noti che 365 non è un multiplo di 7, e che quindi ogni ciclo del grande computo cominciava in un momento qualsiasi del piccolo computo e viceversa.

Quest’antica cultura conosceva già gli equinozi, ovvero i momenti in cui i raggi solari sono perpendicolari all’asse di rotazione terrestre, e in tutta la terra luce e buio durano lo stesso periodo. In ogni ciclo del grande computo avvenivano due equinozi, a uguale distanza: il primo segnava l’arrivo della bella stagione, il secondo la sua fine.

Infine, tra grande e piccolo computo ve ne era un altro, intermedio, che andava da un plenilunio e l’altro. Siccome i pleniluni avvengono ogni 29 rotazioni terrestri e ½, anche questo computo era indipendente dagli altri due.

Quest’antica civiltà aveva varie feste, tra le quali una delle più importanti si festeggiava una volta ogni grande computo, nella settima rotazione del piccolo computo successiva al primo plenilunio successivo al primo equinozio. Non era molto facile calcolarla, no. Quell’antica civiltà siamo ancora noi, e oggi è la prima domenica successiva al primo plenilunio di primavera. Buona Pasqua.

Beppe Grillo, ho una teoria, Pasque

L’anno prossimo a Grillandia

Buona Pasqua; chissà se arriveremo alla prossima? Nessuno può saperlo, tranne forse Beppe Grillo, che ieri scriveva così:

Tra un anno di Berlusconi rimarrà il ricordo, di Napolitano neppure quello, Renzie sarà ricordato come uno zimbello, come il dito inserito in un buco della diga prima della crepa definitiva, si apriranno finalmente processi come MPS e i nomi della trattativa Stato-mafia saranno espulsi dalle Istituzioni. Nuovi moralisti si stracceranno le vesti.

Nessuna invasione di cavallette, perlomeno fin qui. Va bene, mettiamo un segnalibro: tra un anno, più o meno verso Pasqua, verificheremo cosa sarà rimasto di Berlusconi e Napolitano; a che livello sarà la reputazione di Renzi; a che punto sarà quel processo MPS che nelle fantasie grilline doveva portare alla sbarra tutto il partito democratico e, perlomeno fin qui, non lo ha fatto. E controlleremo quanti “nomi della trattativa Stato-mafia” saranno emersi e conseguentemente espulsi dalle istituzioni.

Grillo non spiega in che modo tutto questo possa succedere; quale sarà la scossa che creerà la “crepa definitiva”? Un successo del M5S alle europee? Non cambierebbe i rapporti di forza in parlamento e non farebbe che rinsaldare l’asse Renzi-Berlusconi. L’esito naturale delle inchieste in corso? La rivoluzione sarebbe in pratica demandata alla magistratura, in cui evidentemente si conserva una fiducia incrollabile. O forse Grillo si aspetta ancora, con impazienza crescente, una catastrofe economica: d’altro canto la profezia, intitolata La frana #franatutto, comincia così: “Non la sentite la frana? Sta venendo giù tutto. Mafie, partiti, corrotti, corruttori, piduisti, lobbisti, banchieri. Sono i detriti della Seconda Repubblica, la parte più infame della Storia d’Italia. Viene giù tutto insieme come in quegli smottamenti improvvisi che travolgono in pochi secondi ponti e strade in apparenza indistruttibili…”

Ok, siamo per essere travolti. A questo punto però è interessante andarsi a leggere cosa scriveva Grillo un anno fa (continua sull’Unita.it, H1t#227)

Non è un’operazione semplicissima: l’indice dell’archivio è uno degli elementi meglio nascosti del suo blog, e magari c’è un motivo. Il 21 aprile di un anno fa Grillo scriveva “Entro alcuni mesi l’economia presenterà il conto finale e sarà amarissimo. Dopo, però, ci aspetta una nuova Italia”. Campa cavallo. A questo punto faccio anch’io la mia previsione: da qui a un anno molte cose cambieranno, ma Grillo sarà ancora in qualche piazza o qualche teatro, e sicuramente sul suo blog, ad annunciare che la fine dei tempi è vicina e un’altra Italia è alle porte. Questione di giorni, di mesi, eccetera.
Il ricorso all’apocalisse non è una novità per un predicatore come Grillo. Semmai un segno di continuità con alcuni maestri rivendicati – su tutti Savonarola. È normale che Grillo spinga su questo pedale, anche perché alla fine è l’unico pedale che ha: come puoi spiegare al tuo popolo e a te stesso che ogni tuo sforzo per creare un movimento politico alternativo si è rivelato perfettamente funzionale alla creazione di un asse stabile tra centrosinistra e centrodestra? Come puoi evadere dal ruolo di spauracchio che ha dato a Renzi e a Berlusconi la scusa migliore per sedersi allo stesso tavolo e dividersi il futuro? In tanti abbiamo sperato che Grillo, e che soprattutto i suoi uomini, riuscissero a evitare il tranello e s’inventassero qualcosa di diverso. Era una speranza sciocca, questa sì decisamente travolta tra la primavera del ’13 e questa. Ora a Grillo non resta che urlare, sempre più forte, che la fine dei tempi è vicina: che tutto sta per crollare; dovesse succedere davvero, dargliene atto sarà l’ultimo dei nostri problemi. http://leonardo.blogspot.com
cristianesimo, Pasque

