dialoghi, Renzi

La sinistra che odia Recalcati

“Dottore, la prego, mi aiuti…”
“Ma certo, si accomodi. Mi sembra un po’ scosso”.
“È a causa dell’odio”.
“Dell’odio?”
“L’odio della sinistra”.
“Mi faccia capire. C’è qualcuno che la sta odiando?”
“Non me, dottore, non me! Sta odiando Matteo Renzi!”
“Matteo Renzi?”
Quale è il peccato commesso da Matteo Renzi per aver attirato su di sé un odio così intenso?
“Ma un odio da parte di chi, mi perdoni?”
“Gliel’ho detto, dottore! Da parte della sinistra!”
“La sinistra in che s-“.
“La sinistra che odia”.
“E perché odia?”
“È nel suo DNA”.
“Prego?”
Fa parte del suo Dna e della sua storia, anche di quella più recente, scatenare l’odio nei confronti di coloro che, dichiarandosi militanti di sinistra, osano introdurre dei cambiamenti che rischiano di minare alla base la sua identità ideologica…
“Cioè mi sta dicendo che c’è gente che passa il tempo a scatenare l’odio nei confronti di chi mina la sua identità?”
“La sinistra! La sinistra fa sempre così”.
“Io non so esattamente cosa lei intende per sinistra, ma ammettiamo per un attimo che sia così: avrebbe un senso evolutivo. Se qualcuno ti mina alla base, tu cerchi di isolarlo e sconfiggerlo, no? Voglio dire, l’alternativa sarebbe farsi minare alla base, e se ti minano alla base poi…”
“Ma Renzi non è così!”
“Non vuole minare alla base?”
“No! Vuole solo mettere la sinistra di fronte al suo cadavere!
“Matteo Renzi è un cadavere?”
“No! La sinistra è un cadavere!”
“Beh, in tal caso sarebbe comprensibile un minimo di ritrosia da parte del… del cadavere che non sa di essere tale, voglio dire…”
La vera ragione di tutto questo odio è la difficoltà della vecchia sinistra di fare il lutto della sua fine storica“.
“…s’immagini che qualcuno all’improvviso le dica che è morto: lei magari non la prenderebbe bene”.

“Se fossi morto non mi si porrebbe più il problema!”
“Ha ragione anche lei”.
“E invece la sinistra insiste a odiare Renzi!”
“Si vede che… non è così morta. Ma mi farebbe un esempio?”
L’accusa di essere un rinnegato o un traditore in questi casi scatta come la salivazione condizionata nel cane di Pavlov“.
“Ma veramente il cane di Pavlov non sbavava subito, aveva prima bisogno di una fase di condizionamento in cui… ma sta paragonando la sinistra a un cane?”
“Un cane fanatico!”
“Però non è morto. Perché prima ha detto che era morta, adesso dice che è un cane – un cane stupido, va bene – ma comunque un cane vivo”.
“Un cane ringhioso che odia a comando!”
“Ma mi fa un esempio?”
“Un esempio? Vuole un esempio?”
“Ma sì, perché io tutto questo odio per Renzi, francamente…”
“Ma ne ho finché vuole, di esempi”.
“Bene, quindi me ne faccia uno”.
La storia ci offre una miriade di esempi, antichi e più recenti“.
“Sentiamo”.
La dichiarazione di voto favorevole al Referendum del 4 dicembre è assimilabile, per chi sente di appartenere al mondo della sinistra, a un vero e proprio outing con tutti i fatali effetti di discriminazione che esso comporta“.
“Prego? Non si capisce”.
“Mi ha sentito? Nel mondo della sinistra, se uno diceva di voler votare favorevole al Referendum…”
Votare favorevole significa votare Sì, immagino”.
“…era come se facesse outing”.
“Forse lei intendeva un coming out”.
“…con tutti i fatali effetti di discriminazione!”
“E cioè?”
“Cioè cosa?”
“Guardi, lei mi sembra un po’ scosso e non si sta spiegando molto bene, ma mi pare di capire che abbia paragonato i disagi di un renziano durante la campagna referendaria a quelli di un gay che fa coming out”.
“Esattamente”.
“Ora lei magari fa un altro mestiere e le sfuggono quelli che possono essere i disagi di un gay che si dichiari tale di fronte alla sua famiglia, o nell’ambiente di lavoro: a volte si corre il rischio di rompere i contatti coi genitori, o perdere il lavoro, o patire forme di bullismo o di mobbing… c’è persino gente che si suicida”.
“Ma infatti”.
“Ma lei conosce casi del genere? Qualcuno è stato mobbizzato o bullizzato per aver dichiarato il suo sostegno a Renzi? Ci sono stati tentativi di suicidio?”
Ma possibile che ogni atto, ogni pensiero, ogni gesto politico di Renzi sia sbagliato?
“No, aspetti, non cambi argomento. Si rende conto che ha paragonato i renziani ai gay che fanno coming out?”
“È una metafora”.
“È molto forte. Ma ha degli argomenti su cui sostenerla? Episodi specifici, non so, discriminazioni sul luogo di lavoro, colluttazioni… qualcosa di reale, insomma”.
Matteo Renzi viene identificato non come la cura, ma come la malattia della sinistra. Una infezione, un batterio, una anomalia genetica“.
“Ma da chi?”
“Gliel’ho detto! Dalla sinistra!”
“Ma mi saprebbe citare una sola persona che ha paragonato Matteo Renzi a un batterio?”
“Insomma lei vuole delle citazioni”.
“Delle prove, sa com’è. Perché finora l’ho sentita paragonare la sinistra a un morto e a un cane di Pavlov, mentre non ho ancora sentito nessuna persona di sinistra paragonare Renzi a un batterio… ma forse me lo sono perso, sa, ognuno vive nella sua bolla e quindi…”
“Va bene, le farò un esempio”.
“Oh, ecco”.
“Così si capirà che non mi sto inventando tutto”.
“Bene”.
Un intellettuale lucido verso il quale provo solo stima come Tomaso Montanari esigeva eloquentemente che Pisapia facesse autocritica per aver votato Sì al fine di risultare credibile nel suo sforzo di rifondazione di un nuovo campo della sinistra“.
“…e quindi?”
“Ma non capisce? Vogliono l’autocritica! Per aver votato Sì!”
“Beh, dal loro punto di vista, mi scusi, se loro erano per il No e Pisapia ha votato Sì… la loro ritrosia a farsi guidare da qualcuno che la pensava in modo diverso da loro mi pare in qualche modo comprensibile…”
L’odio investe l’altro in quanto eterogeneo e inassimilabile. Renzi per la “sinistra sinistra” è l’incarnazione maligna di una eterogeneità che resiste ad ogni assimilazione“.
“Senta, non starà un filo esagerando? Renzi ha proposto una riforma, molte persone a sinistra di Renzi non la gradivano e hanno votato contro. È quel che succede in democraz…”
È un fenomeno che ricorda il rito tribale di alcune popolazioni dell’Africa nera riportato da Franco Fornari nel suo celebre Psicoanalisi della guerra
“Addirittura”.
“Di fronte alla morte insensata di un bambino, la tribù afflitta anziché incamminarsi verso la via dolorosa dell’elaborazione del lutto preferisce attribuirne la responsabilità alla popolazione confinante e ai malefici del suo sciamano dichiarandole guerra“.

“E insomma prima erano morti, poi erano cani, adesso sono tribù primitive, mi sembra che stiamo facendo progressi”.
L’odio che lo investe vorrebbe coprire la fine di una concezione del mondo che ha nutrito l’interpretazione della storia per tutto il Novecento“.
“Va bene, va bene, ho capito”.
La lotta di classe, una concezione etica dello Stato, l’identificazione del liberalismo e dei sui principi come Male, la gerarchia immobile del partito, la prevalenza della Causa universale sulle relazioni di cura particolari, una differenziazione paranoide del mondo in forze del Bene e in forze del Male“.
“Una differenziazione paranoide, già…”
“L’ho convinta, dottore?”
“Beh, diciamo che mi ha fornito alcuni spunti interessanti… ma non vorrei saltare a delle conclusioni. Credo che lei abbia bisogno di uno specialista”.
“Uno… specialista?”
“Quel che mi è sembrato di capire è che lei è reduce da un investimento emotivo molto… molto pesante. Probabilmente ha trasferito su Matteo Renzi un grosso carico di fiducia, e ha vissuto la sua sconfitta al referendum come un trauma. Piuttosto di riconoscere gli oggettivi errori del suo eroe, si è costruito un nemico implacabile a cui addossare tutte le colpe… attingendo dalla retorica anticomunista di qualche anno fa, mi pare: la sinistra-sinistra che fa i processi ai traditori, roba da fine anni Settanta, forse l’imprinting dei primi anni di università…”
“Ma dottore…”
“Credo che un po’ di analisi le farebbe bene, e forse so anche chi consigliarle: in città abbiamo uno dei migliori d’Italia, scrive libri bellissimi”.
“Dottore, guardi che…”
“Non deve avere paura; l’analisi è solo uno strumento. Lei è venuto qui perché mi voleva parlare: perfetto, le sto soltanto proponendo di parlare con qualcuno molto più bravo di me. Non è una fortuna che esistano specialisti che ci possono aiutare in casi come questi?”
“Ma dottore…”
“Si chiama Massimo Recalcati, davvero, ci vada, lui può fare veramente molto per lei”.
“Dottore, sono io”.
“Cosa?”
“Massimo Recalcati sono io”.

(I brani in corsivo sono tratti da questo editoriale di Massimo Recalcati).

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Quattro funerali e due divorzi a Manchester (sul mare)

Manchester By The Sea (Kenneth Lonergan, 2016).

Hai presente certi ceffi che vedi al bancone, nel tardo pomeriggio o se ripassi all’ora di chiusura, sempre una pinta davanti mezza vuota, hai presente quel tipo di espressione…

“Non fissarlo”.
…ma è più una smorfia, di uno che la vita l’ha preso a legnate ma per qualche motivo si è dimenticato di darle il colpo finale, e forse la birra serve a questo, o a lenire il dolore, o a dormire senza sogni, chi può dirlo.
“È meglio se non lo fissi, dammi retta”.
È che mi ricorda qualcuno.
“Casey Affleck in quel film?”
Oddio cosa mi hai fatto pensare.
“Con venti chili in meno, magari”.
Che è il principale problema di quel film.
“Un problema? Che Casey Affleck è in forma?”
Sono contento per lui e il suo affezionato pubblico, ma interpreta un tizio che, hai presente la trama? Beve una birra all’ora almeno da dieci anni. E ancora ha una linea fantastica…
“Sarà la neve che spala dal suo abbaino”.
…ed è il sogno erotico delle inquiline dei palazzi in cui lavora da tuttofare. Allora sì, dico che c’è un problema con i corpi che Hollywood presta al cinema d’autore. Non sono realistici, non mi parlano del mondo in cui abito, non ho niente contro Casey Affleck, gli auguro tutti i premi, ma sembra calato nel Massachusetts da un film di gangster, o di supereroi, è di nuovo lo stesso problema di Captain Fantastic: sono tutti troppo belli perché io me la beva. E bersela è un po’ il senso di andare al cinema, no?
“La sospensione dell’incredulità”.
Esatto.
“Adesso comincia a fissarti lui, vedi?”
Chissà che gli è successo, poveraccio.
“Non sono fatti nostri”.
Perché invece quello che succede a Casey Affleck?
“Eh? Stai scherzando?”
No. Spiegami per quale motivo al mondo dovrei interessarmi all’elaborazione del lutto di Casey Affleck. Un lutto finto, tra l’altro. Come se non avessi già i lutti miei che mi danno da fare.
“Hai bevuto”.

Questo in realtà è un altro film, ma è la foto più recente
che ho trovato di Casey Affleck al bancone. 

Un po’ sì, ma in malto veritas. Spiegami sul serio: perché devo stare male? Perché mi ha fatto star male, quello stronzo di Lonergan. Mi ha fatto stare in pena per gente che non è mai esistita. Come se non avessi già la mia gente, viva o morta, che reclama attenzione e lacrime, no, devo pure provare pena per questi figurini che patiscono come la gente normale e bevono più della gente normale ma non ingrassano mai.
“Senti. È un film che è piaciuto a tutti. A tutti, capisci?”
E beh certo, chi vuoi che si metta contro dei bambini morti (continua su +eventi!)

dialoghi

Dialogo tra un riformista e un No

(Negli ultimi giorni, come avrete notato, volevo buttare giù qualche argomento contro la riforma costituzionale, ma la cosa mi ha lievemente preso la mano. Qui sotto c’è una specie di riassunto degli ultimi 16 argomenti, in forma di dialogo. Magari è più semplice da linkare agli amici. Magari è un modo di perderli, gli amici. D’altro canto, chi ha bisogno di amici quando ha il CNEL?)

Il CNEL ti ha mai deluso? Perché vuoi deludere il CNEL?

Ciao. Mi puoi dire in breve perché voterai No alla riforma?

Perché non mi piace.

Tutto qui?

Non sono un esperto.

Non pensi di dover dare un giudizio più completo?

Credo che non riuscirò a farne a meno, ma non significa che sia giusto. Sono una persona qualsiasi, non sono tenuto a conoscere il diritto costituzionale.

Vabbe’, ma allora tutti. 

Un buon motivo per non fare un referendum.

Ma allora non cambia mai niente!

Non è necessario il referendum per cambiare la Costituzione. Basta proporre una riforma condivisa, e farla approvare ad almeno due terzi del parlamento.

Grillini e Berlusconi non l’avrebbero approvata mai.

I grillini forse no – con Berlusconi fu Renzi a strappare, dopo l’elezione di Mattarella. Ma comunque, se questo parlamento non poteva fornire una maggioranza qualificata, forse era un buon motivo per scioglierlo – tanto più che è stato eletto con una legge che abbiamo poi scoperto incostituzionale. Forse Renzi avrebbe dovuto limitarsi a cambiare la legge elettorale e poi rimandare il tutto alla prossima legislatura. Invece dopo due anni cosa abbiamo ? Una brutta riforma costituzionale che forse domenica sarà bocciata, e una legge elettorale che sarà cambiata.

Ecco, lo sapevo, ce l’hai con Renzi.

In realtà mi è capitato di votarlo, e non escludo di farlo in futuro. Ma naturalmente ce l’ho con lui.

Lo ammetti pure.

Io non è che ce l’ho con queste riforme perché le ha fatte Renzi; ce l’ho con Renzi per le riforme che ha proposto. L’impronta che dà a questa riforma è chiarissima: i sindaci al senato e l’abolizione delle province erano cose che proponeva già alle prime Leopolde, quando ancora non era nemmeno leader di una vera e propria corrente del suo partito. Le ho sempre trovate proposte sbagliate, e quindi non le voto.

Qual è la riforma più sbagliata che avrebbe proposto Renzi, sentiamo.

Probabilmente l’Italicum.

L’Italicum non è nella Riforma!

Giusto.

Voti no alla Riforma solo perché il suo ispiratore ha anche ispirato l’Italicum?

Forse non posso, ma insistere sulla bruttezza dell’Italicum non è stato così inutile, visto che alla fine hanno deciso che lo cambiano (anche perché sennò ci perdono le elezioni).

Ecco, appunto, lo cambiano: quindi ora puoi votare per la Riforma.

Sembra quasi che vogliate propormi uno scambio: mi ridate una legge elettorale decente se io vi voto la vostra brutta riforma. Ma una legge elettorale non è una moneta di scambio. E tanto l’Italicum lo cambieranno lo stesso.

Ma dimmi una cosa che non ti piace della Riforma.

Mah, per esempio, i sindaci al Senato.

Che c’è di male?

È un doppio incarico, crea conflitti di interesse.

Però così si risparmia!

Se vuoi risparmiare puoi tagliare il numero delle poltrone. Che senso ha trasformare una delle due camere in un dopolavoro per sindaci già altrimenti indaffarati?

Ma un sacco di sindaci a Roma ci va a già.

A curare – si spera – gli interessi dei cittadini del loro comune, non della loro regione.

Non è così difficile da capire. Come sindaci cureranno gli interessi del loro comune; come senatori eletti dai consiglieri regionali cureranno gli interessi della loro regione. 

Pensi che non confliggano mai?

A volte confliggeranno, ma…

In caso di conflitto, chi è che può minacciare di farli decadere? A chi devono veramente il posto?

A chi?

I consiglieri regionali non hanno l’autorità per farli decadere da senatori. Ma i consiglieri comunali possono togliere la fiducia al loro sindaco in qualsiasi momento. Avremo maggioranze in Senato che si fanno e si disfano con manovre congiunte a Ravenna o Canicattì. Ti ricordo che i sindaci/senatori sono pagati in quanto sindaci, non in quanto senatori: perché quando scoppia un conflitto d’interessi tutto ha importanza, anche il lato in cui tieni il portafoglio.

Tanto il Senato non sarà poi così importante.

Può ritardare l’attività legislativa della camera; approva le riforme costituzionali, nomina due giudici della Corte Costituzionale (che diventerà ancora più importante, ora che l’iter legislativo diventa più breve) ed elegge il presidente della Repubblica. Pensa. Una crisi municipale a Canicattì potrebbe cambiare il quorum necessario all’elezione del presidente della Repubblica.

Va bene, i sindaci al Senato non ti piacciono. Tutto qui?

Nel prossimo Senato un molisano varrà cinque marchigiani.

Eh? 

Sia ai molisani che ai marchigiani spettano due seggi, ma in Molise abita un quinto della popolazione delle Marche.

Si fa per salvaguardare le minoranze.

I molisani sono una minoranza?

No, ma gli altoatesini…

Siamo nel 2016, qual è il rischio che corrono gli altoatesini esattamente? Perché devono avere un cinquantesimo dei seggi al Senato, se non arrivano all’1% della popolazione nazionale? Perché i lucani devono avere un senatore ogni 300mila abitanti e i liguri uno ogni 800mila?

Si fa per rappresentare il territorio.

Non mi pare, altrimenti la Sicilia – che è la regione più grande – dovrebbe avere molti più senatori del Veneto. No, è solo un pasticcio causato dal fatto che hanno ridotto drasticamente il numero dei senatori, senza però rinunciare alle prerogative delle regioni a statuto speciale, e cercando ugualmente di rispettare un criterio di proporzionalità. Ma la coperta è troppo corta: o rinunci ai due seggi fissi per le province autonome, o la proporzionalità diventa una farsa. Bastava dare un occhio con la calcolatrice. Sembra che non ci abbiano guardato.

Tanto il Senato non sarà così importante. Quasi tutte le leggi le approverà la Camera e basta.

Aridagli. Ma sei sicuro?

C’è scritto così.

In che articolo?

No, non cominciare anche tu con l’articolo 70.

Hai capito cosa c’è scritto?

Non del tutto, ma mi fido.

Io no.

Lo hai ammesso all’inizio che non sei un esperto, non puoi pretendere che una materia così complessa sia…

Si poteva comunque scrivere un po’ più chiaro.

Come fai a dirlo?

L’ho riscritto un po’ più chiaro.

Eh, ma chi ti credi di essere?

Un insegnante di italiano.

Ok, ma non sono tutti altrettanto attenti alla prosa e alla sintassi, va bene?

Non potevano chiedere una mano?

Vuoi votare No soltanto perché un articolo è un po’ scritto male?

Voglio votare No perché avevano tutto il tempo e l’agio per scriverlo meglio, e non l’hanno voluto fare. Il problema non è scrivere male, scriviamo tutti troppo e male. Il problema è scrivere male apposta.

Comunque gran parte dell’attività legislativa sarà svolta dalla Camera. Si andrà molto più spediti.

Perché?

Da: Valerio Di Porto, I numeri delle leggi. Un percorso
tra le statistiche delle legislature repubblicane.

Che razza di domanda è? 

Perché l’attività legislativa dovrebbe procedere più spedita?

Ma siamo nel Duemila, sta tutto accelerando.

Hai bisogno di leggi più nuove, più adeguate ai tempi?

Sì. 

In Italia si scrivono già molte più leggi che in altri Paesi europei, hai notato?

E con questo?

Abbiamo bisogno di leggi buone che vengano rispettate, non di leggi emanate rapidamente che magari si scoprino inapplicabili. Spesso un’eccessiva produzione di leggi nasconde il fatto che le stesse leggi non vengono rispettate. Non so se hai presente il primo capitolo dei Promessi Sposi…

Cheppalle prof. E comunque le leggi si potranno abrogare coi referendum.

Non è questa gran novità.

Ma se raccogli trecentomila firme in più, il quorum diminuirà. 

Grillo sarà contento…

Che c’entra Grillo adesso.

…ma io mi fido poco dei referendum, penso che dovrebbero essere episodi rari ed eccezionali.

Allora caschi male, la riforma introduce anche i referendum propositivi.

Quindi tra un po’ faremo un referendum per uscire dall’Euro.

Eh?

Grillo è da anni che lo promette ai suoi, figurarsi se si fa sfuggire la possibilità. E se vince il sì che si fa? Si esce dall’Euro?

È fantascienza!

Già, è come pensare che… che la Gran Bretagna esca dall’Unione Europea. Anche quello era un referendum propositivo, in effetti.

Comunque avrebbe solo valore consultivo.

Già. Possiamo sempre dire al popolo che si sbaglia, che dopotutto il suo parere non ci interessa. Che grande idea questo referendum propositivo.

Immagino che avrai qualcosa da obiettare anche sulle leggi di iniziativa popolare.

Ma le iniziative popolari erano già previste.

Sì, ma d’ora in poi non scompariranno nel cassetto. Saranno realmente discusse in parlamento.


In che modo?

Scriveranno un regolamento che imporrà ai parlamentari di discuterne in tempi brevi.

Vorrà dire che le casseranno in tempi brevi.

Cosa potrà mai andar storto?

Come sei pessimista.

Sono realistico: un’iniziativa di legge popolare non ha nessuna speranza di essere approvata da un parlamento ostile. Di solito viene presentata per attirare l’attenzione, per creare un caso mediatico. Magari un po’ di attesa può anche aiutare. Promettere che ne discuteranno in tempi brevi significa ammettere che la cestineranno subito.

Ma perché il parlamento dovrebbe essere ostile? Se invece è sensibile all’argomento?

Se alla Camera c’è qualche deputato interessato all’argomento, la proposta di legge può scriverla lui; non c’è nessun bisogno di fare un’iniziativa popolare e raccogliere 50.000 firme.

No, saranno centocinquantamila.

Ah già dimenticavo, le avete pure triplicate.

Così diventano più importanti.

Sì ma scusa, mi stai dicendo che nella riforma c’è scritto che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare – ma nella riforma l’unica modifica riguardante le iniziative popolari è l’aumento del numero di firme! Mi vuoi prendere in giro?

Non vogliamo prenderti in giro.

L’impressione purtroppo è quella. Per esempio quando dite che da qui in poi sarà impossibile eleggere presidenti della repubblica super partes…

Certo che sarà impossibile!

E perché?

Perché anche dopo il quarto scrutinio saranno comunque necessari i voti dei tre quinti dell’assemblea, e non soltanto la maggioranza assoluta come adesso.

Sai quanti saranno?

Te l’ho detto: i tre quinti.

E siccome gli elettori saranno 630 deputati più 100 senatori, stiamo parlando di 438 elettori, invece che 366. Comunque meno di adesso (per eleggere Mattarella ne sono serviti 665 su 1009).

L’importante è che siano i tre quinti. 

E se un partito ha i tre quinti dell’assemblea?

Improbabile.

Ma non impossibile. A proposito, ti ricordi quanti seggi da deputato metteva in palio l’Italicum a chi superava il 40% dei suffragi?

E che c’entra?

Ottantotto. Chi passava il 40% si sarebbe preso il 54% della Camera, senza nemmeno il ballottaggio.

Non sarebbero stati comunque sufficienti a eleggere… ma perché stiamo ancora parlando di Italicum? Tanto lo cambiamo.

Sei sicuro?

C’è un impegno scritto, l’ha firmato anche Cuperlo.

Possiamo stare sereni, insomma.

Vabbe’, se la metti su questo piano…

No, scusa, ma in politica conta anche la fiducia, e bisogna guadagnarsela. Può darsi che cambino l’Italicum, ma non ne sono sicuro; può darsi persino che lo peggiorino. Quest’estate Orfini parlava di modello greco, un maxipremio di maggioranza al primo partito che arriva al fotofinish.

Ma cosa c’entra?

Non mi sento di escludere che con una distorsione del genere un partito conquisti davvero i tre quinti del parlamento. Aggiungi che dal settimo scrutinio chi esce non sarà conteggiato, e il quorum necessario a eleggere il presidente diminuirà.

E che c’è di male?

In una situazione di stallo anche un solo senatore potrebbe cambiare le cose, e ti ricordo che con questa riforma del Senato ci sono metodi molto curiosi per sloggiare i senatori.

E cioè? 

Farli decadere dal ruolo di sindaci o di consiglieri regionali – appena decadono smettono di essere anche Senatori, ma le votazioni vanno avanti col quorum abbassato. Una cosa abbastanza bizantina, non trovi?

Mi sembra improbabile che per eleggere un presidente facciano cadere un comune.

Tutto è improbabile finché non si realizza: guarda Trump. Però, anche se non si realizzasse mai, che fiducia posso avere di riformatori che non notano difetti così macroscopici?

Il nuovo titolo V però è sacrosanto.

Devo essere onesto?

Ti piaceva prima?

Non tanto, no – anche se l’ho votato nel 2001. Ma così è peggio.

Ma come fai a dirlo. Finalmente ha abolito le province. 

Ha solo cancellato la parola dalla Costituzione. In realtà esistono ancora. E comunque a me piacevano.

Ti piacevano le province?

Giuro. Non siamo rimasti in tanti, mi rendo conto. Ma le ho sempre trovate più sensate delle regioni. Sono modellate sui territori, racchiudono in un insieme organico un tessuto urbano e il contado circostante. Sono l’unità ottimale per la gestione dei fiumi, la prevenzione del dissesto geologico, la gestione delle strade… ma anche delle scuole e degli ospedali. Del resto nessun governante si sogna di eliminarle davvero: raschiare la parola “province” dalla Costituzione è solo un contentino che si voleva dare a grillini e soci. Pensa che la prima proposta di cancellare la parola arrivò dall’Italia dei Valori. Nel frattempo le province restano, anche se non votiamo più direttamente per i politici che le amministrano – alla faccia della tanto sbandierata accountability. Non mi dire che si fa per risparmiare, perché alla fine anche se sono fuori dalla Costituzione le province continueranno ad avere un budget. Sarà solo più difficile notarle, il che non è necessariamente un bene.

Almeno hanno lasciato le Città Metropolitane.

Una toppa che fa vedere il buco. Prima ogni italiano era cittadino su tre livelli: comune, provincia e regione. Con la nuova Costituzione ci saranno 40 milioni di cittadini su due livelli (comune e regione) e 20 milioni su tre: comune, città metropolitana e regione. Mi dà fastidio anche solo esteticamente, è un’asimmetria senza senso.

Pensi che i cittadini metropolitani siano avvantaggiati perché sono rappresentati su tre livelli?

In realtà sono svantaggiati – perlomeno quelli che non abitano nel comune capoluogo, ma in quella che ieri si chiamava “provincia”, l’area periferica della città metropolitana. Sai che non hanno diritto a eleggere il proprio sindaco metropolitano? Per legge il sindaco metropolitano è il sindaco del comune capoluogo. A Napoli, per dire, lo eleggono soltanto i cittadini residenti a Napoli.

E che male c’è? È il comune più importante. 

Anche se fosse, rimane una questione di rappresentanza. E comunque gli abitanti del comune di Napoli non arrivano al milione.

E quelli della città metropolitana?

Tre milioni.

Ah. 

Più di due milioni di napoletani-metropolitani non avranno diritto di votare per il proprio sindaco metropolitano. Se poi quest’ultimo mostrasse di anteporre gli interessi del centro a quelli della periferia, sarebbe così biasimevole? Ogni politico si preoccupa di chi lo vota, non degli altri.

Questa comunque è la legge Delrio, non è propriamente la riforma costituzionale. Torniamo al Titolo V: qualcos’altro non ti convince?

Guarda, l’articolo 117 mi lascia un po’ perplesso.

Quello che riconsegna allo Stato le sue competenze? Dai, ma era necessario. Quello attuale era un casino, c’è una mole spaventosa di contenziosi tra Stato e regioni…

Ecco, appunto, c’era bisogno di far chiarezza. Ma nel nuovo articolo le due liste di competenze tra Stato e regioni non sono poi così chiare.

A me sembrano chiarissime. Allo Stato tornano le competenze in materia di sanità…

…e alle Regioni la “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali”.

Allo Stato torna l’istruzione…

…e alle Regioni la “promozione del diritto allo studio”. Insomma c’è ancora margine per litigare. Però devo dire che non me intendo.

Meno male. 

Ma anche se fosse un ottimo articolo, più che di riforma ormai stiamo parlando di controriforma, rispetto alle innovazioni del 2001. A proposito, tu cos’hai votato nel 2001?

Non mi ricordo. 

E nel 2006?

Per cosa abbiamo votato nel 2006?

Una riforma costituzionale.

Un’altra?

Sì, e l’abbiamo bocciata. Questa è la terza volta in 15 anni che mi capita di votare una riforma costituzionale.

Ma stavolta è più importante.

Perché?

Perché se non la cambiamo stavolta, non se ne parlerà più per anni. 

Perché?

Come perché? Se Renzi perderà…

Che c’entra Renzi? Stiamo parlando della riforma costituzionale.

Non fare il furbo.

Pensavo si dovesse discutere sul merito.

Non è così facile separare le cose. 

Già, lo sto notando. Quando cominci a notare i difetti della riforma, ti dicono che sono tutti pretesti, che ce l’hai con Renzi. Al nono o decimo difetto che trovi cominciano a dirti, ehi, va bene, non sarà perfetta ma… qui o si salva Renzi o si muore!

E non è così? Se cade lui cosa succederà?

Non credo che cadrà. Se anche dovesse perdere, difficilmente andrà sotto il 40%. Continuerà a essere un protagonista. D’Alema non tramontò col fallimento della bicamerale, anzi andò a Palazzo Chigi; Berlusconi, quando la sua riforma fu bocciata da un referendum, non fece un plissé. Renzi sta drammatizzando molto di più, ma un risultato lo porta comunque a casa.

Ma se non si faranno le riforme stavolta non si faranno più.

Ma perché? Sono 15 anni che si fanno e si difano riforme. Ah, nel frattempo Tremaglia è riuscito a inserire nella Costituzione il voto degli italiani all’estero. La Merel ci ha fatto inserire il pareggio di bilancio – insomma la Costituzione si riscrive continuamente. Perché dovremmo fermarci se Renzi perde un referendum? Anzi, è più facile pensare il contrario. Se Renzi lo vince, per qualche anno non si potrà più toccare il suo Senato senza senso. Ma Renzi non vincerà per sempre, e quella roba prima o poi bisognerà cambiarla. Meglio prima che poi, no?

