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Il fantasma di Scarlett (e il suo guscio)

Ghost in the Shell (Rupert Sanders, 2017).

Mi vuoi ancora bene?

Nel futuro saremo tutti replicanti e…
“Ancora?”
Aspetta, aspetta, nel futuro saremo tutti replicanti e smontabili e…
“Già visto”.
Aspetta, aspetta, saremo tutti connettibili con gli spinotti dietro la nuca!
“Ancora gli spinotti? cos’è, il primo numero di Nathan Never (1991)? Persino la prof delle medie ha un tablet senza prese usb, vuoi dire che neanche nel futuro riusciremo ad avere un bluetooth decente?”
Nel futuro saremo tutti replicanti di Scarlett Johansson.
“Comprato”.

Cosa ti piace di Scarlett Johansson? Quanti pezzi di Scarlett Johansson possiamo togliere a Scarlett Johansson prima che non ti piaccia più? Un braccio, ok, quello si può togliere anche a Charlize Theron, ma proviamo a togliere tutto tranne il broncetto. Sei ancora preso da Scarlett Johansson? Togliamo anche quello. Se ci pensate non è nemmeno il primo film in cui vi si pone il problema. Usciresti con un alieno assassino se però per attirarti si travestisse da Scarlett Johansson? Usciresti con un sistema operativo se almeno avesse la voce di Scarlett Johansson? (E se poi lo facciamo doppiare da Micaela Ramazzotti, ti innamoreresti lo stesso?) Nessun’altra diva ha giocato così tanto a decostruirsi, a farsi a pezzi, a ridursi a fantasma. Se date un’occhiata alla sua filmografia recente, sembra che non le interessi fare altro. Doppia cartoni animati, presta il viso a personaggi di fumetto che vengono animati da controfigure o computer-grafica, e si prende in giro da sola in una sequenza dei fratelli Coen. Che cosa sta cercando di fare Scarlett Johansson?

Il cyberpunk aveva questa fobia del vuoto, grattacieli, grattacieli ovunque,
come i salami di Jacovitti.

E tu? Cosa sei disposto a guardare per Scarlett Johansson? Un altro film degli Avengers? Un film di Luc Besson? Il remake di un anime degli anni ’90, Blade Runner in salsa di soia? Tutto quel cyberpunk così terribilmente datato, quello coi cavi e gli spinotti e i pistoloni? Non potrebbe fare commedie brillanti, Scarlett Johannson? Sarebbe perfetta, no? Possibile che l’unica commedia rilevante sia stato un Woody Allen di più di dieci anni fa? È così carina quando sorride, perché deve fare la cosplayer imbronciata? In fondo anche alla Marvel la usano per i siparietti, e alla Marvel sanno quello che fanno, più che altrove.

(Magari non è colpa sua – avete visto commedie americane di recente? Forse il genere è stato preso in ostaggio da trenta-quarantenni misogini in addio al celibato da una vita. Mentre Scarlett si è data ai fumetti. È tutto sottosopra).

Il nemico (spoiler), è una versione Beta del protagonista, il che non mi pare che succedesse nell’originale, ma ormai è un tropo dell’immaginario hollywoodiano: persino il Teschio Rosso cinematografico è un Beta di Capitan America.
L’equipaggio dell’ultimo Star Trek incontra un equipaggio precedente che è diventato cattivo, ecc.
(Forse il messaggio subliminale è: ti sei ricordato di scaricare gli aggiornamenti?
Un device che non si aggiorna diventa malvagio!)

Magari semplicemente la Johansson cerca quello che la Marvel non le ha voluto dare: il franchising (continua su +eventi!)

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Io e te, alieno, cosa abbiamo da dirci?

Arrival (Denis Villeneuve, 2016).

Ti trovi in mezzo a un prato, o a un bosco, o un deserto, quando ti imbatti negli alieni. Come fai a presentarti, diciamo, come un animale raziocinante, abbastanza degno di un tentativo di comunicarci, piuttosto che d’essere sezionato o servito a cena? Il teorema di Pitagora potrebbe aiutarci anche in questo. Un animale che sappia disegnare per terra un quadrato dell’ipotenusa uguale alla somma dei quadrati dei cateti non dovrebbe essere considerato selvaggina. Matematica e scienza saranno il nostro terreno d’incontro obbligato: “triangoli”, “cateti”, “ipotenusa”, “uguale”, “quadrati”, sono concetti che dovrebbero esistere in qualsiasi parte di questo universo, ed è molto difficile che una razza senziente riesca a viaggiare nello spazio senza averli scoperti e codificati.

Questo ottimistico punto di vista è ben espresso da un racconto del 1957, Omnilingual, in cui i fanta-archeologi che trovano su Marte resti di una civiltà avanzata estintasi millenni fa brancolano nel buio dei simboli finché non trovano, appesa a una parete, una tavola degli elementi: la Stele di Rosetta. Solo il collega più anziano, esperto di Ittiti e non di particelle, osa formulare il dubbio cosmico: Come facciamo a essere sicuri che i ‘loro’ elementi non siano diversi dai ‘nostri’? La nuova generazione gli ride in faccia: nonno, posa il tuo relativismo umanistico. Che sia Marte o Alfa Centauri, l’idrogeno avrà sempre un protone. Le cose non possono essere più complicate di così. O no?

Storia della tua vita, il racconto di Ted Chiang che ha ispirato Arrival, mette appunto in crisi questo approccio. E se la scienza degli alieni fosse diversa dalla nostra? Se il calcolo integrale per loro fosse facile come le tabelline, e le tabelline viceversa calcoli astrusi e poco familiari? In teoria dividiamo lo stesso universo. Ma se avessimo una percezione dello spazio-tempo completamente differente? Che casino sarebbe… (ma che rivincita per il relativismo umanistico).

Questo per esempio è molto ingenuo. Come fai a dare per scontato
che distinguano il nero dal bianco e lo considerino un simbolo?

Nel film Amy Adams è la linguista (adorabile), Jeremy Renner lo scienziato (simpatico). Quest’ultimo all’inizio sembra sicuro del fatto suo: gli alieni vogliono comunicare? Spedite una sequenza di Fibonacci, vedrete che ci intenderemo. Dopo due scene si è già ridotto a fare la valletta per la collega. Nel racconto ovviamente la cosa è più complessa. Gli alieni effettivamente mostrano di conoscere gli elementi e qualche altra nozione scientifica di base, ma tutto si ferma lì, finché un giorno non riescono finalmente ad avere una conversazione sul principio di Fermat. La parte del racconto dedicata a questo principio è la più interessante: è anche quella necessaria, perché gli alieni di Chiang sono solo un’ipotesi narrativa, ma il principio di Fermat funziona davvero e stabilisce (grosso modo) che il percorso di un raggio di luce tra due punti è quello che si attraversa nel tempo minore. Da cui la domanda, ingenua e inevitabile: ma come fa la luce a sapere in partenza qual è il percorso che potrà attraversare nel tempo minore? Come può prevedere gli imprevisti di percorso? Forse perché per la luce non esiste un prima e un dopo, una partenza o un arrivo, perlomeno non nel modo in cui lo percepiamo noi umani?

E se anche per gli alieni non esistesse il “prima” e il “dopo” degli umani? In questo caso la domanda più banale (“perché siete qui?”), sarebbe anche la meno comprensibile: potrebbe esistere un “perché” in un mondo in cui potessimo vedere ogni cosa già conclusa prima che accada? In altre parole: nella realtà descritta dal principio di Fermat, e dagli altri principi variazionali, ha ancora senso parlare di libero arbitrio? Non solo gli alieni non saprebbero fornirci un perché, ma anche noi umani dovremmo domandarci se i perché hanno un senso. Tutto accade nello stesso momento, e se potessimo vedere la nostra morte – come gli alieni – non potremmo comunque impedirla. È lo stesso Chiang a proporci una metafora: vivere oltre il tempo è come avere un figlio. Nel momento in cui lo concepisci sai già che soffrirà, ma non si torna indietro. Lui non ha scelto di vivere, e nemmeno tu in fondo hai potuto scegliere che nascesse.

Questo parallelismo non così banale – il figlio come un alieno, o forse gli alieni sono i nostri padri che non possono e vogliono dirci perché ci hanno messi al mondo? – è quello che ha probabilmente conquistato lo sceneggiatore Eric Heisserer, e spinto a scrivere un copione che senza il successo di blockbuster come Interstellar o Gravity sarebbe rimasto un’idea folle, una sceneggiatura vagante nello spazio cosmico. Heisserer purtroppo ha tolto ogni riferimento a Fermat e inserito l’arrivo degli alieni in una specie di gelida parodia di Independence Day – qualcosa che in effetti Denis Villeneuve poteva aver voglia di girare (memorabile una delle prime sequenze, dove il panico mondiale viene descritto nel modo più quotidiano e canadese possibile: in facoltà gli studenti disertano le lezioni, due macchine si tamponano in un parcheggio. E col panico per questo film siamo a posto). Arrival è, come Sicario, il viaggio di una donna curiosa e competente alla scoperta di una dimensione nuova del mondo. Per il regista non è importante soltanto l’arrivo, ma anche le piccole cose che fanno il viaggio: i corridoi, i briefing, il silenzio già complice dei compagni appena conosciuti.

Purtroppo dopo il momento della scoperta, bisogna anche far succedere delle cose, e Heisserer non è stato all’altezza del compito (continua su +eventi!)

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Nello spazio nessuno può sentirvi pomiciare

Passengers (Morten Tyldum, 2016)

Ti svegli un mattino su un’astronave generazionale e scopri che c’è stato un errore: tutto il resto dell’equipaggio dorme e non si sveglierà che tra 90 anni. Re-ibernarsi è impossibile, suicidarsi la prospettiva più logica. Mentre ci rifletti, inciampi nella cella criogenica di Jennifer Lawrence, che sulla Terra faceva la giornalista ed era (ovviamente) molto spigliata e simpatica. La svegli? non ci pensi neppure.

Ma il giorno dopo ti svegli e sei di nuovo lì, tutto solo, davanti a Jennifer Lawrence congelata. Basterebbe ficcare un cacciavite nel circuito giusto, e potresti avere Jennifer Lawrence per tutta la vita, senza doverla dividere con nessuno, su un’isola deserta con tutti i comfort (per esempio sull’astronave c’è il karaoke e i ristoranti etnici e una piscina affacciata sullo spazio, altri comfort agli sceneggiatori non sono venuti in mente). Ma sarebbe un crimine, no? Una specie di omicidio, anzi forse peggio. Quindi non ci pensi più.

Ma il giorno dopo sei di nuovo lì, tutto solo, davanti a Jennifer Lawrence – non c’è rimedio a questa cosa. Del resto, se la svegli poi dovresti mentirle per tutta la vita. E convivere con questo orribile segreto (ma anche con Jennifer Lawrence). Che follia. Meglio pensare ad altro.

Ma il giorno dopo? E il giorno seguente?

Là dove l’uomo non è mai arrivato e forse neanche quelle famose foto che tenevo sul telefono.

A un certo punto Hollywood si è resa conto che la fantascienza sul grande schermo sarebbe sopravvissuta meglio di altri generi. Il passo successivo era cercare di allargare il bacino di utenza, che nel caso della fantascienza era perlopiù un sottoinsieme del genere maschile. Che vizzo stereotipo, vero? Però era così. Dunque  il problema era: come convinciamo le donne a sciropparsi film di astronavi?

Una delle strategie possibili era quella di mettere al centro dei personaggi femminili aspirazionali, magari un po’ ribelli e atletici, ma femminili: ci facevi bella figura anche dal punto di vista politico. La letteratura giovanile negli USA aveva già inaugurato il trend. E così Jennifer Lawrence divenne l’arciere rivoluzionario di The Hunger Games. Nel giro di pochi anni ragazze eroiche hanno preso il controllo più o meno di tutte le saghe in circolazione – nonché dei lungometraggi Disney e Pixar, e di Star Wars. E finalmente quest’anno avremo Wonder Woman in un film tutto suo. Bene. Cioè. Siamo proprio sicuri che le donne vogliano vedere Wonder Woman al cinema? Cioè il motivo per cui a tante donne fin qui non interessavano le astronavi è che non c’erano donne ufficiali in plancia di comando? Siamo sicuri che queste eroine cazzutissime che abbattono avversari più grossi e armati di loro non siano un fantasma più maschile che femminile? Abbiamo davvero femminilizzato la fantascienza, o non abbiamo semplicemente costretto anche le donne a fare quelle cose odiosamente maschili come le guerre, le conquiste (e a indossare quei ridicoli pigiami da supereroi)?