Vorrei una festa immobile

8 aprile 2012 – Pasqua di resurrezione

Anche quest’anno Cristo è risorto e voi siete in ritardo

Io ho un problema con la Pasqua, e credo di non essere il solo. Mi coglie sempre di sorpresa, in un momento in cui avrei altre cose da fare, la scadenza dell’assicurazione e il modello unico. Di solito è aprile, quando il raffreddore di cambio stagione cede il campo alla rinite allergica e la depressione da antistaminici caccia via la depressione dell’ora legale. Però non mi dovrei lamentare, ho addirittura una settimana di vacanza – ecco, questa settimana è sempre un inghippo, ti arriva tra capo e collo creando più stress di quanto non ne risolva, una mattina entri in classe e dici “La prossima settimana verifica” e loro ti rispondono “La prossima settimana vacanza”, come sarebbe a dire vacanza? Ah già, Cristo risorge, vabbe’ però non vale. Perché google calendar non mi dice mai niente? Perché non hanno vinto i quartodecimani?

I quartodecimani erano cristiani d’oriente, per lo più della Siria e dell’Asia Minore, che festeggiavano la Pasqua tutti gli anni lo stesso giorno: il 14 del mese ebraico di Nisan, punto. In pratica celebravano la festa nello stesso giorno degli ebrei, fraintendendone però il significato: gli ebrei festeggiano Pesach, il passaggio nel mar Rosso, dalla schiavitù alla libertà (oggi la festa dura una settimana e comincia il 15); i cristiani quartodecimani erano convinti che Pasqua derivasse da πάσχειν, “patire”, e che consistesse nel ricordo della passione di Gesù. Altrove la celebrazione si era ormai legata alla ricorrenza settimanale della domenica, e al momento della resurrezione (il passaggio dalla vita alla morte alla vita); inoltre questa cosa di festeggiare insieme agli ebrei non andava giù a molti. I sostenitori della domenica e i quartodecimani litigarono per parecchio, senza trovare una soluzione, ma nemmeno senza arrivare a uno scisma; nel frattempo c’era anche la solita corrente new age che voleva tagliare la testa al toro e festeggiare l’equinozio di primavera: a un compromesso si arrivò soltanto col Concilio di Nicea, e come molti compromessi, era arzigogolato e probabilmente scontentava un po’ tutti. In effetti, quand’è che si festeggia la Pasqua? (Continua sul Post)

cantautori, cinema, Cristo, italianistica, musica, Pasque, Petrarca

Innamorarsi di venerdì (santo)

Poterti smembrare coi denti e le mani
sapere i tuoi occhi bevuti dai cani,
di morire in croce puoi essere grato
a un brav’uomo di nome Pilato…