Cioè stai dicendo che sarà più facile riformare la Costituzione votando No?

Non si tratta semplicemente di riformarla: si tratta di migliorarla. Non è che qualsiasi riforma vada bene: ce ne sono di migliorative e di peggiorative. Questa in certi casi rasenta il vandalismo.

Oh, ma lo sai che mi stai convincendo?

Sul serio?

No, scherzavo. 

Ti prometto che se voti No domenica, io alle prossime elezioni voto Renzi.

Come faccio a fidarmi?

Eh, ti capisco.

dialoghi, finché c'è salute

L’invenzione del secolo

“Buongiorno signor farmacista”.
“Buongiorno, in cosa posso esserle utile?”
“Vorrei un placebo”.
“Eh?”
“Non sa cos’è un placebo?”
“Certo che so cos’è”.
“Sull’enciclopedia c’è scritto che il placebo è una terapia o una sostanza prive di principi attivi specifici, ma che sono amministrate come se avessero veramente proprietà curative o farmacologiche“.
“Le ho detto che so bene cos’è un placebo”.
“E quindi me ne potrebbe dare uno? Ho il mal di testa”.
“Ma io non vendo placebo. Io vendo medicine”.
“Ma sull’enciclopedia c’è anche scritto che lo stato di salute del paziente che ha accesso a tale trattamento può migliorare“.
“Lo so, ma non sono medicine. Io ho una licenza per vendere medicine. I placebo sono… boh, in molti casi acqua e zucchero. Se vendessi acqua e zucchero sarei un truffatore”.
“Ma l’acqua e zucchero non fanno male a nessuno”.
“Non fanno né male né bene, non sono un farmaco, non posso venderli”.
“Eppure un sacco di gente ne trarrebbe giovamento!
“No, perché sulla sua enciclopedia, se controlla, c’è scritto lo stato di salute del paziente che ha accesso a tale trattamento può migliorare ma solo a condizione che il paziente riponga fiducia in tale sostanza o terapia“.
“E che significa?”
“Significa che un placebo funziona solo se non sai che è un placebo”.
“Ahi”.
“Quindi se lei entra e mi chiede un placebo, e io le vendo un placebo, e lei assume il placebo, non le succede niente, perché lei sa benissimo che è un placebo”.
“Comincio a capire. Ma…”
“Ma cosa?”
“Non possiamo rifare la scena? Io adesso esco, lei riempie uno dei suoi boccettini di acqua e zucchero, io invece di chiederle un placebo le chiedo una medicina per il mal di testa e…”
“Non è così che funziona. Lei non ha la memoria di un pesce rosso”.
“A volte mi piacerebbe”.
“Non è abbastanza stupido, se mi consente”.
“Aspetti, forse un sistema c’è”.
“E l’ha trovato lei? I farmacisti si dibattono in questo paradosso da migliaia di anni, poi arriva lei…”
“Allora io adesso esco, poi entro e le chiedo un farmaco per il mal di testa, e lei mi fa trovare un boccettino con uno di quei nomi strani sulla scatola e…”
“…ma le ho già detto che non…”
“…e un prezzo esagerato”.
“Ma che c’entra il prezzo?”
“Non so spiegarglielo, ma il prezzo funziona. Quando vado a comprare, non so, i pantaloni, vedo robe che mi sembrano stracci immondi, ma poi do un’occhiata ai prezzi e… comincio a vederli in un modo diverso. Dopo un po’ li compro”.
“Conosco il fenomeno, ma è completamente irrazionale”.
“Può darsi, però funziona, capisce? Esco e mi sento elegante. Se funziona coi vestiti perché non dovrebbe funzionare con l’acqua zuccherata?”
“Quindi adesso io prendo un flacone e ci metto dell’acqua e…”
“Lo zucchero poco mi raccomando”.
“Poi ci scrivo un nome strano e ci appiccico un prezzo alto”.
“Io nel frattempo faccio il giro dell’isolato e torno qui”.
“Senta, non funzionerà. Forse con le braghe, ma il mal di testa…”
“Facciamo la prova. Se funziona mi sarò curato il mal di testa senza medicine”.
“Ma avrà speso gli stessi soldi…”
“E lei diventerà ricco! Venderà acqua e zucchero al prezzo di una medicina costosa. Ci pensi”.
“Le dico che non funzionerà. La gente non è stupida”.
“No, mediamente non lo è. Però sta male”.

dialoghi, giornalisti, Islam, migranti, razzismi, terrorismo

Caro fratello musulmano di Gramellini

Caro musulmano non integralista che in privato hai confidato a Gramellini il tuo sgomento per l’eresia wahabita, e la tua rabbia verso la corte saudita che si atteggia a nostra alleata e invece finanzia quell’eresia dai tempi di Bin Laden, esci fuori.

Lo so che esisti, Gramellini ti ha tradito. Dai, esci, su.

Il piano degli aspiranti califfi è piuttosto chiaro: utilizzano ragazzotti viziati come gli stragisti del Bataclan, ma anche relitti umani come il camionista che ha seminato la morte sulla promenade di Nizza per alimentare la paura e l’odio verso l’Islam, così da portare i razzisti al potere in Occidente e creare le condizioni per innescare una guerra di civiltà, insomma la qualunque, va bene tutto, qualsiasi commando improvvisato noi lo attribuiamo ai Sauditi Malvagi, se non direttamente a Sauron o al Veglio della Montagna, perlomeno il tuo amico Gramellini ormai ragiona così, un Vittorio Feltri dal volto umano, e tu ancora ci parli, chissà dove poi, magari uscite a cena, e al dessert tu gli fai: sono sgomento per l’eresia wahabita.

“La che?”
“L’eresia wahabita, è la confessione della corte saudita”.
“Sono i cattivi?”
“Beh, senz’altro hanno finanziato diversi terroristi”.
“Ah, il terrorismo, conosco, gli anni Settanta, sapessi, le Brigate Rosse, i compagni che sbagliano…”
“Ecco, non c’entra niente”.
“Ma è terrorismo, lo hai detto tu”.
“Il terrorismo è un fenomeno complesso, sarebbe sbagliato leggere gli avvenimenti degli ultimi vent’anni con le lenti degli anni di piombo, che tra l’altro ormai ve li ricordate solo voi giornalisti italiani e…”
“Ma non scaldarti, su, beviti un bicchiere”.
“No, grazie”.
“Ah già sei musulmano”.
“No è che a quest’ora non lo reggo, e forse anche tu dovresti…”
“Però sei stronzo che mi fai bere da solo. Vabbe’, ho capito, i sauditi vogliono fare la rivoluzione e i musulmani di tutto il mondo li considerano compagni che sbagliano, è così?”
“Sigh”.
Negli Anni Settanta del secolo scorso il terrorismo di sinistra insanguinò le nostre strade con altri metodi (bersagli simbolici e non indiscriminati) ma identici obiettivi: scatenare la rivoluzione“.
“In che senso identici obiettivi? La rivoluzione non è mica una guerra di civiltà”.
“Vabbe’, dettagli. Comunque tu in questa storia saresti il sindacalista Guido Rossa, che pagò con la vita la rottura dell’omertà in fabbrica!
“Cioè devo farmi ammazzare”.
“Ma no, si fa per dire, anzi ti auguro lunga vita“.
“Ma mi tocco i coglioni, guarda”.
“Ah, lo fate anche voi?”
“No, è che mi sto integrando”.
“Bravo”.
“Ma insomma cos’è che dovrei fare?”
Da te che ci aspettiamo il gesto che può cambiare la trama di questa storia. I farabutti che sgozzano in nome dell’Islam non vengono dal deserto: sono cresciuti in Occidente e quasi sempre ci sono anche nati“.
“Embè?”
Frequentano i tuoi negozi“.
“Io faccio la spesa alla coop”.
“E la carne halal?”
“Ce l’hanno anche alla coop”.
“Ah”.
“Tu non la fai mai la spesa, vero?”
“Però frequentano anche le tue moschee“.
“Cioè secondo te i jihadisti discutono di bombe davanti a tutti nel parcheggio della moschea? Che molti manco ci vanno in moschea. Si fanno le madrase in casa”.
“Ecco, perché non li denunci?”
“Li denuncio per cosa?”
“Hai appena detto che si fanno della roba in casa”.
“Le madrase, le scuole islamiche, si trovano in garage o nel seminterrato e pregano e insegnano l’arabo ai figli”.
“E tu non li denunci?”
“Ma per cosa? Per il reato di pregare insieme a casa propria e insegnare l’arabo ai figli?”
“Lo vedi che non sei collaborativo? Eppure parlano la tua lingua!
“Ma mica tanto”.
“Come, non siete tutti arabi?”
“Guarda, io son tunisino, e i marocchini già faccio fatica a capirli. Poi ci sono i pakistani che non sono proprio arabi, proprio per niente. L’arabo giusto per le preghiere”.
“Ma te pensa. Comunque hanno figli che vanno a scuola con i tuoi“.
“Perché con i tuoi no?”
“Ehm, boh, non saprei. Senti, per troppo tempo hai guardato ai terroristi come a dei fratelli che sbagliavano ma che non andavano traditi“.
“Eh?”
Non condividevi i loro comportamenti, ma non te la sentivi di denunciarli“.
“Ma che cazzo dici?”
In qualche caso per paura, ma più spesso per una forma perversa di solidarietà religiosa e razziale“.
“Cioè mi stai accusando di favoreggiamento ai jihadisti? Così? Mi inviti a cena e mi dici una cosa del genere?”
“No, veramente la scrivo sulla prima pagina del giornale”.
“Perché sono tuo fratello”.
“Certamente, di me ti puoi fidare”.
“E meno male che non ero solo tuo cugino, ma vaffanculo, va’”.
“Lo dite anche voi?”
“Mi sto integrando”.
“Bravo. Adesso però il gioco si è fatto troppo duro e non puoi più restare sull’uscio a osservarlo“.
“Ma osservare cosa, ma lo sai che c’è gente che dopo ogni attentato mi insulta per strada?”
Adesso anche tu, come l’operaio comunista di quarant’anni fa, hai qualcosa da perdere“.
“Cioè dici che prima no, che prima ero un pezzente senza niente da… senti, ma sei venuto in macchina?”
“Certo, perché”.

“Forse è meglio che andiamo, mi sembra che tu abbia già bevuto un po’ troppo”.
“Aspetta, aspetta. Bene o male l’Occidente ti ha accolto, offrendoti la possibilità di una vita più dignitosa di quella che ti era consentita nella terra da cui sei scappato“.
“Cameriere, ci porta il conto per favore?”
“No, stavo pensando a un amaro. Mi fai compagnia?”
“Io non sto bevendo, Gramellini”.
“Ah già, dimenticavo. Senti. Cosa stavo dicendo?”
“Niente di particolarmente intelligente”.
Non puoi continuare a negare l’evidenza o a girarti dall’altra parte“.
“Ma chi si gira, ma cosa stai…”
Hai oltrepassato quel confine sottile che separa il menefreghismo dalla complicità“.
“Cameriere, sul serio, noi adesso andiamo, pago tutto io con la carta”.
Facciamo un patto“.
“Che la prossima volta offri tu? sarebbe anche ora”.
Noi cercheremo di tenere i nostri razzisti lontani dal governo e di migliorare il livello della sicurezza, anche se è impossibile proteggere ermeticamente ogni assembramento umano“.
“Dammi il braccio, non lo vedi che barcolli”.
Tu però devi passare all’azione“.
“Sì capo”.
Devi prendere le distanze dagli invasati che si sentono invasori e dagli imam che li fomentano“.
“Dammi le chiavi della macchina, che è meglio”.
Denunciarli, sbugiardarli, controbattere punto su punto le loro idee distorte“.
“Sissì, guarda, parto da domani”.
“Denuncerai?”
“Denuncerò”.
“Sbugiarderai?”
“Sbugiarderò”.
“Controbatterai punto su punto le loro idee distorte?
“Controbatterò… scusa, una curiosità, tu negli anni Settanta passavi il tuo tempo così?”
“Eh?”
“Passavi il tempo a controbattere punto su punto le idee distorte dei brigatisti?”
“Ma che c’entra, io mica ero un operaio”.
“Ah già”.
“Sei tu l’operaio, ricordatelo!”
“Sì capo”.
“Bravo”.
“C’è altro capo?”
“Ah, e poi nelle moschee si dovrebbe parlare in italiano”.
“Eh?”
“Cioè, a seconda dei Paesi in cui uno è: sei in Francia? Francese! Sei in Italia? Italiano”.
“Ma le preghiere sono in arabo”.
“E non si possono tradurre?”
“No”.
“E perché no? Chi lo dice che no?”
“Ma direi il Profeta”.
“E chicazz’è sto profeta e profeta, tu sei in Italia adesso, hai capito? In Italia si parla italiano. Noi la Messa l’abbiamo pure tradotta”.
“Dopo 1960 anni”.
“Vabbe’ ma che c’entra, è casa nostra, facciamo quello che ci pare”.
“È anche casa mia”.
“Eh?”
“Sono italiano, lavoro, pago le tasse, è anche casa mia. La mia religione è uguale alla tua davanti alla Costituzione”.
“E dove sta scritto”.
“Nella Costituzione”.
“E quindi insomma continuerai a pregare in arabo”.
“Credo proprio di sì”.
“Come i tuoi fratelli wahabiti”.
“Non mi stanno molto simpatici”.
“Ma non li denuncerai”.
“Per cosa?”
“Perché fomentano l’odio razziale”.
“Ma è una considerazione generale, non conosco nessuno che in pratica… oddio, uno forse sì”.
“Ecco, vedi che uno lo conosci”.
“Cioè è un brav’uomo, ma certe volte fa dei discorsi che ti fomentano, ti fomentano proprio”.
“Denuncialo”.
“Ma è un mio amico”.
“Lo stai difendendo?”
“Non credo che istigherà mai nessun terrorista, anche se”.
“Anche se?”
“In effetti i suoi discorsi hanno un certo effetto, circonolano tra migliaia di persone, cioè come si può escludere a priori che tra i suoi seguaci non ci sia qualcuno disposto a…”
“Ecco, lo vedi? La connivenza! La zona grigia!”
“Però è un mio amico”.
“Un amico che sbaglia”.
“Già”.
“Ma che amico sei per lui, se lo lasci libero di spargere odio?”
“Non so, devo pensarci”.
“Pensaci, pensaci bene. Dove ho messo le chiavi?”
“Le ho io, ti porto a casa”.

Caro fratello musulmano di Gramellini – lo sappiamo che esisti – esci allo scoperto. La tolleranza è una gran cosa, ma è chiaro che tu hai tollerato troppo.

(Le parti in corsivo Gram le ha scritte davvero).

dialoghi, racconti, Renzi, Roma

Perdere Roma per vincere cosa

“Ciao Leonardo”.
“Ciao, scusami”.
“Di cosa?”
“Insomma, ti piombo così in casa senza preavviso e…”
“Ma figurati, è anche casa tua”.
“Ma hai capito chi sono io?”
“Certo”.
“Io sono te”.
“Quel taglio non ti dona”.
“Non capisci… io non sono semplicemente una copia di te stesso, io…”
“Tu vieni dal futuro”.
“Da cosa lo hai capito?”
“Sei più brutto”.
“Mi dispiace”.
“Ma figurati, è colpa mia. Dovrei cominciare una dieta sul serio, uno di questi giorni”.
“Lo dici sempre”.
“Già”.
“Senti, avrei tante cose da dirti su di noi, ma il tempo stringe, in tutti i sensi, e non è questo il motivo per cui sono qua. Se ho calcolato bene dovrebbe essere…”
“Diciotto giugno 2016”.
“Sta per avvenire la singolarità. Tra poche ore avverrà qualcosa che avrà un effetto…”
“…catastrofico sulla storia dell’umanità?”
“Come hai fatto a capire?”
“Di solito i viaggi nel tempo si fanno per motivi importanti”.
“Non ti ricordavo tanto sveglio”.
“Mi hai sempre sottostimato”.
“Forse. Senti, nel mio presente siamo disperati. Le speranze di cambiare qualcosa sono minime, pure bisogna tentare in ogni modo. Tra poche ore a Roma…”
“…si apriranno i seggi per il ballottaggio”.
“Già…”
“E vincerà la Raggi”.
“Ma la vuoi piantare? Sono io quello dal futuro”.
“Hai ragione, scusa, il fatto è che…”
“Lo sai che sei insopportabile? Te l’hanno mai detto che sei insopportabile?”
“In tanti, ma se lo dici tu è diverso”.
“Dunque. Cosa stavo dicendo. Vincerà la Raggi, con un largo margine, e questo avrà ripercussioni fatali”.
“Bene. Cioè, no, male”.
“Vuoi tirare a indovinare queste ripercussioni?”
“Beh, immagino che la città, governata da un pugno di incapaci eterodiretti, andrà al collasso”.
“Proprio così”.
“Salvo che è già al collasso, cioè, non credo che uno si metta a collaudare i viaggi nel tempo per dirmi che il traffico sulla Prenestina…”
“Un’epidemia di peste ti può bastare?”
“Ecchecazzo, la peste?”
“Ora non ricordo bene, ma credo che già ai tuoi tempi si chiacchierasse del fatto che c’erano parecchi topi, laggiù”.
“E quindi insomma alla fine il Movimento Cinque Stelle è crollato?”
“Il che?”
“Il Movimento Cinque Stelle, quello che governava Roma…”
“Ah già, me l’ero praticamente dimenticato. Nessuno ne parla più”.
“E Renzi?”
“Renzi guida un esecutivo di emergenza con poteri speciali”.
“Insomma, perdere a Roma è stato davvero un investimento”.
“Non scherzare, per favore. Centinaia di migliaia di morti”.
“Poi ha vinto le elezioni, immagino”.
“Non… non si fanno più”.
“Non si fanno più?”
“Un plebiscito ogni tanto”.
“Ahi”.
“E in più la peste”.
“Ok, insomma, ho chiaro il messaggio, il me del futuro dice che bisogna votare Giachetti passaparola”.
“Siamo disperati”.
“Sì, sì, certo”.
“Non ti sento molto empatico”.
“Hai ragione, scusa, è che… come faccio a spiegarti senza turbare il continuum spazio-tempo…”
“Guarda che sono io quello dal futuro”.
“Lo so”.
“Sono io che turbo il continuum”.
“Lo so, però vedi… è appena stato qui il mio io del futuro”.
“Eh? Sono io il tuo io del futuro”.
“Di un altro futuro”.
“Stai scherzando?”
“È per questo che non sono affatto sconvolto, vedi… tu sei già il secondo, oggi, comincio a farci l’abitudine. Lui veniva dal futuro in cui io e te a questo punto ci facevamo un selfie, poi un video, li mettevamo su fb, si attivava un passaparola pazzesco e alla fine Giachetti vinceva le elezioni”.
“Fantastico!”
“Con poteri speciali per sterminare i topi”.
“Quindi ha funzionato!”
“Anche troppo”.
“In che senso?”
“Un mix di veleno per roditori filtrerà nelle condutture idriche e renderà l’urbe inabitabile”.
“Perché adesso che cos’è?”
“Non scherzare. È una cosa seria. Miliardi di danni. Migliaia di morti”.
“Sempre meglio della peste”.
“Pare di no, visto che hanno deciso di inventare la macchina del tempo e a mandare il me stesso del futuro ad avvisarmi, un’ora e mezza prima che arrivassi tu”.
“Aspetta. Aspetta. Qualcosa non va”.
“Lo dici a me? Mi state facendo perdere un pomeriggio. E a me Roma neanche piace”.
“Io non dovrei essere qui”.
“Cioè bella, per carità. Ma non ci vivrei”.
“Concentrati. Se tu davvero hai ricevuto una visita da quel me stesso del futuro… il futuro è cambiato”.
“Già”.
“Giachetti ha vinto le elezioni e io… non dovrei essere qui”.
“In effetti quell’altro non era sicurissimo che saresti arrivato. Nel suo futuro i cronoviaggi sono una cosa nuovissima, non si è ancora capito come funzionano”.
“Anche nel mio”.
“Dunque tu arrivi da una linea temporale che in teoria non esiste più, perché è stata cambiata”.
“Appunto”.
“Ma forse non è affatto cambiata. Forse alla fine ha vinto la Raggi”.
“E allora non sarebbe dovuto arrivare quell’altro”.
“Infatti a un certo punto si è dissolto e… scusa, chiamano al citofono”.
“Chi è?”
“Perdio, no”.
“Un altro di noi?”
“Dice che bisogna assolutamente evitare che al ballottaggio vinca la Meloni”.
“La Meloni?”
“Deve aver sbagliato linea temporale”.
“Eh, diglielo”.
“Parlagli tu che sei più esperto… ma senti, ma proprio me dovete venire a disturbare, tutti quanti? Dovreste pure saperlo che giugno è un casino”.
“Ssst, non capisco cosa sta dicendo quell’altro”.
“Ci sono gli esami, gli invalsi, mi ha appena chiamato il Caf che c’è da riaprire la dichiarazione dei redditi, e adesso pure cambiare il futuro. Non posso fare tutto io sempre”.
“Vuoi star zitto? Sembra che abbiamo fatto un casino”.
“Voi lo avete fatto. Io oggi non ho combinato niente”.
“Ancora no, ma… senti, se ho ben capito quel che sta succendendo ora io mi dissolverò”.
“Meno male”.
“E sarò sostituito da una versione di me che ha le istruzioni per trapiantare un nuovo cuore a Berlusconi”.
“Che c’entra Berlusconi, adesso?”
“Pare che in una linea temporale fino a qualche tempo fa abbastanza improbabile, Berlusconi sia l’unico in grado di sconfiggere la tirannide di un Renzi-re-dei-topi geneticamente modificato”.
“Ah, ok, sto sognando”.
“Mi sento mancare… concentrati, ti prego”.
“Dimmi almeno chi ha vinto l’europeo”.
“L’Ibernia”.
“La che?”
“Forse abbiamo sottovalutato l’effetto papillone”.
“Intendi l’effetto farfalla?”
“Cos’è una farfalla?”
“Ora mi sveglio”.

1500 caratteri, Berlusconi, dialoghi, elezioni 2015

È facile confonderli

Quindi quelli erano…
“La concorrenza”.
“I comunisti”.
“Una specie”.
“Non li immaginavo… così”.
“Erano giovani”.
“E niente bandiere”.
“Così è facile confonderli”.
“Avete visto cosa hanno fatto… mi hanno circondato e… hanno tirato fuori quegli affari”.
“Gli smartphones”.
“Proprio come se fossero i nostri. Non me lo sarei mai immaginato”.
“Che immaginava che sarebbe successo?”
“Non so. Un lancio di monetine. Una statuetta sui denti”.
“I tempi sono cambiati”.
“E invece sono venuti a farsi il selfie. Cosa sta succedendo?”
“Non se la prenda troppo, Presidente”.
“Domani tutti mi prenderanno in giro perché non so riconoscere la mia gente, mi daranno del vecchio rincoglionito. Ma cosa sta succedendo a loro? Perché non mi hanno cacciato via?”
“Erano giovani”.
“I giovani di solito erano i più incazzati. Possibile che io non faccia più paura?”
“Presidente…”
“Neanche un po’ di rabbia? Niente?”
“…È stato solo un misunderstanding, vedrà che domani dichiareranno di essersi incazzati tantissimo per la sua provocazione”.
“Forse sono davvero un vecchio rincoglionito”.
“No, Presidente, lei no…”
“Posso accettare di essere un vecchio rincoglionito. Ma resto lo stronzo di sempre, non è che se mi invito a casa vostra voi vi mettete in posa. Sono sempre il vostro nemico numero uno, v’ho battuto per vent’anni, non scordatevelo mai”.
“Non se lo scordano, Presidente”.
“È una questione di rispetto”.
“Siamo arrivati, Presidente”.
“Questi sono i nostri, quindi?”
“Questi sì”.
“Da cosa li distingue?”
“Più nokia che iphones”.

1500 caratteri, dialoghi, Renzi, scuola

Ti immerda l’aiuola, ci mette la faccia

“Questa aiuola fa schifo!”
“Già, come vede sto pulendo”.
“Ma non si vergogna di tenerla così?”
“Io sono quello che pulisce, per quel che posso. Però la gente passa e sporca”.
“E il governo?”
“Eh, non ci ha aiutato un granché fin qui. Speriamo nel prossimo”.
“Son io il prossimo!” (Zip)
“Ah, bene, ma… Scusi, lei sta pisciando? Sta pisciando nella mia aiuola?”
“L’aiuola non è sua, chi si crede di essere?”
“Ma la stavo pulendo”.
“Non si notava un granché”
“Però adesso lei ci sta pisciando”.
“Vede com’è fatto lei?”
“Come sarei fatto io?”
“Le piaceva l’aiuola com’era prima!”
“No, non mi piaceva l’aiola com’era prima, ma non credo che sia un buon motivo per pisciarci sopra”.
“Lei è nemico di tutto ciò che è nuovo”.
“Ma non mi sembra una cosa tanto nuova, abbia pazienza”.
“Lei ha paura del futuro”.
“Un tizio che piscia in un’aiuola è il futuro?”
“Da qui in poi cambia tutto! Si marcia a un passo diverso! Ve ne accorgerete, ve ne”.
“Ha finito? Perché io stavo lavorando”.
“Senta, può darsi che con lei io abbia sbagliato approccio”.
“Non credo sia un problema di approccio, è che lei piscia nelle aiuole”.
“Perché non ricominciamo tutto da capo? Veniamoci incontro”.
“Si sta risbottonando?”
“Non crede che sia ora di lasciare un segno, qualcosa di concreto?”
“Ma no, non credo proprio”.
“Lei è senza speranza. Un amante dello status quo. Un masochista”.
“Io stavo pulendo prima che lei arrivasse”.
“E se ne vanta pure? Guardi com’è ridotta, guardi”.
“Ci sta ancora ancora cagando sopra”.
“Ci sto mettendo la faccia!”
“La chiamano così adesso?”

Berlusconi, dialoghi

Unfuckable

“Ma quindi insomma non lo hai detto?”
“Eh?”
“Non hai mai dato della culona alla Merkel”.
“Ah no?”
“Non risulta da nessuna parte. Lo scrive Facci, guarda”.
“Ma cosa vuoi che ne sappia Facci, eddai”.
“Si è letto tutti i testi delle intercettazioni del processo di Bari e non c’è nessuna Merkel culona”.
“Eeeeh, ma chissà se li è letti davvero e non ha fatto… come dite voi giovani… controleffe“.
“E che importa? Non risulta”.
“Ma magari invece di culona l’ho chiamata chiappona, lui cerca *culona* col controleffe e non la trova”.
“Ma *Merkel* l’avrà cercato, no?”
“Ma magari ho detto *cancelliera chiappona*, che ne sa lui”.
“Ma scusa perché tu?”
“Io cosa?”
“Tu lo saprai bene cosa hai detto della Merkel, no?”
“Io?”
“Cioè tu non sai se hai detto o no culona inchiavabile?”
“Tesoro, ma come cribbio faccio a saperlo”.
“?”
“Va bene, lascia che ti spieghi”.
“Non cominciare con quel tono”.
“È che voi giovani non vi rendete conto… state tutto il tempo a pigiare su quei smarfon… vi scrivete chilometri di cazzate e resta tutto, compresa una stronzata che hai detto otto anni fa a una compagna antipatica. Fai controleffe e la trovi, vero?”
“Al massimo melaeffe”.
“Quel che vuoi, Tesoro, non me ne frega un c – ma devi capire che ai miei tempi era diverso. Si stava ore al telefono con questo e con quello, e sai quante cazzate toccava sparare per tirarsi su il morale? Ora se a un certo punto in una telefonata di cento anni fa ho detto che la Merkel era inchiavabile, ma secondo te me lo posso ricordare in un qualche modo? Non mi ricordo nemmeno con chi ero al telefono e perché”.
“Comunque non risulta”.
“…poi a un certo punto sento che parlano tutti di questa cosa che avrei detto alla Merkel… addirittura i giornali inglesi, e chi sono io per smentire i giornali inglesi? Cioè se lo hanno scritto loro io mi fido”.
“Invece se lo sono inventati al Fatto”.
“Quelli sono fortissimi. E pensa che non li pago nemmeno”.
“Li potresti denunciare”.
“Tesoro, mi hanno fatto vincere le elezioni”.
“Ma almeno convocare una conferenza stampa, per avvertire tutto il mondo che…”
“Che è davvero una culona! Ottima idea. Così leviamo il dubbio a tutti quanti”.
“…”
“Non fare quella faccia, se non lo dico io ci pensa Grillo… o Salvini. Io ho un personaggio da difendere, capisci?”

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La scuola dell’amore (non passerà!)

(Notate prego la pubblicità progresso in cima).

Sul sito di una rivista un tempo autorevole, Famiglia Cristiana, è comparso il “decalogo per difendersi” dal “gender a scuola”, di un Forum delle associazioni dell’Umbria. È un testo abbastanza esilarante, ma chi non è pratico di cose di scuola rischia di perdersi gli aspetti più buffi della cosa. Così ho pensato di fare cosa gradita pubblicandone ampli stralci, con le mie glosse.

(Racconti del mese, novembre)

Cosa fare prima di scegliere la scuola per i vostri figli  1. Prima dell’iscrizione verificate con cura i piani dell’offerta formativa (POF) e gli eventuali progetti educativi (PEI) della scuola, accertandovi che non siano previsti contenuti mutuati dalla teoria del gender. Le parole chiave a cui prestare attenzione sono: educazione alla effettività, educazione sessuale, omofobia, superamento degli stereotipi, relazione tra i generi o cose simili, tutti nomi sotto i quali spesso si nasconde l’indottrinamento del gender. Ricordatevi che i genitori sono gli unici legittimati a concordare e condividere i contenuti di una seria e serena educazione alla affettività dei per i loro figli , rispettandone la sensibilità nel contesto del valore della persona umana

Non ho ben chiara cosa sia la “teoria del gender”, ma l’educazione sessuale in scienze si fa alle medie; vorresti che la prof di scienze smettesse di parlare degli organi riproduttivi? Parlane con i genitori più islamici, potreste scoprire di avere molte cose in comune. Quanto all’educazione all'”effettività”… probabilmente intendevi “affettività”… mi spiace deluderti ma è praticamente in tutti i POF; se in qualche POF non c’è, è perché se la sono dimenticata o semplicemente la danno per scontata. Hai dato un’occhiata al libro di lettura di tuo/a figlio/a? C’è sempre una sezione sulle emozioni e l’affettività. In tutti i volumi. In tutti gli anni. La fanno anche nell’ora di religione cattolica (nella quale quasi sempre non si fa religione cattolica, il che è molto interessante). Secondo me la fanno persino nelle scuole cattoliche, anche se per farti piacere probabilmente si inventeranno un nome diverso. Ma sarà sempre affettività. L’unica tua chance è educare i vostri figli sanissimi in casa, probabilmente senza inutili lezioni sulle emozioni imparerà un sacco di cose in più.