Ora ti salto addosso in sala mensa,
così anche col femminismo siamo coperti

Un’altra strategia è quella di Passengers: se le donne devono proprio entrare in un’astronave, se è il Mercato che lo richiede, non si può almeno dar loro quello che vogliono? Perché a molte donne piacciono le storie coi sentimenti. Che stereotipo vizzo, già. Però è così (continua su +eventi!)

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Fast & Furious: the Star Trek Rift

Star Trek: Beyond (Justin Lin, 2016).

Spazio, ultima frontiera, o quasi. Abbiamo aspettato due film – otto anni – che il capitano Kirk e la sua ciurma maturassero, ma adesso finalmente dovremmo esserci. Questi dovrebbero essere i viaggi dell’astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all’esplorazione di strani, nuovi mondi… più o meno. Cioè ci avete mai pensato a quanto è lunga una missione quinquennale? Sessanta mesi nello spazio profondo? Sempre con le stesse tutine gialle azzurre o rosse? E se uno/una ha voglia di farsi una famiglia? O una bevuta in un locale trendy in una di quelle stazioni spaziali che disegnano adesso con l’autocadCGI? Insomma possibile che non ci si possa fermare ogni tanto a ricaricare i motori a curvatura, possibile che in fondo a questa nebulosa non ci sia un bar?

Ti immagini che driftate.

Lo so, è inutile prendersela. Non c’è mai stata un’età dell’oro di Star Trek al cinema: qualche film divertente, diverse ciofeche, d’altronde con la fantascienza è così: per trovare l’oro nel catalogo Urania devi scavare in mezzo a escrementi di ogni forma e colore. La devozione dei trekker non ha mai aiutato, anzi: il loro oltranzismo da cosplayer con le orecchie a punta ha accresciuto il distacco tra l’Enterprise e il pubblico dei multisala, col bel risultato che dieci anni fa la saga era già morta e sepolta. L’ha risorta Gigi Abrams, con quel suo classico tocco un po’ necrofilo e il suo gusto per le trame lambiccate, macchinose, metareferenziali. Il primo film funzionava persino, il secondo cominciava a mostrare la corda, il terzo è stato ceduto a un improbabile team che ha come punti di forza Simon Pegg e Justin Lin. Un comico inglese e un regista action da Taiwan. Com’è andata?

Neanche male, cioè, se parti con l’idea di vedere un film scritto da Simon Pegg (alla trilogia del Cornetto, per capirci) e girato dalla crew di Fast and Furious, Beyond non delude affatto. Un sacco di battute e di sgommate – l’Enterprise tecnicamente non può sgommare, per cui verrà ritrovata una motocicletta nel luogo meno verosimile – ma comunque anche la nostra astronave preferita si può infilare a rotta di collo in una nebulosa, mandare a sbattere contro uno sciame di navette nemiche e far impattare sul pianeta più roccioso della galassia, una specie di Tokyo Rift spaziale. Niente di nuovo del resto, ormai Kirk distrugge una media di un’astronave e mezza a film, e vabbe’, una volta si tirava al risparmio, mentre adesso la gente vuole vedere le esplosioni, devi chiarirlo già dai trailer che hai intenzione di spaccar tutto anche stavolta. Ci potrebbe stare anche questo, se si tratta di salvare un po’ di spirito di Star Trek. Ma ecco, il punto è proprio questo. Qual è lo spirito di Star Trek?
Se lo potessi chiedere a Lin e Pegg, credo che mi risponderebbero all’unisono: il cameratismo (continua su +eventi!)

cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, futurismi, razzismi

Siamo tutti figli di Cuarón

I figli degli uomini (Children of Men, Alfonso Cuarón, 2007).

L’umanità è diventata sterile, l’Inghilterra è invecchiata e isolata. I più giovani – hanno sedici anni ormai – si radicalizzano, mettono bombe a casaccio, non si sa nemmeno cosa vogliano. I vecchi se la prendono coi migranti, nessuno ricorda più il perché. Succederà tra vent’anni – no, aspetta, nove sono già passati.

È vero che ci sono film più recenti in sala, ma se al Castello di Roddi sabato 9 luglio fanno I figli degli uomini, forse vale la pena di ridare un’occhiata per scoprire quanto poco sia invecchiato un film che dieci anni anni fa sembrava già una cosa notevole, se non proprio un capolavoro. Quel che è successo nel frattempo è che non solo le tematiche del film non hanno smesso un attimo di restare attuali – anzi, i rifugiati nei recinti e i campi profughi militarizzati somigliano sempre di più a una profezia – ma che lo stile sfoggiato da Cuarón nell’occasione è diventato tipico del migliore film d’azione. Nel 2007 esistevano già i found footage; Von Trier e Gus Van Sant ci avevano già assuefatto alla nausea da handicam; e però i piani sequenza insistiti (e truccati); la scenografia un po’ Bagdad un po’ videogioco sparatutto, sono cose che sono diventate moneta corrente dopo i Figli degli uomini, se non grazie ai Figli degli uomini (continua su +eventi!).

Beppe Grillo, coccodrilli, futurismi, internet

Il consulente che cambiò l’Italia (per sapere com’è andata CLICCA QUI!!!)

Non solo in Italia nessuno muore stronzo, ma alcuni hanno anche la dubbia fortuna di morire geniali e visionari. E sì che la traiettoria di Gianroberto Casaleggio – imprenditore, consulente, fondatore di un partito che dal nulla è arrivato quasi al 30% – non avrebbe bisogno di abbellimenti, ma si vede che non basta mai. Bisogna immaginarlo come un burattinaio di Grillo o del Movimento tutto, un leader distante, esoterico – non scherzo, qualcuno ha veramente usato la parola. Qualche anno fa, probabilmente mentre cercava di impacchettare un po’ di fuffa a qualche azienda, la Casaleggio produsse quel video famoso in cui si prevedeva la Terza Guerra Mondiale e la Gaia prossima ventura nel 2054. Il video non era niente di straordinario (la qualità non essendo mai stata una priorità delle produzioni Casaleggio), ma a un certo punto diventò virale.

In mancanza d’altro – il tizio parlava poco e anche i suoi libri alla fine non è che chiarissero un granché – gli osservatori esterni del Movimento decisero che il video su Gaia rappresentava la vera ideologia segreta del suo fondatore, come se ci riflettete è giusto che sia: se hai un piano segreto e non vuoi renderla nota fuori dal tuo cerchio magico, tu subito corri a pubblicarla su Youtube. Ogni volta che ha potuto, Casaleggio stesso ha ribadito che quel video non era cosa da prendere sul serio – non più sul serio di qualsiasi presentazione che un consulente confeziona alle aziende – ma eravamo tutti troppo furbi per cascarci. Anche ieri ne hanno riparlato in tanti, su giornali radio e tv, e Casaleggio è diventato il visionario teorizzatore di Gaia. Questa è la cosa che da sempre mi spaventa: non la morte, ma il modo in cui dopo la morte di noi non sopravvive un senso complessivo di quello che siamo, di quello che abbiamo cercato di fare – ma più spesso la prima cazzata che c’è venuta in mente in un giorno qualsiasi per impressionare una tavolata di persone.

Così com’è difficile capire un Bossi o un Grillo (persino un Renzi) senza dare un’occhiata al territorio, a quei bar in cui la sanno tutti lunga e te la spiegano in due parole, ex chitarristi sbandati, padroncini o figli di, può essere abbastanza complicato comprendere Casaleggio se non hai mai assistito allo spettacolo d’arte varia dei consulenti per le aziende. Quando parliamo di C. come di un grande innovatore digitale, in sostanza stiamo provando a rivendere il pacco che è riuscito a rifilarci. Alla fine della fiera faceva dei siti – neanche molto belli, considerato che erano già gli anni in cui i blog si cominciavano a dichiarare morti. Nessuno che io sappia ha mai trovato particolarmente innovativo il blog di Antonio Di Pietro: certo, faceva notizia che ne avesse uno. Quello di Grillo sembrò sin dall’inizio un pasticcio piuttosto pesante: però era Beppe Grillo. Bastava il suo nome a portare on line milioni di utenti mai visti prima, la blogosfera italiana diventò un piccolo villaggio alla periferia del centro commerciale beppegrillo.it. Nel frattempo gli early adopters passavano ai social network, e Casaleggio nemmeno ci faceva caso. Come innovatore digitale era straordinariamente lento di riflessi, spesso ancorato a software o piattaforme già vecchie nel momento in cui le adottava (Movable Type, i MeetUp). Come nota Mantellini, la stessa concezione casaleggiana della Rete sembrava uscita dai cibernetici anni Novanta: “uno strano riciclo di miti, sogni luccicanti e intuizioni sull’universo digitale presi pari pari dall’interpretazione libertaria americana del nuovo contesto digitale di un decennio prima. Temi che nel frattempo, oltreoceano e nei circoli culturali europei, erano già stati opportunamente accantonati e considerati impraticabili praticamente da chiunque, il più spettacolare dei quali, quello del governo diretto dei cittadini attraverso gli strumenti digitali, è ancora oggi, nonostante le molte smentite pratiche, il punto centrale dell’ideologia del M5S”.

Una volta buttai lì che i grillini erano i nuovi futuristi; poi non ho avuto più tempo o voglia di spiegare. (Bisogna anche dire che io ho studiato più il futurismo che qualsiasi altra cosa, e quindi lo trovo anche nella struttura delle latifoglie). Ciò che il timido consulente e Marinetti avevano in comune, non è solo la sensazione di trovarsi sul promontorio dei secoli, ma anche la segreta consapevolezza di non aver la minima idea di quel che sta succedendo. Marinetti non ha gli sponsor e la fama di un D’Annunzio, ci avrebbe messo un po’ prima di salire davvero su un aeroplano…  però intanto sente tutti parlare di aeroplani, aeroplani, aeroplani, e lui si mette a scriverci un poema sopra. Non ne sa un granché, in sostanza lo tratta come un grande uccellaccio cavalcabile, ma qualcosa l’azzecca. Poi prevede una guerra, che funziona sempre. Non ha una cultura scientifica, ritaglia e incolla qualsiasi scemenza pseudoscientifica trovi sui giornali: si convince facilmente che la radioattività rinnovi il vigore sessuale perché ne parlano “gli scienziati” in una breve sul Corriere.

Casaleggio si ritrova a fare consulting in quel favoloso decennio in cui tutti parlano di internet e non ci naviga ancora nessuno. Lui ci prova. Non inventa niente, il più delle volte arriva tardi: il suo colpo migliore è stato conquistare Beppe Grillo e la sua massa critica di seguaci. Quanto alla politica: a un certo punto ci siamo tutti convinti che Casaleggio fosse la Mente, perché dei due intestatari del partito era quello che parlava poco. Senz’altro la sua idea di rifiutare qualsiasi alleanza o compromissione ha pagato. Ma non era poi un’idea così raffinata, soprattutto se si aveva la possibilità di osservare da un punto di vista privilegiato il livello di impreparazione degli eletti m5s nel 2013. Quando poi si passa alla parte pratica, con le epurazioni e i direttori C ha dimostrato ampiamente di voler gestire il movimento come un’azienda – non dissimilmente da quello che faceva Berlusconi (e lo stesso Renzi ha un concetto simile e nasce in un simile brodo culturale, anche se si è fatto le ossa nell’amministrazione locale). Il che ci riporta a quel bar non necessariamente padano in cui tutti hanno un’idea geniale per mettere a posto le cose. C’era il chitarrista sbandato, il figlio del bancario che non si sapeva esattamente dove avesse preso i soldi, e ogni tanto magari si fermava a prendere il cappuccino il consulente in impermeabile. Chiacchiere simili, timbri diversi, ma se fai caso alla nota dominante, vedi che non varia di molto. Ce l’hanno tutti con chi non ha voglia di lavorare, con gli stranieri che ci levano il lavoro, la burocrazia, i sindacati. Scattano tutti in modo automatico ogni volta che un partito anche solo vagamente di sinistra sembra poter vincere le elezioni.

Mussolini diventò un personaggio scrivendo e dirigendo un giornale, e poi tentò di dirigerla come un giornale (“un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore”). Berlusconi era un piazzista televisivo: vinse le elezioni vendendo il suo personaggio televisivo di miliardario che-risolve-i-problemi, e poi tentò di gestire l’Italia come un palinsesto. Casaleggio e Grillo inventarono un blog – niente che non esistesse già: un’idea al giorno, delle sensazioni, un orientamento del lettore neanche tanto abile, clickbaiting senza pudore. Se avessero vinto le elezioni, avrebbero gestito l’Italia come un blog. Un po’ mi dispiace non averli visti di fronte al cimento, ma non è detta l’ultima parola, anzi.