6 aprile 2012 – Venerdì Santo. Passione e morte di Nostro Signore

E per quattro secoli abbiamo preso lezioni
d’amore da questo tizio

Il sei aprile 1327 era un venerdì santo, come oggi. Non è una coincidenza rara, ma nemmeno così frequente. Il sei aprile 1327 non fu un venerdì santo come tutti gli altri, in cui muore Gesù, si legano le campane, e buona notte. Il 6/4/1327 potrebbe essere “il giorno ch’al sol si scoloraro / per la pietà del suo factore i rai, / quando i’ fui preso, et non me ne guardai, / ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro“, insomma il giorno in cui Cecco di ser Petracco, meglio conosciuto col nom de plume di Francesco Petrarca, in una chiesa di Avignone incrocia gli occhi di Madonna Laura e si innamora per tutta la vita. Ma ci dobbiamo credere? Petrarca è un poeta tra medioevo e umanesimo, ragiona in termini di microcosmo e macrocosmo, inoltre ha la segreta ma ferma sensazione di essere il più grande poeta del secolo e ah, che ironia, in qualsiasi altro secolo avrebbe avuto ragione: dunque la sua storia d’amore non è una storiella qualsiasi, ma deve ottemperare a precise caratteristiche cosmiche, deve inchiavardarsi anche lei tra la terra e il cielo delle stelle fisse, tutto deve procedere come una complicata orologeria e se uno ci pensa bene, Francesco Petrarca non poteva che innamorarsi di venerdì santo, mentre Cristo muore e non può dargli un’occhiata “onde i miei guai / nel commune dolor s’incominciaro”. Petrarca è uno di quei poeti che sembrano non tornare mai di moda. Ogni tanto qualcuno ci prova – c’è stato un centenario di recente – ma niente da fare, il petrarchismo non tira. Troppo levigato, troppo asessuato, chi lo sa. Però, se posso spezzare la lancia, sul venerdì santo Petrarca aveva avuto una bella intuizione. È il giorno perfetto per innamorarsi: c’è la primavera che spunta dappertutto, i pollini che pizzicano gli occhi (“che di lagrime son fatti uscio et varco”), ma c’è anche la morte, spesso annunciata da rovesci temporaleschi che bagnano le prime magliette a maniche corte, e certi colpi di fulmine a metà pomeriggio. Comunque non è una morte seria, non è come il mercoledì delle ceneri che porta con sé quaranta giorni di astinenze e fioretti; il venerdì santo è una morte per scherzo, l’uovo di Pasqua è già sull’alzata a centrotavola. Per chi è curioso, Francesco e Laura non ebbero nessuna storia. Lei andò forse sposa a un marchese di Sade, non quello famoso, un suo antenato; lui tre anni dopo si fece prete, una cosa che nessuno dice mai, eppure sta su tutti i libri: Petrarca era un prete. Lo sapevate? Ebbe due figli da due donne diverse, scrisse per tutta la vita caste poesie d’amore a questa Madonna Laura, fu poeta laureato e girava l’Italia in missione di pace, ma per lo più campava di benefici ecclesiastici (oggi si chiama otto per mille). (No, perché poi ci si domanda come campavano gli artisti prima della SIAE: per esempio, facevano i preti).

Ben più della morte che oggi ti vuole,
ti uccide il veleno di queste parole
le voci dei padri di quei neonati,
da Erode, per te, trucidati.
Nel lugubre scherno degli abiti nuovi
misurano a gocce il dolore che provi:
trent’anni hanno atteso col fegato in mano,
i rantoli d’un ciarlatano.

Il venerdì santo è uno di quei giorni che fa veramente la differenza tra chi è cristiano praticante e chi no. Il Natale lo festeggiano anche in Cina, ormai. Santi e profeti e parole di vita eterna ce li hanno un po’ tutti, ma un Dio che muore in croce per i loro peccati ce l’hanno solo i cristiani, e ci tengono. Il palinsesto televisivo si adatta come può: un Jesus Christ Superstar qua, una Passion là – a proposito, quale dei due trovate più blasfemo? Io non ho dubbi, il super-dio di Mel Gibson che sopravvive a mazzate che stenderebbero un elefante mi sembra da scomunica. E invece ai tempi l’ufficio stampa lavorò molto bene, riuscirono in qualche modo a scrivere che il Papa lo aveva visto e gli era piaciuto. Wojtyla nel 2004 aveva un anno scarso da vivere ed è triste pensare che davvero abbia buttato via due ore per sorbirsi un film horror in latino ecclesiastico.

Si muovono, curve, le vedove in testa,
per loro non è un pomeriggio di festa;
si serran le vesti sugli occhi e sul cuore,
ma filtra dai veli il dolore.
Fedeli umiliate da un credo inumano,
che le volle schiave già prima di Abramo,
con riconoscenza ora soffron la pena
di chi perdonò a Maddalena;
di chi con un gesto, soltanto fraterno,
una nuova indulgenza insegnò al Padreterno,
e guardano in alto, trafitte dal sole,
gli spasimi d’un redentore.

A proposito del latino, fu una trovata geniale: (continua sul Post…)

25 aprili, ho una teoria, Pasque, scuola

Ho una teoria #25

Guardate che se volessimo fare sul serio, se proprio pensassimo che val la pena di cominciare la scuola in ottobre, un sistema ci sarebbe.

Aboliamo la Pasqua. Dico sul serio (sull’Unita.it) (Si commenta qui).