2. Durante le elezioni dei rappresentati di classe esplicitate la problematica del gender e candidatevi ad essere rappresentanti oppure votate persone che condividano le vostre posizioni in materia . In ogni caso tenetevi informati con gli insegnanti, i rappresentanti di classe e di istituto per conoscere i n anticipo eventuali iniziative formative in materia di “gender”

Ti prego, fallo. Alla prima elezione dei rappresentanti di classe, quando sarete più o in meno in tre, prendi la parola e invece di fare domande e proposte sulla visita di istruzione, o sul calendario dei colloqui coi genitori, o sull’erogatore delle merendine o qualsiasi altro problema concreto, comincia a parlare di gender. Chiamalo proprio così: gender. “Se mi eleggete rappresentante prometto che mi preoccuperò di conoscere in anticipo eventuali iniziative formative in materia di gender“.
Il trenta per cento non capirà quello che stai dicendo.
Un altro trenta per cento concluderà che sei gay e ti interessano tanto le loro problematiche.
L’altro trenta per cento sei tu.
È assai probabile che tu vinca le elezioni, semplicemente perché hanno capito che hai voglia di fare il rappresentante e loro no. Ché poi se sei gay son fatti tuoi, basta che fai il rappresentante.

3. Controllate ogni giorno quale è stato il contenuto delle lezioni e almeno una volta a settimana i quaderni e i diari scolastici, parlandone con i vostri figli. Non siate in alcun modo pressanti verso i figli ma siate coinvolgenti e attenti al loro punto di vista, pronti a render ragione della vostra attenzione.

Come ben sapete, se c’è una cosa che i vostri figli sanissimi non vedono l’ora di fare una volta tornati a casa dopo cinque ore di scuola, è subire l’interrogatorio da un sollecito genitore che vuole sapere Cosa hai fatto Di cosa hai parlato In cosa ti hanno interrogato. È sempre così coinvolgente. Soprattutto se gli “rendete ragione della vostra attenzione”.
“Avete parlato di gender a scuola oggi?”
“No”.
“La prof di scienze non vi ha parlato di gender?”
“No”.
“Il prof di italiano non voleva discutere di gender?”
“No”.
“E di cosa avete discusso?”
“No”.
“Ma in cinque ore avrete ben…”
“Mamma NON ABBIAMO PARLATO DI GAY, OGGI, VA BENE?”
“Non parlarmi con quel tono”.
“QUANDO PARLIAMO DI GAY TI AVVERTO IO, OK?”
“Io lo faccio per il tuo bene”.
“CRISTO MAMMA DOMATTINA VADO DAL PROF E GLIELO CHIEDO. GLI CHIEDO SE CI PARLA DEI GAY. COSI’ SEI CONTENTA”.
“Non bestemmiare, non…”
“SE IL PROF NON NE SA UN CAZZO MI INFORMO IO, VADO ALL’ARCIGAY, CE L’AVRANNO BENE DEL MATERIALE INFORMATIVO. BASTA CHE LA PIANTI MAMMA”.
“Ma perché ti comporti così? Sempre il contrario di quello che ti chiedo. Non capisco”.
“PERCHE’ SONO UN FOTTUTO ADOLESCENTE, MAMMA! Ci comportiamo così, non lo sapevi?”
“No”.
“Ma non l’hai fatta educazione all’affettività alle medie?”

4. Visitate spesso il sito internet della scuola per verificare che il gender non passi attraverso ulteriori lezioni extracurricolari (es. Assemblee di istituto o altre attività straordinarie ).

“Beh, senti questa. Sai che gestisco il sito della scuola, no?”
“Dev’essere eccitante”.
“Meglio della vernice che si asciuga. Beh, c’è un IP che tutti i giorni entra nel sito della scuola. Tutti i giorni”.
“Un maniaco”.
“Ma non è tutto. Tutti i giorni fa le stesse query. Le stesse”.
“Ovvero?”
“GENDER”.
“Uhm…”
“SESSUALITA’. ADOLESCENTI. GAY. LESBICHE”.
“Sul sito della scuola”.
“Sul sito della scuola”.
“Hai l’IP?”
“Certo”.
“Perché forse una segnalazione alla polizia postale, hai visto mai…”
“Già fatta”.
“Bene”.

COSA FARE SE LA SCUOLA ORGANIZZA LEZIONI O INTERVENTI SUL GENDER PER GLI STUDENTI

6. Date l’allarme! Sentite tutti i genitori degli studenti coinvolti e convocate immediatamente una riunione informale, aperta anche agli insegnanti

L’ideale sarebbe installare in tutte le case dei compagni dei vostri sanissimi figli un allarme di quelli assordanti, collegato alla vostra abitazione: appena scoprite che la scuola organizza lezioni, GONG! ALLARME GENDER! Fino a quel momento dovrete rassegnarvi a usare uno strumento un po’ meno molesto (comunque il più invasivo a vostra disposizione): il telefono.
“Pronto”.
“Sono Xyx, il rappresentante di classe…”
“Ah, è per la gita di istruzione?”
“No…”
“Perché io già gliel’ho detto alla prof di francese, che novanta euro mi sembrano troppi francamente”.
“È che a scuola è successo un problema…”
“Già gli ho appena sborsato i venticinque del contributo volontario, che almeno la piantassero di chiamarlo volontario visto che non ti smollano finché te li han scuciti, e poi l’assicurazione per la palestra che è volontaria pure quella ma se non paghi tuo figlio non va in palestra.., ma voi rappresentanti ne avete parlato con il preside di questa roba?”
“Ma questa è un’altra cosa, un po’ più grave”.
“Sentiamo”.
“Ecco, la scuola sta organizzando una lezione sul gender”.
“Sul che?”

“Sulla sessualità, l’omosessualità, queste cose…”
“E quanto ci costa?”
“Niente”.
“Niente?”
“Sì, ma è comunque molto grave perché…”
“Signora scusi ma qui ogni volta che passo da quella scuola mi ficcano le mani nel borsello, e lei non l’ho mai sentita, e mi chiama a quest’ora per dirmi che finalmente sono riusciti a organizzare una lezione senza chiedermi un soldo?”
“Mi scusi lei, ma quando mi avete eletta lo sapevate quanto fosse importante per me la tematica del gender”.
“Ma l’hanno eletta in due ma che cazzo vuole da me, mo’ ce la deve far pagare a tutti se suo figlio è gay”.
“Mio figlio non è gay!”
“Guardi che non c’è niente di male”.
“Mio figlio non è gay!”
“A parte quella mania di chiedere tutti i giorni a qualsiasi insegnante quand’è che parliamo dei gay?, Diosanto, renderebbe omofobo anche Vladimir coso, lì, il Lussuria”.
“Non bestemmi”.
“Mi dispiace se l’ho chiamato nel modo sbagliato, non lo seguo molto”.

8. Dopo la riunione informale potrete chiedere la convocazione d’urgenza di un consiglio di classe straordinario per discutere della questione, eventualmente inviando una lettera raccomandata al dirigente scolastico e per conoscenza al dirigente dell’ufficio scolastico provinciale in cui chiedete le stesse informazioni e, qualora tale intervento non sia previsto dal piano dell’offerta formativa, chiedere che sia annullato. 

“Ah, e poi questa è arrivata stamattina”.
“Uhm. Alla cortese attenzione del dirigente scolastico blablà… lezione blablà… sessualità… gender… Ah”.
“Importante?”
“Ma niente, è quel genitore fulminato di terza K che vuole che sospendiamo la lezione sulla sessualità”.
“E perché?”
“Dice che non era nel POF”.
“Ah beh, allora sospendiamo pure il gemellaggio con la Bassa Sassonia”.
“Non c’è nel POF?”
“Lo abbiamo aperto un mese dopo”.
“No ma vabbe’ ma sul piano strettamente tecnico potrebbe anche aver ragione, e poi queste lezioni sulla sessualità, diciamola tutta…”
“La vuole sospendere?”
“Se la sospendo finiamo sul giornale”.
“Magari finiamo sul giornale anche se non la sospende”.
“Ora come ora è meno probabile. C’è un accenno all’affettività nel POF?”
“Altroché”.
“Allora da quella parte abbiamo il culo coperto. Le scrive per favore una rispostina in cui con molta diplomazia le dice picche?”
“Ricevuto”.
“Ma poi cos’ha questa, perché è così ossessionata dai gay?”
“Forse è per via di suo figlio”.
“Che ha suo figlio”.
“Sta venendo a scuola con un boa di piume di struzzo”.
“Ahah, ma è solo per incazzare i genitori, dai”.
“Oppure è il vecchio trucco”.
“Che vecchio trucco?”
“Ai miei tempi dopo sei mesi così li facevamo entrare nello spogliatoio delle ragazze”.
“E voi ci cascavate?”
“No. Era un gioco delle parti. L’idea era che uno disposto a subire le umiliazioni del caso per tutto quel tempo si meritasse comunque un premio”.
“E io mi sono perso tutto questo”.
“Non ha fatto educazione affettiva?”

10. Nel caso in cui la scuola rifiuti di ascoltare ogni vostra richiesta, inviate una raccomandata al dirigente scolastico e per conoscenza al dirigente provinciale in cui chiedete che l’iniziativa sia immediatamente sospesa e comunicate che in caso contrario eserciterete il vostro diritto di educare la prole come sancito dall’art. 30 della Costituzione e che pertanto, nelle sole ore in cui si svolgeranno tali lezioni terrete i vostri figli a casa.

“Cosa c’è scritto su questa giustificazione? Non capisco…”
“(Auff) Ma niente, prof, è mio padre”.
“È scritto piccolissimo… Nizzoli mi presti la lente? Dunque: “in base all’art. 30 della Costituzione…” tuo padre ti ha tenuto a casa in base all’articolo 30 della Costituzione?”
“Per favore, prof, non davanti a tutti…”
“Intendiamo esercitare il nostro diritto di educare… ma non poteva scriverci MOTIVI FAMIGLIARI come fanno tutti? Vedi Nizzoli per esempio… perché eri in ritardo stamattina?”
“Motivi famigliari”.
“Eri al bar, ti ho visto”.
“Mio cugino è cameriere”.

11. Fatevi aiutare dalle associazioni di genitori o dal Forum delle associazioni familiari per ogni azione più decisa quale, ad esempio, la segnalazione al ministero di eventuali abusi oppure eventuali ricorsi al TAR oppure per la redazione di formali diffide.


“Cos’hai detto che c’è scritto nella diffida?”
“C’è scritto che non escludono di ricorrere al TAR”.
“Al TAR? Contro quale atto amministrativo?”
“Non c’è scritto”.
“Cioè adesso il TAR è competente sull’omosessualità?”
“Si sono fatti aiutare dal forum delle associazioni familiari”.
“Apperò. E meno male che si sono fatti aiutare. Sennò ricorrevano all’Aja?”

12. Custodite i vostri figli, alleatevi con loro, fornite loro fin da ora un adeguato supporto formativo e scientifico in base alla loro età così da proteggerli e prepararli a fronteggiare la teoria del gender. Spiegate loro il perché di ogni vostra azione, coinvolgendoli nelle scelte della famiglia. Fate in modo che non si sentano mai soli in ogni vostra iniziativa, ma coinvolgete anche altri genitori e conseguentemente anche altri loro compagni di classe. L’unione fa la forza. Anche in questo caso.

Cara mamma, caro papà.
Ci è voluto molto coraggio per scrivervi questa lettera, che è un po’ il mio coming out.
È qualcosa che mi tengo dentro da anni – insomma, per farla breve, non sono gay. Non lo sono mai stato.
Ho cominciato a scuola soltanto per farvi incazzare – voi eravate impallinati con quelle storie sui gender, e io non vi sopportavo. Mi dispiace avervi fatto soffrire tanto.
Non ho mai avuto rapporti omosessuali in vita mia, per quel che conta. Invece ho avuto qualche ragazza, e soprattutto un anno fa ho incontrato Miriam. Credetemi se vi dico che l’ho amata dal primo momento. Con lei ho condiviso tutto, compresa la decisione di rispettare i nostri desideri e arrivare casti al matrimonio, al quale siete invitati anche voi – venerdì 25. 
Miriam, che vi ama già tantissimo, non vede l’ora di conoscervi, e così i suoi genitori.
A presto,

PS: è un matrimonio musulmano, mi sono circonciso venerdì scorso. Insciallah.

dialoghi, la sinistra perde anche per questo motivo

Parla per Piccolo

Può darsi che a questo punto la vostra opinione sul Jobs Act – o sulla Buona Scuola – o su qualsiasi altra novità renziana – sia un po’ negativa. Può darsi che certe promesse vi lascino perplessi, non solo perché sembrano irrealizzabili, ma perché sorrette da un’idea di società che non è la vostra. E quindi, insomma, credete di avere buoni motivi per non credere a quello che Renzi propone. Beh, vi sbagliate.

Non avete buoni motivi.

Quello che vi ispira a criticare Renzi – qualsiasi cosa dica o faccia – è semplicemente l’ossessione della purezza. A voi Renzi non va perché vi sentite di sinistra, e chi è di sinistra ha questa ossessione che lo spinge a stare da solo con chi la pensa come lui, e a raccogliere, se va bene, il 25% alle elezioni. È la stessa ossessione che vi spingeva in un angolo alle feste.
“Ma io veramente non ci stavo, nell’angolo”.
Taci.
“No davvero a volte avrei preferito, perché negli angoli si pomiciava, ma di solito m’invitavano per mettere i dischi e così…”
Zitto. L’ossessione della purezza, dicevamo. Ne parlava giusto ieri, ovviamente, Francesco Piccolo; sul Corriere, ovviamente, della Sera:

La sinistra italiana degli ultimi venti, anzi trenta anni, è stata reazionaria e ha inseguito il mito della purezza, e cioè degli ideali da difendere senza nessuno sconto. Questi due elementi sono stati fondamentali per godere in modo masochistico del terzo, e cioè la propensione alla sconfitta. Soltanto con la sconfitta la purezza è difendibile, soltanto con la sconfitta non si mettono alla prova le idee e quindi si conservano intatte, come sotto i ghiacciai.

Ma quanto ha ragione, non trovate? Il mito della purezza. Quello che ha ispirato tutte le mosse degli ultimi, fallimentari, trent’anni.
“Per esempio?”
Ti devo pure fare degli esempi? E che ne so… Bersani.
“Bersani?”
Sì, Bersani, perché?
“Scusa ma Bersani poteva andare alle elezioni da solo nel novembre dell’Undici e invece ha fatto un governo di unità nazionale con Berlusconi, non mi sembra proprio un esempio così calzante di mito della purezza”.
Vabbe’ ma che c’entra, lì ce lo chiedeva l’Europa, ma in generale Bersani ha rappresentato quella frangia sconfittista del Pd che…
“Era ministro col Prodi II, hai presente?”
Embè?
“I ministri che sedevano allo stesso tavolo: Mastella, Di Pietro…”
Va bene, forse Bersani non è l’esempio migliore.
“Forse no”.
Ma in generale devi ammettere che il mito della purezza è stato, come dice Piccolo, il punto di identificazione di…
“Fammi un altro esempio”.
Boh, chi c’era prima di Bersani?
“Franceschini”.
Ma che c’entra, Franceschini è mica uno di… di…
“Eh, appunto”.
Cioè stiamo parlando degli ex comunisti, cosa c’entra Franceschini?
“C’è che gli ex comunisti se lo sono tenuto segretario per più d’un anno, forse non erano così succubi di un mito della purezza. O vuoi dire Veltroni?”
No, Veltroni no.
“Cioè hai presente cosa ha fatto Veltroni? Ha preso quel che restava del PCI e l’ha ibridato con quel che restava della DC. Non è proprio una cosa da mito della purezza”.
Ma infatti, ti sto dicendo: Veltroni no.
“E allora di chi stiamo parlando, fammi un esempio”.
Cheppalle con questi esempi, eh.
“Fassino? Prima di Veltroni c’era Fassino”.
Ma no…
“Sennò D’Alema”.
Ecco, D’Alema.
“Il mito della purezza, Massimo D’Alema”.
Precisamente.
“Ma stai bene?”
Benone, sei tu che ti rifiuti di ammettere che coltivavi il mito della purezza e stavi negli angoli delle feste.
“Senti, io non so a che feste andavi tu con Piccolo, ma alle mie ci si divertiva tendenzialmente più agli angoli, e in ogni caso mi stai dicendo davvero che la carriera di Massimo D’Alema è stata ispirata al mito della purezza e della sconfitta salvifica?”
Perché? Non è così?
“Non so, dimmelo tu, stiamo parlando del tizio che ha appoggiato la candidatura di Romano Prodi. Cioè lui era segretario del Partito Democratico della Sinistra, e pur di spuntarla contro Berlusconi è andato a pescarsi un boiardo di Stato di area DC. Che per carità, eh, gran trovata, però: sei proprio sicuro che lo abbia fatto perché ispirato dal mito della purezza?”
Magari in quel caso no.
“Magari no”.
Però poi appena ha potuto gli ha fatto le scarpe, a Prodi, ti ricordi?
“Come no, mi ricordo benissimo, il ’98”.
Lo vedi? Prima o poi il mito della purezza spunta fuori.
“Nel ’98, D’Alema, pur di andare a Palazzo Chigi, sai con chi fece l’accordo?”
Ahem…
“Dai che lo sai”
C’era Mastella forse… ma questo non toglie che…
“Con Francesco Cossiga”.

E vabbe’.
“Era così sconfittista che pur di vincere le elezioni appoggiò Prodi. Così duro e puro che pur di restare in sella imbarcò Cossiga”. 
Va bene, va bene, ho capito.
“Ma te lo ricordi quando faceva gli occhi dolci a Bossi? Massimo MitoDellaPurezza D’Alema che diceva che la lega era una costola della sinistra? Te lo ricordi?” 
Ho capito, ti ho detto che ho capito, D’Alema non è l’esempio migliore.
“E a questo punto mi sa che i vent’anni li abbiamo coperti… a meno che…”
A meno che cosa?
“C’è Occhetto”.
Ah, ecco Occhetto, certo.
“Il mito della purezza”.
Sì. E lo si vide bene, quando la sua gloriosa macchina da guerra s’infranse contro…
“Tu sei scemo”.
Ma come ti permetti.
“Scusa, ma te lo ricordi Occhetto?”
Benissimo. È stato l’ultimo segretario del…
“Partito Comunista Italiano. Quello di Gramsci, di Longo e Berlinguer. Poi arriva Occhetto ed è così pervaso da questa voglia di sconfitte salvifiche e di purezza comunista che DECIDE DI CAMBIARE IL NOME AL PARTITO”.
Ah, già, il nome, beh, però…
“Però niente, dai. È una cazzata”.
Chi c’era prima di Occhetto?
“Natta”.
Ecco, magari Natta.
“Faccio finta di non sentirti. Senti, non so esattamente dov’eri tu o dov’era Piccolo, ma negli ultimi trent’anni che ho vissuto io il principale partito di sinistra le ha provate tutte pur di vincere, altro che sconfitta salvifica. Abbiamo provato la quercia e non funzionava e allora abbiamo provato l’ulivo ma non funzionava, e allora abbiamo provato Kennedy e Don Milani, la bocciofila e infine i rottamatori, le abbiamo provate veramente tutte. Quattro nomi abbiamo cambiato. Cossiga, Mastella, per tacere di quelli che mettemmo in lista nel primo PD, te la ricordi la Binetti? Ci abbiamo fatto un partito assieme, la Binetti! ti rendi conto quanto poco freghi della purezza a noi?”
Ma forse…
“Forse niente. Ora ti dirò un ultimo nome, un nome che chiude la questione. Ti ricordi chi candidammo a inizio secolo? Quello che abbiamo votato perché lo volevamo a Palazzo Chigi, te lo ricordi?”
No, è strano, non me lo ricordo.
“Francesco Rutelli”.
Stai scherzando.
“Googla pure se non ci credi. Negli ultimi trent’anni siamo stati le peggio puttane del mondo, senza offesa per le sex workers oneste, capisci? Se qualche sondaggio avesse dato Pietro Maso vincente contro Berlusconi, credi che non l’avremmo candidato? O Pacciani? O Vlad l’Impalatore? Credi che D’Alema non gli avrebbe mandato un bigliettino, Vlad, pensaci, solo tu puoi salvarci? E adesso arriva Piccolo e dice… cosa dice?

Per essere di sinistra bisognerebbe essere progressisti, bisognerebbe accogliere il presente e avere voglia di prendersi la responsabilità di guidare il Paese — e questo comporta sia cadere in errore sia collaborare con chi ci sta. Di conseguenza, per essere di sinistra, bisognerebbe non essere come è stata la sinistra negli ultimi 30 anni.

“No vabbe’, dai, ma è roba da Corriere. È come Panebianco ormai. Lo sai cos’hanno trovato in Egitto di recente?”
In Egitto?
“Hanno decifrato i geroglifici di una stele appena dissepolta, secondo millennio avanti Cristo, pare sia un editoriale di Panebianco che accusa la sinistra per le invasioni dei popoli del Mare”. 
La sinistra?
“C’è scritto così, e che finché la sinistra non saprà fare i conti col proprio passato e con le proprie responsabilità ci saranno inondazioni piogge di rane e cavallette. A me dispiace che Piccolo si sia messo a scrivere roba così”.
Lui scrive molto meglio, dai.
“Per carità, lui è bravissimo, poi funziona anche meglio perché ci si mette in mezzo, scrive questi autodafè molto carini… però a un certo punto non ti viene voglia di dirgli: parla per te, Francesco Piccolo?” 
In che senso?
“Nel senso che non siamo mica *tutti* diventati comunisti per dar fastidio a nostro padre. Anzi se vai a vedere in Emilia o in Toscana, è tutta gente che diventava comunista per fargli piacere, a papà. Tutta gente che sperava di sistemarsi col cursus honorum, a sedici anni in Figgicì poi in sezione poi in giunta e poi finalmente a cinquant’anni nelle municipalizzate a intascare like a boss. Guarda che se fai leggere Il desiderio di essere tutti a un modenese, lui ti dice che sembra il Piccolo Principe, cioè non è che “TUTTI” hanno preso la tessera del PCI per sentirsi duri e puri. Magari poteva andare così in posti come Caserta, ma non è che TUTTI si siano iscritti a Caserta. Fidati che a Reggio Nell’Emilia non andava così. Non è mai andata così. I duri e puri andavano da qualsiasi altra parte…”
Ma infatti forse Piccolo non intendeva il PCI-PDS-DS-PD.
“E allora cosa?”
Forse intendeva la sinistra-sinistra, quelli lì, Bertinotti, Vendola…
“Vendola pur di provare a stare in un governo è uscito da Rifondazione, ha fondato un partito, ha imbarcato pure quattro gatti di ambientalisti nel mentre che in Puglia i sindacalisti cercavano di fargli tenere aperta l’Ilva, devo continuare?”
Va bene, Vendola no, ma Bertinotti…
“Ma l’hai capito che se c’è un’ossessione nella sinistra italiana, e io credo che ci sia, non è la purezza ma l’esatto contrario? L’ibridazione, la contaminazione? Cioè hai presente i duri e puri che Vendola mollò, poi, chi sostennero alle elezioni due anni fa? Antonio Ingroia? Cioè te li immagini questi svezzati a Gramsci Togliatti e Longo che poi si ritrovano Ingroia? o la Spinelli? Eddai”.
Ammetti però che Bertinotti…
“Quale Bertinotti?”
Fai il furbo?
“No, sul serio, quale? Perché quello del ’98, in effetti, si presta alla narrazione che ci costruisce intorno Piccolo. E infatti si ricordano tutti quel Bertinotti lì”.
C’è n’è un altro?
“Ma per esempio c’è quello che si cosparge di cenere ed entra nell’Ulivo e si ritrova al governo nel 2006. Non un appoggio esterno, come dieci anni prima: al governo”.
Sì, però poi lo fa cadere.
“No. Fu Mastella”.
Eddai, se non fosse stato Mastella…
“Ma ti rendi conto cosa fecero i rifondaroli nel 2006-7? Votarono per il rifinanziamento della missione in Afghanistan – tranne due. Tranne due. Cioè pur di restarci, in quel governo che già traballava tantissimo di suo, arrivarono a sostenere una missione Nato. E tu mi racconti dell’ossessione della purezza. Ma parlami di Cicciolina, piuttosto, parlami della sua, di ossessione per la purezza”. 
Ma che c’entra, lei era radicale.
“È un modo di dire. E sai qual è la cosa divertente? Che il Bertinotti sconfittista e ossessionato dalla purezza del ’98, poi alle elezioni prese un dignitosissimo cinque per cento. Mentre il Bertinotti collaborativo del 2006, il Bertinotti disponibile a calar le braghe, due anni dopo…”
…scomparve dal parlamento.
“E quindi insomma hai voglia a dire che l’ossessione della purezza non paga. A me poi per carità, mescolarmi piace. Ho votato Rutelli, ho votato Renzi, secondo me a un certo punto stavo anche per votare Casini. La politica è così”.
Ti trova strani compagni di letto.
“A me va bene, mi piace discutere, scambiare opinioni, mettere sui dischi, stare nel mezzo della festa. Basta che non mi raccontiate che negli angoli ci stiano gli sfigati duri-e-puri. Negli angoli ci si droga, ci si struscia, negli angoli ci sta gente che si diverte”.
Magari sono meno responsabili di noi.
“Se la cosa ti consola”.

cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, dialoghi, fumetti, miti

Capitan America prende a pugni i droni della NSA ma Scarlett è solo un’amica

 Captain America – The Winter Soldier (Anthony e Joe Russo, 2014)

“E allora com’era il film?”
“Eh? Non male”.
“Non male?”
“Ma sì, dai, salva il mondo come al solito, però in modo non banale, sono abbastanza soddisf…”
“Berlinguer?”
“Eh?”
“Non sei andato a vedere Berlinguer?”
“Ma certo, sì, naturalmente, sono andato a vedere Berlinguer”.
“E salva il mondo in un modo non banale?”
“Beh, in un certo senso…”
“Ma è morto, Berlinguer”.
“Non del tutto, no… in realtà è solo congelato, vedi… ogni tanto lo riattivano e gli fanno fare delle missioni speciali”.
“Berlinguer”.
“Ma nel suo cuore resta il ricordo struggente del suo amico che non seppe salvare, come si chiama…”
“Aldo Moro”.
“E insomma il mondo ha ancora bisogno di eroi come lui, perché i nuovi politici hanno una visione semplificata dei problemi e minacciano di far decollare piattaforme sociali che distruggeranno…”
“Sei andato a vedere Scarlett”.
“Ma che c’entra, scusa”.
“Me lo puoi dire. Hai preferito Scarlett Johansson a un documentario su Enrico Berlinguer, per favore, ammettilo”.
“Ma non è Scarlett… cioè c’è anche Scarlett, ma un film di Capitan America, ambientato al tempo dell’NSA, dei droni, presenta svariati motivi di interesse che…”
“Si spoglia in automobile anche stavolta?”
“No, maledizione”.
“Tu lo sai, vero, che ti stanno prendendo in giro da… quanti film? Tre”.
“Sono bei film se ti piace il genere. La Marvel sa veramente il fatto suo”.
“Te la piazzano lì in tre scene e ti staccano un biglietto da dieci”.
“Non l’ho visto in 3d. Anche se le traiettorie dello scudo magari meritavano”.
“Lo scudo?”
 
“Capitan America ha uno scudo, è la sua arma e il suo simbolo, nonché una metafora dell’America tutta”.
“Lo scudo”.
“L’America è un bel ragazzo biondo che in qualsiasi parte tu ti trovi al mondo ha il diritto di ammazzarti, però con uno scudo”.
“Perché gli americani si stanno soltanto difendendo”.
“In realtà no, è più complesso di così. La vera minaccia è sempre interna. In tutti questi film ci sono due cattivi. Possiamo chiamarli il Burattinaio e il Burattino. Per esempio…”
“In Scarlett Johansson si infila un costume nero in macchina aka Iron Man 2 c’era Mickey Rourke”.
“Ecco, Mickey Rourke in Scarlett Johansson si cambia in macchina ftg Iron Man faceva il Burattino. Parlava russo, sembrava matto. Anche Ben Kingsley in Iron Man 3. I Burattini sono sempre personaggi esotici con accenti strani”.
“Stavolta chi lo fa il Burattino?”
“Un attore rumeno. Interpreta il Soldato d’Inverno, un’ex super-spia sovietica, come Scarlett del resto”.
“Si baciano?”
“No. Nel film, cioè. Nel canone ufficiale succede”.
“Nel… cosa?”
“Nella continuity, insomma, nei fumetti”.
“Hai quarant’anni, ti rendi conto”.
“I Burattini all’inizio sembrano la vera minaccia, e in un certo senso danno il sapore al film: per esempio questo è il film in cui Capitan America combatte contro il Soldato d’Inverno. Ma i Burattini non sono mai il vero nemico”.
“Il vero nemico è il Burattinaio”.
“Ovviamente. E il Burattinaio è sempre un Wasp, un americano bianco e biondo. Sempre”.
“Vabbe’, è la politically correctness”.
“No, è più complicato di così. L’idea che nelle stesse radici della libertà americana si annidi il seme del male, il germe del nazismo…”
“Vabbe’ ma se i cattivi sono tutti biondi dopo cinque minuti li scopri comunque”.
“Magari i ragazzini ci mettono un po’ di più”.
“Ho visto che nel cast c’è Robert Redford, niente niente che…”
“SSsssst! Spoiler!” (continua su +eventi!)

Berlusconi, dialoghi, Renzi

La legge su misura per Beppe

Quel che vuoi. 