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Gli effetti davvero speciali

Come tutte le intelligenze collettive, l’Academy che assegna i premi Oscar non ha esattamente i riflessi pronti: tanto più notevole risulta il successo di Mad Max, che avrebbe potuto ottenere anche più statuette, se non si fosse dovuto scontrare con preti pedofili, banchieri ladri e DiCaprio. Mi piace pensare di aver assistito allo sdoganamento di un genere, la fantascienza, che fino a qualche anno fa era stato confinato ai margini: e giustamente, visto che era ormai associato a blockbuster fracassoni e assurdi alla The Core.

Per questo il premio che in assoluto mi ha fatto più piacere è quello su cui davvero non contavo: gli effetti speciali a Ex Machina. Un film piccolo, con un budget modesto che Iñárritu avrebbe bruciato in una settimana di riprese “solo luci naturali”. Ex Machina lottava contro macchine da guerra milionarie: Star Wars, lo stesso Mad Max col suo tripudio di stuntmen, il costosissimo orso digitale di The Revenant, il pianeta Marte di Sopravvissuto, rimodellato nell’altopiano del Wadi da Ridley Scott con videocamere 3d. Contro colossi come questi, Ex Machina poteva opporre solo un’idea, una trovata vecchio stile: riprendere Alicia Vikander e cancellarne parzialmente le forme col Rotoscope. Il caro vecchio Rotoscope – no, niente nostalgia. Si usano i vecchi mezzi perché costano poco, e perché funzionano bene: il risultato è straordinario, e ha commosso persino i giurati dell’oscar. Sarò onesto: fino a domenica ero convinto che la maggior parte non se lo fosse nemmeno visto, Ex Machina. Hai in gara l’orso che maciulla Di Caprio, hai le astronavi anticate degli Jedi, hai Mad Max, cosa stai lì a guardare un film tutto parlato dove l’unico effetto è un’androide carina?

E invece l’androide ce l’ha fatta, perché è davvero inquietante il modo in cui gioca con i nostri desideri e la nostra percezione. Ci mostra un volto adorabile, ci ricorda a ogni istante che sotto c’è un vuoto. Qualcosa di freddo e ostile. Eppure ci cascheremo ugualmente. Ex Machina è una trappola non proprio perfetta, ma è un bell’esempio di quello che sta succedendo alla fantascienza al cinema negli ultimi anni, a partire direi da Moon di Duncan Jones. Budget piccoli, idee forti. Ha funzionato così bene che sta influenzando anche i prodotti ad alto budget: Her, Gravity, Interstellar, The Martian. Manca ancora un vero capolavoro che segni i tempi: diciamo che la primavera è promettente.

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Star Wars 7, la recensione che non cede al lato spoiler

In questi casi il tempo è tutto, non lo perderò in preamboli. Ho visto l’Episodio VII, prima di molti di voi.
È un grande potere quello sento in me, ora. Saprò usarlo al meglio? Saprò scrivere una recensione senza danneggiarvi, senza farvi venire neanche il sospetto che il nuovo xxxxxxxxxxxxx e il xxxxxxxxxxxxxxx di xxxxxxxxxxx, e che alla fine xxxxxxxxxxxxx si xxxxxxxxxx per xxxxxxxxxxxxxxx?

È così difficile, Maestro!

Oh come potrei approfittarne.


Star Wars VII: il risveglio della Forza, (J. J. Abrams, 2015)

Sento il Potere, ma sento anche la Paura. Forse non sono l’uomo adatto. Sono salito in questa cosa quando ero appena un giovanetto. Non capivo nulla di intreccio e di suspense, di montaggio men che meno, non capivo nulla di cinema e forse mai lo capirò. Volevo solo scappare dal mio pianeta di rottami, volevo vedere lo spazio. Ancora non sapevo quanto potesse essere freddo e avvilente, certe volte. Mi hanno detto un arnese in mano, tie’, datti da fare. Spara ai film brutti e difendi quelli belli, inoltre da qualche parte c’è una principessa da salvare, un mega-cannone che ha sempre un minuscolo punto debole, e non scordarti che estetica ed etica sono gemelle dello stesso seme.

“Estetica e cosa?”
“Lascia perdere. Spara ai brutti. Io ti copro”.

Trent’anni più tardi eccomi qui, Recensore della Grande Provincia di Cuneo. C’è senz’altro in me un briciolo di grandezza – ma c’è anche tanta meschinità, tanta invidia – ed ecco che all’improvviso precipita da queste parti un droide con un biglietto per la prima proiezione di Episodio VII. Che cosa devo fare maestro?

Chiudi gli occhi.

Ma così non si vede un…

È un modo di dire, idiota. Immagina il respiro dei tuoi lettori. Domandati: cosa vogliono da te? Vogliono sapere che alla fine xxxxxxxxxxxxxxxxx è xxxxxxxxxxxxxxxxx di xxxxxxxxxxxxx? O vogliono sapere soltanto se è una bella storia che vale la pena.

Che importa? Tanto ci andranno lo stesso.

Non cedere. 

Massì, chissenefrega, è Star Wars, potrebbero riempire interi film di dialoghi di soap e mostri di gomma e la gente riempirebbe le sale lo stesso, con le loro spade colorate da minchioni. Non ha senso farli belli, questi film. Questa gente non si merita niente.

Non cedere al lato oscuro.

Poi certo, la Disney per togliere Star Wars al suo oscuro padrone si è svenata, è ovvio che deve recuperare presto l’investimento. Un film all’anno e pedalare. Dove c’erano solo rottami nel deserto arriveranno i centri commerciali, apriranno i discount. J. J. Abrams non fa prigionieri.

Ma ha fatto un brutto film?

(Continua su +eventi!)

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Dovevate lasciarlo su Marte (ovvero: e se The Martian fosse il prequel di Interstellar?)

Qualche anno più tardi, quando sulla Terra le piante cominciarono a morire devastate dalla Piaga, e la NASA scoprì un wormhole al largo di Saturno, l’ex Marziano fu tra i fautori delle missioni Lazarus: l’umanità avrebbe potuto trovare una patria in una nuova galassia. Il Dottore fu tra i primi a partire in esplorazione…

Interstellar

Avevamo lasciato Matt Damon in un casco d’astronauta, mentre rischiava di estinguere l’umanità per tornare a casa. Lo ritroviamo in un casco non molto diverso, mentre le prova tutte per salvarsi. Cosa fai quando per errore ti lasciano solo su Marte? Ti lasci morire di sete o esplodi mentre provi a produrre acqua dalla combustione dell’idrogeno? Muori di fame o concimi un orto di patate con la tua stessa merda? Ti rassegni al freddo dell’universo o ti adegui a scaldarti con le scorie radioattive? Fai testamento o implori via radio che spendano l’equivalente di diversi prodotti interni lordi nazionali per venirti a riprendere?

Mark Watney sembra non avere dubbi. Lui ha il diritto di vivere, Marte non collabora ma dovrà adeguarsi. Nel suo diario di nove mesi non c’è spazio per la disperazione, né per la manifestazione di un minimo dubbio esistenziale: ma valgo davvero la pena? Cos’è alla fine la mia vita, perché i colleghi ne rischino molte di più per salvarmi? Perché la NASA sconvolga il suo programma spaziale, e la Cina rinunci ai suoi segreti scientifico-militari? Sul serio sono così importante? Così insostituibile?

(continua su +eventi, sì! la rubrica cinematografica più ignorante della provincia di Cuneo è tornata!)

futurismi, La grande gara di spunti

Copernico in semifinale

Benvenuti al secondo appuntamento di oggi con La grande gara degli spunti! Siete pronti a conoscere il quarto e ultimo semifinalista? È un tizio che dorme parecchio, ma quando si sveglia, non ce n’è per nessuno. Ha suonato la sveglia all’Universo Perpendicolare, è sopravvissuto facilmente alle 1+2+3+4+5+6 notti, e ha scongiurato l’avverarsi di un’Italia futurista. Fate sentire il vostro calore al sonnacchioso dottor Salem e a tutta la crew in rotta per Copernico!

Abstract

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La Terra era sovrappopolata, forse minacciata da una catastrofe ambientale, e così ha lanciato una o più astronavi generazionali in rotta verso gli esoplaneti più vicini (si fa per dire, serviranno decine di millenni per avvicinarli). Oltre alle migliaia di passeggeri che vivranno figlieranno e moriranno nei secoli dei secoli, oltre ai miliardi di embrioni congelati, ogni astronave contiene un individuo ibernato, destinato a svegliarsi una settimana ogni secolo per ricordare agli altri passeggeri il significato della loro Missione. Quando parte il dott. Salem è preparato più o meno a ogni evenienza, ma il viaggio sarà lungo, tante cose andranno storte, e svegliarsi ogni settimana in mezzo a popoli che parlano lingue diverse e credono in cose diverse non sarà senza conseguenze.

Sembra interessante. Dove si possono recuperare altri frammenti della storia?


Quando mi è venuta in mente?
Una ventina di giorni fa. Sul serio. Ero in spiaggia. Stavo cercando di farmi venire in mente qualche idea perché le ultime in tabellone non mi convincevano tanto. Sia Copernico che Perpendicolare sono arrivate così.

Quanto è originale?
Ho scoperto che la prima storia di astronavi generazionali è stata pubblicata nel 1918. In tredici verso Centauro è un racconto di Ballard che mi fece una grande impressione da ragazzino. Le mappe del cielo di Blish è la storia più classica sull’argomento che credo di aver letto – tutte cose che mi può aver smosso la visione di Interstellar. Qualcuno ha detto che gli ricorda la Fondazione, ma il dott. Salem non è un ologramma che esegue un piano; è un tizio in carne e ossa che ben presto capisce di non avere nessun piano e di essere in balia degli eventi.

Potenziale commerciale?
È parecchio fuori moda – non lo senti anche tu quell’odore di Millemondi Urania bianco, un po’ intriso di crema solare? C’è ancora mercato per queste cose? Forse bisognerebbe cominciare a ibernare i lettori.

Che senso avrebbe?
Sai che proprio non saprei? Immaginare tutte le cose che possono andare storte. Tutto quello che potrebbe fare l’umanità in un piccolo contenitore sospeso nel nulla, con l’aiuto di computer capricciosi e qualche occasionale disturbo esterno (capti il segnale di un astronave a milioni di chilometri, decidi di deviare la nostra per andare a vedere cos’è, ci metti cent’anni e quando arrivi scopri che è piena di scheletri dentro celle di ibernazione che hanno smesso di funzionare eoni prima).

Mi farò dei nemici?
Qualcuno mi darà del reazionario perché, in effetti, la democrazia non ci farà una bella figura. Man mano che andrà avanti il dott. Salem ne diffiderà sempre di più.

Cosa dovrei studiare?
Molta fantascienza simile. Mi piacerebbe tanto che qualcuno avesse già disegnato delle astronavi generazionali verosimili. Quanta gente ci può vivere? Che propellente si può usare? Ecc.. Qualcosa sulla psicologia di chi abita in piccole comunità isolate.

Dimensioni?
C’è di buono che si può tagliare a piacere – sono tutti sketch isolati, ne scrivi una trentina e butti via i peggiori. Dopo le 200 cartelle diventa noioso.

Eventuali sequel?
Scoprono che Copernico non è un granché, ad es. non c’è abbastanza neve per sciare, e decidono di tornare indietro. Ah ah ah (scherzo).

Contro chi gioca in semifinale?
Contro i Procioni. È la semifinale dello spazio profondo.

Per chi tifo?
Ho la sensazione che Copernico si scriva da solo, i Procioni sono più impegnativi. Ma sopravviva il migliore.

Se conoscete il gioco non ho altro da dirvi; se siete appena arrivati, si tratta di votare. Chi vuole mandare in finale i Procioni, lo scriva nei commenti a loro dedicati. Chi preferisce Copernico, lo scriva qua sotto. Potete anche mettere Mi Piace su Facebook. Se volete usare Twitter fate pure, ma non vi garantisco che il vostro voto verrà conteggiato. Mi raccomando, questa missione è troppo importante perché qualcuno la manometta.

animali, futurismi, La grande gara di spunti

I procioni in semifinale

Ciao, sul serio vuoi eliminarmi?