Fino a febbraio tutto sommato l’anno scolastico fila abbastanza liscio. Certo, riprendersi dalla lunga pausa natalizia non è semplice, ma nessuno rinuncerebbe a quelle due settimane tra Natale e Befana. I guai veri cominciano a marzo.
È sempre andata così. C’è persino chi dà la colpa all’ora legale – e in effetti, quando ti trovi davanti venticinque studenti assonnati, il dubbio ti viene. Poi ci sono i malesseri di stagione, le prime allergie. Tutte cose di routine, che si ripetono ogni anno. Dovremmo saperle prevedere, eppure no. Ogni primavera, tra marzo e aprile, è come se i programmi scolastici deragliassero dai binari, in un modo sempre imprevedibile. Certi anni ci si ferma, non si riesce più a proseguire. Certi altri si va avanti anche più del dovuto. Il guaio è che sembra non ci sia un modo per saperlo prima: ogni anno è una storia a sé. Ma perché? Ho una teoria.
Secondo me è tutta colpa della Pasqua. Una festa meravigliosa, ricca di simboli religiosi e tradizionali, eccetera. Però è una festa mobile, che oscilla nel calendario in un modo che resta misterioso a chi non s’intenda di mesi lunari. Apparentemente basta dare un’occhiata al calendario all’inizio dell’anno, e il problema è risolto. E, come per il Natale, chi rinuncerebbe a quei cinque, sei giorni di pausa? Ma il fatto che ogni anno cadano in una settimana diversa rende oggettivamente difficile programmare il lavoro nelle classi. Manca del tutto quell’automatismo per cui a dicembre siamo abituati – insegnanti e studenti – a tirare al massimo fino al ventitré dicembre, e a riprenderci dopo il sei gennaio: un ritmo che si apprende alle elementari e ci si porta con sé fino al liceo e oltre. In primavera un ciclo del genere non esiste: ogni anno i nostri bioritmi si devono adattare a un ciclo diverso. Aggiungi l’ora legale, i raffreddori, le allergie, le gite, i ponti tra aprile e maggio, e la frittata è fatta. Non ci sarebbe un modo per migliorare le cose?
Io una proposta ce l’avrei, e mi è già capitato di proporla: si potrebbero sostituire le vacanze di Pasqua con una settimana di vacanze di Primavera, come quelle che si festeggianoin tante altre nazioni europee. Se poi decidessimo di celebrarla tra le feste nazionali del 25 aprile e il primo maggio, avremmo anche risolto il problema dei ponti primaverili, che certi anni portano via anche una settimana, mentre in altri anni (come questo, ahinoi) sono del tutto assenti – un altro fattore che rende ogni anno scolastico diverso dall’altro. Probabilmente sarebbe una buona cosa anche per il comparto turistico: con una settimana a disposizione, qualche famiglia in più riuscirebbe a concedersi una piccola vacanza. Il due maggio poi torneremmo tutti quanti a scuola, e avremmo quaranta giorni per la volata finale.
Prima obiezione: in questo modo molti celebreranno il 25 aprile e il primo maggio bloccati in autostrada. Questo in realtà accade già, ogni volta che i calendari scolastici o lavorativi ci propongono un ponte. Se però il ponte diventa una settimana fissa, la mentalità potrebbe cambiare: le famiglie avrebbero un po’ di tempo in più per organizzare partenze e rientri in modo intelligente, invece di affrettarsi al casello per la classica gita mordi-e-fuggi.
Seconda obiezione: proporre di abolire la Pasqua è cosa da empi senzadio. In effetti non mi spingo a tanto: del resto la Pasqua cade di domenica e non pone nessun problema a chi redige i calendari scolastici. Non pone molti problemi neanche il Lunedì dell’Angelo, volgarmente detto Pasquetta, e quindi proporrei di mantenerlo in segno di rispetto alla tradizione, alla cultura, alle radici cristiane eccetera. Ma ho qualche difficoltà a credere che gli studenti cristiani (ammesso che siano ancora la maggioranza, in Italia) abbiano bisogno di una settimana di astinenza dallo studio e dal lavoro per riflettere sulla Risurrezione: i loro genitori tutto quel tempo a disposizione non ce l’hanno, di solito lavorano fino al Venerdì Santo e sono già in ufficio o in officina al martedì.
E tuttavia non vorrei farne una battaglia di laicità, col rischio di perderla (come nel casodell’ora di religione o del crocefisso). Ammettiamo pure che la Chiesa abbia qualche diritto sul calendario scolastico statale. Però anche la Chiesa si rinnova, in certi periodi è stata addirittura un fattore di rinnovamento. Il calendario solare è uno di questi casi: è stato un Papa a riformarlo, sono stati i vescovi a sostituire le meridiane con gli orologi meccanici nei campanili. Se oggi viviamo tutti con un calendario solare al polso o in tasca, se l’unica festa lunare rimasta diventa per noi un fattore ansiogeno, la Chiesa ha la sua parte di responsabilità.
il cattivo supplente, Islam, migranti, Pasque, Roma, scontro di civiltà, scuola