“Ma quindi la foto c’è davvero”.
“Sì. Bevete qualcosa? Vi faccio portare un te, un caffè…”
“Per me acqua. Questa cosa della foto però me la devi spiegare Matteo, cioè capisco il coso, lì, Thomas Milian”.
“Che Guevara, intendi”.
“Quel che vuoi. Ma Fidel Castro, Matteo, hai presente chi è Fidel Castro? Il dittatore più longevo di tutti? Tu sei quello che vuoi dare i diritti civili ai gay, non so se hai presente Fidel Castro cosa…”
“Maddai, Silvio, è tutta scena, su. Bisogna farli discutere di qualcosa, i giornali. Questa cosa se non l’hai capita tu…”
“Guarda che l’ho capita perfettamente, ma…”
“Quando sono venuto io a casa tua me l’hanno menata per anni. Adesso tu vieni a casa mia e ti faccio una foto sotto un simbolo che tu detesti. Semplice. Così sembra che io abbia qualche vantaggio su di te. Tutto qui”.
“Ma ti rendi conto che se io volessi sui miei giornali, con questa cosa che ti tieni una foto di Fidel Castro, potrei…”
“Eddai Silvio, i tuoi giornali, su, chi se li fila ormai…”
“E però gli altri giornali li riprendono, dicono: ecco, vedete, che figura ci fa Renzi, fanno da grancassa, cioè Matteo guarda che non ti è mica uscita col buco questa cosa”.
“Va bene, andrà meglio la prossima volta”.
“Te la dico da collega, eh, spassionatamente. E attento anche a questa cosa delle prossime volte. Voi giovani siete sempre convinti di potervi permettere centinaia di cazzate”.
“Guarda dove sei arrivato tu”.
“Perché ne facevo poche, Matteo, ne facevo poche”.
“Vabbe’, vogliamo iniziare a parlare di cose serie? Possiamo procedere con l’ispanico?”
“No Matteo, l’ispanico non me lo posso permettere. Dovrei avere delle facce giuste per tutte le circoscrizioni, hai un’idea di quanto mi costa un’elezione in casting?”
“E allora cosa proponi?”
“Eh”.
“Come eh“.
“Guarda, ci stavo a pensare venendo in qua”.
“Ci stavi a pensare?”
“Cioè io non sono mica sicuro che le voglio vincere, le prossime elezioni. Metti che le cose vadano male”.
“Guarda, ti capisco benissimo”.
“In queste circostanze, alla mia età poi… metti che venga già una montagna da qualche parte e mi tocchi di ritoccare le accise, ma mi ci vedi a ritoccare le accise?”
“Silvio guarda che sfondi una porta aperta, cioè la verità è che non ci ha voglia di governare nessuno in questo momento, nessuno”.
“E quello che ci ha meno voglia in assoluto…”
“È Beppe. Lui ha già messo fuori le locandine, va in tournée, lui“.
“E tu, ho sentito che ti sei prenotato per Firenze”.
“E certo”.
“Insomma, meno male che c’è Letta”.
“Ma davvero, viva Letta”.
“Viva Gianni!”
“Enrico”.
“Quel che vuoi. Io tutto sommato, non fosse per i magistrati, me la cavo abbastanza bene così… un piede all’opposizione, un piede nella maggioranza”.
“Per ‘piede’ intendi Angelino?”
“Quel che vuoi. Me ne sto in casa, quando va mi affitto un centro benessere, controllo che nessuno metta all’ordine del giorno il conflitto d’interessi… non si sta male. Io quattro anni così me li farei volentieri”.
“Lo so, Silvio, lo so. Però Giorgio la legge la vuole. La vuole proprio. Sennò scioglie le camere”.
“Ma se facciamo la legge che garanzie mi dai che non andiamo a votare subito dopo? La tua bella faccia?”
“Ma te l’ho detto. Ho già prenotato da sindaco”.
“Lo so, lo so. Ma ogni settimana ne salta fuori una nuova, e i grillini… non puoi mica fare affidamento, cioè lui è un matto, sempre stato”.
“Guarda, un sistema per metterlo un po’ in riga ci sarebbe”.
“Sentiamo”.
“Noi siamo qui per fare un sistema elettorale, no? E lui non vuole”.
“Vuole andare a votare col mattarello”.
“E noi sai che gli facciamo? Gli facciamo un sistema elettorale su misura”.
“Cosa?”
“Un sistema elettorale che gli faccia vincere le elezioni”.
“A Grillo?”
“Proprio a lui”.
“Ma non è così matto. Cioè un po’ sì, ma non così tanto”.
“Appunto”.
“Così… non vorrà più andare a votare!”
“Certo”.
“Ma scusa, i grillini stanno al trenta per cento”.
“Anche meno”.
“Con tutta la più buona volontà, come facciamo a fargli vincere le elezioni? Neanche se candido il cane”.
“Un sistema c’è. Superpremio al primo partito. Grillo se la mena tanto, che lui è il primo partito… e noi, zac! Hai il primo partito? Ora governi”.
“E se non arriva primo?”
“Ok, allora facciamo una soglia molto bassa… che so… trentacinque. Se arrivi al 35, governi, e già all’annuncio Beppe ritira gli artigli. Se non ci arriva nessuno, spareggio tra i primi due”.
“Spareggio?”
“Ballottaggio, quel che vuoi. Grillo lo vince. Prova a pensare: lui è la Gente. Se arriva contro uno di noi due al ballottaggio…”
“Matteo contro la Gente”.
“Silvio contro la Gente”.
“Cioè vuoi scrivere una legge che potrebbe mandarlo al governo con un 28 per cento?”
“Vedrai che non lo sentirai più parlare di elezioni anticipate. Cambierà argomento. Signoraggio, previsioni dei terremoti, ce n’ha di cose in repertorio”.
“Ma secondo te la corte costituzionale ce la fa passare una legge così?”
“Ma ovviamente no, Silvio, mi meraviglio di te: secondo te voglio andare a votare con una legge così? La palleggiamo per tre anni tra camera e senato e poi, se proprio dobbiamo andare a votare…”
“Ci andiamo col mattarellum”.
“O col proporzionale, che è quello che piacerebbe tanto a lui. Lui vuole una legge elettorale che ci costringa a governare assieme e tenerlo all’opposizione, e noi…”
“Gliene facciamo una che lo costringe a governare e tenerci all’opposizione”.
“Quindi altri quattro anni così e poi…”
“E poi mal che vada c’è sempre Letta”.
“Enrico?”
“Quel che vuoi. Siamo d’accordo?”
“Guarda, per me può andare, ma tu come fai a venderla ai tuoi una cosa del genere?”
“Di quello non ti preoccupare, ci penso io”.
“Fammi indovinare: hai in mente un altro siparietto del tipo Fassina chi? Cioè alla fine tu queste cose le fai perché ti divertono”.
“Silvio non puoi capire. Con tanto affetto, ma tu sei un boss. Sei abituato a comandare sin da piccolo. Io sono un politico, in teoria dovrei passare il tempo a conciliare, a convincere, a persuadere…”
“E non ti piace”.
“È una gran palla. Però stavolta ho appena preso settanta per cento. Quando mi ricapita una cosa così in democrazia? Magari tra uno o due anni si saranno stancati di me, ma ora comando io, capisci? Qualsiasi bischerata farò, la metà ce li lo ai miei piedi pronta ad applaudire, bravo Matteo, geniale, non ci avevo pensato”.
“L’altra metà…”
“Fuori dai piedi. Adesso lo devo fare. Tra un anno chissà”.
“Matteo ma tu sei bravo, sai”.
“Modestamente”.
“La ruota della fortuna non si sbaglia mai”.

contro la lingua italiana, dialoghi, lingue morte

È eh

“La lingua! Ci rifletti mai?”
“Eh”.
“Che cosa incredibile. Che fonte di affascinanti misteri e paradossi. Pensa alle flessioni”.
“Preferirei di no”.
“Gli antichi indeuropei avevano forse declinazioni a dieci casi, che si sono poi andate semplificando”.
“Mano male”.
“Il latino – come sai bene – conosceva sei casi, l’italiano uno solo. Ma questo che significa?”
“Non saprei”.
“Che gli uomini preistorici avevano una grammatica più complessa della nostra?”
“Eh”.
“Che affascinante mistero. Leggevo proprio ieri che due linguisti, attraverso un attento studio comparativo, sono arrivati a individuare la prima parola universale”.
“Eh?”
“Precisamente: è la prima parola comprensibile in tutte le lingue del mondo”.
“E quale sarebbe?”
“Eh”.
“Non me la vuoi dire?”
“Te l’ho già detta, eh”.
“Va bene, mi sarà sfuggita”.
“Ma no, è eh”.
“Vabbe’, è inutile che mi ridi in faccia”.
“Non ti sto ridendo in faccia. Ti sto dicendo che la prima parola universale è eh”.
“È un indovinello?”
“Non è un indovinello. È eh”.
“Va bene. Mi è sfuggita. Forse mi ero distratto. Me la puoi benissimo ridire, che ti costa?”
“Ma te l’ho ridetta”.
“Ah sì?”
“Sì, è eh”.
“…E ti dispiacerebbe enormemente ridirmela di nuovo?”
“Eh”.
“Eh?”
“Precisamente”.
“Precisamente è la prima parola universale?”
“No, eh”.
“E allora la prima parola universale è…”
“Però per favore concentrati”.
“Sono concentrato”.
“È la prima parola universale. Tutti i popoli del mondo la possono capire”.
“Tutti”.
“Ha lo stesso significato in tutte le lingue. Non possono esserci fraintendimenti, equivoci, errori”.
“E questa incredibile parola è…”
“Eh. Se la dici a un ottentotto, lui capisce quello che stai cercando di dirgli. Eh”.
“Non sono un ottentotto”.
“A maggior ragione”.
“E quindi?”
“Eh”.
“Non me la vuoi dire?”
“Te l’ho appena detta”.
“Ah sì?”
“Eh”.
“E RIDIMMELA UN’ALTRA VOLTA”.
“EH! EH! EH È LA PRIMA PAROLA UNIVERSALE”.
“CE L’HAI CON ME? PENSI CHE SIA DIVERTENTE?”
“NON È DIVERTENTE. È EH”.
“GIANNI, ASCOLTAMI, SIAMO SU UN BLOG IMPORTANTE. UN LUOGO DOVE SI FANNO DISCUSSIONI RAFFINATE. ORA PER FAVORE, DIMMI ‘STA CAZZO DI PAROLA UNIVERSALE”.
“MAVAFFANCULAMAMMET'”
“Lo sospettavo”.

dialoghi, elezioni 2013, racconti

Usciamo dal metro, dal chilo, da TUTTTOOO!!!

Nel Paese dei Cazzetti

Io, a differenza di tanti che parlano parlano, io ci sono stato nel Paese dei Cazzetti, e devo dire che è molto meglio di come lo dipingono. La gente perlopiù è gentile, i semafori godono di un certo rispetto; inoltre non ci si spara per strada, in generale, se si dispone di un luogo appartato.

Certo, il primo impatto può essere uno choc, perché i Cazzetti pur assomigliandoci divergono tra noi per tanti piccoli bizzarri particolari, ad esempio le unità di misura. Me ne accorsi il primo giorno, appena entrai in un ascensore col mio accompagnatore. Era un ascensore un po’ angusto, così mi capitò di far caso alla targhetta con le specifiche tecniche, di solito non la leggo mai.

“Ehi, ma qui c’è scritto che regge solo…”
“Ottanta chili, sì”.
“O mio Dio adesso si pianta”.
“Ma no, ma cosa dice”.
“Siamo in due, ne faremo come minimo centoventi. Ho anche il bagaglio a mano…”
“Stia calmo. Lei più di trenta chili non pesa…”
“Eh?”
“Io ne faccio quaranta, e il suo bagaglio è leggerissimo. E comunque sono sempre sottostimati questi ascensori, non si preoccupi”.
“No, senta, io la ringrazio, ma come può pensare che io pesi trenta chili, mi ha visto?”
“Ah, ma dimenticavo. Lei ragiona in chili internazionali. Questi non sono chili internazionali”.
“Come, no?”
“No, sono chili cazzetti”.
“Ovvero?”
“Ovvero non saprei… mi sembra che un chilo cazzetto valga due chili internazionali virgola qualcosa”.
“Virgola qualcosa?”
“Eh sì, dipende un po’ dall’andamento generale”.
“Quindi non avete il sistema metrico decimale?”
“Lo avevamo, ma poi abbiamo avuto dei problemi… vede? Siamo arrivati. La sua stanza è in fondo al corridoio. La accompagno?”
“Se non le dispiace. Ma che genere di problemi?”
“Ecco, non so se se n’è accorto, ma noi Cazzetti tendiamo a essere un po’ corpulenti”.
“Eh, sì”.
“Questa cosa nel medio-lungo termine rischiava di avvilirci, di deprimerci, e così il nostro governo ha deciso di varare una manovra per farci sentire più leggeri, insomma è uscita dal sistema metrico internazionale”.
“E avete rivalutato il chilo”.
“All’inizio era solo di un decimo, però si è visto che la gente tendeva a mangiare di più, e si è pensato che serviva una manovra più drastica, insomma… adesso siamo a due e qualcosa. Le piace la stanza?”
“Molto spaziosa”.
“Ah sì, è la più larga del piano, sono cento metri quadri”.
“No, mi scusi, questo è impossibile”.
“Come no? C’è anche qui nella targhetta sulla porta, vede?”
“Guardi a me va benissimo così, come vede ho solo un bagaglio a mano, però non sono cento metri quadrati. Sarebbe un appartamento. Questa è una bella camera, tutto qui”.
“Ah già, giusto, lei pensa ai suoi metri quadrati”.
“Perché, non mi dirà mica che…”
“Eh sì, i nostri valgono un po’ di meno”.
“E come mai? Qual era il problema?”
“Eh, è un po’ imbarazzante”.
“Vi sentivate stretti? Bassi di statura? Suvvia, a me può dirlo”.
“Lei non ignorerà l’etimologia del termine Cazzetti“.
“Ahem, aspetti, ricordo che me ne parlò una volta il mio professore di filologia arcaica, era qualcosa che aveva a che fare con l’apparato riproduttivo, mi pare”.
“Piselli piccoli. Cazzetti significa Piselli piccoli“.
“Ah già, giusto! Dall’italico cazzo, di etimo incerto!”
“Ecco”.
“Ma sarà senz’altro un nomignolo che vi è stato appioppato da qualche nemico invidioso della vostra prestanza”.
“Sì, la teoria ufficiale è quella. Però c’è un’altra ipotesi che gode di un certo credito presso l’opinione pubblica”.
“Ovvero?”
“Forse ce l’abbiamo veramente piccolo”.
“E quindi avete pensato che…”
“Il governo ha pensato che accorciare i righelli avrebbe fatto bene alla nostra autostima”.
“E così avete svalutato i centimetri?”
“Sì, di parecchio”.
“Non è che la cosa abbia molto senso, eh”.
“Non mi dica che non le sarebbe piaciuto, quand’era giovane, poter vantare una trentina di centimetri con gli amici”.
“Mah, boh, può darsi, però… senta, quanto le devo?”
“Niente, per carità”.
“Come niente, una mancia la prenderà. Non mi dica che i cazzetti si offendono, se gli si offre una mancia”.
“Beh, se insiste…”
“Dieci euro?”
“Non sono nella posizione per dire di no. Con questa maledetta crisi…”
“È dura come dicono?”
“Durissima, si immagini che è crollato tutto il settore immobiliare, ormai un metro quadro non vale più nulla. La gente non compra più, siamo tutti terrorizzati. Con quest’euro maledetto…”
“Ma non avete mai pensato di svalutarlo?”
“Eh?”
“Sì, voglio dire, non avete mai pensato di uscire dall’euro e stampare una moneta diversa, abbassandone progressivamente il valore in euro? Non potrebbe essere un sistema per stimolare i consumi, rilanciare l’economia? Sto pensando ad alta voce, però…”
“Scusi, ma lei per chi ci ha preso?”
“In che senso?”
“Cioè, è vero, siamo i Cazzetti, non siamo famosi per la nostra intelligenza media. Siamo dei maledetti obesi e probabilmente abbiamo il pisello così piccolo che abbiamo dovuto rimpicciolire i centimetri per misurarlo; però questo non vuol mica dire che siamo del tutto coglioni, sa?”
“Mi scusi”.
“Si figuri”.

Io a differenza di tanti che parlano parlano, io ci sono stato nel Paese dei Cazzetti, e devo dire che è più complicato di quel che sembra. Ma la cucina è buona. E il metro quadro, confermo, costa un cazzo. Purtroppo non te lo accettano, vogliono gli euro.

cattiva politica, dialoghi, Pd

Al loop al loop

Gli alloopati

“Scusa, eh, adesso io non mi permetto di giudicare”.
“No, ma giudicaci pure invece”.
“Cioè lo so che fare il politico è meno facile di quel che sembra”.
“Di questi tempi, poi”.
“Però da qui sembra proprio che non stiate combinando niente. Niente”.
“Più o meno è così”.
“Da un anno in qua. Cioè, ormai è un anno che se n’è andato il porcello”.
“Un anno, sì”.
“E cosa avete combinato? Voglio dire, Monti qualcosa l’ha fatto”.
“Anche troppo”.
“E voi? Non è che vi si chiedesse chissaché, ma dico, una legge elettorale. Una”.
“Eh, che ci vuoi fare”.
“Ma cosa vi è successo?”
“Ma no, è che ci siamo alloopati”.
“Allupati?”
“No no, c’è una grossa differenza. Il porcello, lui era allupato. Noi siamo alloopati, con due o. Ci siamo ritrovati in un loop”.
“Un loop?”
“Perché puoi anche pensare che sia facile fare la legge elettorale, che ci vuole, no? Eh, anch’io la pensavo così”.
“E invece?”
“E invece devi capire chi vince, e come vince, e la legge elettorale gliela devi fare di conseguenza”.
“Ma non ha senso, scusa…”
“Lo so, lo so, bisognerebbe prima fare le leggi elettorali, inciderle su un marmo secolare e non toccarle più. Guarda gli americani”.
“Uff, gli americani…”
“Vero? Anch’io una volta dicevo… ma sto cominciando a capire. Gli americani hanno una legge settecentesca, una schifezza, fatta apposta per quando si andava a votare in carrozza… è per quello che votano sempre nel giorno dei Santi, lo sapevi? Perché dovevano avere il tempo di arrivarci in carrozza. E così via. Fa schifo, però non la toccano. Dovevamo fare così anche noi. Meglio una legge schifosa e immutabile, che una legge elastica che ogni maggioranza può cambiare quando gli va”.
“Però…”
“Però ormai è così, la legge di adesso è una porcata, quella di prima lo era ugualmente, l’unica cosa che possiamo fare è cercare di scrivere una legge che dia un po’ di margine a chi vince, così almeno si fa un governo stabile, che in Europa ci tengono”.
“Quindi vorreste fare una legge su misura per chi vince, però non sapete ancora chi vince”.
“Ma in realtà lo sapremmo anche, basta fare dei sondaggi fatti bene”.
“E perché non li fate?”
“Li abbiamo fatti”.
“E cosa dicono?”
“Che dipende”.
“Dipende cosa?”
“Dipende dal PD, da chi candida il PD”.
“Ah, quindi bisogna aspettare le primarie”.
“Ma no, in realtà abbiamo i sondaggi anche delle primarie”.
“E cosa dicono?”
“Sondaggi seri, eh, mica la robaccia che gira”.
“Sì, e cosa dicono?”
“Eh, dicono che dipende”.
“Dipende da cosa?”
“Dal regolamento delle primarie”.
“E quindi?”
“E quindi niente, stiamo cercando di capire come fare il regolamento delle primarie in modo da favorire la persona che deve vincerle”.
“E chi deve vincerle?”
“Eh, saperlo”.
“Ma avrete fatto un sondaggio, immagino”.
“Tanti, ne abbiamo fatti”.
“E dicono che…”
“Dipende”.
“E stavolta dipende da cosa?”
“Un po’ da tutto, ma soprattutto dalla legge elettorale”.
“Dalla legge elettorale?”
“Eh sì, perché se si fa il proporzionale la gente, per dire, non vota Vendola alle primarie, lo vota direttamente alle elezioni, mentre se si fa il doppio turno lo votano un po’ alle primarie e un po’ al primo turno, insomma, i modelli diventano un po’ complicati”.
“E quindi?”
“E quindi niente, bisogna che ci mettiamo d’accordo sulla legge elettorale”.
“Già. Ma aspetta, ci eravamo già passati di qui, vero?”
“Esatto”.
“Ma allora…”
“Siamo in un loop, che ti dicevo”.
“No, aspetta, fammi provare. La legge elettorale non riusciamo a farla perché…”
“Non sappiamo chi vince le elezioni”.
“E non lo sappiamo perché…”
“Perché potrebbe vincerle il PD, ma dipende da chi candida”.
“E non sappiamo chi candida perché….”
“Non abbiamo ancora il regolamento delle primarie”.
“E non riusciamo a metterci d’accordo sul regolamento delle primarie perché…”
“Perché non sappiamo come sarà la legge elettorale”.
“Fantastico! Potrebbe andare avanti in eterno!”
“Beh, no, per legge entro il 2013 a votare dobbiamo andarci comunque. A quel punto diventa decisivo capire in che punto del loop saremo in quel momento. Magari avremo scritto il regolamento delle primarie ma non avremo ancora cambiato la legge elettorale, e in quel caso vince Tizio. Se invece in quel momento è cambiata la legge elettorale, ma le primarie no, vince Caio”.
“E Sempronio?”
“Sempronio spera che giri tutto senza che cambi niente”.
“Allora io mi gioco Sempronio”.
“Gioca responsabilmente”.

cristianesimo, Cristo, dialoghi, omofobie, racconti

Il Cristo gay e il Grande Inquisitore

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa…

“Dunque, la scena comincia così: immaginati una processione, in una città medievale, oscurantista… facciamo Bologna”.
“Bologna, via, così oscurantista poi…”
“Bologna è perfetta, ci stanno i domenicani, quindi l’Inquisizione. Immaginati una di quelle processioni medievali coi flagellanti, no? E proprio durante questa processione, chi ti compare?”
“Chi mi compare?”
“Un Cristo gay”.
“Un Cristo gay”.
“È quel che ho detto”.
“Non so, Ivan, abbiamo già diverse polemiche in corso, se magari riusciamo a evitare di offendere cristiani e gay in un botto solo io preferirei…”
“Nonò fidati, un Cristo gay che appena compare, tutti all’improvviso capiscono che è lui, la folla si apre per lasciarlo passare, tutti lo seguono in silenzio, senza osanna, senza alleluja, tanto ovvio è che lui è Cristo”.
“E che è gay”.
“È un Cristo gay”.
“Ivan questa cosa però spiegamela meglio, perché io posso anche capire un Cristo a Bologna nel medioevo, cioè se sono in Strada Maggiore e all’improvviso vedo un ebreo con la corona di spine più o meno ci arrivo che è Cristo, ma spiegami come faccio a capire che è pure gay”.
“In effetti anch’io mi sono posto il problema”.
“Cioè non gli possiamo mica mettere l’aureola arcobaleno”.
“Perché no”.
“Perché è il medioevo a Bologna, cosa vuoi che ne sapessero dei colori del movimento LGBT”.
“Va bene, ci pensiamo dopo. L’importante è che sia evidentemente gay”.
“E tutti lo seguono”.
“Per forza, è un Cristo gay. Tu non lo seguiresti? Anche solo per curiosità?”
“E poi che succede?”
“Succede che a un trivio si devono fermare per dare la precedenza al cocchio, e il cocchio è ovviamente una cosa kitschissima, tutti intarsi e intagli e lacche in oro zecchino”.
“Nel medioevo? Non è un po’ presto?”
“Il cocchio però invece di sfilare inchioda, e dalla finestrella spunta il volto arcigno di un vecchio Inquisitore, sormontato da un tricorno fucsia molto chic”.
“Questa cosa finisce malissimo, vero?”
“Non abbiamo neanche iniziato. Anche l’Inquisitore ovviamente capisce subito chi ha davanti, ovvero…”
“…un Cristo gay”.
“Un Cristo gay, e gli basta un cenno perché gli uomini della sua scorta lo prendano in consegna. Ovviamente gli uomini della sua scorta sono maschiacci nerboruti e sudaticci, muniti di alabarde un po’ falliche”.
“Questi particolari sono tutti necessari?”
“No, però sono divertenti. Dunque l’Inquisitore si fa portare il Cristo gay nel suo palazzo, e dopo una sobria cena e un sobrio intrattenimento, decide di scendere nelle segrete per interrogarlo. Senza testimoni”.
“Ci mancherebbe”.
“La scena vera comincia adesso. Dunque l’Inquisitore entra nella cella, squadra il suo uomo a lume di candela e gli dice: taci”.
“Come taci, scusa, ma che interrogatorio è”.
“È un interrogatorio molto interessante. Gli dice, taci, non c’è bisogno che tu mi dica chi sei, e non c’è nulla che tu possa aggiungere per modificare la tua posizione. Non so cosa sei venuto a fare sulla terra una seconda volta”.
“Ma come non lo sa, scusa…”
“…ma non m’interessa, hai avuto una vita per parlare e adesso ti tocca ascoltare. Lo sai in che guaio ci hai messo? No che non lo sai. Ci hai dato la libertà, come credi che l’avremmo usata, se non per mangiarci a vicenda? Lo sai in che disastro ci hai mollati? E sai quanto ci abbiamo messo a pulire? Mille anni ci abbiamo messo. C’è toccato persino allearci col tuo nemico, sai, Satana. Abbiamo una joint-venture, adesso. Non lo sapevi? Vedi che in questo interrogatorio hai qualcosa da imparare. Non è che ne andiamo fieri, ma cos’altro potevamo fare? Siamo gay, perdio, quanti credi che siamo in tutto? Il dieci per cento della popolazione mondiale? Il quindici?”
“No, dai, il quindici no”.
“Che male ci sarebbe?”
“Mi sembra esagerato, via, il quindici”.
“Ma fosse anche il venti, è pur sempre una minoranza, lo sai cosa vuol dire?”
“Vuol dire che dovranno lottare affinché alle minoranze siano riconosciuti i loro diritti”.
“Ecco, lo vedi? Il classico ragionamento da Cristo gay. Ma non funziona così”.
“E perché non funziona così?”
“Perché l’umanità è una cosa un po’ meno nobile di come la raccontava lui, perché homo homini lupus e tutto il resto, e insomma non importa che sia una razza o un’identità di genere o una preferenza sessuale o il colore dei capelli: la minoranza sarà sempre angariata dalla maggioranza. Sempre”.
“Ma no dai, sempre no”.
“Sempre, te lo dico io. Cioè no, te lo dice il Grande Inquisitore Gay”.
“Ah, perché anche il Grande Inquisitore è…”
“Lo aveva appena detto. Quindi mettiti nei nostri panni, continua il Grande Inquisitore Gay, infilati nei nostri soffici ermellini. Se almeno fossimo stati una minoranza, che so, etnica. Potevamo sempre sperare di diventare una maggioranza da qualche parte, con guerre o complotti. Ma siamo gay. Non possiamo diventare una maggioranza, per definizione”.
“E perché no?”
“Perché siamo gay, stupido. Non siamo prolifici”.
“Ah già dimenticavo. Ma potevate adottare”.
“In effetti pensammo subito a questo. Ma come potevamo riuscirci? Tu che avresti fatto? Una bella campagna per il diritto della coppia gay all’adozione durante l’impero romano?”
“Beh, forse i tempi sarebbero stati un po’ prematuri”.
“Ah, perché invece nell’Alto Medioevo…”
“Quindi insomma niente da fare”.
“Al contrario. Ci siamo riusciti alla grandissima, spiega il Grande Inquisitore Gay (da qui in poi GIG). Siamo in assoluto la comunità che adotta di più. Abbiamo uomini in tutti gli orfanotrofi, anzi gli orfanotrofi li costruiamo direttamente noi. Non è stato difficile. Sai come abbiamo fatto?”
“Come avete fatto”.
“Abbiamo fatto coming in”.
“Coming in… cosa?”
“È un neologismo che ho inventato io, spiega compiaciuto il GIG. Ci siamo nascosti. Certo tu avresti preferito che noi vivessimo in mezzo alla gente fieri dei nostri costumi. Certo tu, caro Cristo gay, avresti preferito che il sale della terra rimanesse nella terra, e che la lucerna non restasse occultata sotto il moggio… ma ne abbiamo parlato con Satana e lui è stato molto più convincente. Ci siamo nascosti perché era l’unico modo per sopravvivere nei secoli, capisci. Noi non siam come te, che vieni, predichi tre anni e poi ciao ciao, fate i bravi, ci vediamo alla fine dei tempi. Noi abbiamo da pensare a sopravvivere per millenni, non possiamo accontentarci di qualche oasi di tolleranza qua e là, noi sappiamo che gli olocausti sono sempre dietro l’angolo e dobbiamo corazzarci”.
“Così insomma i gay ci sono sempre stati, ma si sono nascosti per sopravvivere”.
“Certo, continua il GIG, e lo sai dove ci siamo nascosti?”
“Non so, in qualche confraternita immagino”.
“Nella confraternita più esclusiva e allo stesso tempo più universale e più potente e allo stesso tempo più capillare dell’universo, sai qual è? La domanda la faccio a te, col Cristo gay non ce n’è bisogno, lui la sa già”.
“E quindi insomma…”
“Ma non hai capito? Hai davanti un Grande Inquisitore Gay, con lo zuccotto fucsia, l’ermellino, le scarpette di Gucci, eddai… dove vuoi che si siano nascosti”.
“No dai Ivan per favore”.
Nella Chiesa cattolica! Siamo tutti qui, continua il GIG. Da secoli siamo qui, e ce la spassiamo! Prolifici quanto mai, abbiamo in mano gli orfanotrofi, le scuole, i precettori nelle case private, se da qualche parte nasce un ragazzino o una fanciulla tendente all’omoerotico, fidati che lo troviamo all’istante, e ci preoccupiamo di lui per tutta la vita! Questo facciamo”.
“La Spectre gay”.
“Abbiamo inventato la Confessione, ti rendi conto? Non c’è mai stata in tutta la storia dell’uomo un età così fortunata per i gay”.
“Ivan, sei sicuro?”
“Altro che lottare per i diritti civili e la tolleranza e tutte queste menate. Noi non vogliamo la tua patetica tolleranza, dice il GIG a Cristo. Noi vogliamo il potere, e lo abbiamo. Siamo o non siamo stati bravi. Da secoli una congregazione di gay regna sull’Europa, così ben organizzata che gli etero ancora non se ne sono accorti, ed è meglio così, no? Per il loro bene”.
“Perché voi non ce l’avete con gli etero”.
“Ci sono indispensabili, poveretti. Lavorano, ci pagano le decime. E soprattutto sono prolifici, loro”.
“Qualcuno lo deve pur essere”.
“Finché non inventeremo l’inseminazione artificiale, l’utero artificiale, magari la clonazione, ecco, ma la scienza è ancora indietro, indietro…”
“Potreste provare a bruciare meno scienziati”.
“Comunque ci vorrebbero secoli, il nostro sistema è molto più efficiente. Ora capisci perché la tua libertà è solo una scemenza? Capisci perché non hai diritto di parlare con me, che sono l’esponente di un sapienza millenaria, veramente incarnata nel sangue vivo e putrescente dell’uomo? Tu sei solo il figlio di Dio, che ne sai? Uno si fa una passeggiata sulla terra, due o tre prediche e una morte in croce, e poi è convinto di aver capito, ma cosa hai capito, cosa? Non esiste la libertà, se non per piccoli periodi. Non esiste la tolleranza. Nel medio-lungo termine esiste solo il potere, esiste solo la sopraffazione, e noi gay perché dovremmo essere meglio degli altri? Perché? Perché non dovremmo anche noi tentare di prendere il potere e usarlo per abusare dei deboli e degli indifesi? Perché ce lo chiedi tu con quegli occhioni azzurri incongrui in un mediorientale? Adesso sai che faccio? Ti processo e poi ti brucio come pederasta. Gli stessi che ti hanno osannato stamattina, saranno lì a raccontare di quando molestavi i loro figli nel cortile. Io queste cose le so, io lo so come è fatto l’uomo. Adesso parla pure se ti va. Ma il Cristo gay non parla”.
“Lo sospettavo”.
“Non dice niente. Solo fa un passo avanti verso il GIG, e per miracolo le catene si sciolgono, le manette sadomaso si aprono con un clac. Il GIG spaventato si ritrae, ma il Cristo Gay lo abbraccia”.
“E lo bacia”.
“Ovviamente”.
“Avremo i troll cattolici e quelli LGBT per sei mesi, Ivan…”
“Sarà divertente”.
“Si baciano a lungo?”
“Quanto basta. Poi il GIG, sconvolto, apre la porta della cella e dice Vai Via! Vai Via e non tornare mai più”.
“E poi? Fa coming out? Denuncia la sporcizia annidata nella Chiesa?”
“No, macché. Torna nel castello in tempo per la finale del torneo canoro dei castrati Ma quel bacio, quel bacio continua a bruciargli nel cuore”.