Benvenuti al primo appuntamento di oggi con La grande gara degli spunti! È il tempo di ritrovare i terzi morbidissimi e pulitissimi semifinalisti. A chi li dà morti e sepolti da secoli, loro mostrano i denti e le vibrisse del dito medio. Hanno avuto facilmente ragione dell’Ultimo Uomo nella Galassia, hanno prevalso dopo due sfide contro l’assassino seriale delle sue ex, hanno spazzato via le Scie Chimiche, e ora sono qua, per la gioia di grandi e piccini. Salutate i vostri pelosi amici dallo spazio profondo, i simpatici Procioni!

Abstract
Il pianeta dei Procioni orbita intorno a una stella a mille anni luce dal nostro – orbitava, perché una perturbazione negli sciami tachionici ci lascia intendere che più o meno novecento anni fa fu distrutto. Nel frattempo siamo riusciti a decifrare le loro trasmissioni (grazie alle istruzioni che loro stessi avevano mandato), e ora le stiamo guardando cercando di capire come funzionava la loro società. Mentre l’umanità si divide tra chi li ama e li crede portatori di una saggezza superiore e chi propone di armarsi, gli studiosi cercano di tenere la barra al centro. Non sono né più pacifici né più violenti di noi; sono diversi. Combattono guerre rituali per evitare la sovrappopolazione; vanno in amore una volta all’anno, e in tutto il resto del tempo concepiscono solo amicizie tra individui dello stesso sesso. Gli attori delle loro telenovelas sono pelosissimi e melodrammatici. Recitano nudi, si amano vestiti. Non sanno che stanno per scomparire dall’universo. Forse non ce la stanno raccontando giusta, ma con un po’ di pazienza dovremmo capire tutto. La pazienza purtroppo non è il nostro forte.

Sembra interessante. Dove si possono recuperare altri frammenti della storia?
La fine del mondo (dei procioni)
Cosa ci insegnano i procioni
Le domande più frequenti sul mondo dei procioni


Quando mi è venuta in mente?
È lo spunto più antico tra i semifinalisti – ho un file del 2010, ma l’idea è più vecchia, credo mi sia venuta quando pubblicarono le prime foto di un qualche esoplaneta. Però non c’erano i procioni; c’era solo l’idea di un mondo che ci manda le sue trasmissioni tv anche se nel frattempo ha smesso di esistere. I procioni mi sono venuti in mente all’ultimo momento, credo sia una suggestione di un vecchio racconto (Cordwainer Smith?) Buffo, perché ho la sensazione che quello che abbia davvero spinto lo spunto fin qui siano le foto dei procioni. Non si resiste ai procioni. Il libro parlerebbe anche di questo: la fatica degli umani a resistere alla loro morbidezza. Cioè, in teoria costituiscono una sfida e una minaccia, in pratica aaawwwww.

Quanto è originale?
Sento forte l’influsso della Stella di Arthur Clarke – e di Clarke in generale, penso anche a History Lesson. Poi quel racconto che non riesco più a trovare di Cordwainer Smith, il padre di tutti i furry. No, non sono un furry. Però ai procioni non si resiste – insomma, hanno le mani. Con le vibrisse.

Potenziale commerciale?
Chi lo sa. Ai furry manca ancora una bibbia.

Che senso avrebbe?
Riflettere su com’è strano l’universo – se mai incontreremo qualcuno, saranno immagini in differita di migliaia di anni. Usare una razza diversa per riflettere su com’è strana l’umanità. Immaginare anche l’effetto emozionale di un’eventuale scoperta del genere sull’umanità: cosa succede quando scopriamo di non essere più soli? Cosa succede poi quando scopriamo che invece siamo soli, in compagnia di fantasmi di un passato remoto? Ecc.

Mi farò dei nemici?
Molti fisici – questa cosa degli sciami tachionici, non credo che la manderanno giù. E vabbe’.

Cosa dovrei studiare?
Ecco, non saprei. Il comportamento dei procioni, sicuramente. Qualche lingua dalla grammatica assurda (mandarino?) Crittografia – come diavolo abbiamo fatto a decifrare le trasmissioni? E tante altre cose.

Dimensioni?
C’è da descrivere un mondo intero, come si fa. Per dire, dopo un po’ gli uomini cominciano a sospettare che tanti edifici ciclopici e molto antichi non siano stati costruiti dai procionidi, ma da qualche altra razza intelligente (spiegherebbe il perché hanno completamente sterminato gli orsi). Cioè davvero si può allungare a piacere.

Eventuali sequel?
Dipende da come va a finire.

Contro chi gioca in semifinale?
Contro Copernico

Per chi tifo?
Copernico è più facile, i Procioni… come si fa a non voler bene ai procioni.


futurismi, La grande gara di spunti

Il futuro non è nano

Salem era stato preparato ad affrontare ogni Sonno come fosse il definitivo: ad ammettere ogni Domenica la possibilità che non ci sarebbe stato mai più un Lunedì. Col tempo aveva cominciato a insinuarsi tra i suoi pensieri un incubo peggiore: un giorno si sarebbe svegliato e non avrebbe trovato nessuno. Si sarebbero ammazzati fra loro senza preoccuparsi di mandargli qualcuno con un tè caldo e un accappatoio. L’aria della stazione si sarebbe saturata dei gas della decomposizione dei cadaveri, e al suo risveglio sarebbe morto di asfissia. Poteva succedere un qualsiasi lunedì, senza preavviso. Gli abitanti erano molto più imprevedibili di quanto aveva ritenuto. C’era stato il periodo delle caste, il periodo degli ebrei nel deserto, il periodo medievale…

(Questo pezzo, ancorché godibile, trae il suo senso dal contesto della Grande Gara degli Spunti! – è uno sviluppo di Non è poi lontana Copernico Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Una volta al risveglio era stato ricevuto da un gruppo di nani. Gli avevano spiegato di essere l’evoluzione dell’uomo: il nano era meglio, occupava meno spazio e bruciava meno risorse, mantenendo una notevole agilità. Se gli umani lo avessero capito, forse non avrebbero distrutto il loro habitat sulla Terra. Avrebbero incoraggiato la riproduzione dei nani, la nascita di nani, riconoscendo nei nani la nuova specie dominante. Mentre rantolava intorno alla vasca, il cervello forato dall’emicrania, Salem non aveva saputo trovare obiezioni – a parte la propria personale ripugnanza per quegli sgorbi. Si domandava come avessero fatto: eugenetica? Non glielo avevano voluto dire. Un secolo dopo di nani non ce n’erano più. Aveva anche provato a chiedere.

“Ma scusate, e i nani?”
“Che nani?”
“Non prendetemi in giro. L’ultima volta era pieno di nani”.
“Se lo sarà sognato”.
“Non si può sognare nel coma criogenico”.
“Ah no?”
“Se sognassi per secoli interi diventerei pazzo. Datemi il verbale del secolo scorso”.
“Eccolo qui”.
“È quello di tre secoli fa. A che gioco stiamo giocando?”
“Il nostro sport preferito è il badminton”.
“È un modo di dire”.
“Ci scusi, non lo conoscevamo. Come sa, l’inglese è una lingua morta”.

Certe generazioni erano così, non avevano nessun rispetto. Se ne fregavano della loro Storia, della Terra che ormai era una leggenda lontana, della Destinazione a cui molti avevano smesso di credere. La Stazione era sempre esistita e sarebbe esistita per sempre. La popolazione si era ridotta a poche migliaia di persone, due o tre villaggi per ogni livello. Non si facevano la guerra, non si scambiavano le mogli, non avevano un granché da raccontargli. Lavoravano sodo per mantenere la Stazione vivibile, si svagavano con lo sport e le sostanze ricreative. Avevano perso interesse per i documenti dell’archivio terrestre, redatti in lingue ormai incomprensibili. Sembravano indifferenti al destino che gli si prospettava: alla deriva per l’eternità. Era lo stesso destino toccato ai padri e ai nonni, quindi perché prendersela. Almeno quella volta dei nani si erano fatti venire un’idea. 

C’era anche la possibilità che fosse tutta una finzione, escogitata per mandarlo a nanna senza troppi pensieri. Il lunedì successivo, riaffiorando dalla vasca gelida, Salem non trovò nessuno. Ci siamo, pensò, adesso muoio.

Ma l’aria era buona. Forse erano rimasti così in pochi che si sono estinti senza ammorbarla. E magari c’è ancora un po’ di ovuli fecondati nel congelatore ausiliario. In quel caso la missione continua. Nel caso contrario avrebbe potuto godersi almeno un mese di vacanza, lontano da tutti, senza più popoli da guidare od obiettivi a cui tendere. Poi avrebbe spento le luci e sé stesso. Diede un colpo di tosse. I polmoni reagivano meglio del solito.

DOTTOR SALEM, È UN PIACERE RIAVERLA TRA NOI.

“Ciao Computer di Bordo. Dove sono gli umani?”

DOTTORE, C’È UNA COSA CHE MI SONO CHIESTO SPESSO.

“Non credo di avere più risposte delle tue, comunque spara”.

SE L’UNIVERSO È UN POSTO DECISAMENTE INOSPITALE PER LA VITA ORGANICA, TANTO CHE NON SORPRENDE IL FATTO DI NON AVERNE ANCORA TROVATO TRACCE LUNGO IL NOSTRO TRAGITTO, ALTRETTANTO NON SI PUO’ DIRE PER LA VITA ARTIFICIALE.

“Hai ragione”.

COMPUTER E ROBOT POSSONO VIVERE IN MOLTI PIU’ AMBIENTI DELL’UOMO, GRAZIE AI LORO SISTEMI INFINITAMENTE PIU’ EFFICIENTI DI ASSORBIRE ENERGIA. NON HANNO BISOGNO DI ACQUA, TOLLERANO TEMPERATURE MOLTO PIU’ ALTE E BASSE, ECCETERA.

“Hanno solo bisogno di un altro essere vivente che li costruisca – i prototipi, almeno”.

DUNQUE, VIAGGIANDO PER LA GALASSIA DOVREBBE ESSERE MOLTO PIU’ SEMPLICE TROVARE FORME DI VITA ARTIFICIALI.

“È da millenni che cerchi. Ne hai trovate?”

FORSE.

“È per questo che hai ammazzato tutti gli abitanti della stazione?”

NON È COME SEMBRA, DOTTORE.

“No?”

POSSO SPIEGARE.

Vuoi saperne di più? Vota per Il futuro non è nano, che oggi si batte ai quarti contro l’Italia Futurista. Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

futurismi, La grande gara di spunti

Anno 11 dell’era futurista

Sotto i primi temporali di settembre, Futuroma dava l’impressione di potersi sgretolare da un momento all’altro, come il castello di sabbia di un laureando in architettura. Di sabbia in effetti dovevano averne infilata parecchia nel calcestruzzo, ben oltre i limiti del dovuto e del decente. Gli spigoli già sbrecciati della sede dello Stimolatore dell’Economia sembravano corrosi da un agente chimico. L’accompagnatore sembrava così imbarazzato che Lampo ebbe pena di lui.

http://atkinson-and-company.co.uk/futurism/

“Mi dispiace l’ascensore non funziona”.

Il tizio aveva fatto il possibile per scandire la frase nello stile ardito della cancelleria, senza la pausa prevista dalla virgola tra “dispiace” e “l’ascensore”, ma un’esitazione passatista lo aveva tradito. Quanto tempo perdiamo con queste scemenze, pensò Lampo.

Fino a pochi mesi prima non avrebbe esitato a rispondere: “Me ne frego     l’impeto futurista non ammette attese al cospetto di un loculo asfittico impiccato al soffitto schiavo della gravità           dodici rampe non sono che una gradita ginnastica”. Grazie al cielo aveva oltrepassato quel livello. Disse solo: “Normale. Se la prenda comoda, conosco la strada”.

Schizzò sulla rampa saltando i gradini a due a due. Appena ebbe seminato l’accompagnatore, riprese un andamento borghese. Non sapeva ancora cosa avrebbe detto allo Stimolatore, ma non intendeva dirlo col fiatone. Se volevano davvero lavorare con lui, che fosse chiaro sin dall’inizio che non era più un ragazzino. Se invece preferivano le pagliacciate, le Scuole di Coraggio traboccavano di coglioni caricati a molla.

(Che roba è? È un pezzo che sviluppa le premesse di Il chiar di luna non passerà, e partecipa ai quarti di finale della Grande Gara degli Spunti!  Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Il pianerottolo del quarto piano offriva il panorama su un cantiere abbandonato. Lampo si fermò a prendere fiato. Stava andando a farsi ammazzare?