the spaghetti incident

Perché non dovremmo chiamarci cristiani

Gita scolastica a Roma, capitale – tra l’altro – della Cristianità. Ara Pacis, Santa Maria del Popolo, Trinità dei Monti, eccetera; e la sera si mangia dalla Nina. Al momento di scegliere il menù, la figlia della Nina previdente ci chiede se abbiamo alunni musulmani.
Non molti, in verità: i turchi sono rimasti a casa per questioni di budget; i pakistani non si sa (dei pakistani non si capisce mai niente). Il magrebino superstite lascia intendere con una smorfia che se nessuno gli avesse chiesto niente non avrebbe disdegnato l’amatriciana, ma se proprio la Nina lo vuol sapere, ebbene sì: è musulmano praticante, e quindi Niente Porco.

Il menù viene dunque passato al setaccio, alla rigorosa ricerca di ingredienti non halal: nel giro di pochi minuti viene riproposto al ragazzo un menù alternativo rigorosamente de-suinizzato e de-alcolizzato, in ottemperanza alla normativa del Corano e del Levitico. E quindi soddisfatti cominciamo a sforchettare: buon appetito multiculturale!

A questo punto una ragazzina arriva e dice: Prof, ma non c’è un menù senza carne?
No, senza carne non c’è, perché? Non dirmi che hai un problema con la carne, adesso.
È che prof, oggi sarebbe Venerdì. Di Quaresima.

E poi uno dovrebbe preoccuparsi per Bagnasco. Bagnasco. Ma si provi piuttosto un paio di pantaloni, Bagnasco: vedrà quanto son comodi. E si posson portare dappertutto: al Tempio come nelle catacombe.

2025, Pasque, vita e morte

– 2025

2 Pasque (il pezzo vecchio stile)

Caro Leonardo,

Ho preso le ferie arretrate, ho preso le anticipate, ho preso anche un po’ di quelle di Assunta, ma prima o poi dovevo tornare anche al Progetto Duemila.
“Ciao Loreto
“Toh, a volte ritorna”.
“Come andiamo con l’Abate?”
“Andiamo di merda. Odio la quaresima. Niente primi piani femminili per 40 giorni”.
“Addirittura?”
“Direttive dall’alto. Hanno scoperto che vent’anni fa le donne in tv erano tutte troppo scollacciate”.
“Ma dai “.
“Siccome però la direttiva non era del tutto chiara, per sicurezza Pioquinto ha proposto di toglierle tutte. Stop. Da 40 giorni in qua la storia la fanno solo gli uomini. A parte l’usastra immortale”.
“Chi?”
“Una per niente scollacciata. Un’usastra in coma, un caso di bio-etica di vent’anni fa. Mai sentito parlare?”
“Forse sì. E perché l’avete tirata fuori?”
“Perché, perché, perché. Perché non c’è venuto in mente niente. Tu non c’eri e avevamo finito i ricordi. Sai cosa penso del 2005, collega Immacolato?”
“Dimmi, collega Loreto”.
“Che è stato un anno inutile e insulso, non succedeva niente che valesse la pena. L’altro giorno abbiamo fatto il servizio d’apertura su una bimba rapita dagli zingari. E un cane che mordeva la padrona”.
“Non so che dirti”
“Ma mica ti devi scusare, non è colpa tua se hai vissuto anni insulsi”.
“In effetti non erano un granché, c’era la guerra…”
“…come sempre”
“…e una campagna elettorale”.
“Come sempre. Senti, Abate mi ha detto di chiederti un pezzo vecchio stile”..
“Che vuol dire vecchio stile”.
“E che ne so. M’ha detto: appena lo vedi, qllo, chiedigli un pezzo vecchio stile per la Settimana Santa’”
“Settimana Santa? Siamo in Settimana Santa?”
“Sì, collega miscredente. Lunedì, a Dio piacendo, ci ributtiamo sulle donne. È da un mese che sto lavorando a un montaggio di spot telefonici. Taglio tutti i cellulari e lascio la gnocca. Voglio proprio vedere se…”
“Ciao Loreto”.