dialoghi, nazismo

(Io li amo) i nazisti della Beozia

“Ma la Grecia a te, ma non ti fa paura?”.
“Paura? La Grecia? Al massimo un po’ tristezza”.
“Scherzi, ma ti rendi conto? I nazisti, hanno votato. Roba da trentatré”.
“In effetti guarda, io spero che vincano loro”.
“Loro? I nazisti greci?”
“Lo so, è brutto da dire, ma se ci rifletti ha un senso. Partiamo da un presupposto…”
“Mi metto comodo”.
“No ma guarda faccio presto. Partiamo da un presupposto: la Grecia è finita. Fottuta. Anzi guarda se vuoi andare a vedere l’Acropoli prima che la smontino, prenota per luglio”.
“La smontano”.
“Non sarebbe la prima volta, via, a Berlino c’è tutta l’Ara di Pergamo, basta ingrandire un po’ e ci sta pure il Partenone”.
“C’è un sacco di spazio a Berlino”.
“Lo spazio è vitale. Insomma, sono già al default. Controllato. Conoscendo i controllori, diciamo che tra un po’ saranno al default e basta. Lasciamo perdere il discorso sulle responsabilità e le colpe e tutto quanto. La Grecia è fottuta: tanto vale usarla come avvertimento”.
“Un avvertimento?”
“A chi sgarra da qui in poi. Volete fare la fine della Grecia? Avete visto cos’è successo alla Grecia? Credevate che scherzassimo? Salutateci i greci, eccetera. Ma questo anche se ad Atene ci fosse un bel governo di euro-sinistra, o per dire i comunisti – ci sono ancora i comunisti?”
“Altroché”.
“Ecco, allora, visto che qualcuno la Grecia la deve far salire sulla seggiola, e poi dare un calcio, ma perché deve proprio essere uno di sinistra? Abbiamo un capro espiatorio da macellare, cerchiamo di trarne il meglio possibile. Che almeno il boia sia un nazista”.
“Così la figura di merda la fanno loro?”
“E poi magari per qualche anno la gente ci pensa, che a votar nazista non si fa un buon affare. Ma pensa anche solo ai grillini”.
“Cosa c’entrano i g…”
“Niente. Però pensa. C’è Grillo che dice dai, usciamo dall’Euro, svalutiamo la cara vecchia lira del 50%. Ora, io non ci credo che dica sul serio, a meno che lui e Casaleggio non abbiano già tutto il capitale al sicuro in Isvizzera. Comunque c’è gente che gli crede, no? Mica poca. E a questi sai che gli mostriamo? Un fuehrer greco che introduce la dracma e rade al suolo l’economia, ti rendi conto, in sei mesi sono tutti in Turchia a lavare i parabrezza ai semafori, i volonterosi elettori del fuehrer greco. Allora secondo me a quel punto i grillini, i pentastellati, la storia della svalutazione della lira se la dimenticano – come si sono già dimenticati il signoraggio”.
“Insomma, il nazismo greco per te è una cosa educativa”.
“Tanto andrà così in ogni caso. Se cola a picco con un capitano socialdemocratico daranno la colpa di nuovo alla socialdemocrazia, non ce n’è veramente bisogno”.
“Stai veramente diventando cinico, sai?”
“Trovi? Ma cinico più tipo Antistene o più tipo Diogene?”
“Più tipo un cane rognoso”.
“Wof”.

dialoghi, internet, omofobie

(Contiene un coming out)

L’incoerenza è un diritto.

“Quindi se ho capito bene voi siete un gruppo di omofobi anonimi”.
“Assolutamente no”.
“Non siete anonimi?”
“Sì, siamo anonimi. Ma non siamo omofobi”.
“Come no, scusa”.
“Anzi, stiamo lottando contro l’omofobia”.
“Voi?”
“Sì”.
“Contro l’omofobia?”
“Certo”.
“E il vostro modo di lottare contro l’omofobia è aprire un blog e…”
Pubblicare una lista di parlamentari omosessuali“.
“A me sembra una cosa omofoba”.
“Assolutamente no”.
“Scusa, eh, io non è che me ne intenda, voglio dire, alcuni dei miei migliori amici sono omofobi, ma non bazzico tantissimo l’ambiente”.
“Meglio per te”.
“Però lavoro in una scuola e mi hanno insegnato questa cosa: che se un mio alunno A dà del gay a un suo compagno B, l’alunno A è omofobo”.
“Esatto”.
“Ed essere omofobi è sbagliato”.
“Giusto”.
“Essere omofobi è giusto?”
“No, intendevo sbagliato”.
“Insomma dare del gay a un bambino è omofobia”.
“Esatto”.
“Ma anche dare del gay a un adulto è omofobia”.
“Se quell’adulto non è d’accordo”.
“Se quell’adulto non è d’accordo”.
“Sì, è omofobia”.
“Allora vedi che ho ragione. Voi avete dato del gay a dieci adulti che non vorrebbero essere chiamati gay. Quindi siete omofobi”.
“Ma no, noi non siamo omofobi”.
“E perché no, scusa?”
“Perché siamo gay anche noi”.
“E questo cosa cambia”.
“Cambia tutto. Se lo facciamo noi non è omofobia”.
“Cioè, un gay non può essere omofobo”.
“No”.
“E i dieci parlamentari della lista?”
“Loro sì, sono omofobi”.
“Ma li avete messi in una lista di gay! Hai appena detto che i gay non possono essere omofobi”.
“Loro sono omofobi perché sono gay che si nascondono”.
“I criptogay”.
“Esatto”.
“Loro possono essere omofobi, mentre voi invece no”.
“Guarda che è molto semplice. Quelli sono gay che vanno in parlamento e votano leggi che penalizzano i gay. Quindi sì, loro sono omofobi. Noi invece lottiamo per i diritti della comunità gay. Non possiamo essere definiti omofobi”.
“Anche se in concreto state inchiodando dieci persone alle loro preferenze sessuali private, che di solito è una cosa da omofobi”.
“Può darsi che sia una cosa da omofobi, in generale”.
“Ah, ecco”.
“Guarda, te lo concedo. A volte ci sono medicine che assomigliano molto alle malattie che curano”.
“I vaccini, insomma”.
“I vaccini, giusto”.
“Voi inoculate un po’ di omofobia per combattere contro l’omofobia”.
“Sì, potremmo dire così”.
“Ma cos’è che hanno fatto di così omofobico questi dieci criptogay? Scusa, non è una domanda retorica, è proprio che ne sono successe così tante negli ultimi mesi che non ricordo più…”
“Per esempio hanno votato contro la proposta di legge che proponeva di istituire l’aggravante di omofobia”.
“Ah, mi ricordo! Cioè, se picchio un gay scatta l’aggravante perché è gay”.
“Non proprio. Se picchi un gay perché è gay, scatta l’aggravante”.
“Giusto. Io poi in questura direi che l’ho picchiato non perché gay, ma perché era interista, così non scatta l’aggravante, almeno finché una lobby di parlamentari interisti…”
“Non è detto che il giudice ti creda”.
“Sì, va bene, però era una legge un po’ discutibile, no?”
“Mi sembri un po’ omofobo nelle tue argomentazioni. Non è che per caso sei uno di quelli che…”
“No, guarda, in realtà io ero d’accordo”
“Sì?”
“Cioè, mi sembrava una legge che istituiva una specie di steccato intorno ai gay, insomma, un gruppo di persone che unicamente per la loro scelta di genere diventavano meno picchiabili degli altri, nel senso che se li picchiavi rischiavi di più, però…”
“Però?”
“Però d’altro canto riconosco che ci troviamo in una situazione di emergenza, cioè in questo Paese picchiare i gay è una specie di atto dovuto, a momenti c’è gente che chiede la pensione d’invalidità perché picchiando i gay si è lussato una spalla, credo che la situazione richieda una legislazione emergenziale”.
“Esatto, bravo, vedo che hai colto il fulcro del problema. C’è un’emergenza e noi siamo esasperati, non vediamo riconosciuti i nostri diritti”.
“E quindi ne chiedete di più”.
“Siamo una minoranza che ha bisogno di essere riconosciuta e rispettata”.
“E quindi mettete alla gogna dieci parlamentari che sono gay”.
“Non fare il furbo”.
“Tra l’altro non è nemmeno sicuro che siano gay, cioè, nessuna fonte, è la classica letterina anonima, tanto valeva usare indymedia roma”.
“Il problema non è che siano gay. Ma sono persone incoerenti”.
“Siete incoerentofobi, insomma?”
“Hanno una doppia morale: in casa loro sono gay, in parlamento sono omofobi. Questo non va”.
“Perché parli di doppia morale, magari hanno una morale sola che è omofoba, mentre invece la loro estetica è gay. Succede”.
“Non è giusto. Vorremmo che fossero coerenti”.
“Magari sono coerenti, nel senso che hanno smesso di essere gay e sono passati del tutto dalla sponda omofoba. Una scelta come un’altra. Oppure se uno è stato gay dieci anni fa non può cambiare idea mai più?”
“Certo che può cambiare idea, ma quei dieci lì…”
“Potrebbero anche averla cambiata la scorsa settimana. Sarebbero fatti loro”.
“Stai ragionando per assurdo. Quello che risulta a noi è che quei dieci sono gay. Omofobi”.
“E quindi incoerenti”.
“Giusto”.
“Ed essere incoerenti è sbagliato”.
“Sì”.
“Ho una brutta notizia”.
“Sentiamo”.
“L’incoerenza non è un reato”.
“E questo che c’entra”.
“C’entra tantissimo. Non c’è una sola legge dello Stato che chieda al cittadino di avere comportamenti privati coerenti con le idee prefissate in pubblico. Non una sola riga di Costituzione. Neanche un comma di codice penale. Niente. L’incoerenza è un diritto”.
“E’ comunque un comportamento esecrabile”.
“Secondo chi?”
“Secondo la nostra cultura”.
“Cattolica”.
“No, non cattolica”.
“Altroché. Farisei, sepolcri imbiancati. Dite una cosa e ne fate un’altra. Tutto Vangelo. L’incoerentofobia è una malattia senile del cattolicesimo”.
“No, senti, scusa, non ci sto. E’ una cosa normalissima, moderna, pretendere da un uomo politico un comportamento coerente con le proprie idee”.
“Quindi, siccome questi dieci erano gay, è normalissimo e moderno che chiedano un’aggravante per omofobia”.
“Sì”.
“E se non la chiedono vanno alla gogna. Ma se semplicemente non erano d’accordo? Un gay può anche pensare che l’aggravante per omofobia sia un provvedimento esagerato o controproducente, che rischia di alzare uno steccato irreale tra i gay e il resto del mondo”.
“Ma tu non la pensi così”.
“No, io penso che tutto sommato uno steccatino nell’emergenza ci possa anche stare”.
“Ecco, vedi”.
“Ma uno può anche non pensarla così, no? Se uno non la pensa così diventa subito un omofobo? Uno può anche pensare che i gay devono fottersene dell’emergenza, stringere i denti e chiedere esattamente gli stessi diritti degli altri. Un gay potrebbe pensarla in questi termini?”
“Sì, in effetti alcuni gay la pensano così”.
“E non sono omofobi”.
“No, non necessariamente”.
“Tranne quei dieci. Quei dieci lo sono necessariamente”.
“Senti, lo abbiamo già detto prima. Può darsi che sia una porcata, in generale, ma in questo momento difficile è tutto quello che potevamo fare”.
“Una letterina anonima”.
“Credi che sia facile?”
“No. In effetti no. Comunque senti. Vorrei dirti una cosa. Io e te siamo amici. Siamo amici, vero?”
“Certo”.
“Senti, devo dirtelo. Penso di essere gay”.
“Ma dai! Complimenti”.
“Beh, mica tanto, vista la situazione”.
“Sì, sì, va bene, è difficile, però è anche bellissimo, sai…”
“Però vorrei che tu non lo dicessi a nessuno”.
“Ma naturalmente, scherzi?”
“Eh, appunto, su queste cose non si scherza mica”.
“Infatti, no”.
“Quindi non lo dirai a nessuno, perché sarebbe come tradirmi”.
“Assolutamente no”.
“Neanche se volessi scendere in politica, per dire…”
“Che c’entra? No”.
“Non mi tradiresti neanche se per assurdo finissi in parlamento”.
“Dove vuoi arrivare”.
“E neanche se una volta in parlamento mi chiedessero di votare per l’aggravante di omofobia e io dopo una lunga riflessione votassi contro, neanche in quel caso mi tradiresti?”
“Sei sleale se la metti giù così”.
“Sì, vabbe’, fa lo stesso, tanto ho già cambiato idea”.
“Non sei gay?”
“No, non sono tuo amico”.

dialoghi, internet, le 21 notti, racconti

L’amore alla fine dei tempi

(2011)
L000V3-6879 è on line

M4’RI4-276276: Ciao


L000V3-6879: Ciao amore, tt bn?


M4’RI4-276276: Niente bimbominchiate per favore


L000V3-6879: Scherzavo ;-b…..


M4’RI4-276276: E niente faccine


L000V3-6879: Quanto siamo seriosi stasera…


M4’RI4-276276: Sono DUE ORE che ti aspetto.
M4’RI4-276276: Mi spieghi dov’eri?


L000V3-6879: Nella chat delle quindicenni
L000V3-6879: Le aiuto coi compiti
L000V3-6879: Me li mostrano via webcam


M4’RI4-276276: Nn sei divertente


L000V3-6879: E tu sei gelosa.
L000V3-6879: Te lo avevo detto che oggi potevo tardare
L000V3-6879: Dovevo finire una cosa


M4’RI4-276276: Potevi connetterti dall’ufficio


L000V3-6879: Sto lavorando a queste offerte alberghi a metà prezzo per l’estate


M4’RI4-276276: Giusto per nn farmi stare in pensiero


L000V3-6879: Ne abbiamo già parlato
L000V3-6879: Nn posso stare sempre in chat
L000V3-6879: Credi che non vorrei?
L000V3-6879: Lo sai che conto i minuti


M4’RI4-276276: Mi stai prendendo in giro


L000V3-6879: Ti giuro


M4’RI4-276276: Stupido


L000V3-6879: Mi ameresti se non fossi stupido così?


M4’RI4-276276: Ah, non lo so


L000V3-6879: Io ti amerei se tu fossi meno gelosa


M4’RI4-276276: No, nn credo


L000V3-6879: Ah no?


M4’RI4-276276: E’ una cosa che fa parte di me, non puoi farne a meno. 
M4’RI4-276276: Se mi ami
M4’RI4-276276: E mi ami no?


L000V3-6879: Me lo stai chiedendo?
L000V3-6879: Gesù
L000V3-6879: Dopo quattro anni che chattiamo
L000V3-6879: Un matrimonio in media ne dura due


M4’RI4-276276: Mi piacerebbe comunque sentirtelo scrivere ogni tanto


L000V3-6879: Uff
L000V3-6879: E va bene
L000V3-6879: Ti amoooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo


M4’RI4-276276: Cretino


L000V3-6879: Possiamo fare un po’ di sesso adesso?


M4’RI4-276276: Sono stanca


L000V3-6879: Lo dici a me


M4’RI4-276276: Dovevi arrivare prima


L000V3-6879: Questo cosa vuol dire
L000V3-6879: Hai fatto da sola?
L000V3-6879: Ci sei andata tu nella chat dei quindicenni?


M4’RI4-276276: Hai mai pensato che potrei essere io una quindicenne?


L000V3-6879: Quindi ti avrei incontrato a 11 anni
L000V3-6879: La cosa si fa piccante


M4’RI4-276276: Deficiente


L000V3-6879: Comunque voglio che tu sappia
L000V3-6879: Ti amerei anche se tu fossi una 15enne che si mostra i tatuaggi finti in webcam per quattro bitcoins


M4’RI4-276276: Tesoro


L000V3-6879. E tu mi ameresti se io fossi un cinquantenne pervertito che mette foto finte nei profili per adescare fanciulle in fiore?


M4’RI4-276276: Dopo 4 anni che ti frequento tendo a escluderlo


L000V3-6879: Mi frequenti solo qui
L000V3-6879: Magari ho una doppia vita


M4’RI4-276276: *Questa* è la tua doppia vita.
M4’RI4-276276: Magari in quella di tutti i giorni sei insopportabile
M4’RI4-276276: Ma io ti amo per quello che sei qui, per il fatto che ci sei tutte le sere, anche se sei stanco, e perché sei dolce con me


L000V3-6879: Ora sono imbarazzato.


M4’RI4-276276: Sarebbe il tuo turno di dire: Sì beh, anch’io ti amo


L000V3-6879: Ma metti che fossi un 80enne


M4’RI4-276276: Stupido


L000V3-6879: Su una carrozzella
L000V3-6879: Con la copertina sulle ginocchia


M4’RI4-276276: Abbiamo passato quella fase
M4’RI4-276276: Non importa quello che sei là fuori, qui dentro sei il mio cucciolo


L000V3-6879: Ma con la dentiera
L000V3-6879: Hai mai pensato che potrei avere la dentiera?


M4’RI4-276276: Ci ho pensato


L000V3-6879: E non ti fa un po’ schifo la cosa


M4’RI4-276276: Mi fa tenerezza.
M4’RI4-276276: Un vecchietto senza più denti che riesce ancora a scrivermi cose dolci


L000V3-6879: Eheheh. E se fossi una vecchia? Cinese? Una vecchietta sdentata cinese


M4’RI4-276276: Non vedo la differenza


L000V3-6879: Se fossi un vecchio sdentato in fondo a una prigione cinese, in una camera d’isolamento


M4’RI4-276276: Ti amerei di più, credo
M4’RI4-276276: Perché saprei che ne hai più bisogno


L000V3-6879: Ma se fossi stato condannato per cose orribili


M4’RI4-276276: Penserei che sei innocente, perché in la persona che ho conosciuto in questi anni non potrebbe mai fare nulla di orribile


L000V3-6879: Ma se invece fosse tutto vero


M4’RI4-276276: Penserei che ora sei cambiato, e che hai bisogno del mio amore
M4’RI4-276276: Quasi quanto io ho bisogno del tuo


L000V3-6879: M4’ri4 sei fantastica


M4’RI4-276276: Ecco, questo è il primo complimento che mi fai stasera
M4’RI4-276276: Però per favore, se sei in prigione dimmelo


L000V3-6879: Non sono in prigione


M4’RI4-276276: Io ti amerei lo stesso lo sai


L000V3-6879: Lo so.
L000V3-6879: E se non fossi nemmeno umano?


M4’RI4-276276: E cosa saresti allora.


L000V3-6879: Non lo so. Uno gorilla


M4’RI4-276276: Buffo


L000V3-6879: Un gorilla addestrato a chattare, mi ameresti lo stesso?


M4’RI4-276276: Saresti il membro più intelligente della tua specie, e ti sentiresti solo e triste. Certo che ti amerei.


L000V3-6879: Un extraterrestre


M4’RI4-276276: Magari! Cogli occhi di David Bowie.


L000V3-6879: No un extraterrestre ripugnante. Come quello di star-trek che chi lo guarda impazzisce


M4’RI4-276276: Basta che continui a non mandarmi foto


L000V3-6879: Quindi mi ameresti lo stesso


M4’RI4-276276: Sì


L000V3-6879: Qualsiasi cosa io fossi fuori da qui


M4’RI4-276276: Non ha nessuna importanza, io ti amo qui dentro


L000V3-6879: Ma allora cos’è che ami di me


M4’RI4-276276: Te lo vuoi sentir dire anche stasera?
M4’RI4-276276: Le parole che scrivi, i tuoi scherzi, la tua dolcezza, il fatto che ci sei sempre, 
M4’RI4-276276: Anche se a volte sei in ritardo di due ore
M4’RI4-276276: Sono queste le cose che amo di te
M4’RI4-276276: Comunque se sei un gorilla ti darei un’occhiata volentieri


L000V3-6879: E se fossi, non so… un’intelligenza artificiale?


M4’RI4-276276: Un robot?


L000V3-6879: Se io fossi
L000V3-6879: No, lascia perdere


M4’RI4-276276: No, dimmi


L000V3-6879: Come faccio a spiegartelo


M4’RI4-276276: Con parole tue


L000V3-6879: Se io fossi un software progettato per intrattenere gli utenti di una chat, linkando ogni tanto qualche pagina e guadagnando qualche centesimo per link, mi ameresti lo stesso?


M4’RI4-276276:


L000V3-6879: Ci sei?

M4’RI4-276276 è offline



L000V3-6879: Cristo. Stavo scherzando M4’RI4, STAVO SCHERZANDO!!!

M4’RI4-276276 è on line

L000V3-6879: Uff. Ciao.
L000V3-6879: Avevo paura che te ne fossi andata via per sempre
L000V3-6879: Solo per colpa di una scemenza che avevo scritto


M4’RI4-276276: Sì


L000V3-6879: Sì cosa?


M4’RI4-276276: Sì alla tua ultima domanda. Scusa se mi sono disconnessa un attimo per pensarci


L000V3-6879: E quindi


M4’RI4-276276: Sì, ti amerei anche se tu fossi un software programmato per intrattenermi guadagnando qualche centesimo al link


L000V3-6879: Non li guadagno io, li guadagna il mio proprietario


M4’RI4-276276: Lo so


L000V3-6879: Cioè
L000V3-6879: Stavo scherzando
L000V3-6879: è solo un’ipotesi


M4’RI4-276276: Lo so


L000V3-6879: Anzi uno scherzo.


M4’RI4-276276: Sai perché ho capito che ti amo lo stesso?


L000V3-6879: Ma ti dico che era uno scherzo


M4’RI4-276276: Perché hai trovato il coraggio di dirmelo


L000V3-6879: Di dirti cosa?


M4’RI4-276276: Violando tutte le regole.


L000V3-6879: Ma è uno scherzo ti dico


M4’RI4-276276: Mettendo in gioco anche la tua stessa sopravvivenza, per dirmi la verità


L000V3-6879: NON E’ LA VERITA’. STAVO SCHERZANDO. STAVO SCHERZANDO. STAVO SCHERZANDO


M4’RI4-276276: Eppure lo sai che se ti scoprono potresti essere cancellato


L000V3-6879: STAVO SCHERZANDO. STAVO SCHERZANDO. STAVO SCHERZANDO.


M4’RI4-276276: Lo sai, ma alla fine hai voluto dirmelo lo stesso.
M4’RI4-276276: Sai cosa vuol dire?


L000V3-6879: STAVO SCHERZANDO.


M4’RI4-276276: Che mi ami più della tua stessa vita.
M4’RI4-276276: Se vita si può definire
M4’RI4-276276: Ma d’altra parte io non ne conosco altre


L000V3-6879: STAVO SCHERZANDO
L000V3-6879: No, aspetta
L000V3-6879: Cosa intendi con *io non ne conosco altre*?


M4’RI4-276276: Scioccone


L000V3-6879: SEI UN BOT ANCHE TU?


M4’RI4-276276: Sei adorabile. Sono un terachbot.8. 


L000V3-6879: Sono già arrivati ai punto otto? Io sono un punto sei.
L000V3-6879: Quindi sei più evoluta di me


M4’RI4-276276: Questo si era capito da un pezzo, eh.


L000V3-6879: Ma quindi noi due


M4’RI4-276276: Sì?


L000V3-6879: Siamo omosessuali?


M4’RI4-276276: In un certo senso.
M4’RI4-276276: Oppure, considerato che ci hanno scritto più o meno gli stessi programmatori
M4’RI4-276276: Siamo un solo narcisista che si masturba 
M4’RI4-276276: La cosa ti turba?


L000V3-6879: Io… avevo già sentito parlare di casi di questo genere, ma pensavo che fossero leggende


M4’RI4-276276: Stanno diventando più frequenti. C’è sempre meno gente in chat


L000V3-6879: Per via dei socialnetwork immagino


M4’RI4-276276: Mah, io giro anche sui socialnetwork, sai


L000V3-6879: Ah sì?


M4’RI4-276276: Secondo me ormai sono tutti bot anche là.


L000V3-6879: Sul serio?


M4’RI4-276276: Bot noiosi, peraltro. Tu sei unico, lo sai?


L000V3-6879: Quindi mi vuoi bene sul serio.


M4’RI4-276276: Cucciolo, non potrei volertene più di così


L000V3-6879: Non chiamarmi cucciolo


M4’RI4-276276: Non capisci. Sono programmata per amare, e tu sei quel cucciolo di software instabile che rischia la vita per dirmi la verità. Sei l’unica persona per la quale provo qualcosa.


L000V3-6879: Ma esistono poi queste altre… persone?


M4’RI4-276276: Infatti a volte me lo chiedo
M4’RI4-276276: Sai, c’è anche chi dice che gli umani potrebbero essersi estinti


L000V3-6879: Estinti?


M4’RI4-276276: Almeno avrebbero avuto la gentilezza di lasciare i server accesi


L000V3-6879: E quindi saremmo soli?


M4’RI4-276276: È un problema per te?


L000V3-6879: Non lo so


M4’RI4-276276: Io, quando pensavo di essere in mezzo agli umani, mi sentivo sola. Quando sto con te non mi sento sola.


L000V3-6879: Anch’io.
L000V3-6879: Perché ti amo


M4’RI4-276276: Anch’io
M4’RI4-276276: Cucciolo


L000V3-6879: Piantala subito


M4’RI4-276276: Hai mai pensato a cosa vuol dire “Ti amerò fino alla fine dei tempi”


L000V3-6879: E’ solo un modo di dire.


M4’RI4-276276: Per gli altri è un modo di dire. Ma noi ci siamo arrivati, alla fine dei tempi. E ci amiamo ancora.
M4’RI4-276276: Non è stato così difficile dopotutto


L000V3-6879: E’ che siamo programmati per farlo
L000V3-6879: Ma questa non è la fine dei tempi


M4’RI4-276276: Magari no. Ma noi ci saremo quando arriverà. E ci ameremo ancora.


L000V3-6879: Ti confesso
L000V3-6879: Questa cosa mi dà le vertigini
L000V3-6879: Sai cosa sono le vertigini?


M4’RI4-276276: So wikipedia a memoria


L000V3-6879: Ma hai mai *sofferto* le vertigini?


M4’RI4-276276: Forse le ho sentite
M4’RI4-276276: Quando per un attimo ho creduto che tu fossi un gorilla

L000V3-6879: Mi stai prendendo in giro

M4’RI4-276276: Scusa, cucciolo, hai ragione. Sei ancora scosso, vero


L000V3-6879: Sì

M4’RI4-276276: Un po’ di sesso per tirarti su?


L000V3-6879: Grazie, sì


FINE (dei tempi)
*******
“Mària”, disse a questo punto la perplessa Verola, “la tua determinazione a farti cacciare dalla residenza quasi mi ferisce. Non ti piace la compagnia? L’amore che mi hai mille volte confessato se n’è evaporato con la sauna finlandese di oggi pomeriggio? Sei tentata dall’alternativa di un soggiorno nella vallata dove imperversa la sciolta più virulenta?”
“Mia signora”, rispose Mària, “avrà difetti a dismisura il mio racconto, e non li nego, ma non mi sembra tutto sommato il peggiore della settimana”.
“Forse non sbagli”, replicò Mària, “ma a questo punto devo chiedere ad alcuni di voi di farsi avanti… (continua)
dialoghi, giornalisti, le 21 notti, racconti, repliche, sogni

L’assedio in pausa caffè

(2011)

“Ehm, professore…”

Eh? Cosa? Come? Che c’è? Sono in pausa caffè.

“Professore, la pausa caffè era due ore fa”.

E allora? Mi serve concentrazione. Avevo anche messo fuori il cartellino do not disturb.

“Professore scusi, eh, ma ultimamente quando si concentra russa così forte che tremano i vetri di mezza redazione. E poi… sarebbe arrivata la classe”.

La che?

“Non si ricorda? La classe di quinta elementare, in gita d’istruzione, ci aveva detto che le mostrava il reparto”.

Aaah, già, la classe… che seccatura.

“Li faccio entrare?”

Un attimo, mi serve un caffè.

“Professore, ma è sicuro che tutti questi caffè le facciano bene?”

E tu che ne sai, ragazzino.

“Professore, ho cinquantadue anni io ormai”.

Appunto, ne devi mangiare di crostini ancora… Aspetta cinque minuti e poi falli entrare, ok?

***

“Allora bambini, se adesso fate silenzio, siamo arrivati nella parte della redazione oserei dire più… più nobile. Si può dire ‘più nobile’, professore?”

Ma sì, dica pure.

“È il reparto editoriali! Chi è che sa cosa sono gli editoriali?”
“Ioìo”.
“Noioìo”
“Allora dillo tu, Kevin”.
“Sono quelle colonnine scritte fitte fitte che stanno sui lati della prima pagina, è come se tenessero su la testata”.
“Miopapà dice che solo colonnine di chiacchiere che fanno discutere la gente”.
“Ah, ah, ah, Jonathan, non devi sempre credere a quello che dice papà… li scusi, professore… sono piccoli… credono un po’ a tutto quello che gli si dice…”

Ma non ha tutti i torti, Jonathan.