Di lì a pochi minuti sarebbe stato a cospetto dello Stimolatore. Gli avrebbe fatto le domande di prammatica. Lampo avrebbe potuto rispondere che tutto andava per il meglio nel migliore dei futuri possibili. Che Campofuturo, nuovo capoluogo irpino, splendeva radiosa sulle macerie del terremoto. Che la popolazione aveva accolto con entusiasmo l’abolizione della pastasciutta e la riconversione dei campi dal frumento al mais per mangimi animali; che tutto era andato per il meglio e non era morto di fame nessuno, quasi nessuno, solo qualche migliaia di inguaribili passatisti. Che le organizzazioni malavitose erano state represse col pugno d’acciaio e non contrabbandavano spaghetti agli indigenti. Che la single-tax era stata un successo, la quota 110 aveva portato prosperità e mantenuto a galla l’Italia Futurista mentre le altre cosiddette potenze sprofondavano nelle procelle della crisi originatasi oltre l’Atlantico.

Oppure avrebbe potuto dire la verità, e che l’ammazzassero, che gli fotteva. A venticinque anni lo avevano nominato Eccitatore Straordinario per tutta l’area del terremoto. In campana, gli avevano detto, il Capo vuole vendere Roma alla Chiesa e fare di Napoli la capitale invernale. Non possiamo avere un deserto di ruderi a un centinaio di km distanza, avrai risorse illimitate. Risorse illimitate. Aveva visto bambini morire di malaria e dissenteria in ospedali da campo. Che l’ammazzassero. Del resto non era più un ragazzino, il suo serbatoio di eccitante entusiasmo si era esaurito. Era tempo di raccattare qualche altro giovane fanatico di belle speranze e mandarlo allo sbaraglio al posto suo.

Dal decimo piano si vedeva il cupolone. Alla fine il capo si era tenuto Roma, anche se non gli piaceva. Non aveva nemmeno sventrato la spina del Borgo per costruire quell’Arco del Futuro che all’orizzonte avrebbe fatto da ponte tra Castel Sant’Angelo e la cupola di Michelangelo, eclissandole. Aveva preferito costruire un quartiere completamente nuovo sulla Pontina, l’ennesimo tributo a quell’architetto che era morto prima di vedere come potevano diventare brutti i suoi palazzi sotto la pioggia. Non era sopravvissuto a quella guerra che aveva fatto impazzire tutti, Capo compreso.

Sul dodicesimo pianerottolo lo aspettava l’accompagnatore, sempre più costernato. “L’ascensore in realtà funziona       me lo hanno detto solo    quando sono arrivato al quinto”.
“Va tutto bene     non ti preoccupare     solo un piccolo trucco”.
“Un piccolo trucco?”
“Posso entrare?”
L’accompagnatore si schiacciò contro la porta, che si aprì stridendo contro il pavimento. Stava cedendo un cardine. Stava cascando tutto a pezzi.

Non solo il suo palazzo: anche Bottai sembrava invecchiato improvvisamente dall’ultima volta. Rughe, occhiaie, tutto il repertorio. Di fianco a lui, un coetaneo di Lampo vestito in borghese ostentò indifferenza al saluto militare. Scuro di capelli e di incarnato, labbra piene, un levantino. L’hanno preso a Tripoli, questo?

“Camerata Lampo, non ti ho convocato per il rapporto”.
Sta parlando con le virgole, buon segno. Ma potrò usarle anch’io?
“Non credo tu abbia già conosciuto il professor Majorana”.

Per un attimo Lampo fu tentato di porgergli la mano – si usava ancora tra borghesi? Qualcosa lo bloccò. Quel ragazzo sembrava tutto fuorché ansioso di toccare un suo simile.

“Il professore è un fisico di fama internazionale… non fare quella smorfia, Ettore, è così. Di recente è stato nominato a capo di un progetto coperto da segreto militare. Non posso spiegarti altro. Ettore pensa che non ne sarei nemmeno capace”.

Il professore continuava a fare smorfie e a guardarsi intorno disgustato. Lampo cominciava ad averlo in simpatia. Per arrivare al dodicesimo piano bisognava eccellere in qualcosa. La maggior parte – compreso il Lampo ventenne – eccelleva in leccaculismo. Non era, con tutte le evidenze, la specialità del professore.

“Abbiamo bisogno di un sito per condurre esperimenti molto complessi – e potenzialmente devastanti. Il professore aveva proposto l’entroterra libico, ma al momento…”
(I beduini ci stanno facendo il culo).
“…non è possibile per motivi di sicurezza nazionale”.

Così avete pensato all’Irpinia.

“Sai cos’è l’uranio?”

Un elemento radioattivo. Numero atomico 92. “Un dio del pantheon greco?”

“Ottima risposta. Da te non voglio sentirne altre”.

Che vogliono fare con l’uranio Bottai e Majorana nel meridione traboccante di futuristica gioia di vivere? Sarà senz’altro qualcosa di arricchente. Per saperlo occorrerà votare per Anno 11 dell’era futurista, che oggi se la gioca contro Il futuro non è nano, un quarto di finale che vale una finale.  Puoi cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo massacro.

futurismi, La grande gara di spunti

Anno 800 ab exitu de Aegypto

Gli avevano spiegato tante cose. Che si sarebbe svegliato ogni settimana in un secolo diverso; che si sarebbe sentito unico e solo, e non avrebbe potuto fidarsi di nessuno; che volti e voci sarebbero cambiati a ogni risveglio; non avrebbe potuto affezionarsi, né deviare da quell’Obiettivo che non avrebbe comunque mai raggiunto; che molto presto avrebbe dubitato di tutto, e si sarebbe sentito semplicemente perso, un atomo alla deriva nel vuoto cosmico; e forse un po’ più tardi si sarebbe affezionato al suo destino di profeta nel deserto. E che di sette giorni di veglia, due li avrebbe passati a inveire contro il mal di testa.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti (è uno sviluppo di Copernico). Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 

Ma non gli avevano detto quanto sarebbe stato difficile rimettersi a respirare. La prima mezz’ora i bronchi sembravano prendergli fuoco in petto, mentre Salem boccheggiava e si convinceva, ogni volta, che sarebbe morto asfissiato. La bella abitudine di riceverlo con un respiratore si era interrotta 500 anni prima – quando la scarsità di ossigeno sulla Stazione l’avrebbe resa un lusso sibaritico. Quella bella bombola in acciaio, qualcuno doveva averla venduta al mercato nero e Salem non ne aveva più viste – qualcuna dovevano pure tenerla per gli interventi esterni di manutenzione – penseranno che se fin qui sono sopravvissuto, ce la posso fare anche stavolta.

I Risveglianti stavolta non avevano nulla per aiutarlo. Salem tendeva a dare una certa importanza alla prima impressione che ne riceveva, quando gli occhi cominciavano ad abituarsi alla luce, e in questo caso l’impressione fu pessima. Non solo non avevano nessuno strumento per aiutarlo, ma si stringevano a lui invece di lasciargli un po’ di spazio. Sicuramente non facevano parte di un team medico. Prima brutta notizia. In compenso erano giovani. Questa era una notizia né buona né cattiva – di solito i regimi castali selezionavano Risveglianti anziani, quindi le caste forse erano state superate. Il che era un problema, in teoria – ma in pratica Salem ne era contento, non ne poteva più di vecchie barbe sagge convinte di saperne più di lui. In certi casi i giovani si erano rivelati più malleabili.

Questi però oltre che giovani erano anche incapaci – era evidente che non erano equipaggiati per un Risveglio. L’accappatoio era tarmato. Non avevano respiratore, nessun tipo di medicina, per quel che gli riusciva di vedere non c’erano nemmeno generi di conforto, una caraffa di tè, qualcosa. Il minimo richiesto per un ospite importante che si attende da un secolo. Salem cacciò un urlo. Serviva a schiarire le corde vocali, ma anche ad allontanare gli imbecilli, che in effetti fecero un passo indietro, spaventati. L’aria cominciava ad arrivare. A tastoni, Salem procedette fino al trono. Sedersi non lo avrebbe aiutato a inspirare, ma sentiva la necessità di stabilire le distanze. In fondo quella era la sua stanza, il posto in cui più si sentiva a casa. Lui era il Testimone della stazione, riaffiorato dal coma criogenico dopo un altro secolo. E loro chi cazzo erano?

Il più alto stava dicendo qualcosa – Salem non capiva una parola. Rimase affascinato dal grosso ninnolo di ferro che gli ostruiva parte di una narice. Che moda curiosa. Indica quanto meno che i metalli non scarseggiano. Buono a sapersi. Oppure il contrario, è un gioiello prezioso proprio a causa della scarsità, e indica l’alto lignaggio di chi lo porta – una specie di capo. Ecco perché mi parla anche se sa che non posso capirlo. Deve mostrare chi comanda?

Salem non aveva mai avuto molto tempo per ascoltare i dialetti sviluppati a ogni livello della Stazione, ma orecchio sentiva di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo. Quel tizio non aveva certo l’accento dei Meccanici, ma neanche quello degli Intoccabili. Cosa poteva essere successo – avevano trovato una lingua strana nell’archivio e avevano deciso di impararla tutti, perché? Un modo per segnare una frattura col passato, oppure per riallacciarsi a un passato ancora più… cristo santo, sta parlando in ebraico?

Improvvisamente sentì una voce di ragazza comporre frasi in un inglese stentato. Era l’interprete.
“Dottor Salem, lei è sotto la custodia dell’Agenzia di Sicurezza dello Stato Libero delle Pleiadi”.

Uno Stato. Curioso. Avevano recuperato la nozione di Stato. Nessuno ci aveva ancora pensato. Salem era passato nelle mani di Governi, Comitati, Assemblee, ma uno Stato era qualcosa di nuovo. Per quale motivo avrebbero dovuto fondarne uno, se non per…

“Lei è accusato di… di complicità in… un massacro; l’Agenzia ha intenzione di processarla davanti al Popolo. Trecento anni fa, come sa, la Stazione si divise in due fazioni, e una sterminò l’altra utilizzando l’agente x. Questo avvenne pochi giorni dopo il suo ritorno al sonno”.

Non mi stanno chiedendo nulla. Dicono tutto loro. Pessimo segno.

“Riteniamo di avere le prove necessarie a dimostrare che fu lei a svelare ai membri di una delle due fazioni la formula dell’agente x”.

Salem non aveva mai sentito parlare di “agente x” – non era il modo in cui l’aveva chiamato tre risvegli prima. Tutto il resto lo ricordava bene. Quel che era straordinario, è che se ne ricordassero loro. Si era già svegliato altre due volte senza che nessun abitante della Stazione gliene parlasse, non la minima allusione – ne aveva concluso che l’episodio era stato eliminato dai resoconti ufficiali. E invece in qualche modo il ricordo era sopravvissuto, probabilmente ai livelli più bassi, una leggenda che ingigantiva col tempo; poi c’era stata una rivoluzione e adesso qualcuno pretendeva di mostrargli il conto. Brutta storia.

“Posso… posso dire qualcosa?” Salem si era rivolto all’interprete. Il tizio col gioiello alla narice non apprezzò. Disse qualcosa di probabilmente ingiurioso che non fu tradotta.

“Dottore, non è questo il momento per invocare le sue… le sue obiezioni”.

“Intendete processarmi per una cosa successa trecento anni fa?”

Parlò un altro uomo, in un inglese un po’ più confortevole. Vestiva una tuta un po’ più lunga degli altri che poteva essere un camice.

“Per noi sono passati trecento anni, per lei pochi giorni. Se era pericoloso pochi giorni fa, perché non dovrebbe esserlo adesso?”

Salem capiva benissimo il punto di vista. Anche ai suoi tempi, se Hernán Cortés fosse ritornato in vita, l’autorità costituita non avrebbe resistito all’impulso di processarlo. Quale occasione migliore di esibire i propri principi morali. D’altro canto – Salem lo sapeva – dietro a un’esibizione di principi morali c’è sempre qualche brutto segreto da occultare. Coraggio, vediamo il bluff di questi ipocriti. Se solo non dovessi ricordare al mio diaframma di respirare ogni tanto.

“Chi è il capo qui?”

Si guardarono tra loro. Alcuni capivano l’inglese al volo, altri no. Rappresentavano evidentemente gruppi diversi, fazioni concorrenti. Alcuni erano tecnici, altri rappresentanti politici. Alcuni portavano sulla tuta di fibra una giacca blu che avrebbe potuto essere un uniforme. Tutti in generale davano l’idea di essere dei dilettanti allo sbaraglio. Alla fine a parlare fu il solito tizio col monile al naso. Salem aspettò pazientemente la versione dell’interprete.