Pasqua è una strana festa, ondivaga, che da sempre ci coglie di sorpresa. Difficile da vivere e difficile da interpretare. Se il Natale è la celebrazione puntuale della Nascita, la Pasqua celebra qualcosa di più ambiguo e inafferrabile: vita e morte, resurrezione e mortalità. Sta ai fedeli decidere quale aspetto celebrare. E se mettessimo in fila le Pasque degli ultimi venti, trent’anni, scopriremmo che la vita e la morte si è alternata nelle nostre celebrazioni, puntuale come un pendolo.
Così, non c’è dubbio che la Pasqua 2004 celebrasse la Morte: in piena Grande Guerra Mediorientale, a un mese dall’attentato di Madrid, compariva nei cinematografi del Bel Paese la Passione di Mel Gibson: i supplizi di Nostro Signore diventavano spettacolo cruento, a cui assistere con occhi sbarrati, per dare prova di zelo nella fede. La prova generale in attesa delle videodecapitazioni mediorientali che avrebbero inondato i palinsesti tv nell’autunno successivo. Il buon cristiano del 2004 è l’uomo che contempla i sacrifici, senza staccare l’occhio, e si rende testimone dell’orrore. Ma già verso la fine dell’anno il modello comincia a dare i primi segni di stanchezza. Il più grande spettacolo del 2004 è il maremoto dell’Oceano Indiano: un supplizio immenso di cui l’uomo, per quanto si sforzi, non riesce a trovarsi colpevole. Il 2005 nasce su una nota diversa.

È l’anno della vita. I media insistono sulle malattie del Pontefice, sottolineano l’aspetto eroico della sua caparbia sopravivenza. L’accanimento terapeutico autoinflitto al corpo di Giovanni Paolo II è un segno del consolidarsi della nuova alleanza tra Scienza e Fede. La morente civiltà dello spettacolo reagisce producendo pellicole inneggianti all’eutanasia, premiate dalle giurie internazionali, che destano l’ira dei nuovi credenti. Nel Bel Paese il dibattito sull’embrione, rimasto in sordina negli anni precedenti, scoppia in occasione del referendum. E a Pasqua, sui media di tutto il mondo, tiene banco il caso giudiziario di una cittadina usastra in coma, a cui il marito vorrebbe interrompere l’alimentazione. Il buon cristiano del 2005 è uno zelante difensore del diritto alla vita: un uomo che si sarebbe rifiutato di spezzare le gambe ai ladroni crocefissi (Giovanni 19,31).
C’è contraddizione? Assolutamente no. C’è solo una sensibile oscillazione. Contemplazione della morte e lotta per la vita sono due aspetti complementari della nuova fede cristiana che prende forma nella prima decade del nuovo millennio. Un Cristianesimo rinnovato, adeguato alle innovazioni tecniche che stanno rendendo la vita sempre più lunga e dolorosa. Terri Schiavo, come Nick Berg, come il Gesù di Gibson, è l’agnello che deve soffrire ogni suo ultimo respiro, ogni stilla del suo sangue, ogni vertebra spezzata del suo corpo, perché così ha deciso lo spettatore credente.

Ironicam, in quello stesso marzo 2005 in una valle tibetana il Gruppo Fiume Perpetuo maturava le prime formulazioni che avrebbero portato anni dopo al brevetto dell’Immortalità: un’invenzione che, pur prevedibile, avrebbe messo in crisi i movimenti di lotta per la vita d’ispirazione cristiana.

“E qsto sarebbe il pezzo vecchio stile “.
“Sì, Loreto mi ha detto che toccava me”.
“E bravo il piccolo scaricabarile”.
“Non è un problema. Qsta roba mi viene facile, lo sai”.
“Lo so, lo so. Infatti non è male. Vita, morte, Mel Gibson, Terri Schiavo, i tibetani… Ma come ti vengono certe idee?”
“È un periodo un po’ così, sai, mi capita di pensare alla vita, alla morte, al fatto che invecchio e…”
“Sì, sì, ho capito. È il cambio di stagione. Comunq adesso fammi una cosa”.
“Ehi, cosa fai col foglio?”
“Lo sto strappando, vedi. Così puoi andare a scriverne un altro sui successi delle squadre italiane in Champions League, contro i decadenti bizantini “.
“Che squadre?”
“Juve, Milan, Inter”.
“Ancora?”
“Cosa vuoi farci. Era il 2005”:
“Che anno insulso”.
“Vabbè, non è mica colpa nostra”.
No?