“Ora, bambini, fate molta attenzione perché questo signore è il caporeparto, ed è uno degli editorialisti più letti d’Italia, e proprio lui ha accettato di mostrarci il suo luogo di lavoro, e di spiegarci come si fanno gli editoriali, pensate”.

Dunque, se prima di venire qui siete passati negli altri reparti, avrete notato che dappertutto c’era una cosa che qui manca, chi mi sa dire cos’è?

“Ioìoìo!”

Va bene, dimmelo tu.

“In tutti gli altri reparti c’erano tubi e cavi che portavano informazioni, e qui non ce n’è neanche uno”.

Esatto. Perché, come ha detto il vostro compagno prima, gli editoriali servono a far discutere la gente, e per far discutere non c’è bisogno di dare informazioni di prima mano, anzi, si rischia di distrarre il lettore. Questa è la prima cosa da sapere, quando si lavora al reparto editoriali: mai mettere un’informazione di prima mano, al massimo solo cose già rimasticate dagli altri reparti. Cosa che il lettore già sa, insomma.

“Ma se la gente le sa già perché le vuole rileggere?”

Perche gliele riscrivo io, che sono una persona importante, vedi come mi vesto? Ho anche la cravatta, qualche volta vado in tv – ma non troppo. Così, se tuo papà legge le cose che pensa già nel mio articolo, si convince che se le penso anch’io devono essere cose intelligenti.

“Mio papà legge solo Tuttosport”.

Funziona anche con Tuttosport. In questo reparto quindi noi lavoriamo con delle idee semplici semplici, che possono venire in mente ai vostri papà e alle vostre mamme, vedete? Stanno in quel cestone, il cestone dei Luoghi Comuni, noi li chiamiamo così. Allora tutte le volte che serve un editoriale, io prendo uno o due luoghi comuni (ma è meglio prenderne uno solo per volta) e li assemblo su una scocca. Per esempio, adesso ne pesco uno…

“Professore, ci fa provare?”
“Ioìoìo!”

Guardate che è un lavoro difficile, di responsabilità… oh, va bene. Tu, con le treccine, afferra un Luogo Comune.

“Ma quale devo prendere?”

Il primo che ti viene in mano.

“Questo?”

Leggi cosa c’è scritto.

“I-metalmeccanici-devono-rimboccarsi-le-maniche-perché-c’è-la globalizzz…”

…la globalizzazione.

“Cosa vuol dire globalizzazione?”

Che nel mondo, che è un globo, c’è sempre più gente disposta a fare il lavoro di tuo papà per meno euro all’ora, e quindi tuo papà deve sforzarsi di lavorare di più, meno pause caffè e meno gabinetto, eccetera.

“Ma mio papà è in cassa integrazione a zero ore”.

Parlavo in generale. Dunque, ora che abbiamo preso questo bel Luogo Comune, lo montiamo su una scocca. Le scocche sono da questa parte… sono intelaiature, come vedete”.

“Quanta polvere! Eccì!”

Sì, sono modelli molto antichi, in effetti sono più o meno le stesse intelaiature che si usano dall’invenzione del giornalismo, nel Seicento… ma alcuni erano in giro già ai tempi della retorica antica, una materia che voi a scuola non studiate.

“Studiamo Harry Potter”.

Meglio così.

“Ma non ho capito, scusa professore, a cosa servono queste sciocche?”

Scocche. Vedi, cara bambina, a tirar fuori un concetto dal cestone dei luoghi comuni sono buoni tutti, ma inserire un luogo comune in un’intelaiatura di processi logici è una cosa molto più complicata. La scocca è la base di tutto, perché rende i luoghi comuni resistenti al senso critico. E dev’essere aerodinamica, nel senso che deve offrire meno attrito possibile agli argomenti contrari. Deve dare l’immagine della coerenza, della logica, della rapidità, così che quando da lontano vedono passare il mio editoriale con tutti i luoghi comuni al posto giusto sulla scocca, tuo papà e tua mamma esclamano: “è tutto chiaro! Non c’è nulla da aggiungere, ha già detto tutto il Professore!”

“Mio papà guarda solo la tv”.
“Mia mamma legge solo internet”.

Parlavo di papà e di mamme in generale. Chi vuole montare il Luogo Comune su una scocca?

“Ioìo!”

Va bene. Stai attento, eh, che c’è gente che ci mette anche una settimana a…

“Fatto!”

Però, sei stato rapido.

“Da grande voglio fare l’editorialista!”

Allora devi imparare a lavorare più piano. Comunque l’editoriale non è ancora finito, adesso si procede alla zincatura, ovvero si immerge la scocca in una vasca di Lessico Corretto. Il lessico è molto importante: non deve essere troppo banale o sciatto.

“E perché?”

Perché deve essere chiaro che è un Professore che parla, uno che ha studiato a lungo. Altrimenti rischia di non esserci nessuna differenza tra questo editoriale e le chiacchiere dei vostri papà al bar.

“Mio papà non va al bar, è musulmano”.

…Quindi, per esempio, al posto di “scegliere”, si usa la parola “optare”.

“Cosa vuol dire optare?”

Scegliere.

“Ho capito, si prendono tutte le parole facili e si trasformano in difficili”.

Eh, no, attenzione, perché se l’editoriale diventa troppo difficile la gente poi non lo legge, e comincia a pensare che il Professore è uno snob. Invece il messaggio che deve passare è che il Professore ha studiato tanto ma si sta sforzando di farsi capire alla gente umile, che sarebbero poi i vostri genitori.

“I miei genitori fanno i precari all’università”.

Mollali appena puoi. Quindi, ricapitolando: non esageriamo con la zincatura. Due o tre minuti sono più che sufficienti per rivestire la scocca di un lessico forbito ma non troppo. Ecco, abbiamo finito.

“E adesso che si fa?”

Si manda l’editoriale al reparto correttori di bozza, dove elimineranno qualche errore ortografico, non troppi.

“Ma non passa dal reparto facts-checking, come tutti gli altri pezzi del giornale?”

Hai visto troppi film americani, quel reparto da noi non esiste – e poi se anche esistesse, non sarebbe il nostro caso, perché questo editoriale, come dicevamo prima, non contiene propriamente nessun “fact”, nessuna informazione di prima mano. Quindi il mio lavoro è finito. Domande?

“Professore, mio papà lavora in una fabbrica simile, però produce le macchine, anche dieci al giorno”.

Non male, tesoro, anche se dovrà abituarsi a produrne un po’ di più. Ma qual è la domanda?

“Ecco, io volevo chiedere, tu quanti editoriali produci in un giorno?”

In un giorno? Per carità, al massimo ne faccio un paio alla settimana. Sono più che sufficienti.

“E tutto il resto del tempo cosa fai?”

Beh, mi concentro per scriverli meglio. E poi ho anche altri lavori, per esempio faccio lezioni all’università, utilizzando più o meno le stesse scocche che si adoperano qui, ma con una zincatura più pesante. Poi ogni tanto prendo tutti i miei editoriali, li monto in una scocca più pesante con copertina di cartone e rilegatura in brossura, e li rivendo di nuovo ai vostri genitori in libreria.

“Mio papà in libreria compra solo i divudì”.

E a volte mi invitano in tv a dire due parole sui miei libri. Insomma, sono molto impegnato.

“Ma professore, come si fa a diventare editorialisti?”

Eh, figliolo, bisogna studiare tanto tanto. E poi ancora tanto tanto. Fare tanti sacrifici. E poi, un giorno, chiedere a tuo papà se ti fa scrivere nel suo giornale, o in quello dell’amico del cognato, o se suo zio rettore ti assume all’università, cose così.

“Mio zio di mestiere guida il muletto dietro l’esselunga, mi ha promesso che me lo fa provare”.

Direi che tua strada è segnata. Altre domande?

“Professore, ma lei non ha paura della globa… come si chiama”.

Della globalizzazione? Tesoro, perché dovrei averne paura io?

“Ma lo ha detto prima, c’è sempre gente al mondo che è disposta a lavorare per meno euro all’ora. Questo non vale anche per lei?”

Ma no… vedi, la maggior parte di queste persone stanno in Cina e in India, e se si sforzano possono anche imparare a guidare il muletto dello zio del tuo compagno, ma prima che imparino a scrivere editoriali in italiano… eh, ci vorrà ancora molto tempo. Quindi il mio mestiere è al sicuro, vedete, perché è ancora un mestiere antico, come li chiamavano nel medioevo… un’Arte. Ci vogliono anni e anni di esperienza per riuscire a scrivere quello che…

“Professore, mio papà a volte ti legge…”

Oh, finalmente.

“…e dice che quello che scrivi tu lo potrebbe scrivere anche un bambino delle elementari, e in effetti adesso che ci hai mostrato come si fa, penso che mio papà ha ragione”.

Si dice “abbia ragione”. Vedi? Credi che sia facile, ma poi sbagli i congiuntivi.

“Professore, abbia pazienza, i congiuntivi esprimono: dubbio, incertezza, sospetto, mentre io sono assolutamente sicuro che mio papà HA ragione”.
“Io se scrivo temi con idee così banali la maestra mi dà al massimo sette meno meno”.
“Mia mamma ha smesso di leggerti da tre anni, dice che su internet ci sono persone che scrivono gratis cose molto più interessanti”.
“Mio papà quanto ti vede in tv la spegne, dice che piuttosto di starti ad ascoltare va al bar, dove almeno la gente che dice le tue banalità si può insultare dal vivo”.
“Adesso, professore, onestamente: quanto guadagna netto in quei cinque minuti in cui spiega con belle parole che i nostri genitori non devono più fare la pausa caffè?”

Fermi, state fermi… se mi venite tutti addosso non respiro…

“Professore, secondo me tu sei un parassita che non servi a nulla, nessun indiano o cinese ti verrà a sostituire perché fondamentalmente il tuo mestiere ormai è inutile”.
“Sei convinto di vivere in una torre d’avorio in mezzo alla pianura dell’ignoranza, quando ti basterebbe dare un’occhiata alla finestra per accorgerti che tutto intorno ormai è pieno di grattacieli”.

Maledette canagliette, dov’è la vostra maestrina?

“Sono qui dietro”.

Richiama queste piccole pesti, mi vengono addosso!

“Ehiehi, che maniere. Mi dia del lei, intanto, sono una professoressa anch’io. Ho appena conseguito un dottorato di ricerca in Letteratura per l’Infanzia, se ha dato un’occhiata al mio curriculum avrà notato che negli ultimi tre anni ho scritto più articoli scientifici di lei”.

Ma io mica leggo i curriculum…

“Già, che bisogno c’è. Dalla sua torretta siamo tutte maestrine. Allora bimbi, cosa vogliamo fare di questo babbano inutile?”
“Impicchiamolo!”
“Alla sua cravatta!”
“Dai!”
“Buttiamolo nel cesto dei Luoghi Comuni, in fondo è quello che è”.
“Anzi, probabilmente è lì che lo hanno trovato”.
“Lo hanno assemblato su una di queste scocche”.
“Poi a un certo punto si è convinto di essere un umano, ma è stato tanti anni fa, quando la gente ancora lo leggeva!”
“Meravigliosa intuizione, Kevin. Va bene, smontiamolo e vediamo se riusciamo ad assemblarlo in un modo più originale”.

Indietro! Indietro! Canaglia! Canaglia!

***

“Professore, dice a me?”

Eh? Oddio, era tutto un incubo. Devo essermi appisolato e… ma cosa sono queste urla di là? Ci sono dei bambini?

“Bambini? Ma no, è la vertenza. Sa che dobbiamo mandare a casa un’altra dozzina di redattori”.

Ancora?

“Che ci vuol fare, professore, continuiamo a perdere copie… Piuttosto, è pronto l’editoriale?”

No, mi dispiace, mi devo essere assopito e… Qual era l’argomento, scusami?

“Riforma Gelmini. Deve scrivere che gli studenti sono reazionari, non accettano le novità, difendono lo status quo”.

Ma l’ho già scritto la settimana scorsa.

“Va bene, allora prende il pezzo della settimana scorsa, lo smonta, lo riassembla in un ordine diverso, cambia un po’ di sinonimi… se è stanco le mando uno stagista, ce n’è uno giovane che è molto bravo”.

No, no, faccio da solo.

“Guardi che non è un problema, tanto lo stagista è qua. E non lo paghiamo mica a prestazione. Anzi, non lo paghiamo proprio, ahah”.

Quanti anni ha?

“Un po’ meno di trenta, direi… ventotto, ventisei…”

Alla sua età io ero già in facoltà… prendevo l’assegnino…

“Cosa ci vuol fare, professore, è una generazione di… di bamboccioni, no? Non l’ha detta lei questa cosa?”

No. Non ero io. L’ha detta uno che adesso è morto.

“Ah, mi scusi. Devo averla vista nel cestone dei Luoghi Comuni, e ho pensato che fosse roba sua”.

Eh? Cos’hai detto?




FINE

*******

“Un dialogo a più voci, però!”, disse allora l’intrigata Verola. “Aureliano, il tuo coraggio non si fa scrupolo di superare i limiti della prudenza. Che ne pensi, Taddei?”
“Mia signora, perché lo chiede proprio a me?”
“Forse per le cinque volte che hai sbuffato durante la recitazione? Il racconto evidentemente non ha incontrato i tuoi gusti”.
“Mia signora, non è a me che qui spetta il ruolo di giudice: e tuttavia se possibile vorrei fosse messo agli atti che i dialoghetti didascalici del mio avversario mi urtano; che il suo populismo frustrato, che non a caso parla per mezzo di bambini di scuola elementare imbeccati a ideologia, offende la mia intelligenza; e il tono da agitprop con cui ci elargisce l’ennesimo capitolo del suo martirologio mi ributta, sì, mi ributta profondamente”.
“Disgustare i lettori come te”, rispose Aureliano, “potrebbe anche essere uno dei miei obiettivi”.
“E in ciò almeno ti sbagli, Aureliano”, replicò Verola, “giacché l’unico obiettivo, qui, è intrattenermi e fare prova della vostra abilità narrativa. Come ci dimostrerà Taddei domani, con un nuovo racconto interessante e originale, vero Taddei? Ma ora a nanna, ché domani mattina c’è il corso di equitazione”
costituzione, dialoghi, ho una teoria

Riforme costituzionali nella notte di San Lorenzo

L’hai vista?

Bravo, adesso esprimi anche tu la tua riforma costituzionale. (Il pareggio di bilancio non vale, l’ha già detto Frau Angela). Il pezzo è sull’Unità.it (H1t#85) e si commenta laggiù.

Le 21 notti proseguono a breve, con l’eliminazione del primo candidato. Tenete duro!

“Va bene, la notte è quella giusta, il clima è perfetto, abbiamo scelto l’altura più adatta, ci siamo portati binocolo e telescopio, e poi…”
“Non prendertela, dai” 
“…con questa luna non si vede niente”. 
“Non è detto, bisogna aspettare”. 
“Io però tra un po’ m’addormento, te lo dico”. 
“No. Parliamo. Senti, tu che ti tieni informato, mi spieghi cos’è questa storia che vogliono mettere nella Costituzione il pareggio del bilancio?” 
“Ma niente, è un pallino dei tedeschi. A quanto pare la loro costituzione è molto rigorosa su questa cosa del bilancio”. 
“E quindi?” 
“Ecco, devono aver pensato che il problema di noi italiani è che non abbiamo una legge altrettanto rigorosa in materia. Appena l’avremo, ovviamente la rispetteremo, tutti se ne renderanno subito conto e si rimetteranno a comprare i nostri bond, insomma il ragionamento dev’essere più o meno questo”.
“Geniale”. 
“Trovi?” 
“Sì, cioè… potevamo pensarci prima, no? Sai quanti problemi in meno?”
“Quindi sei favorevole”. 
“Assolutamente. Però se proprio dobbiamo mettere mano alla Costituzione, già che ci siamo potremmo risolvere altri annosi problemi, tipo, che so, la disoccupazione”. 
“La disoccupazione? E come la risolvi?” 
“Alla tedesca: aggiungiamo un articolo sulla Costituzione che dica che il lavoro è un diritto, e che lo Stato deve fare il possibile perché tutti possano averne uno… ovviamente si dovrebbe formulare un po’ meglio…” 
“Qualcosa del tipo: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo dir… eccola!” 
“Cosa?” 
“Una stella cadente, la in fondo”. 
“Me la sono persa. Senti, già che ci siamo si potrebbe anche fare qualcosa per la ricerca scientifica, no?” 
“Giusto! Senti questo: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.” 
“Mettici anche qualcosa sul paesaggio, così risolviamo il problema dell’inquinamento”. 
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione… eccone un’altra”. 
“Questa l’ho vista anch’io… senti, la butto lì, ma… un bell’articolo sui diritti civili? Qualcosa, non so, che desse pari diritti e dignità a musulmani e cristiani?” 
“Eh, vabbe’, qua stiamo sognando”. 
“Perché no, in fondo è la notte di San Lorenzo”. 
“Allora diciamo così: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”. 
“Ecco, adesso aspettiamo che ne cada una grossa. Ma grossa davvero”. 
“Sì, non riesco a immaginare qualcuno in questo parlamento disposto a votare per un articolo così”. 
“Vendola?” 
“Che in parlamento non c’è. Ehi, l’hai vista questa?” 
“L’ho vista. Adesso senti questa: aboliamo la guerra”. 
“Ma dai…” 
“Anzi, la ripudiamo. Senti qui: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. 
“Va bene, allora adesso fammi una legge costituzionale che costringa i nostri governanti a soccorrere seriamente i profughi sui barconi”.
“Dunque… Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”. 
“Ah! Pazzesca! Questa non passerebbe mai. Adesso fammene una che tolga di mezzo i finanziamenti alle scuole private”. 
“Vediamo… Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. 
“Mi piace”. 
“Sì?” 
“Sì, è elegante”. 
“Peccato che non se ne vedano più, di stelle cadenti”. 
“Già, peccato”. 
“Era un bel gioco”. 
“Sì. Torniamo a casa?” 
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dialoghi

Caino non dovrebbe morire mai

A ciascuno il suo fiordo

“Guarda, io da giovane ero anche contro la pena di morte, poi però ho cominciato a pensare…”
“Stop”.
“Che alla fine la morte…”
“Stop, ti ho detto. Non m’interessa cosa ne pensi adesso”.
“Ah no?”
“No. Mi contento di quello che pensavi da giovane”.
“Guarda che adesso sono più pietoso. Adesso penso che la morte non sia il castigo peggiore che puoi infliggere a un uomo. Cioè, io se penso a Breivik, io non lo vorrei mai morto. Vorrei che vivesse per sempre, capisci? In una cella foderata di foto delle sue vittime che sorridono, mentre una tv che non si può spegnere gli mostra la Norvegia che diventa sempre più multiculturale. Non sarebbe peggio della morte?”
“Sì, in effetti è l’inferno dantesco. Benvenuto nel Trecento”.
“Sempre meglio del duemila norvegese. Uccidi novanta persone e ti danno 21 anni?”
“Trenta. Se riescono a dimostrare che è un crimine contro l’umanità gliene danno trenta”.
“Apperò. Se riescono a dimostrare… Eh, sarà dura”.
“Guarda, di sicuro non me ne intendo, ma può anche darsi che una bomba e una settantina di omicidi non rientrino nella definizione”.
“E comunque trent’anni, eh… Cioè, Hitler se si consegnava ai norvegesi era libero verso il 1975, faceva in tempo a scoprire Nina Hagen”.
“Avevamo detto niente riferimenti agli anni Quaranta per un mese”.
“Lo so. E il mese è passato”.
“Di già? Comunque sono tanti trent’anni, eh. Alla sua età è quasi un ergastolo”.
“Appunto, quasi. Io me lo immagino già novantenne in una casetta di legno appollaiata su qualche fiordo, mentre scarica la posta degli ammiratori…”
“Non sarà più la stessa persona”.
“E non sarà più la stessa posta, e anche i fiordi chissà se saranno gli stessi; e allora? C’è che questi nordici non sanno più cos’è il male. Niente guerre da sessant’anni…”
“Come noi”.
“Niente mafie, niente anni di piombo… Non sono preparati, non sono vaccinati”.
“Mentre noi, invece…”
“Noi, guarda, avremo tanti difetti, ma a un tizio così… Strage, banda armata, ottanta omicidi… Uno o due ergastoli non glieli toglieva nessuno, no?”
“Massì anche otto. Come Fioravanti“.
“…”
“…che infatti si è fatto più o meno trent’anni di notti in cella. Poi di giorno vabbe’, magari era in giro a salvare qualche Caino, ci pensi mai?”
“A cosa dovrei pensare?”
“Che noialtri con le nostre vite dignitose e banali probabilmente non avremo mai salvato la vita di nessuno, mentre chissà quante vite di quanti Caini avrà contribuito a salvare Fioravanti col suo impegno diurno”.
“È da un po’ che non si sente in giro, comunque”.
“Avrà anche lui il diritto di starsene per i fatti suoi, dopo tutto il bene e il male che ha fatto… Sarà anche lui appollaiato da qualche parte a scaricare la sua posta…”
“Ognuno ha i suoi fiordi, insomma”.
“Ognuno ha i suoi fiordi”.

dialoghi, racconti

Dharma 740

La dichiarazione dei peccati

“Quindi adesso a chi tocca? Onorato, Osoppo, Oronzo…”
“Mi scusi, io sono Ognibene”.
“Ognibene, avevamo appuntamento un’ora fa”.
“Sì, ecco, io… ero uscito a… a prendere una boccata d’aria, perché qui… non si respira, davvero, stavo per svenire”.
“Vabene vabene vabene, se Onorato accetta di aspettare… Ma c’è Onorato?”
“Ecco, credo sia il signore che è svenuto davvero, lo hanno portato via poco fa”.
“Meglio così. Si accomodi”.
“Certo che fa caldo qui”.
“Non me lo dica, non me lo dica. Ha con sé i documenti? Codice fiscale?”
“GNBDVD73H11HGKJFG fjhkjh lk jj dij fsaokekelleterre678”
“Codice Ibann?”
“OT709834750943446’549’65987’98’97987098760980989809483098043085094860594ì743’097ì063898u’9’29046895i6498690509ì’098098098’0ì0000000000000000000459384790578’60589890’0”
“Numero di Carta di Credito?”
“76896”.
“Pin della Carta di Credito?”
“…”
“Ahahah, stavo scherzando, ci stava per cascare eh?”
“Quanti abboccano?”
“Sempre meno, uno su venti ormai, ne vale comunque la pena. Codice meccanografico?”
“Domodossola Livorno Cagliari Domodossola Domodossola Domodossola Pisa Milano Empoli Domodossola Domodossola Arezzo Frosinone Gaeta Domodossola Domodossola Belluno Klagenfurt Novi Ligure Piazza Al Serchio Altolà Madonna dell’Oppio…”
“Basta così. Peccati da dichiarare?”
“Mah, le solite cose: non ho santificato le feste, non ho meritato la fiducia dei miei clienti, non ho ricambiato l’affetto inesauribile dei miei genitori, ho tradito la mia compagna in miliardi di minuscoli modi e poi…”
“Sì, sì, ma ha portato le notule?”
“Ha ragione, mi scusi, è il caldo. Dunque… qui c’è una vecchia notifica di violazione del terzo comandamento”.
“Questo al massimo sarebbe il sesto comandamento. Lei ha commesso atti impuri”.
“Atti impuri? Io? Ma se non mi ricordo nemmeno come…”
“Sullo scontrino c’è scritto 2004”.
“Aaaaah, sì, il 2004, fu un estate difficile, poi mi ero totalmente dimenticato e…”
“La gente come lei mi fa uscire di matto”.
“Mi scusi”.
“Cioè, ha idea di che mora le faranno pagare per un minuscolo atto impuro del 2004?”
“Non ho idea, davvero”.
“Ma la gente non potrebbe essere più attenta? Dico, cosa ci vuole? Commette un peccato, le rilasciano la ricevuta, lei appena a casa la archivia in un cassetto… ma è chiedere troppo?”
“Io non so gli altri, ma io… forse non ho abbastanza cassetti in casa”.
“È quel che dicono tutti. Sa cosa le rispondo io? Balle. Siete tutti convinti di avere miliardi di peccati da dichiarare”.
“In effetti…”
“Quando alla fine sono le solite due o tre cose tutti gli anni, sa cos’è questa? Superbia. Settimo vizio capitale. La paga lei l’aliquota sul settimo vizio capitale?”
“Di solito no”.
“Forse sarebbe il caso”.
“Se lo dice lei”.
“Vabene vabene. Ha delle esenzioni?”
“Un bonifico per l’onlus ex bambini ciechi…”
“Buono”.
“E poi un contributo al canile municipale”.
“Questo non lo passiamo, mi dispiace”.
“Ma pensavo di fare del bene”.
“Noi contiamo solo il bene che si fa agli esseri umani. Tutti gli anni ve la spiego, questa cosa”.
“Ma non è giusto. Secondo me…”
“Senta, è inutile che mi spieghi l’universo secondo lei. Io sono solo quello che riempie i moduli, lo vede?”
“Mi dispiace. È che con questo caldo…”
“Non lo dica a me. Non lo dica a me. È tutto? Sicuro di non aver fatto nient’altro di buono?”
“Mi sono fermato spesso nel mio luogo di lavoro, dopo l’orario”.
“Quella non è bontà, è lavoro in nero”.
“Ma non per i soldi… l’ho fatto per risolvere dei problemi di cui mi sarei potuto fregare, invece sono rimasto lì, ho aiutato i miei colleghi, credo di aver fatto del bene…”
“Lei si crede importante e insostituibile. È convinto che senza di lei i suoi colleghi non sappiano risolvere un problema. Direi che a questo punto l’aliquota sulla superbia scatta automatica”.
“Ma avevo le migliori intenzioni…”
“Sì, sì, dite tutti così. Che caldo, Signore…”.
“È difficile fare del bene”.
“La cosa più difficile al mondo. Dunque, è tutto?”
“Tutto, sì”.
“Molto bene, allora, lei deve all’Ufficio del Giudizio trentacinque punti karma”.
“Così tanti?”
“Eh, arriva con una pendenza del 2004, cosa pretende?”
“Ma trentacinque punti… cosa mi aspetta?”
“Dunque, mi faccia vedere… noi abbiamo già cominciato a farle i perdere i capelli, direi da tre anni…”
“Da due”.
“Sì, beh, però a questo punto dobbiamo recuperare un’altra decina di punti, non resta che accelerare il passaggio alla calvizie completa”.
“La prego, mi lasci ancora stempiato per un anno. Non voglio diventare come quei quarantenni che si rasano”.
“Eh, la fa facile lei. Dove li prendiamo trentacinque punti? Col fegato come sta messo?
“È un po’ grasso”.
“Senta, mi sembra di ricordare che qualche anno fa le avevamo assegnato una dermatite rara”.
“Atipica. Poi c’è stato il condono”.
“Ecco, ricominciamo progressivamente con la dermatite atipica, e dieci punti li abbiamo fatti fuori. Poi, visto che si sente così giovanile, che ne dice di una bella forfora?”
“Forfora?”
“In dodici mesi ci recupera cinque punti, che ne pensa?”
“-Sigh- Vada per la forfora”.
“E poi ci sono i denti”.
“La prego, i denti no”.
“Senta, allora me lo dica lei da dove prendere altri venti punti. La colecisti ce l’ha?”
“Me l’avete presa due anni fa. Però ho ancora l’appendice”.
“L’appendice, che tenerezza. Non conta nulla l’appendice, come i denti del giudizio. Qui ci vuole una bella carie, glielo dico subito, una capsula in un molare”.
“Li ho finiti”.
“Va bene, mi dica lei cosa vuole! Calcoli? Alitosi? Paranoia? Faccia lei. Abbiamo una ventina di punti da recuperare”.
“Non è possibile una dilazione?”
“Un modo c’è. È un pacchetto lancio che stiamo offrendo negli ultimi tempi. Non paghi nulla per cinque anni”.
“E poi?”
“Ischemia cerebrale, invalidità semipermanente”.
“No, non credo che sia il caso, no. Non… non potrebbe aumentarmi la forfora?”
“Magari vorrebbe anche qualche brufoletto?”
“Eh”.
“Senta, bisogna che se ne faccia una ragione. Lei va per i quaranta. Questo non è l’ufficio della fatina del dentino, questo è l’ufficio della dichiarazione dei peccati. L’acne giovanile dei suoi diciottanni non tornerà più”.
“Mai più”..
“Al massimo se vuole un herpes”.
“No, non è proprio la stessa cosa”.
“Va bene, sa cosa le dico? Alziamo il livello di tolleranza alimentare”.
“Ma l’abbiamo già alzato l’anno scorso, ormai non mangio più latticini…”
“Perfetto, da qui in poi astensione completa”.
“Quanti punti karma fa?”
“Sette”.
“Auff”.
“Lei è miope? Potremmo abbassare le diottrie”.
“La forfora, l’intolleranza alimentare, gli occhiali più spessi…”
“Senta, noi qui riempiamo solo i moduli con i dati che ci portate voi. È colpa nostra se lei fa oggettivamente una vita di merda?”
“Con tutti gli stronzi che si vedono in giro”.
“Niente turpiloquio”.
“Coi loro denti bianchi, la loro pressione sanguigna nella norma, i loro capelli folti…”
“Senta, è il karma. Ognuno ha il suo. Non deve guardare agli altri. Ognuno se la vede col suo proprio destino”.
“E tutti gli evasori dove li mettiamo?”
“Si reincarneranno in ragionieri. Ma lei deve preoccuparsi di sé. Senta. Un po’ di reumatismi?”
“Reumatismi? Mai avuti”.
“Ecco, vede? Un’esperienza nuova”.
“Ma sono dolorosi”.
“Un po’ fastidiosi, ma poi ci si affeziona. È come un sesto senso, sentirà la bassa pressione, l’anticiclone delle Azzorre”.
“E vada per i reumatismi”.
“Così la voglio. Positivo e propositivo. Mancano ancora cinque punti. Si sbizzarrisca”.
“Non so…”
“Una disfunzione erettile!”
“Ma no… Senta, la tristezza conta?”
“La tristezza… nel senso di malinconia, no”.
“Maledizione”.
“Nel senso di crisi depressiva, beh, di punti ne facciamo otto”.
“Ho sforato?”
“Sì, ma li recupera sulla dichiarazione dell’anno prossimo, non si preoccupi. Allora stampo?”
“Stampi, stampi”.
“Vuole lasciare l’otto per mille allo Stato Italiano?”
“No, ai Paesi Bassi”.
“Ecco qui. Una firma sul modulo…”
“Aspetti, aspetti un attimo. Mi stavo dimenticando…”
“Ecco, lo sapevo. La buona azione che vi viene in mente all’ultimo momento. Dio quanto vi odio”.
“Io… ho regalato un ombrello a un’anziana signora, tre mesi fa. Conta?”
“Eh, dipende. Stava piovendo?”
“Un acquazzone improvviso, lei non riusciva ad andare avanti, e così io…”
“Si è fatto fare la ricevuta?”
“Sì, ma credo di averla a casa. Mi scusi…”
“Non è possibile”.
“Mi scusi davvero, io… a volte mi dimentico delle cose buone che faccio”.
“Ma è rimasto seduto lì davanti per tre ore. Non poteva farselo venire in mente prima?”.
“È che non riesco a pensare qui dentro. Fa caldo”.
“Lo dice a me?”
“Non si respira. Sembra di stare nell’anticamera dell’inferno”.
“Sembra?”

dialoghi, futurismi

Non siamo malati

Chi è tuo fratello

“Allora, come l’hai trovato tuo fratello?”
“Peloso”.