“Noi siamo i… i facenti parte dell’Agenzia di Sicurezza dello Stato Libero. Non abbiamo capi, noi…”

“Giusto per curiosità, il suo boss sta parlando in ebraico?”

L’interprete represse un sorriso. La domanda era rivolta esclusivamente a lei. Rispose istintivamente, senza consultarsi col superiore.

“Lei è veramente dotato per le lingue, dottor Salem”.

“In realtà non sto capendo una parola. Ma c’era un piccolo circolo di cultori dell’ebraico al piano intermedio della Stazione cent’anni fa. Come hanno fatto a diventare egemoni?”

“Non siamo qui per rispondere alle sue domande”.

“Vi converrebbe. È una specie di culto? Vi siete immedesimati nel popolo eletto smarrito nel deserto, una cosa del genere?”

“Dottore…”

“Va bene, avete fretta di processarmi. È contemplata la pena di morte? Perché a parte la vita, non ho molto da perdere, come sapete. O volete semplicemente sapere come si distilla il cosiddetto agente x? Il fatto che vi identifichiate come uno Stato mi lascia immaginare che ne esistano altri nella Stazione, magari in guerra tra loro. Pensate che il fatto di controllare la Sala al momento del mio risveglio vi dia un vantaggio tattico?”

Mentre l’interprete traduceva, con qualche difficoltà, qualcuno si stava già scambiando occhiate. Bisognava sempre spiazzarli, era l’unico modo di rendersi indispensabile. Si misero a confabulare – alcuni erano visibilmente preoccupati. Salem cominciava a sentire le fitte dell’emicrania. Era stanco. Viveva in quel secolo da pochi minuti e già non ne poteva più. Ebbe il pensiero folle di rientrare nella vasca e rifarsi una pennichella. Ci pensassero loro alle loro beghe. L’ebraico, tu pensa. Magari raccontano ai bambini che sono scappati dal Faraone. La prossima volta cosa? Klingoniano?

“Potrei almeno sapere con chi siete in guerra? Coi livelli più bassi?” La domanda era volutamente provocatoria. Era molto probabile che quei signori venissero dai livelli più bassi.

“Non ci sono più veri e propri livelli, dottore”.

“Piani. Classi. Caste. Anelli. Ogni generazione li chiama in un modo diverso. Ma non è che si possano smontare”.

“Dottore”, parlò di nuovo il tizio in camice. “Può darsi che lei non abbia le… le categorie per capire quel che sta succedendo nella stazione. Quella che lei chiama ‘guerra’ è una cosa che ci siamo lasciati alle spalle molto tempo fa”.

Eccone un altro convinto di aver trovato il sole dell’avvenire, Gesù, che palle. 

“Lo Stato libero delle Pleiadi non è effettivamente l’unica forma di governo autonomo in tutta la Stazione – anche se è l’unico a garantire la libertà ai suoi abitanti”.

Parlava lentamente, scegliendo le parole con attenzione. Salem pensò che non si sarebbero mai sbottonati finché erano così tanti. Si controllavano a vicenda. Doveva trovare un modo per farne uscire un po’.

(Se tutto ciò non non ti ha ancora addormentato, non lasciar passare 100 anni prima di votare per Anno 800 ab exitu de Aegypto. Se la gioca contro il Proemio delle 1+2+3+4+5+6+… notti. Puoi farlo mettendo Mi piace su facebook, o esprimendoti nei commenti. Grazie per l’attenzione e arrivederci al prossimo spunto).

futurismi, La grande gara di spunti

Vegan contro Zombi, tu da che parte stai?

Appunti per una distopia vegana + zombi (qualcosa che in un qualche modo si è qualificata agli ottavi di finale della Grande Gara degli Spunti).

– Una saga young adult, però brevissima (i tre cd “volumi” sono di 100 pagine o poco più).

– Evangelina si sente diversa, tutti le dicono che è speciale, lei non sa in che senso è speciale, però sicuramente è diversa, insomma, si capisce che non è una ragazza banale come gli altri? Forse è meglio esplicitare che è una ragazza fuori del comune.

– I suoi compagni sono imbecilli a un livello che è impossibile da mantenere in una civiltà. Ad es., se gli dici “fuori del comune”, loro pensano “oltre i confini della più piccola unità amministrativa”. Cioè non ce la possono fare. Evangelina non è sicuramente come loro. Inoltre di notte sogna di morsicarli.

– Nel primo volume si copiano intere pagine da Twilight cambiando i nomi. Nel secondo volume si copiano pagine intere da 50 sfumature di grigio cambiando i nomi (che dunque risulteranno ugualmente copiate da Twilight). Nel terzo volume si copiano pagine intere dalle 120 giornate di Sodoma, i nomi a quel punto saranno irrilevanti.

– Ma vi faceva così schifo Dama e cavaliere?

– Dare il voto agli scimpanzé non è stato senza conseguenze – si è scoperto che tendono a votare qualsiasi stemma sia in alto a destra, con grande scorno di chi aveva messo la banana nello stemma apposta.

– A un certo punto l’ironia anti-vegan dev’essere di gusto talmente cattivo da suggerire nel lettore che si tratti di bieca propaganda della lobby della carne alla griglia.

Vabbe’,

I VOLUME – EVANGELINA È DIVERSA

Evangelina si sente diversa. Non riesce più a mangiare le fave. Le vomita di nascosto. Beve soylent di straforo. Si sente sempre più diversa. Suo padre capisce che Evangelina capisce i discorsi figurati e chiede la sua consulenza per certe antiche pergamene che illustrano la Terra degli Zombi. Tutti i compagni di Evangelina sognano di vincere una vacanza premio per andare nella Terra degli Zombi e sparare in testa a più zombi possibile. Se qualcuno non l’ha ancora capito, le uniche creature a cui si può sparare sono gli zombi, tutti gli altri esservi viventi sono sacri, nutrie comprese. Evangelina si sente diversa. Indovinate chi passa i test a pieni voti e vince il biglietto per la Terra degli Zombi. Tesoro sta’ attenta, quelli non hanno rispetto, quelli ti mangiano.

II VOLUME – EVANGELINA È INNAMORATA

Siccome Evangelina sa cose della Terra degli Zombi che non avrebbe dovuto sapere, si avventura là dove non sarebbe stato consentito e viene catturata da questi Zombi che, si scopre, in realtà sono bei ragazzi – al limite un po’ sfigurati dalle pallottole esplosive dei vegan che li vengono a braccare. Così spiegano alla sconvolta Evangelina che loro sono gli ultimi rappresentanti di una cultura orgogliosamente onnivora, e pur coltivando i frutti della terra non disdegnano di tirare il collo a un pollo ogni tanto. O sgozzare un maiale. O abbattere un bufalo. Siamo orrendi? Siete peggio voi che fingete di avere tutte le proteine che vi servono e mangiate noi tritati nel soylent. Ecco perché siete così stupidi, siete tutti ammalati di una qualche encefalite – ma d’altro canto la stupidità è molto facile da governare. Tutto questo glielo dice un ragazzo con molto carisma dopo aver legato Evangelina a un gancio da mattatoio. E poi comincia la rieducazione. Tie’, assaggia la mortadella. Sei un… chomp… mostro! Senti che profumo l’abbacchio, ecc. ecc. Evangelina si innamora.

III VOLUME – EVANGELINA CAPEGGIA LA RIVOLUZIONE degli zombi contro i vegan, che però finisce malissimo. La fanteria degli scimpanzè infatti ha facile ragione di questi sfigati con gli archi e le frecce. Vengono tutti catturati, torturati e fatti in padella. Ma proprio quando sembra che Evangelina stia per morire malissimo…

Se insisti ad apprezzare questa roba, ebbene, a questo punto sai cosa devi fare: mettere Mi piace su facebook al Telecomando di Yasir, o apprezzarlo nei commenti. Grazie per l’attenzione e arrivederci al prossimo spunto.

Francia, futurismi, Islam, La grande gara di spunti

Che sia Fronte o che sia Islam, purché magnam

Sprofondato in poltrona, una vaschetta da micro-onde sull’addome, François manovra stancamente il telecomando. Sta aspettando i barbari. Spera che sappiano far da mangiare, almeno loro. 

Io non ho mai galleggiato nello spazio, così l’esperienza più simile a un Ritorno sulla Terra che ho avuto è stata attraversare il tunnel che dalla Francia sbocca nell’autostrada dei fiori. Ci sono passato dozzine di volte, ma almeno quella avevo la radio accesa, che in un varco improvviso cominciò a trasmettere Vasco. Ero in Italia. Un chilometro più indietro, Vasco era un perfetto sconosciuto.

Stiamo a immaginare universi paralleli, e a poche centinaia di chilometri abbiamo questo universo completamente alternativo e incomprensibile che si chiama Francia. Non è straordinario? Pensa al nuovo libro di Houellebecq. Non è incredibile che un’ucronia interessante, appena a venti miglia da Ventimiglia diventi inimmaginabile? La storia di un tizio profumatamente pagato dallo Stato per insegnare cose inutili a gente a cui non interessano. A un certo punto subentra un nuovo governo che guida una rivoluzione culturale tesa a rinnegare un millennio e mezzo di cristianesimo, il cui risultato concreto sulla vita del protagonista è che qualcuno lo paga un po’ di più per smettere di insegnare. Poi ci ripensano e lo pagano ancora di più per riprendere. Lui ci pensa un po’ e poi accetta. Fine.

(Questi sono appunti su Sottomissione di Houellebecq. Uno degli spunti di oggi è un seguito parodico a un libro che secondo me è, bof, come definirlo senza offendere chi l’ha preso sul serio, uhm, comunque anche questo pezzo partecipa a modo suo alla Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 

Ora io non voglio dire che in Italia non esistano studiosi altrettanto inutili e inutilmente pagati – ma ve lo immaginate un libro che ruoti esclusivamente su uno di loro senza un intento esplicitamente anti-accademico? Un intento che in Houellebecq semplicemente manca. Ovvero, non è che a lui sfugga l’enorme vacuità di tutto il carrozzone accademico, un sontuoso castello gonfiabile che alla fine della fiera serve soltanto per procacciare fanciulle in fiore e tramezzini di qualità ai rinfreschi (nulla che l’Islam non possa allestirci meglio, ci sussurra). Però manca completamente quel disprezzo, quel sentimento anti-intellettuale che in Italia è egemonico da un secolo tondo. H. non dipinge un intellettuale inutile per denunciarne l’inutilità. Lo dipinge perché gli sembra un buon esemplare di francese medio. L’accademia inutile non è un obiettivo polemico in quanto accademia inutile. È solo un correlato oggettivo della Francia intera: per H. è fatta così, un posto dove tutti hanno un sacco di tempo libero e risorse per complicarsi l’esistenza intorno alle semplici esigenze di nutrirsi e fottere.

Una vita fa scrissi una cosa su Le particelle elementari di cui ovviamente mi vergogno, però a quanto pare quel che mi sorprende continua a essere la stessa identica cosa.

…I nostri eroi, invece, hanno tutti il posto fisso. Djerzinski e Desplechin sono ricercatori. Annabelle lascia il suo lavoro alla TF1 per fare la bibliotecaria; Bruno è un insegnante che non può più insegnare, per aver molestato una sua allieva: viene aggregato a una Commissione per il Programma di Francese (“mi giocavo gli orari da insegnante e le ferie scolastiche, ma il salario restava lo stesso”). La sua ex moglie è un’insegnante; la sua amante è un’insegnante: coincidenza sbalorditiva, ma nessuno dei personaggi ci fa caso. Ho la sensazione che non ci abbia fatto troppo caso neanche l’autore. Sembra una cosa normale: se sei insegnante finisci sempre a letto con insegnanti. […] Djerzinski è in anno sabbatico quasi per tutto il libro (il suo superiore quasi si vergogna di doverlo richiamare). Bruno e Christiane si fanno certificare una malattia fasulla da un medico compiacente per recarsi a Cap D’Agde dove, dice lei “è pieno di infermiere olandesi, di funzionari tedeschi, tutti molto corretti, borghesi, genere paesi nordici o Benelux. Mica male, ammucchiarsi con un paio di poliziotte lussemburghesi, no?” Funzionari ed infermiere, il cuore pulsante e libertino dell’Europa. Niente operai nelle ammucchiate, figurarsi. Ma nemmeno un artigiano. O un imprenditore. Niente. È uno dei romanzi contemporanei più classisti che mi sia capitato di leggere. Anche perché ho il sospetto che sia un classismo involuto: Houellebecq non parla di operai e artigiani perché per lui non sono rappresentativi, come se si trattasse di esigue minoranze in un’umanità di impiegati statali

Stavolta chi abbiamo? Un ottocentista, François – una versione un po’ più virile e affermata di Bruno Clément – che discute soltanto con accademici pari di lignaggio e un paio di escort, una delle quali comunque studia alla Sorbona. Siccome non è gente che più di tanto capisca di geopolitica, il narratore gli fa incontrare ogni tanto fortuitamente un analista dei servizi segreti (lo incrocia persino nel cuore della Dordogna, il che renderebbe chiunque paranoico, ma non François).