Cristo, dialoghi, Pasque, racconti, sogni

Ho incontrato Simone
Stasera in processione. Che erano anni che non lo vedevo.
“Stai bene?”
“Insomma, sì”.
“Ma sei ingrassato?”
“Anche tu”.
“E ti sposi?”
“No no. Chi mettono in croce quest’anno?”
“Il figlio di Beppe, sai…”
“Quello della segheria? Ma è un ragazzino!”
“Si è fatto grande anche lui”.
Ogni anno il giro è lo stesso, ma il paese intorno cambia. Una volta, qui, era tutto lotto edificabile, c’era il canale e ci venivi a rospi. Io no, avevo paura nella gramigna oltre il canale, poi ero allergico.
Hanno interrato il canale (che adesso è la fogna), hanno asfaltato, hanno fatto gli appartamenti in stile colonico, e adesso la processione passa in un giardino con le panchine.
“Qui ci abita Franca, sai che ha avuto il bambino…”
“La bambina”.
“Due anni fa. Quest’anno un bambino”.
“Non ci tengo dietro. E tu?”
“Insomma. Sai che ho preso casa da solo, no?”
“Lo so, lo so”.
“Non mi vieni mai a trovare”.
“È che sai, il lavoro…”
“Eh già”.
Ci arrivano dalle spalle due legionari romani, dalle spalle enormi, non più di diciott’anni ciascuno: pigliano Simone per le braccia: “Vieni, c’è bisogno di uno”.
“Ma…”
“Sta zitto. Serve uno che dia una mano a portare la croce”.
“Ma perché proprio io?”
“Perché sì. E poche storie”.
“Ehi, ma è questo il modo?”
“Zitto tu. O vuoi prendere il suo posto?”
“Ma…”.
“Ma cosa?”
“No, niente”.

Una volta, qui c’era il campo di pallone, teso al canale. E una volta portai io un pallone nuovo, e Simone apposta lo calciò fuori, lo calciò nella gramigna oltre il canale, e nessuno voleva andarlo a prendere.
Dove adesso c’è la lavanderia.
Mi chiedo se l’avranno mai trovato.

Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù… (Luca 23,26).

Pasque, santamargherita

Diman tristezza e noia / Recheran l’ore, ed al travaglio usato / Ciascun in suo pensier farà ritorno…

Sorpresa nel dì di festa
A casa mia le feste sono tristi. Di solito resto solo a domandarmi perché. Potevo farmi un giro al mare, ai monti, a Roma, a Vienna. D’altro canto non è saggio partire nei giorni di transumanza turistica, né è prudente uscire col brutto tempo (puntuale a ogni fine settimana). Infine, mi secca partire da solo.
E allora, un pranzo dai genitori! Ci si strafoca, si sprofonda sul divano… c’è un gran premio, si aspetta la partenzzz… Con un po’ di allenamento, ci si riesce a svegliare con un soprassalto nei pit-stop. Poi ci saranno i risultati, i gol, intanto il lunedì si approssima, (e con lui il travaglio usato), un mese passa dopo l’altro, tra dieci anni ne avrò quasi quaranta… Chi verrà a reclamare le domeniche che ho perso?
Meglio forse stare in casa, pulire il bagno, dare lo straccio. Sistemare appunti e incartamenti. La settimana ripartirà col piede giusto
Così era il lunedì dell’angelo, in cui Gesù risorto fa una sorpresa alle pie donne. La radio mi confortava con notizie di lunghe code autostradali, sotto pioggia battente, magari anche neve. Non aspettavo nessuno, nessuno mi aspettava, quindi cosa ci facevo qui? Era davvero il mio posto? Come c’ero arrivato? Dove mi ero sbagliato? E tutto questo tipo di discorsi, grattandomi sul divano. La casa, la tavola imbandita di qualche sera prima, urlava puliscimi maiale, ma perché? Per chi? Stavo comunque pensando di andare almeno a dar la caccia alle formiche che fanno sortite da certi loro rifugi dietro le piastrelle della cucina, quand’è suonato il campanello. Pareva fosse Glauco. E vabè.
Invece era Elisa che tornava dall’Angola dopo dieci mesi senza aver detto niente a nessuno, che saliva dalle scale come niente fosse, con due borse e una specie di scudo di paglia: “Ciao, come va?”
Alle sorprese ognuno reagisce come può. Le pie donne ammutoliscono e s’inginocchiano. Io ho pensato alla tavola imbandita, alle piccole operaie che dilagavano sotto il nostro cesto della spazzatura, e mentre lei già dentro esclamava “che bella questa casa!”, ho fatto la scena della casalinga del missionario “ma potevi dirmi qualcosa, no? Davo l’aspirapolvere”.
Le sorprese sono piacevoli, per chi le riceve, e piacevolissime per chi le fa. Dunque c’era chi da giorni si aspettava d’incontrarmi, questo lunedì. Va bene, bastava dirmelo. Mi sarei messo il cuore in pace (e la casa in ordine). Fuori pioveva, veniva il sole, non si riusciva a capire. Ma ormai la festa era riuscita.