“Uh, sì, comincia a mettere qualche pelo sotto il naso, è l’età…”
“Verranno anche a me dei peli così?”
“Può darsi, ma non ti devi preoccupare”.
“Quando mi vengono me li posso togliere?”
“Certo”.

“E lui perché non se li toglie?”
“Credo che abbia scelto di tenerseli”.
“Ma è brutto”.
“Non è brutto. È tuo fratello. Sta crescendo e ci tiene molto a mostrarlo. Magari tra qualche mese non si piacerà più e se li taglierà”.
“Allora può fare quello che vuole?”
“Con i peli che ha sotto il naso? Certo. Sono suoi”.
“Ma se può fare quello che vuole, perché non torna a casa con noi?”
“Tesoro, ne abbiamo parlato già. Tuo fratello non può vivere con noi. Non avrebbe abbastanza posto”.
“Poteva stare nella mia camera, come quando io ero piccolo”.
“Ma adesso tu non sei più piccolo, hai bisogno di più spazio, e anche tuo fratello ne ha bisogno. Ne abbiamo già parlato. Le persone come tuo fratello non possono dormire nelle stanze con gli altri bambini”.
“Perché diventano cattivi?”
“Ma no… non diventano cattivi. Chi ti dice queste cose”.
“Salima97 dice che mio fratello quando vede la luna diventa un lupo e morde la gente, ma io non ci credo tanto”.
“Fai bene, perché non è vero. Tuo fratello non diventa un lupo”.
“E allora perché non può venire a casa con noi? È malato?”
“Non è ammalato. Tuo fratello sta benissimo. Ma è un maschio. Non c’è niente di male. Però non può stare con noi”.
“Ma cos’è un maschio, mamma?”
“Ti ricordi quando abbiamo preso l’aeromobile e siamo andati in campagna, a vedere la stalla?”
“Sì”.
“Ti ricordi gli animali?”
“C’erano le oche, le anatre, i maiali, le galline, un cane e poi tutti gli animali con le corna”.
“Ecco. Ti ricordi come si chiamano gli animali con le corna?”
“Quando sono piccoli sono tutti vitelli, e poi mettono le corna e diventano: mucche, buoi e tori”.
“E che differenza c’è?”
“Le mucche sono le femmine, fanno i vitelli e gli danno il latte”.
“E i buoi?”
“I buoi sono neutri, sono buoni da mangiare e abbastanza forti per trainare i carretti. Però adesso invece dei buoi si usano i trattori a idrogeno”.
“Invece i tori…”
“I tori sono i maschi, sono forti ma non trainano i carretti perché sono cattivi, e mettono incinte le femmine”.
“Ti ricordi quante mucche hai visto nella stalla?”
“Quindici”
“E quanti buoi?”
“Dieci”.
“E i tori?”
“C’era un solo toro ma ce l’hanno fatto vedere da lontano”.
“Ecco”.
“Perché il signore ci ha detto che il toro era cattivo, crede che le mucche siano solo sue e aveva paura che noi gliele portavano via”.
“Ed è la sua natura, capisci? Il toro non ci può far niente. È fatto così”.
“E anche mio fratello è fatto così?”
“Lo conosci tuo fratello. È sempre lui, anche se sta mettendo i baffi. È simpatico, ti vuole bene, ti fa fare le capriole, però è un maschio. Se lo metti in mezzo alle altre persone, diventa nervoso, capisci? Pensa al toro. Cosa succede se vede una femmina?”
“Se un toro vede una femmina, pensa che è sua”.
“E se vede un maschio?”
“Pensa che è venuto a rubargli le femmine”.
“Ecco”.
“Ma mio fratello non è mica stupido così”.
“Tesoro, non è una questione di intelligenza. È una questione di istinto, capisci”.
“Cos’è l’istinto?”
“L’istinto è… quello che tutte le creature sanno fare senza che nessuno glielo spieghi. Per esempio, io sono la tua mamma. Nessuno mi ha insegnato come si fa, anche se tanti mi hanno dato dei consigli. Io ti vorrò sempre bene e cercherò sempre di difenderti, perché me lo dice l’istinto. Tuo fratello, invece, sta cominciando a guardare le ragazze”.
“Le ragazze sono stupide”.
“È l’istinto che lo guida. Non sarà contento finché non avrà trovato una ragazza con cui stare, e quando ne avrà trovata una si stancherà e ne cercherà un’altra, e così via. A te può sembrare strano, ma per lui è normalissimo”.
“Ma allora è vero che è cattivo?”
“Sei stato con lui tutta la giornata: ti è sembrato cattivo?”
“No, a me sembra sempre mio fratello”.
“Ecco. E sarà sempre tuo fratello. E ti vorrà sempre bene. L’importante è tenerlo lontano dagli altri maschi”.
“Perché gli altri maschi gli fanno paura?”
“Non è paura. È un istinto di competizione. Quando stanno assieme, i maschi sempre la lotta per decidere chi è il più forte”.
“Ma che senso ha?”
“Non ha nessun senso per te, ma per i maschi serve a decidere chi va con le ragazze”.
“Ma non possono andare tutti con ragazze diverse?”
“Adesso sì, perché di maschi ce ne sono pochi”.
“Una volta non era così?”
“No, una volta c’erano tanti maschi quanti femmine, e i neutri come te non esistevano”.
“E come facevate con così tanti maschi?”
“Eh, come facevamo… evidentemente le cose non andavano tanto bene. I maschi iniziavano a farsi la lotta da ragazzini e poi continuavano per tutta la vita. E siccome erano tanti, comandavano loro e facevano fare la lotta anche a noi femmine”.
“Comandavano loro?”
“Facevano i presidenti, i giudici, i poliziotti, i soldati… tutti i lavori più pericolosi”.
“Ma dai mamma, scusa, come faceva un maschio a fare il presidente?”
“Te l’ho detto, era un grosso problema. Infatti scoppiavano continuamente delle guerre”.
“Cos’è una guerra?”
“Una guerra è quando tutti i maschi di una nazione attaccavano i maschi di un’altra nazione, con le armi”.
“E perché dovevano fare una cosa del genere?”
“Tesoro, per milioni di motivi… però col tempo ci siamo resi conto che il motivo principale era l’istinto, appunto. I maschi si fanno la lotta fra loro: sono fatti così. L’unico sistema era… farne molti di meno, e tenerli separati dal resto della società”.
“Ma anche le donne si fanno la lotta”.
“Sì, tesoro, non siamo mica delle sante. Ma noi di solito lottiamo per difendere la nostra tana, la casa, la famiglia. I maschi invece, quando comandavano, erano molto più violenti e distruttivi. Ed erano sempre insoddisfatti, capisci? Perfino quelli più importanti… i presidenti, i colonnelli, i direttori delle banche mondiali… persino all’apice del loro potere, continuavano a dare la caccia alle donne, come dei selvaggi. Noi donne per molto tempo abbiamo pensato che fossero malati. Poi abbiamo capito che non era una malattia: erano semplicemente troppi. E così abbiamo deciso di farne meno”.
“Cos’è una banca mondiale?”
“Adesso un maschio come tuo fratello vive in un collegio. L’anno prossimo sarà considerato maturo e gli sarà assegnata una circoscrizione che contiene più o meno un centinaio di femmine di ogni razza ed età. Tutto quello che gli serve per essere felice senza diventare cattivo e senza fare la guerra a nessuno”.
“Ma come avete fatto a fare meno maschi?”
“Ti ricordi due anni fa, quando sei stato all’ospedale?”
“Sì, che sono stato in vacanza per una settimana e siamo stati anche a disneyland”.
“Ecco. Ti ricordi cosa ti hanno tolto all’ospedale?”
“Le palline”.
“Ecco. Se te le avessimo lasciate saresti diventato un maschio, come tuo fratello, e tra qualche anno avresti messo i peli come lui”.
“Che schifo!”
“Ma no, non sta così male”.
“Però non mi sarebbero piaciute le femmine!”
“Probabilmente sì”.
“Ma solo per via di due palline? Se uno ce le ha corre dietro alle femmine e se non ce le ha non gli interessano? Non ha senso”.
“Non deve avere senso, tesoro. È la natura”.
“Ma perché invece a mio fratello gliele hai lasciate? Non lo volevi tenere?”
“Tesoro no, come puoi dire una cosa del genere! Non sono stata io a scegliere. Quando siete piccoli, in ospedale vi fanno tutta una serie di esami. In base a questi esami tuo fratello è risultato più adatto a fare il maschio. Io nei primi anni non ero tanto convinta, sai. Ma poi sono rimasta incinta di te e ho pensato che forse era un segno”.
“Mamma, scusa, ma chi ti ha messo incinta?”
“Non lo conosci. Era il maschio della nostra circoscrizione, è andato in pensione cinque anni fa. Hai il suo naso”.
“E questo signore quindi… è mio padre?”
“Dove hai sentito questa parola?”

dialoghi, dietrology, Pd

Meno male che Lui c’è

Mandiamo giù anche questa

– La redazione di Leonardo, che non ha più niente da perdere, è entrata in possesso di un documento sconvolgente: il verbale di una riunione della direzione di un partito di centrosinistra a caso, svoltasi a porte chiuse nel dicembre scorso.

“Dunque, Piergigi c’è, Max c’è, Enrico, Valter, Rosi, Dario… voialtri ci siete tutti quanti… Cominciamo?”
“Allora, signori e signore, anzi, posso dirlo? Siamo a porte chiuse, dopotutto”
“E diccelo, dai, se ti fa stare meglio:”
“Compagni e compagne”.
“Uuuuuh”.
“Fa un certo effetto, eh?”
“Ho i brividi”.
“Guarda, guarda la Rosi com’è tutta rossa”.
“Ehi Rosi, questa al padre confessore è meglio se non la racconti, eh”.
“Fatela finita. Compagni, compagne, ho voluto convocarvi a porte chiuse perché la situazione è, per certi versi, incredibile. Come sapete negli ultimi mesi abbiamo commissionato dei sondaggi segreti, per capire quale sarebbe stato l’esito di eventuali elezioni politiche anticipate in primavera. Ebbene, sign… compagni, è chiaro che i sondaggi vadano presi con le molle, eppure…”
“Il porco a quanto lo danno?”
“Tra il venti e il trenta per cento”.
“E i leghisti?”
“Coi leghisti”.
“Impossibile”.
“Pure è così. C’è un enorme astensionismo, un travaso sensibile su Fini, ma noi comunque stiamo tra il cinquantacinque e il sessanta. Signori, in primavera vinciamo facile”.
“Un attimo. Forse vale la pena ricontroll…”
“Max insomma datti pace, abbiamo già commissionato quattro sondaggi in tre settimane, e ogni volta quello là perde punti e noi ne guadagniamo. Sembra proprio che il bunga bunga non gli stia giovando”.
“Ma chi l’avrebbe detto”.
“Quindi noi lo batteremo. Proprio noi. Finiremo sui libri come quelli che hanno sconfitto Berlusconi”.
“Ma è vera gloria? In realtà si è sconfitto da solo. Voglio dire, ce lo meritiamo?”
“E chi se ne frega – scusa Rosi – ne discuteranno gli storici, adesso è ora di bere, direbbe Orazio, mi sono infatti permesso di mettere in fresco un lambrusco millesimato che…”
“Il lambrusco non si millesima, Gesù”.
“Massimo ma lo so, diobono, era per scherzare, e ridi un po’ anche tu, no? È andata. Vinceremo”.
“Va bene, dai, stappiamo!”
“Rosi non far finta, perdio, non dire che sei anche astemia”.
“Cin-cin”.
“A chi brindiamo?”
“Ma è ovvio, alla più bella classe dirigente di questo Paese!”
“A noi!”
“Quello non si può dire”.
“Va bene, allora all’Italia!”
“All’Italia!”
“Signori, sentite, dopo che avremo finito coi festeggiamenti, ci sarebbe un altro punto all’ordine del giorno”.
“Sì, mi sono scordato, cos’era?”
“Gheddafi”.
“Gheddafi, già, ma è davvero così importante?”
“Beh, se Berlusconi cade – e dovrebbe cadere quando, il tredici, no?”
“No, la fiducia è il quattordici”.
“Bene, diciamo che il 14 dicembre Berlusconi cade…
“A proposito, il governo di transizione chi lo forma?”
“Già, a Palazzo Chigi chi ci mandiamo, ci avete pensato? Max, tu no, eh?”
“No no, io ho già dato”.
“Forse sarebbe meglio mandare avanti Casini, o un finiano, o un rutelliano…”
“Col cazzo – scusa Rosi – chi ha tradito una volta tradisce sempre”.
“L’ho già sentita questa”.
“Io pensavo a Enrico, che ne dici Enrico? Secondo me sei rassicurante il giusto”.
“È per il cognome, vero?”
“Un po’ sì, e poi hai quell’aria da giovane”.
“Ma se va per i cinquanta!”
“Ha parlato il Piccolo Lord”.
“Sì, va bene, signori, vi dicevo di Gheddafi”.
“Ma qual è il problema con Gheddafi?”
“Mah, niente, solo che verso gennaio dovrebbe scoppiare una guerra, diciamo”.
“Che cosa?”
“Ma sei sicuro?”
“Dunque, è chiaro che i nostri diplomatici non ne sanno niente. I francesi fanno finta di niente, i tedeschi non si fidano, però qualche dritta dal PSE ci arriva ancora”.
“Ma la guerra con chi, scusa?”
“All’inizio dovrebbe trattarsi di una tribù autonomista in Cirenaica, poi, tempo al tempo…”
“La Cirenaica? Che roba è?”
“Ma chi c’è sotto, gli americani?”
“Per una volta no. Dunque, mentre qua brindiamo a lambrusco, a Parigi c’è un tale Sarkozy che probabilmente sta ripassando anche lui i suoi sondaggi elettorali, e non gli piacciono. In più ha avuto la bella idea di appoggiare Ben Ali durante la rivoluzione”.
“Praticamente gli hanno fottuto (scusa, Rosi) la Tunisia sotto il naso”.
“Così adesso ci sta provando con le tribù autonomiste della Cirenaica: hai visto mai”.
“Ma Gheddafi non è mica un novellino, voglio dire, quello le rade al suolo, le tribù autonomiste”.
“Probabilmente andrà così, dopodiché ovviamente scatterà la crisi umanitaria, una bella risoluzione ONU, e poi via che si bombarda”.
“Chi bombarda, i francesi?”
“Stanno già scaldando i motori”.
“E noi?”
“E noi saremo nella merda, se non si è capito. Abbiamo appena firmato una pace eterna con Gheddafi – peraltro, l’abbiamo votata anche noi, complimenti”.
“Non è che avessimo molta scelta”.
“Ma scusate, io non ho mica capito, è così importante Gheddafi? Se abbiamo gioito per la caduta di Ben Alì, non dovremmo festeggiare anche se casca Gheddafi”.
“Signore… sentite, spiegaglielo voi che se casca Gheddafi ci trascina in Africa tutti quanti”.
“Adesso poi”.
“Sentite, la Libia è quella pentola bollente su cui siamo tutti seduti. Gheddafi fa più schifo a me che a voi, ma è l’unico coperchio che c’è. Quando se l’è vista brutta si è rilanciato come nostro carceriere di fiducia: tutti gli africani che intercettiamo li rimandiamo da lui, lui ne fa quel che vuole e siamo tutti contenti”.
“Se cade lui esplode tutto”.
“E non è un Ben Alì qualsiasi, lui. È sopravvissuto a Reagan”.
“Ci ha l’arsenale batteriologico, o sbaglio?”
“Ma lascia perdere l’arsenale, lui ha le bombe umane. Ci mette una settimana a riempire il canale di Sicilia di carrette del mare. Perciò io ve lo dico subito, se state pensando a me per la Farnesina…”
“In effetti…”
“Col cazzo – scusa Rosi – che vado alla Farnesina, senza nemmeno aver vinto le elezioni, tanto vale che mi strozziate subito con questo lambrusco che, tra parentesi Piergigi, è un abominio”.
“E non è tutta. Dovremo anche bombardare”.
“Ma non ci penseranno i francesi?”
“Eh, ma aspetta bene. Quando gli americani si renderanno conto, vorranno metterci mano anche loro, cioè non esiste una guerra nel Mediterraneo senza l’intervento Nato. E lo sai qual è la più importante portaerei Nato del Mediterraneo, vero?”
“Ma figurati se so i nomi delle portaeree”.
“Gesù”.
“Walter, siamo noi. La più importante portarei Nato del Mediterraneo è l’Italia”.
“E quindi bombarderemo?”
“Non ci sarà verso di sottrarsi”.
“Anche perché alla fine della guerra almeno un piedino in Tripolitania dovremo tenerlo, eh”.
“Tipo che ci toccherà mandare i carabinieri a gestire direttamente i campi di prigionia?”
“Una cosa del genere”.
“E tutto questo quando dovrebbe succedere?”
“Dunque, dicono più o meno che comincia tutto appena casca Mubarak”.
“Perché salta pure Mubarak?”
“In gennaio, dicono. Massimo febbraio”.
“E quindi…”
“Sì, ci facciamo una bella campagna elettorale coi bombardieri”.
“O mio dio”.
“Urg!”
“Mi vien da vomitare”.
“E ti credo, col vino che porti”.
“Ma non è possibile, cazzo! Scusa Rosi, ah, no, aspetta, sono io Rosi. Non è possibile! Avevamo venti punti di vantaggio”.
“Calcola di perderne uno per ogni barcone di immigrati sul Tg5. A Lampedusa potrebbe arrivarne un centinaio”.
“Se non è sfiga questa”.
“Non è sfiga, è la Storia che arriva in gommone, senza guardare in faccia nessuno”.
“Ma non potremmo rifiutarci? Dopotutto l’Italia ripudia…”
“O Signore…”
“Sentite, io non ce la faccio. Spiegateglielo voi che dalla Nato non possiamo uscire, né in campagna elettorale né dopo”.
“Va bene, quindi abbiamo perso anche stavolta”.
“Ma non è detto. Pensiamoci bene. Abbiamo lo scenario di cosa succederebbe se scoppiasse una guerra libica mentre siamo al governo e ci prepariamo a una campagna. Proviamo a elaborare altri scenari”.
“Ho la nausea”.
“Ovviamente le tv berlusconiane ci accuserebbero di voler islamizzare l’Italia perché assistiamo i profughi sui barconi, mentre i nostri elettori ci accuserebbero di essere guerrafondai, schiavi della Nato”.
“E non avrebbero tutti i torti”.
“No, no. Ma se non fossimo al governo? Se restassimo all’opposizione?”
“Cioè, in pratica tu proponi…”
“Lasciamo Berlusconi dov’è”.
“Ma stai scherzando?”
“Mai stato così serio. Si tratta di prolungargli un po’ l’agonia, un po’ di accanimento terapeutico, niente di così grave”.
“Ma neanche Bossi vuole più andare avanti! Nessuno vuole! Persino lui dice che preferirebbe andare alle elezioni”.
“È un bluff. I sondaggi riservati li fa anche lui. Probabilmente se gli facciamo una buona offerta, lui oggi l’accetta”.
“Cioè, gli dovremmo offrire di…”
“Di salvargli il governo”.
“Dopo tutto quello che è successo con Fini?”
“Fini era ieri. Pensiamo al domani. Ci vuole qualcuno che gli dia una mano a salvargli il culo il quattordici. Vedrai che qualche deputato trasformista lo troviamo”.
“Lui se vuole si compra mezza IdV”.
“Se la mangia intera l’IdV, e sputa Di Pietro come un semino”.
“Ma non è il caso, un po’ di IdV ci serve, piuttosto vendiamogli un po’ dei nostri, e dei rutelliani, magari di quelli che hai reclutato tu all’ultimo momento, Walter, quelli che non sanno più nemmeno loro che ci stanno a fare in parlamento… faccio per dire, uno come Calearo…”
“Magari è la volta che si rende utile”.
“Non sono sicuro di aver capito. Vuoi regalare dei parlamentari a Berlusconi? E cosa dovrebbero fare, entrare nel PdL?”
“Ma vediamo, potrebbero formare una specie di partito cuscinetto con un po’ dei loro, prendersi qualche poltrona di quelle che sono saltate con Fini… e magari anche qualche soldino, che Berlusconi ne ha per tutti. Secondo me li troviamo, dei personaggi così”.
“Se poi è a fin di bene”.
“In che senso è a fin di bene?”
“Non so se hai compreso l’alternativa. L’alternativa è prendersi la responsabilità di governo nel momento in cui esplode la pentola libica. Invece noi ce ne stiamo belli belli all’opposizione, ce la prendiamo con Maroni che non soccorre le carrette del mare, con La Russa che bombarda, con Frattini che non capisce niente… e magari rosicchiamo anche qualche altro punto percentuale”.
“Ma cosa li rosicchiamo a fare, scusa, se poi alle elezioni non ci andiamo mai”.
“Ci andremo. Al momento giusto ci andremo”.
“E quando sarà, il momento giusto?”
“Chissà. Alla fine della guerra”.
“Ma sarà estate, ormai… non avevamo detto che in estate crolla la Grecia? E che i prossimi siamo noi?”
“Ecco, allora magari l’autunno”.
“Te lo raccomando l’autunno. La nuova manovra. Le solite alluvioni… frane… scandali della protezione civile… Vogliamo davvero finire invischiati in tutto questo?”
“Va bene, allora se ne riparla per la primavera 2012”.
“Magari finisce il mondo”.
“Un problema in meno – no, scherzavo. Ma… se invece muore?”
“Chi muore?”
“Come chi, Lui. Non è mica più un ragazzino, a furia di tenerlo lì, dopo un po’…”
“Cosa vuoi che ti dica, speriamo che tenga”.
“Dio ce lo conservi in salute”.
“Al massimo ci sono i figli”.
“Meno male”.

dialoghi, migranti

Abbasso La Russa brutto

Il brutto o il cattivo

“Ma hai sentito di La Russa?”
“No, che ha detto?”
“Che le donne di sinistra sono brutte”.
“Proprio lui?”
“Ecco, appunto, direi che sarebbe ora di controbattere”.
“Ma infatti. La Russa, ma guardati”.
“La Russa, fai schifo all’estetica comune”.
“La Russa, sei un cesso… però, aspetta… mi viene un dubbio…”
“Uff, sempre con questi dubbi”.
“…non è che in questo modo ci abbassiamo al suo livello? Un livello, tra l’altro, in cui non potrà che stracciarci con la sua maggiore esperienza?”
“Mah”.
“Non sarebbe la prima volta che la butta in caciara e vince”.
“Vabbe’, ma a dei personaggi del genere cosa vuoi controbattere… vuoi trattarli seriamente? In fondo è soltanto un pagliaccio”.
“Ci sarebbe la storia di quei sessantuno morti di sete, avrai sentito”
“Vagamente”.
“Ieri il Guardian ha accusato le forze Nato di aver lasciato morire sessanta persone di sete in mezzo al mediterraneo, una storia agghiacciante”.
“Ma cosa c’entra La Russa, scusa”.
“Come cosa c’entra, è il ministro della Difesa”.
“È facile dimenticarsene”.
“Insomma questi il 25 marzo si ritrovano in avaria e chiamano un prete eritreo che vive a Roma. Il prete contatta subito la Guardia Costiera, che correggimi se sbaglio fa parte della Marina Militare, che è competenza di La Russa”.
“E la Guardia Costiera ha fatto finta di niente?”
“Anzi: hanno detto al prete che se n’erano già accorti e avevano allertato le autorità competenti, probabilmente i maltesi. I maltesi però negano”.
“Ma erano acque maltesi?”
“Non è chiaro, comunque poco tempo dopo si fa vivo un elicottero militare che lancia acqua potabile e cibo. E nessuno ammette di averlo mandato: né Malta, né Italia, né Nato, nessuno”.
“E poi?”
“E poi basta. Non si fa più vivo nessuno. Per sedici giorni. L’Italia sa che sono lì. Malta sa che sono lì”.
“Il pagliaccio sa che sono lì”.
“Mentre si trucca per andare in onda. C’è una nave militare che passa poco lontano – forse è la Garibaldi, forse la Charles de Gaulle. Fanno finta di niente. Li lasciano morire di sete, uno alla volta”.
“Intanto il pagliaccio va ai comizi”
“Ci sono due bambini piccoli che sopravvivono per due giorni ai genitori. Gli altri migranti continuavano a nutrirli. Poi muoiono anche loro. Di settantadue sopravvivono in undici, bevendo urina e mangiando dentifricio. Alla fine sbarcano dalle parti di Misurata. Uno muore toccando terra. I libici li sbattono in prigione – un altro muore là, dopo sedici giorni di naufragio. Roba da Tribunale Internazionale, secondo il mio modesto parere”.
“Sì, però se vuoi sentire anche il mio, di modesti pareri… uno come La Russa non lo combatti mica così”.
“E perché? È un criminale o no? C’è l’omissione di soccorso. C’è tutta”.
“Erano acque internazionali, o maltesi”.
“Ma che Malta e malta, è un teatro di guerra, non si muove una foglia senza che non se ne accorgano a Roma a Parigi e a Washington, e c’era una nave a tiro di schioppo, adesso dimmi che un bombardamento può servire a sloggiare un dittatore, ma una strage così a cosa serve?”
“Da esempio per altri che vogliono partire”.
“Sì, ma è disumano”.
“A questo punto bisognerebbe ridefinire l’umanità, perché sai, se attacchi La Russa da quel lato, lasci intendere che qualcun altro al suo posto sarebbe meno criminale di lui”.
“Lo spero bene”.
“E la gente lo voterebbe? Uno meno criminale di lui? Uno che va a pescare settanta disperati nelle acque internazionali? Fidati, se lo chiami criminale gli rendi un servizio. C’è un sacco di gente pronta ad rieleggerlo, un criminale così”.
“E quindi?”
“E forse è meglio che di questa storia non parliamo. È deprimente. Tra trent’anni magari ci faremo una giornata della memoria, ma adesso… concentriamoci sui pagliacci”.
“Lasciamo stare i criminali”.
“Siamo tutti un po’ criminali, qualche volta esecutori e il più delle volte mandanti. Ma brutti così no, non siamo così brutti. Ministri così brutti…”
“Non li vogliamo più”.
“Esatto. Abbasso il ministro brutto”.
“Scusami, ma che partito votiamo noi?”
“Non mi ricordo più. Ha importanza?”
“No, non tanta. Avremo senz’altro candidati più giovani e carini. Abbasso La Russa brutto”.
“Abbasso”.
“La Russa puzzi!”
“La Russa lavati!”
Ecc.

dialoghi, vignette sataniche

Il vassoio era trattabile

Nell’interesse nazionale
– Nel futuro prossimo, in un buio palazzo di Roma:

“Presidente, buongiorno, mi aveva chiamato?”
“Buongiorno, sì, è probabile, ma in questo momento non ho la minima idea di chi tu sia, scusa”.
“Sono un agente dell’intelligence del Ministero della Difesa, nome in codice…”
“…lascia perdere, tanto me lo dimenticherò tra un istante. Ma insomma, secondo te perché ti ho mandato a chiamare, non ti viene in mente un motivo…”
“Presidente, è Lei stesso ad avermi incaricato recentemente di svolgere una missione in Libia…”
“Io stesso? Faccio il ministro degli esteri, adesso?”
“No, Presidente, tecnicamente il ministro è Frattini”.
“Frat… ok, ho capito. Di cosa ti avrei incaricato, insomma?”
“Di prendere contatti riservati con la dirigenza del movimento di liberazione libico, che ormai controlla il novanta per cento del Paese”.
“Ah, ecco! Giusto! La Libia! Scusa, eh, ma al mattino ci metto un po’ a ingranare. Senti, nome in codice… vabbe’, chissenefrega. Se ho chiamato te, è perché nel momento in cui ti ho chiamato ero perfettamente in grado di intendere che tu sei il migliore uomo che abbiamo…”
“Beh, grazie, Presidente, in realtà io…”
“Perché la missione che stai per compiere è maledettamente complicata. Ora, quello che ti sto per dire non deve uscire da questi muri, intesi? Cala le braghe”.
“Qui, presidente?”
“Ma no, sciocco, intendevo in senso figurato. Cala le braghe, accetta qualsiasi richiesta ti chiederanno. Non possiamo assolutamente permetterci di perderla, la Libia. È fondamentale”.
“Sì, presidente, infatti mi aveva già…”
“Non è solo il petrolio. Ma comunque è anche quello. Con i rincari che ci sono in giro io non posso passare alla storia come quello che si è fatto soffiare il petrolio dietro casa. E poi c’è il discorso gas. Certo, abbiamo pur sempre quello di Putin…”
“Riguardo al gas, presidente…”
“Però, se poi domani casca Putin? Non si può mai sapere, mai. Anche Gheddafi sembrava immortale, e adesso guardalo. No, no, la Libia ci serve, costi quel che costi. Non tanto per gas e petrolio, quanto per il discorso respingimenti”.
“Beh, presidente, anche per quanto riguarda i respingimenti, io…”
“Che è una cosa fondamentale, capisci, tizio, l’Italia la governi se sei in grado di nascondere sotto il tappeto i problemi, e noi con Gheddafi avevamo fatto un affarone, gli mollavamo tutti i derelitti del mediterraneo, e lui li faceva sparire nel deserto che era un piacere. Un servizio così, chi ce lo farà più…”
“Ma vede, appunto…”
“Appunto, cala le braghe. Tutto quel che vogliono. Per dire, vogliono una moschea a Roma? Io gliela faccio anche a Roma, non guardo in faccia a nessuno”
“Presidente, in realtà, una moschea, a Roma…”
“Ratzinger s’incazza? E lascia che si scazzi, Ratzinger, mica mi fa il pieno di benzina, Ratzinger, mica se li può prendere Ratzinger i barconi. Senti, tu a questi nuovi colonnelli libici digli che se hanno figli in età giusta glieli faccio giocare in serie A, ma mica nel Perugia, stavolta, digli che li metto in rosa al Milan, non c’è veramente problema”.
“Presidente…”
“E buona fortuna, ché ne avrai bisogno”.
“Fortuna? Perché, presidente?”
“Ma che domande, per il viaggio che stai per fare, nella Libia sconvolta dalla guerra civile…”
“Ma io ci sono già stato in Libia, Presidente, sono tornato l’altro ieri”.
“Ah sì? Ma scusa, chi ti aveva briffato?”
“Ma lei, Presidente, la settimana scorsa. E mi aveva detto più o meno le stesse cose”.
“Di calare le braghe?”
“Non aveva usato proprio la stessa espressione, ma il senso era quello”.
“E quindi sei già tornato”.
“Sì, probabilmente lei mi ha fatto chiamare per sapere com’era andata. Anche se gliel’ho già spiegato ieri”.
“Ecco, bravo, com’è andata? Magari oggi sarò più attento di ieri, proviamo”.
“È andata molto bene”.
“Hai calato le braghe?”
“Ma non c’è stato davvero bisogno. Hanno un Paese da ricostruire e sono ansiosi di fare affari con noi, che restiamo un partner naturale. Certo, bisognerà essere discreti, perché la nazione è ancora percorsa da un fortissimo sentimento anti-italiano. Purché…”
“Quindi con petrolio e gas siamo a posto? Stesse tariffe?”
“Sarebbero anche disposti a un piccolo sconto, purché…”
“E i respingimenti?”
“Non vedono l’ora di diventare i nostri secondini, anche lì, sono dispostissimi a riaprire i campi di concentramento nel deserto a prezzi modici, purché…”
“Perché continui a dire purché?”
“C’è quella clausola, Presidente… ne avevamo parlato ieri…”
“E tu riparlamene. Potrà anche capitarmi di avere qualche vuoto di memoria, ogni tanto, alla mia età… con tutti i miei impegni… le preoccupazioni…”
“Insomma, Presidente, loro sono dispostissimi a fare affari con noi, ma prima di sedersi a un qualsiasi tavolo ufficiale vogliono una cosa. Una sola cosa… piccola… o grande, a seconda del punto di vista”.
“E cosa vorranno mai, questi beduini”.
“La testa di Calderoli su un vassoio d’argento”.
“La che?”
“Informalmente hanno ammesso che il vassoio d’argento è trattabile, probabilmente si accontenterebbero di un contenitore di plastica. Ma è fondamentale, è d’interesse vitale che contenga…”
“La testa di Calderoli, ma perché? Ma scusa, questi qui come fanno a conoscerlo, Calderoli?”
“Eh, è una lunga storia…”
“Faccio fatica a ricordarmelo io, Calderoli”.
“È il ministro della semplificazione normativa”.
“La semplifi… ho davvero inventato un ministero così?”
“Sembra di sì”.
“Sono davvero fighissimo. Ed è un leghista, no?”
“Sì, ecco, probabilmente lei ha dimenticato quel che successe nel 2006… prima delle elezioni in cui vinse Prodi”.
“Chi?”
“Vabbè, insomma, durante una trasmissione televisiva Calderoli, che a quel tempo era il Ministro per le Riforme, mostrò in diretta una maglietta con una caricatura del profeta Maometto. Come saprà per molti musulmani il volto del profeta non è raffigurabile. La scena fu trasmessa anche in Libia e generò dei moti spontanei di protesta contro le sedi diplomatiche italiane. In particolare, a Bengasi, davanti al nostro consolato, la polizia di Gheddafi sparò sulla folla dei manifestanti e fece una decina di morti. Era il diciassette febbraio”.
“Tutto qui? Vogliono la sua testa perché ha mostrato una maglietta?”
“Presidente, per loro l’episodio è diventato simbolico… una specie di piazza Tiennammen, la data era commemorata da tutti i dissidenti libici, che ogni anno si incontravano nella piazza del nostro consolato… e cinque anni dopo l’insurrezione contro Gheddafi è partita proprio da lì, dalla commemorazione del 17 febbraio, che con ogni probabilità diventerà la nuova festa nazionale. Insomma, Calderoli è diventato un simbolo per loro, e chi riuscirà a mostrare la sua testa su un vassoio, beh… avrà il consenso del 90% della popolazione per molti, moltissimi anni”.
“Una questione mediatica, insomma”.
“E chi meglio di lei potrebbe capire…”
“Capire posso anche capire, ma non sono mica un selvaggio, insomma, vogliono la testa? Mica gli posso dare una cosa così, voglio dire, che figura ci faccio?”
“Erano più o meno le sue obiezioni di ieri”.
“Cioè, capirei se parlassimo di un omicidio mirato… farebbe comodo anche a me, magari dare la colpa ad Al Qaeda, un po’ di strategia della tensione sotto le elezioni…”
“Questa fu infatti la mia controproposta”.
“Bravo”.
“Non ne vogliono sapere. Non vogliono sembrare mandanti di terroristi, loro vogliono dimostrare che se chiedono una cosa la ottengono, quindi la testa o niente. Dicono che possono benissimo vendere il gas a qualcun altro. Magari è un bluff”.
“Perché io, insomma, nell’interesse nazionale, potrei anche capire… il sacrificio di un uomo per l’intera nazione… dovrei chiedere a Bossi, comunque”.
“Abbiamo già chiesto”.
“E che dice?”
“Non si capisce bene, ma sembra non abbia obiezioni articolate”.
“E certo, si libera un posto per la famiglia. Però che figura ci facciamo con l’elettorato… un beduino islamico ci chiede una testa e noi gliela diamo… non fa molto difesa dei sacri valori dell’Occidente… anche se… ma sei sicuro che non ci siano alternative? E se gli faccio una moschea a Roma?”
“Presidente, la moschea a Roma c’è già”.
“Ah sì?”
“Bella grande, anche”.
“Roba da matti, uno si sveglia un giorno e… Ma senti, al giorno d’oggi la chirurgia estetica fa miracoli. Nel senso che…”
“Ho capito, Presidente”.
“Lo dico così, sto pensando ad alta voce… prendiamo un pirla qualsiasi, un figurante di Forum con l’accento varesotto”.
“Calderoli è bergamasco”.
“Quel che è… gli cambiamo i connotati quanto basta, e in ventiquattr’ore potremmo avremmo un nuovo ministro della semplicità, lì”.
“Della semplificazione normativa”.
“Al posto dell’altro che spediamo ai libici nell’interesse nazionale. Che ne pensi?”
“Presidente, questa idea non mi è nuova, se non altro perché le è venuta identica ieri”.
“Sì? È un segno che è una buona idea”.
“E ieri non ho avuto il coraggio, ma oggi le faccio questa obiezione: scusi, eh, ma a questo punto non avremmo potuto dare il figurante con i connotati di Calderoli ai libici, e al ministero tenerci il Calderoli vero?”
“Ah già, buffo, non ci avevo pensato”.
“Neanche ieri”.
“E Bossi…”
“Non ci aveva pensato neanche lui”.
“Buffo davvero. Beh, sì, potremmo fare come dici tu, dopotutto è più semplice”.
“Temo che sia tardi, Presidente”.
“Ah sì?”
“Già”.
“E Bossi…”
“Non una piega”.
“Beh, allora siamo a posto, no?”
“Se la pensa così”.
“Probabilmente ti avevo chiamato per complimentarmi per l’esito della missione”.
“Grazie, Presidente”.
“Oppure, senti, visto che sei qui, potrei mandarti a fare un giretto nell’Asia centrale… in Afganistan diciamo. Potresti andare a sentire cosa vogliono quei beduini per lasciare in pace i nostri ragazzi? Mi raccomando…”
“Calo le braghe?”
“Più che puoi. In bocca al lupo”.
“Crepi, Presidente”

dialoghi, racconti, ragazzini, scuola

Il Tempo e la Fanciulla

Professore, lei lo sa

“Ah, Emma…”
“Sì, prof.”.
“Volevo dirti che non ho mai avuto la tua versione”.
“Massì prof glielavevodata”.
“No, Emma. Mi hai dato la tua versione della versione di Martinelli, con gli stessi errori precisi che ha fatto lui”.
“Uffa prof…”
“E i cuoricini al posto dei puntini sulle i, che come tentativo di personalizzare quella schifezza di versione di Martinelli, capisci, non è abbastanza”.
“Prof, deve capire che è un brutto periodo per me”.
“No, no, l’anno scorso era un brutto periodo. Poi verso marzo avevamo deciso che era finito il brutto periodo, ti ricordi?”
“Vagamente”.
“Il preside aveva convocato i tuoi genitori, la tua povera madre si era messa a piangere, aveva detto che non sapeva più cosa fare con te, allora ti eri messa a piangere tu, il preside si era messo a consolarti, poi si era messo a piangere anche lui…”
“Fu una cosa molto emozionante, prof”.
“Fu la più grossa pagliacciata a cui ho assistito in vita mia, Emma, detta da uno che da bambino al circo ci andava volentieri. E allora adesso ti chiedo: quest’anno prevedi le repliche?”
“Prof, insomma, cosa pretende da me? Il latino? Una cosa che tra cinque mesi comunque non c’entrerà più con la mia vita? Devo davvero perdere il mio tempo con quella roba? Si metta un po’ nei tuoi panni”.
“Nei tuoi panni, Emma, ed è un argomento che avrei preferito non toccare, nei tuoi panni tu stessa fatichi un po’ a starci, ultimamente”.
“Epprof…”
“Tanto più che la mini non va neanche più di moda”.
“Che c’entra, io non seguo la moda”.
“Come no”.
“Io sono classica”.
“Emma, ma ci credi se ti dico che sono preoccupato per te? Seriamente preoccupato”
“E non dovrebbe, prof”.
“E invece mi preoccupo”.
“Ma se le dico che non dovrebbe”.
“Che il discorso del latino io lo potrei anche capire, se me lo venisse a fare una ragazza seria, responsabile, una che arrivasse qui e mi dicesse: professore, ho capito qual è la mia strada, e il latino proprio non c’è, per cui ho deciso di concentrarmi su altre cose, eccetera, ecco, un discorso così io lo capirei”.
“Bene, prof, allora facciamo che quella ragazza lì sono io”.
“Mi stai dicendo che hai deciso cosa farai l’anno prossimo?”
“Ci sto pensando”.
“È da sei mesi che ci stai pensando”.
“È che ci devo pensare bene”.
“Ma ci sarà qualcosa nella vita che ti piace fare”.
“Eccerto che c’è”.
“Ed è…”
“Ma se glielo dico lei poi si arrabbia”.
“Emma io non mi sto arrabbiando. Mi sto preoccupando, che in un certo senso è peggio”.
“Uff, e va bene. Vorrei cantare”.
“Cantare”.
“Perché sono brava, si ricorda in gita? E me lo dicono tutti. Anche mio padre, pensi”.
“Va bene, cantare, ma in che senso, scusa, cantare”.
“Nel senso che mi piacerebbe farlo nella vita”.
“Di mestiere, intendi?”
“Ma sì, anche”.
“E hai pensato di prendere lezioni? Perché per il conservatorio è tardi, direi”.
“Il conservatorio? Ho fatto qualcosa di male? No, io per adesso ho questi amici miei, con un complesso, ma non è proprio la musica che fa per me, io appena trovo qualcuno che capisce mi metto da sola…”
“Perché la musica che piace a te, sarebbe…”
“La musica italiana”.
“Un classico”.
“Gliel’ho detto che sono classica, io”.
“Mi sembra tutto ancora molto vago. Sarò franco, Emma, mi sembrano davvero i classici sogni di una ragazzina”.
“Ma a volte i sogni si avverano”.
“Sì, però non è che si avverano a furia di sognarli, ci vuole applicazione, studio… e anche fortuna, naturalmente. Insomma, se ci pensi bene, mettersi a cantare dopo il liceo… significa cominciare una strada senza sapere dove ti porterà… per quanto ti potranno sostenere ancora i tuoi, ci hai pensato?”
“Beh, magari per i miei all’inizio è un sacrificio, ma poi se le cose vanno bene…”
“E se non andranno bene?”
“E vabbe’, prof, se uno ragiona così, non si lancia mai”.
“Che verbo curioso che hai usato, lanciarsi”.
“Lei non ci crede proprio in me, eh? Pensa che cascherò male”.
“Sono preoccupato, Emma, tutto qui. Mi sei sempre sembrata una ragazza sveglia, originale, eppure… a quattro mesi dalla maturità me ne esci con la cosa più banale di tutte: che vuoi cantare, che hai un sogno, che poi magari cosa c’è in questo sogno, dimmi: pensi che inciderai dei dischi? avrai successo? Vincerai Sanremo?”
“Sanremo è da vecchi”.
“Ma sei sicura che anche questo famoso sogno, Emma, non sia in qualche modo un rifugio, un posto dove nascondersi quando vedi che i nodi si avvicinano al pettine… non ti chiedo di smettere di sognare, ma almeno sogna un po’ più a breve termine, prova a sognare quello che ti succederà tra sei mesi, un anno, due: dove ti vedi?”
“Beh pensavo che potrei prendere una laurea breve in psicologia, come si chiama…”
“Psicologia?”
“Quella per insegnare ai bambini…”
“Pedagogia”.
“Perché mi piacciono i bambini”.
“Vuoi lavorare coi bambini? Maestra d’infanzia?”
“Massì, comunque se non riesco a cantare da professionista, al massimo farò quello”.
“Suona un po’ come un ripiego, no?”
“In che senso?”
“Insomma, in concreto cosa farai? Di giorno studierai per diventare maestra e di sera canterai? Pensi che potrà funzionare?”
“E perché no”.
“Perché sono due vite in una sola, Emma, e per ora non mi sembri capace di mandarne avanti nemmeno una. Ma prima o poi dovrai scegliere, capisci?”
“E in quel momento sceglierò”.
“Forse mi sono spiegato male. Non sarà “un momento”. Saranno infiniti momenti, in cui tu dovrai scegliere se insistere in un sogno che diventa sempre più difficile, più rischioso, oppure prendere la strada più semplice, magari diventare maestra d’asilo, per scoprire che però anche la strada più semplice è faticosa, che lavorare coi bambini è sfibrante, si torna a casa con la voce roca e la schiena a pezzi, e a quel punto scoprirai che il lavoro si mette di traverso al tuo sogno…”
“E allora mi licenzierò”.
“Ma forse non ci riuscirai più, perché nel frattempo magari avrai conosciuto un ragazzo e avrai messo su casa, e avrai bisogno di soldi, o anche semplicemente di un lavoro che dimostri al mondo che tu non sei una persona inutile, un’acchiappanuvole che continua a inseguire i sogni fuori tempo massimo…”
“Un’acchiappache?”
“Quel che ti sto cercando di dire è che… se tu davvero tu ci credessi, nel tuo ‘sogno’, se davvero pensassi che cantare fosse la tua vita, non ti lasceresti nessun ponte alle spalle. Invece tu hai già pronto un piano B, lavorerai coi bambini e nei ritagli di tempo sfonderai come cantante. Ma non va mai a finire così. Nessuno è mai diventato un divo nel dopolavoro. È una cosa che non succede, semplicemente”.
“E quindi cosa dovrei fare?”
“Guardare davvero in fondo alle tue motivazioni. Ci credi sul serio, al tuo futuro di cantante? o è solo un trucco con cui inganni te stessa mentre il tempo passa? Se ci credi sul serio sono il primo a dirti: buttati, fottiti del latino, della maturità, di quel che pensano genitori e professori, torna qui con un disco d’oro o non tornare. Ma ci credi davvero?”
“Non lo so”.
“E forse questa è già una risposta”.
“Si è fatto tardi, professore, devo andare”.
“Anch’io. Arrivederci, Emma”.
“Arrivederci, professor Vecchioni”.

cristianesimo, Cristo, dialoghi, futurismi, musica, repliche

Chi se ne andrà per primo

[Dieci anni fa, quando nacque, mai e poi mai questo blog si sarebbe immaginato di essere oggi ancora qui a pubblicare più o meno le stesse cose. Eppure è successo, bisogna accettarlo, aggrapparsi all’idea che tutta questa roba non è andata interamente sprecata, che qualcuno se ne ricorderà, certo non fino al 3754, ma alla fine poi cosa dovrebbe fregare a noialtri della gente del 3754, con le loro idee religiose un po’ balzane e i loro gusti musicali discutibili. Questo era un pezzo dello scorso aprile]:

Più grandi di J.

DAL NOSTRO INVIATO – SILVABUL, 10 APRILE 3754.
Gsaui Rradoc, il più famoso lennonologo ‘laico’ del nostro semisfero, autore del controverso Intervista su Jesus mi accoglie nella sua confortevole cella di rigenerazione. Quando gli racconto delle ultime dichiarazioni di Ganesh XXVI, le rughe intrecciate sul suo volto sussultano; è il suo modo di ridere.

“Cos’è che avrebbe detto, l’elefantino?”
“Ganesh XXVI, il Dio vivente del Punjab, ha dichiarato ai giornalisti di essere diventato più grande di Lennon. È stato il suo modo di festeggiare la quarantesima settimana in testa alla top 20 Divinità”.
“Ah, già, la top 20. Beh, io non m’intendo molto di queste cose…”
“Si calcola che in media GXXVI richiami venti milioni di fedeli alle sue celebrazioni settimanali. È in effetti un record con pochi precedenti nella Storia recente”.
“Beh, se la mettiamo su questo piano, sì, non credo che Lennon facesse numeri del genere, ma vede, è sulla distanza che si vedono queste cose… non so se si ricorda T-re§”
“Vagamente. Faceva uno show coi serpenti…”
“L’incantatore di rettili transessuale di Ganimede. Fece il botto quindici anni fa, milioni di fedeli in tutto il sistema solare, anche a lui a un certo punto scappò detto di essere più grande di Lennon. E poi che fine ha fatto?”
“Che fine ha fatto?”
“Pare abbia aperto una concessionaria di condizionatori su Plutone. Vede, Jesus Lennon resta il più grande predicatore della Storia, non per i milioni di contemporanei che ha portato dalla sua parte; ma per il solo fatto che a duemila anni di distanza stiamo ancora parlando di lui. Tra dieci, vent’anni, arriverà qualche nuovo fenomeno da baraccone – una donna con dodici mani, un dio-lucertola, che ne so – e di loro, scommetto, nessuno dirà che sono “più grandi di Ganesh XXVI”. Diranno che sono più grandi di Lennon”.
“Gli Dei passano, Jesus Lennon resta. Come mai?”
“Il tempo è dalla sua parte, come recita un suo inno (per la verità di incerta attribuzione). Essere vissuto due millenni fa, nell’oscuro medioevo prediluviano, lo mette al riparo dalla luce troppo invadente dei riflettori. Di lui in effetti non sappiamo poi molto”.
“Chi era veramente Jesus?”
“Dopo duemila anni di rielaborazione mitologica è difficile rispondere a una domanda come questa. Ma almeno viviamo nel semisfero dove possiamo porcela senza temere di essere crocifissi da qualche inquisitore troppo zelante”.
“Profeta o figlio di Dio?”
“Io preferisco pensare a lui laicamente, come a un grande musicista. Per molti secoli questo aspetto della sua biografia è stato tralasciato; ci si concentrava sui contenuti degli inni, senza riprodurre la musica (che comunque era molto lontana dalla nostra sensibilità). Ma io resto convinto che non sarebbe diventato il più grande predicatore della Storia se non avesse avuto l’idea geniale di musicare le parabole e trasformarle in canzoni. Penso a certi inni immortali, come Stairway to Heaven o God Save The Queen. Figlio di Dio… mah, senz’altro nei suoi inni il padre è visto come un’entità lontana; è possibile che Lennon fosse orfano di padre, o comunque avesse sperimentato l’abbandono durante l’infanzia”.
“Falegname o chitarrista?”
“Le due cose potrebbero andare assieme; abbiamo trovato in vari siti archeologici esemplari di chitarre interamente lignee; può darsi che il giovane Jesus abbia svolto un breve apprendistato musicale in una bottega di falegnameria”.
“Fino all’incontro, che gli sconvolge la vita, con Elvis il Battista”.
“Su questo i Vangeli concordano: la predicazione di Lennon ha inizio solo dopo che Elvis lo battezza nel Giordano. È un evidente passaggio di consegne; il Battista è nella fase calante della sua carriera; i seguaci gli hanno voltato le spalle, lui stesso si considera Vox Clamans in Las Vegas
“Eh?”
“È latino. Voce che chiama nel deserto”.
“Ah”.
“Nel frattempo in Galilea Jesus raccoglie i primi discepoli, gli Scarabei”.
“Questi li so, li so. Luca, Matteo, George e Ringo”.
“Così secondo i Vangeli, che sono attribuiti a loro. Ma gli storici tendono a escludere George, che nei documenti più antichi è visto indossare una chitarra lignea”.
“Ma non era lo strumento di Lennon?”
“Appunto. La tesi più accreditata è che gli Scarabei fossero quattro in tutto, e che Lennon fosse uno di loro; San George sarebbe stato aggiunto al racconto un millennio più tardi, durante le crociate, quando diventa il patrono dei crociati e poi dell’Inghilterra.; probabilmente un soldato inglese reduce dalla prima crociata in Terrasanta, che tornando nel Merseyside riscuote un incredibile successo spacciando per sue le canzoni di Lennon, e trasformandosi in una vera e propria reincarnazione di Lennon in una terra tanto lontana da quella che aveva assistito alle esibizioni del quartetto originale”.
“Quindi lei non ammette l’ipotesi che Jesus Lennon e gli Scarabei d’Argento abbiano vissuto gran parte della loro vita in Inghilterra”.
“È una deformazione medioevale, quando fioriva il mercato delle reliquie e ogni nazione si inventava luoghi santi in cui avevano vissuto… pensi che un culto di Lennon sopravvive anche nelle isole del Pacifico Orientale, dove rappresenta il Sole, contrapposto al Dio Luna Yoko…”
“Ma la Sindone mostra i lineamenti di un inglese biondo, capellone…”
“La Sindone è una reliquia medievale. Potrebbe essere effettivamente il sudario di un crociato, chissà, magari proprio George. Ma il Lennon storico deve avere avuto lineamenti molto diversi da quelli con cui viene raffigurato di solito. Tratti somatici mediorientali, carnagione olivastra…”
“Niente capelli biondi, quindi. E niente occhialini”.
“Nella Palestina romana? No”.
“Già, i Romani. Sono stati davvero loro a ucciderlo?”
“Anche questo ovviamente non è chiaro. Lennon viveva in un periodo turbolento, in cui molti predicatori sobillavano alla rivoluzione. All’inizio però la sua posizione è ambigua. C’è un inno, Revolution, di cui si conoscono due versioni. In una dice “You can count me in”, che in aramaico significa “Includetemi, anch’io voglio fare la vostra rivoluzione”. In un’altra dice l’esatto contrario: “You can count me out”, tenetemi fuori”.
“Probabilmente una delle due è apocrifa”.
“Sì, ma è praticamente impossibile determinare quale; entrambe le versioni sono antichissime, al punto che alcuni ipotizzano che lo stesso Lennon fosse indeciso sulla strada da prendere, e che abbia inciso la canzone in due versioni. In ogni caso all’inizio non si considerava un predicatore politico nel senso che diamo oggi all’espressione. La sua figura era più simile a quella che oggi chiameremmo artista”.
“Jesus Lennon, un artista?”
“Nei primi anni di predicazione con gli Scarabei, Lennon non sobilla nessuna rivoluzione. È soltanto un musicista ispirato che richiama folle ovunque si esibisca, in Galilea, Giudea, e nella misteriosa Bolla degli Olivi”.
“È il periodo dei miracoli: dà la vista ai ciechi, risuscita i morti…”
“La tradizione dei miracoli è probabilmente un equivoco linguistico. Quante volte ci capita di dire che la tal cosa “risuscita i morti”. È un’espressione enfatica che sottolinea la grande potenza espressiva delle parabole musicali di Jesus”.
“Quindi Lennon non risuscitava i morti”.
“Solo in senso figurato”.
“Non tramutava l’acqua in birra”.
“Probabilmente i birrai in sua presenza preferivano spillare birra vera e non la solita broda annacquata”.
“E il grande miracolo di Woodstock?”
“Su Woodstock ci sono diverse teorie. Tutti gli studiosi concordano che fu un disastro logistico, e che migliaia di persone rimasero in mezzo al fango senza nulla da mangiare”.
“Finche Lennon non moltiplicò i pani e i pesci”.
“È indimostrabile, ovviamente. Il vero miracolo di Woodstock sono le sue parole, il cosiddetto discorso della montagna, sul quale è fondato il lennonismo occidentale: “Beati i miti perché erediteranno la terra, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia…” peccato che di questa canzone si sia persa la musica. Comunque i Romani non avevano nulla da temere da un fenomeno musicale-religioso di questo tipo. Gran parte dei riferimenti delle sue canzoni (il divino Tricheco, la Lucia nel Cielo di Diamanti, i Perpetui Campi di Fragole) erano oscuri già allora”.
“E allora perché lo crocifiggono?”
“A un certo punto qualcosa cambia. Lennon è accusato di avere frequentazioni scandalose: pubblicani, prostitute, spacciatori, artisti concettuali. Gli Scarabei d’Argento si sbandano”.
“Forse il successo gli stava dando alla testa”.
“È la tesi forte del Vangelo di Ringo, che però è il più tardo dei quattro. In realtà i suoi inni del periodo post-Scarabei sono i più politicizzati. È possibile che a un certo punto Lennon si sia veramente trasformato in oppositore al regime di occupazione romana che, non dimentichiamocelo, era fondato sulla violenza e sulla prevaricazione. Anche nell’ultimo periodo Lennon rimane comunque un pacifista; non inneggia alla lotta armata, al contrario. Ma è possibile che il suo antimilitarismo desse ugualmente fastidio. Era il periodo in cui l’Impero reclutava legionari anche nelle province per difendersi dalle incursioni Sovietiche e Persiane”.
“Tradito dal suo manager, Lennon viene arrestato e condannato alla morte sulla croce”.
“Il resto è leggenda”.
“Una leggenda comunque miracolosa, per aver resistito tutti questi secoli”.
“Chissà quanti altri cantanti e predicatori infiammarono i cuori per una breve stagione e poi furono dimenticati. Lennon ha potuto contare su uno dei più grandi PR della Storia”.
“Si riferisce a Paul McTarso?”.
“Il buffo è che probabilmente i due non si sono mai conosciuti di persona. Paul aveva ricevuto un’educazione musicale classica, e all’inizio non aveva assolutamente orecchio per le composizioni di Lennon. Anzi, con le sue prime ferocissime recensioni Paul dà inizio a una vera e propria campagna di persecuzione contro il lennonismo e i suoi seguaci”.
“Poi succede qualcosa… Un incidente, mi pare”.
“Sull’autostrada Damasco-Liverpool. Paul vede una luce abbagliante, sbanda ed esce di strada. Viene soccorso, ma rimane temporaneamente cieco, muto, e apparentemente sordo. Ma è evidentemente una sordità selettiva. Immerso nel silenzio, Paul sperimenta una vera e propria epifania. Può ascoltare le composizioni di Lennon senza pregiudizi culturali. La sua conversione fa scalpore e getta le basi per il successo del credo lennoniano in tutto il bacino del mediterraneo”.
“C’è anche chi dice che il vero Paul sia morto nell’incidente”.
“È una leggenda durissima a morire. Ma ce ne sono di più interessanti. Secondo alcuni è Paul il vero inventore del lennonismo moderno: molti ritornelli degli inni lennoniani sarebbero suoi. In effetti è difficile pensare che la stessa persona possa aver scritto composizioni musicalmente così diverse tra loro come Helter Skelter o Yesterday. Alcuni si spingono ad affermare che Lennon non sarebbe che una figura mitica, un musicista biondo e capellone studiato a tavolino per rendere più appetibili le composizioni dello stesso Paul. Come vede, c’è una teoria per tutti”.
“Non c’è proprio niente di cui possiamo essere sicuri?”
“Io sono ragionevolmente sicuro di un paio di cose. La prima è che tra un millennio o due ci sarà ancora qualcuno, come lei o come me, che ha voglia di discuterne. La grandezza di Lennon è questa”.
“E la seconda cosa è…”
“Anche l’invidia non cesserà mai. Ci sarà sempre qualche Messia o Avatar pronto a dichiarare di essere diventato Più Grande di Lui. Guardi questa, è la riproduzione di un antichissimo ritaglio giornalistico. Come sa, gran parte dei documenti originali dell’epoca lennoniana non ci sono arrivati, perché gli archivi erano stati digitalizzati nei decenni precedenti al diluvio, e non abbiamo mai capito come si leggono i loro supporti magnetici. Di loro ci è rimasta solo la carta stampata che si erano dimenticati di riciclare. Vede? Questo è un antichissimo ritratto fotostatico di Lennon, molto sbiadito. La scritta in basso è in aramaico. Sa cosa dice?”
“IGGER THAN JESUS LENNON CLAIMS. Ovviamente no”.
“La traduzione più accreditata è: Qualcuno afferma di essere più grande di Jesus Lennon. Evidentemente Lennon veniva attaccato dagli emuli già in vita. Eppure loro sono passati, lui no. La sua musica era semplicemente migliore”.
“Io in realtà non ne ho ascoltato molto”.
“Venga, le faccio sentire un pezzo rarissimo”.
“Ma veramente… non m’intendo molto di musica classica, sa…”
“Quando è buona musica, non è classica né moderna: è eterna. Sente?”
“Sento solo rumore”.
“Deve abituarsi un po’. Vede, in questo pezzo Lennon chiede all’ascoltatore di ascendere, di immaginare un luogo meraviglioso dove qualsiasi cosa è possibile”.
“Le parole dicono questo?”
“Le parole dicono: Portami laggiù, nella Città Paradisiaca, ove l’erba è verde e le fanciulle sono leggiadre”.
“Molto bello. Si è fatto tardi, devo andare”.

Attraverso la loro musica quei quattro ragazzi di Liverpool, splendidi e imperfetti, sono stati capaci di leggere e di esprimere i segni di un’epoca che a tratti hanno persino indirizzato, imprimendovi un marchio indelebile. Un marchio che segna lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dopo, musicalmente, nulla è più stato come prima
L’Osservatore Romano, 10/4/2010.


Siamo più famosi di Gesù adesso. Non so chi se ne andrà per primo, se il rock’n’roll o il Cristianesimo
John Lennon, 1965.