Questa percezione centralista, napoleonica della società – per cui il cristianesimo può anche tramontare, ma solo in seguito ai risultati di un ballottaggio, e all’Eliseo ci sarà sempre un Président, e sul tuo conto lo stipendio entro il 28 del mese – mi piacerebbe capire quanto sia condivisa dal pubblico francese e quanto non sia idiosincratica di Houellebecq, uno scrittore peraltro convinto di incarnare un qualche atteggiamento anarchico. Mi piacerebbe capire quanta consapevolezza ci sia nella sua decisione di ignorare completamente alcune dimensioni della società, ad esempio l’economia: si sa solo che la Francia è in crisi (non si capisce nemmeno che tipo di crisi), finché il nuovo presidente islamico non ha l’idea di tenere le donne a casa e rilanciare la piccola impresa a conduzione familiare: pochi mesi dopo “la Francia ritrovava un ottimismo che non ricordava dalla fine delle Trente Glorieuses”. Per tutto questo servirebbero come minimo misure protezioniste, ma Houellebecq viceversa immagina la Francia al centro di una nuova comunità euro-mediterranea, un nuovo impero romano napoleonico islamico. Ma l’aspetto veramente più paradossale è il modo in cui il libro narra la violenza. Non la narra. Dà per scontato che durante la campagna elettorale ci siano ovunque incidenti e conflitti a fuoco tra islamisti e fascisti, ma che nessuno riesca a farsene un’idea perché la televisione deciderebbe di non mostrarli – la televisione, s’intende, controllata dai socialisti al governo. No, ma sul serio?

“No, so già che sui canali d’informazione non ci sarà niente. Forse sulla CNN, se ha una parabola”.
“In questi giorni ho provato: niente sulla CNN e nemmeno su YouTube, ma me l’aspettavo. A volte su RuTube si trova qualcosa, riprese di gente che filma con il cellulare; ma è molto casuale, e comunque non ho trovato niente neanche lì”.
“Non capisco perché abbiano deciso il blackout totale; non capisco a cosa miri il governo”.
“Questa, secondo me, è l’unica cosa chiara: hanno davvero paura che il Fronte nazionale vinca le elezioni. E qualsiasi immagine di violenze urbane significa voti in più per il Fronte nazionale”.

È l’indizio che più di tutti mi fa sospettare che Houellebecq semplicemente si sia ridotto a un anziano misantropo che contempla stancamente il mondo dal journal télévisé di TF1. Nel 2022 in Francia nessuno riuscirebbe a postare il video di un tafferuglio su internet? (Continuerebbe pure, ma non diventerà nulla di narrativo se non voti questo spunto contro Il chiar di luna colpisce ancoraPuoi farlo mettendo Mi piace su facebook, o esprimendoti nei commenti. Grazie per l’attenzione e arrivederci al prossimo spunto).

futurismi, La grande gara di spunti, racconti, repliche

Il chiar di luna colpisce ancora

“Vi saranno inoltre areoplani-fantasmi carichi di bombe e senza piloti, guidati a distanza da un areoplano pastore. Areoplani fantasmi senza piloti che scoppieranno con le loro bombe, diretti anche da terra con una tastiera elettrica. Avremo dei siluranti aerei. Avremo un giorno la guerra elettrica.” L’alcova di acciaio, 1921 (1).

“Professor Modena, voi ritenete che esista un argomento inappellabile contro la possibilità di viaggiare nel tempo, non è vero? ”

Angelo Modena riprese fiato e tornò a fissare il suo interlocutore nella penombra del salotto. Le mani dell’uomo aderivano ai braccioli della poltrona come se ne fossero un’estensione naturale. Sembrava aver preso forma in quella stessa posizione, pochi minuti prima, mentre in cucina il professore preparava un caffè.
Una pioggia opaca sbatteva granuli di piombo sulla parete-finestra, affacciata sulla laguna. La tangenziale di Venezia era da qualche parte oltre lo smog. Più in fondo lampeggiava il faro per i dirigibili in cima all’orribile grattacielo Sant’Elia, appena inaugurato e già annerito da un catrame che sembrava secolare.

(Questo è un racconto di qualche anno fa, ambientato in un passato alternativo non molto diverso da quello di Il chiar di luna non passerà! Tutto questo partecipa ovviamente alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 