Cristo, Pasque

Via Crucis
Il venerdì santo fa brutto tempo. Questa cosa l’ho sempre creduta, nonostante siano capitati anche dei magnifici venerdì santi di sole. Quelli piovosi restano però la maggioranza. Eppure, mi ricordo una sola Via Crucis serale interrotta dalla pioggia. Del resto aprile è così – ma a volte Pasqua non viene in aprile (in marzo? In maggio?) Ecco, non ho mai capito come si calcola la Pasqua. Immagino che sia una questione di fasi lunari… Giuliana oggi è partita per una specie d’incontro sul simbolismo pagano della Pasqua cristiana, quando torna poi fa il favore di spiegarmelo.
Mio padre qualche settimana fa si meravigliava del bel tempo: curioso, secondo lui, con la Pasqua così in ritardo.

Ma restiamo alla cerimonia della via Crucis, che è forse la più bella, senz’altro la più drammatica. Mi domandavo dove fosse nata e quando, ma su internet non ho trovato questo tipo d’informazioni. Siti cattolici ce n’è a bizzeffe, ma i cattolici sono forti nel fregarsene dell’origine delle loro tradizioni.
Almeno ho trovato la lista delle stazioni. E qui, almeno una sorpresa.
Ecco una lista:

I Gesù è condannato a morte
II Gesù è caricato della croce
III Gesù cade per la prima volta
IV Gesù incontra la madre
V Gesù aiutato da Simone di Cirene
VI Gesù è asciugato in volto dalla Veronica
VII Gesù cade per la seconda volta
VIII Gesù incontra le donne di Gerusalemme
IX Gesù cade per la terza volta
X Gesù è spogliato delle vesti
XI Gesù è inchiodato alla Croce
XII Gesù muore in croce
XIII Gesù è deposto dalla croce
XIV Gesù è sepolto

…ed eccone un’altra:

1 – Nell’ultima cena Gesù lava i piedi ai suoi discepoli
2 – Nell’ultima cena Gesù ci dona il Sacramento del suo corpo e del suo sangue
3 – Gesù nell’orto degli ulivi
4 – Gesù tradito da Giuda e arrestato
5 – Gesù è rinnegato da Pietro
6 – Gesù è giudicato da Pilato
7 – Gesù è flagellato e coronato di spine
8 – Gesù è aiutato da Simone di Cirene a portare la croce
9 – Gesù è crocifisso
10 – Gesù è deriso e oltraggiato
11 – Gesù promette il suo regno al buon ladrone
12 – Gesù in croce, la madre e il discepolo
13 – Gesù muore sulla croce
14 – Gesù è deposto sul sepolcro

Sono visibilmente diverse, e il bello è che nessuna indicazione, nei due siti, mi consente di capire quale delle due sia quella, diciamo “ufficiale”.
Così esistono due tradizioni di Via Crucis. Ma guarda. Chi se l’aspettava?
La prima, a naso, mi sembra la più familiare, quella fatta in parrocchia ogni venerdì Santo (riportata nei 14 quadri alle pareti di ogni chiesa che si rispetti). Parte della condanna a morte e arriva fino alla sepoltura. Contiene tre stazioni un po’ ridondanti, libere interpolazioni dei racconti evangelici: le famose tre cadute. Perché Gesù cade tre volte? Mi sembra un espediente drammatico, traccia dell’origine teatrale del rito. Senza un po’ di cadute il percorso rischierebbe di sembrare una scampagnata.
La seconda ha tutta l’aria di essere una riforma: riforma fallita, perché che io ricordi non l’ho mai veduta applicare. Si capisce anche il perché non ha fatto presa: dottrinalmente è più corretta, elimina le cadute e inquadra la via crucis nel racconto della Passione. Però la “via crucis” in senso stretto, il percorso dal palazzo di Pilato al calvario, si riduce a una sola stazione! Fa venir voglia di restar seduti in chiesa, a smoccolare le candele.
Manca anche la sepoltura. D’accordo, è un passaggio che non aggiunge niente. Ma è dall’immagine del sepolcro che si parte, domenica per raccontare la resurrezione… insomma, non una gran riforma.
Sarei anche curioso di sapere quando è stata proposta, e se viene praticata tuttora. Mi sintonizzerò su Radio Vaticana e sentirò che via Crucis manda in onda. Meno male che Amato ha bloccato Bordon! Sennò restavo col dubbio.

Su http://www.christusrex.org/www1/jvc/TVCmain.html, una lista in inglese con ben 15 stazioni, più tre preliminari, e immagini anche dalla via della croce originale (quella di Gerusalemme).