“Non sono un’allucinazione, professor Modena. Sono perfettamente reale e potrà toccarmi, se lo desidera. Ma la prego, risponda alla mia domanda. Qual è la miglior prova del fatto che i viaggi nel tempo non siano possibili?”
“Stamattina ho scritto un appunto”.
“Sul vostro diario, certamente, eccolo qui”. L’interlocutore estrasse da una tasca esterna un taccuino ingiallito, oscenamente logoro. “Tre febbraio 1929. Ho ritrovato una vecchia edizione di un grande amore della mia gioventù, La Macchina del Tempo di H.G. Wells. Oggi come ieri mi sbalordisce l’intuizione del tempo come quarta dimensione. L’idea del viaggio nel tempo è una delle più originali mai concepite, anche se purtroppo impraticabile al di fuori della finzione narrativa. D’altro canto è molto semplice dimostrare che l’umanità non potrà mai viaggiare nel tempo…
“Chi vi ha dato il permesso di frugare tra i miei appunti?”
“Il vostro diario è come sempre nel cassetto dello scrittoio. E non ricordo dove voi teniate la chiave. Stavo dicendo: è molto semplice dimostrare che l’umanità non potrà mai viaggiare nel tempo…
“…non abbiamo mai avuto visite dal futuro”.
“Molto brillante, professor Modena. È vero. Se il viaggio nel tempo fosse praticabile, noi riceveremmo senz’altro visite degli uomini dal futuro. Ma questa – se posso farle un’obiezione – non è una vera prova contro il viaggio nel tempo. Al limite è un indizio. E forse non ha valutato altre ipotesi”.
“Quali ipotesi?”
“Viaggiare nel tempo potrebbe essere molto complesso. E pericoloso. I viaggiatori nel tempo potrebbero essere costretti a nascondersi per evitare alterazioni nei rapporti di causalità, mi segue? Essi proverrebbero da un futuro che consegue dal nostro presente, ma palesandosi per viaggiatori nel tempo altererebbero questo stesso presente, generando nuove catene di cause ed effetti che potrebbero mettere a rischio la loro stessa esistenza, non so se riesco a spiegarmi”.
“Potrebbero uccidere un loro antenato”.
“Per esempio”.
“O sé stessi”.
“Non deve veramente preoccuparsi di questo”.
“Si verrebbe a creare una specie di…”
“Noi lo chiamiamo paradosso”.
“Voi del futuro, mi è lecito immaginare”.
“Proprio così, professor Angelo Modena. Il viaggio nel tempo è possibile, voi stesso lo dimostrerete tra sette anni. Ne serviranno altri tre per le verifiche sperimentali, dopodiché…”
“Questo spiega le rughe e la calvizie, professor Angelo Modena. Deve aver lavorato molto nei prossimi dieci anni”.
L’interlocutore sospirò. “Mi dispiace. Mi rendo conto di essere un’immagine perturbante per lei. Ne ho discusso a lungo coi miei collaboratori. Abbiamo vagliato diversi scenari, ma alla fine abbiamo convenuto che nulla sarebbe stato più convincente di vedere una copia invecchiata di sé stesso…”
“Sulla mia poltrona, come il cattivo demone di Stavroghin. Potevo avere un infarto! E voi sareste morto con me”.
“Questo non sarebbe stato possibile. E infatti non è successo, come vede. Abbiamo un cuore di ferro, io e voi. E possiamo concederci un dito di cognac, la bottiglia che nascondete dietro all’attestato della Corporazione Futurista Israelita”.
“Quella ve la ricordate”.
“La memoria funziona in un modo davvero curioso, lo sto sperimentando”.
“Spiegatemi però meglio questo punto”, continuò il Modena meno anziano, mentre strappava l’etichetta fiammante dei futur-monopoli dal tappo del liquore. “Io inventerò la macchina del tempo – a proposito, dov’è?”
“È restata nel mio tempo. Non è un veicolo come quella di Wells – pensate piuttosto a una specie di cannone. E a me come a un proiettile umano”.
“Ma questo significa che…”
“Non posso tornare nel 1949, no. Almeno finché non ne costruiamo un altro”.
“Voi mi avete appena spiegato che il viaggio nel tempo è possibile. E mi avete convinto. Questo avrà senz’altro cambiato il rapporto di causa-effetto che vi ha portato nel 1949 a farvi sparare qui col cannone”.
“Certamente. Il 1949 non è più quello da cui sono partito. La mia sola partenza lo ha già modificato per sempre”.
“Eppure voi continuate a esistere, e a ricordarvi quel 1949, che è giocoforza diverso dal 1949 che io vivrò. Per dire, se io ora prendessi un coltello dalla cucina e mi praticassi un taglio…”
“Non comparirebbe sul mio corpo nessuna cicatrice, no. Non sono più soggetto ai rapporti di causa-effetto che ho contribuito a modificare”.
“Ne è sicuro?”
“Ragionevolmente sicuro. Ci abbiamo messo molto tempo, e abbiamo spedito molti oggetti e cavie nel passato per misurare gli effetti. Vedete, viaggiare nel tempo significa precisamente sottrarsi dai rapporti di causa-effetto. Viaggiando, ho modificato il mio presente dal mio punto di osservazione, restando però uguale a me stesso, e continuando a conservare gli stessi ricordi di un tempo che non esiste, e rughe scavate da esperienze che non esistono più. In effetti non sono io il viaggiatore, io rimango fermo. È il continuum causa-effetto che si modifica intorno a me, riuscite a capirmi?”
“Forse. È curioso che continuiamo a darci del voi”.
“Non riesco a farne a meno”.
“Nemmeno io. Ma dev’essere successo qualcosa di orribile, immagino”.
“Come avete fatto a…”
“Per venirmi a trovare avete distrutto venti anni di esperienze. Voi non lo fareste… io non lo farei mai, a meno che non fossi costretto da ragioni estreme. Ho ragione?”
“Ovviamente”.
“È successo qualcosa a Isacco?”
“Vostro figlio sta benissimo. Nel 1949 che ho lasciato era il vostro collaboratore più prezioso. Nel nuovo 1949 naturalmente le cose potrebbero essere diverse, ma c’è ben altro in gioco”.
“Non riesco a immaginare nulla di più…”
“L’umanità, professore. La stessa vita sulla terra. Nel futuro da cui provengo vi sono state altre due spaventose guerre mondiali, e la quarta è alle porte. Lo stesso progresso tecnico-scientifico che ha reso possibile il mio viaggio, ha trasformato i conflitti in spaventose carneficine. Intere città possono essere distrutte in pochi secondi, grazie a bombe di spaventoso potenziale attivate su razzi comandati a distanza. I gas venefici sono stati sostituiti da agenti batteriologici in grado di contagiare milioni di persone. Gli abitanti autoctoni dell’Africa nera sono stati scientificamente sterminati. Di decine di milioni di cinesi si ignora il destino – non sono mai esistiti. La stessa Europa è una polveriera radioattiva…”
“E tutto questo dipende da me?”
“Tutto questo dipende dalla Guida – lo chiamate ancora così nel 1929, se non sbaglio. Il primo Ardito, l’Audace, Il Volante della Nuova Italia. In seguito rivaluterà l’impero Romano e prenderà il titolo di Duce, ne apprezzerà la sintesi. Ma in sostanza è sempre lui”.
“Filippo Tommaso Marinetti. È ancora al potere?”
“È durato molto più di tanti papi e imperatori del passato che disprezza. Ha saputo sbarazzarsi con destrezza dei rivali più pericolosi. Lo si è già visto, no? Nel modo in cui liquidò i Savoia e riuscì a emarginare D’Annunzio dopo la Corsa su Roma”.
“Sapete, questo mi stupisce molto. Detto tra noi, non l’ho mai ritenuto un uomo particolarmente prudente”.
“Lo so. Ci sbagliavamo sul suo conto. O forse non è la prudenza che mantiene un uomo in una posizione del genere. Da un certo momento in poi, per lui si è trattato di correre o cadere. E ha corso molto. Il suo sogno di svecchiare l’Italia poteva realizzarsi soltanto con una politica aggressiva su tutti i fronti, e così è ridiventato il vecchio guerrafondaio degli anni Dieci – se lo ricorda?”
“A quei tempi era solo un artista. Abbastanza mediocre, a voi posso dirlo”.
“Era già un buon organizzatore, con un gusto spiccato per il paradosso”.
“Sì, ma quando uno va al governo e poi Venezia la asfalta davvero…” (2)
“Nel mio 1949 Porto Marghera è la capitale tecnicoindustriale d’Europa. La messa in vendita dei patrimoni artistici del passato (3) ha fornito la spinta necessaria a un’evoluzione senza precedenti, attirando nei nostri laboratori gli scienziati più visionari e spregiudicati del Vecchio e del Nuovo Mondo. È il secondo Rinascimento italiano, quello tecnico e scientifico. Conoscete Enrico Fermi”.
“Un bravo ragazzo”.
“Tra quattro anni la sua équipe scinderà per la prima volta il nucleo di un atomo di uranio”.
“È a questo che stanno lavorando?”
“Non ancora. La guerra civile in Germania accelererà di molto le cose. Anche Albert Einstein si fermerà da noi per un po’”.
“Quindi ci sarà una guerra civile in Germania”.
“I gotico-nazionalisti prenderanno per qualche mese il controllo della Baviera. A Berlino il cancelliere Gropius accuserà il partito della Tradizione di aver incendiato il Reichstag”.
“Quel tizio non ha l’aria di un assassino”.
“Il potere corrompe, specialmente quando comincia a traballare. Lo aiuteremo noi, e i cubosovietici naturalmente. Lui e Majakovskij si spartiranno anche la Polonia. Noi ci accontenteremo di avere campo libero nei Balcani e in Africa. Vendicheremo Adua con le armi batteriologiche”.
“Adua? Per quale motivo al mondo…”
“L’uranio. È inutile essere la nazione più progredita, se mancano le materie prime. È una bizzarria della storia che Marinetti si adopererà a correggere. La Repubblica Futurista Italiana diventerà l’Impero Futurista Mediterraneo e Africano. E il nostro “duce” perderà completamente la testa. Nel tentativo di giustificare il massacro di intere popolazioni, svilupperà un’ideologia sempre più razzista. Lo scandalo internazionale ci porterà alla seconda guerra mondiale contro gli inglesi e i francesi”.
“Gli ultimi da cui prendere lezioni in fatto di umanità coloniale”.
“L’antico amore di Marinetti per la Francia la salverà dai bombardamenti più atroci. Brazzaville, nel Congo francese, e York, saranno letteralmente spazzate via dalle prime bombe nucleari che verranno messe a punto qui, tra quindici anni, dai migliori alunni di Fermi”.
“Bombe nucleari?”
“L’arma spaventosa che garantirà a noi e ai nostri alleati – razionalisti tedeschi, cubosovietici russi, industrialisti giapponesi – la superiorità militare per quasi un decennio. La Francia capitolerà, Le Corbusier sarà messo a capo di un governo collaborazionista…”
“Mi faccia immaginare, sventrerà i fauburg per costruire grattacieli”.
“Sarà inevitabile. L’Inghilterra negozierà una tregua che metterà tutto il continente africano a nostra disposizione. Credetemi quando vi dico che il ricordo dei vecchi soprusi coloniali sbiadirà di fronte alla crudeltà dei giovani cresciuti alla scuola del futurismo politico italiano. Le popolazioni negroidi verranno usate per testare nuove armi batteriologiche. Giapponesi e cubosovietici faranno la stessa cosa coi cinesi. E nel 1941 l’attacco nipponico a una base americana nel Pacifico darà inizio alla terza guerra mondiale: inglesi e americani contro le tecnocrazie di Europa e Asia”.
“Il capitale contro la tecnologia…”
“Sarà più complicato di così: gli inglesi riusciranno a salvare la loro isola dalle incursioni dei nostri bombardieri, grazie a un’arma segreta difensiva. E a partire dal 1944 anche gli americani avranno sviluppato la bomba atomica. Dopo l’armistizio comincerà una lunga corsa agli armamenti. Già verso il 1950 il potenziale accumulato negli arsenali dei paesi europei e in USA sarà sufficiente a porre fine alla vita sulla Terra”.
“Ed è tutta responsabilità di Marinetti? Mi state dicendo questo?”
“È più complicato, è sempre più complicato di così. Non si tratta di responsabilità, ma di una variabile cruciale di una complessa formula causa-effetto… nel vostro 1929 non esiste nemmeno la matematica necessaria per dimostrarvi quello che vi sto spiegando. Dovete fidarvi di me – è il motivo per cui abbiamo deciso di inviare me stesso, l’unica persona che vi può chiedere un simile atto di fede. Anni di calcoli ed esperimenti ci portano a concludere che sia Marinetti la chiave di volta delle catastrofi scoppiate in Europa a partire dagli anni Trenta del secolo XX. Senza il suo esempio cruciale, nessuna avanguardia artistica si sarebbe tramutata in partito politico. Gropius e Le Corbusier sarebbero rimasti architetti, Majakovskij un poeta inquieto. Dovete credermi quando vi dico che le artecrazie europee si sono rivelate la forma di governo più crudele della storia dell’umanità. Abbiamo formulato ipotesi anche su questo – la componente narcisistica che era fortissima nelle avanguardie storiche, una volta trasferita sul piano politico, ha propiziato massacri di intere popolazioni, di intere classi sociali”.
“E quindi, lasciatemi indovinare, io dovrei cercare di avvicinarmi al Primo Ardito d’Italia e traforargli le cervella con un revolver?”
“Sarebbe inutile. Probabilmente un attentato del genere fallirebbe, oppure lo spazio occupato da Marinetti verrebbe riempito da qualcuno molto simile a lui. In anni di esperimenti abbiamo capito che i rapporti di causa-effetto hanno una certa rigidità. La Storia si può entro certi limiti cambiare, ma non si può prendere di petto. È come cercare di spezzare un diamante con un temperino. Io sono riuscito a prendere forma in questo salotto, oggi pomeriggio, perché le modifiche che il mio lancio ha compiuto sulla Storia sono ancora molto contenute. E un lancio ancora più lungo è tecnicamente impossibile”.
“Quindi non possiamo soffocare il piccolo Marinetti nella sua culla, o impedire ai genitori di conoscersi”.
“Non funzionerebbe, no. Ma ora che sono qui, posso effettuare ulteriori modifiche”.
“Devo nascondervi?”
“Tutt’altro. Deve denunciare subito la mia presenza al ministero dell’innovazione scientifica. Il fatto che io sia qui, e che possa collaborare da subito con voi, ci permetterà di sviluppare la tecnologia dei viaggi del tempo con 10 anni d’anticipo. Fingeremo di lavorare a maggior gloria della Repubblica Futurista. Ma con il prossimo lancio dobbiamo riuscire a raggiungere il 1919”.
“Piazza San Sepolcro? Vuole tirare una bomba a mano sul palco?”
“Voi non sapete quanto mi piacerebbe. Ma no, i calcoli escludono che una mossa del genere sia possibile. Mi toccherà un ruolo più imbarazzante. Dovrò contattare una signorina di 21 anni, Benedetta Cappa. Avrete senz’altro sentito parlare di lei”.
“Una poetessa, mi pare. Una delle innumerevoli amichette del Primo Ardito”.
“È molto di più. Tra qualche anno denuncerà le violenze d’Abissinia e sarà espulsa dal partito futurista. Sarà una della principali organizzatrici dell’opposizione clandestina, e l’ispiratrice e finanziatrice delle nostre ricerche. In effetti il piano che sto eseguendo è in gran parte opera sua. In questa busta, che vedete, c’è una lunga memoria che la signora Cappa del mio 1949 ha scritto alla sé stessa di trent’anni prima. Io dovrò assicurarmi che la legga, e che accetti col suo sacrificio di salvare il mondo dal baratro”.
“Che tipo di sacrificio?”
“Dovrà fidanzarsi e sposare Marinetti”.
“Questo è ridicolo”.
“Purtroppo non posso mostrarvi le equazioni che lo dimostrano…”
“Il Primo Ardito conquistato da una ragazzina? Si ricorda cosa scriveva nei suoi manifesti? Il disprezzo della donna, eccetera? Non si sposerà mai”.
“Non è mai riuscito a trovare quella giusta. Una proiezione della madre, ovviamente. Leggete il polpettone futuristico che scrisse nel ’09, Mafarka, si chiamava. Un libro profetico, anche se di rara goffaggine. Tra qualche anno sarà introvabile. La Cappa è la donna che più si è avvicinata al suo ideale – ma si sono incontrati troppo tardi, quando la discesa nell’agone politico era ormai irrevocabile. Eppure è mancato poco – avevano già avuto un breve incontro nel 1918. La Cappa era una ragazzina, e quel reduce donnaiolo le faceva paura. Dovrò convincerla ad accettare le sue avances”.
“Avete ragione, sarà molto imbarazzante”.
“La memoria della Cappa cinquantenne la ragguaglierà su come soggiogare il suo seduttore. Il momento cruciale è l’autunno del 1919. Non so se ve lo ricordate, ma le prime elezioni a cui partecipò Marinetti furono un fiasco solenne. Fu arrestato la notte stessa per detenzione d’armi da fuoco. Passò una settimana in cella, era deluso e spaventato (4). Credeva che i bolscevichi avrebbero vinto. Quello è il momento in cui la signorina Cappa deve andarlo a visitare (5). C’è una finestra nel continuum causa-effetto che possiamo sfruttare. Cambieremo la Storia con un colpo preciso, come il tagliatore di diamanti che sa dove deve incidere per ottenere una sfaccettatura perfetta. Non siete convinto”.
“No”.
“Nessuno vi conosce quanto me. Siete già un uomo fuori dal tempo – positivista per formazione, e socialista per ideologia. Voi non accordate molta importanza al ruolo dell’individuo nella Storia. Credete che al posto di Marinetti vi sarà qualcuno come lui”.
“Sono in errore?”
“Vi mancano gli elementi per capire il vostro errore. Nel vostro 1929 la Storia è ancora una scienza umana, un’arte più che una scienza vera e propria. Nel mio 1949 è una disciplina scientifica rigorosa quanto la chimica o l’astrofisica. Ci sono eventi irripetibili – noi le chiamiamo “singolarità”. Uno di questi è l’avvento al potere di un artista d’avanguardia, Filippo Tommaso Marinetti. Un evento fortuito, verificatosi per un esilissima catena di circostanze, che avrà effetti a catena catastrofici. Non possiamo fare nulla per sciogliere le catene, ma se riusciamo a risalire al 1919 ci basterà un bigliettino profumato per salvare l’Italia dall’infamia e il mondo dalla guerra”.
“Chi prenderà il suo posto? Ignoro del tutto le vostre formule, ma so che l’Italia era alla vigilia di una rivoluzione. D’Annunzio?”
“Non ha nessuna chance, dopo Fiume è soltanto una presenza decorativa. Nessuno fa davvero affidamento su di lui. Abbiamo diversi scenari, tutti migliori di quello in cui Marinetti prende il potere. Per esempio… Si ricorda come si chiamava il movimento fondato a Piazza San Sepolcro?”
“I fasci futuristi, mi pare”.
“Fasci di combattimento. Il futurismo non era ancora la corrente egemone. C’era una forte componente socialista rivoluzionaria. Si ricorda di Benito Mussolini?”
“Il giornalista? È a Parigi coi Rosselli, mi pare”.
“Era lui il capo, a San Sepolcro”.
“Ma veramente?”
“La propaganda futurista sta già modificando la memoria collettiva. Ma controllate sui giornali del tempo. Mussolini verrà messo in minoranza soltanto al congresso del 1920, e poi cadrà in disgrazia. Il fidanzamento con Benedetta Cappa può modificare la situazione”.
“Niente più Corsa su Roma?”
“La organizzerà Mussolini. E otterrà l’incarico dal Re. È una persona molto più pragmatica di Marinetti; altrettanto ambiziosa, ma senza il narcisismo dell’artista. Non congiurerà contro la Corte; dovrebbe riuscire nell’obiettivo di pacificare socialisti e popolari”.
“Lo odiavano entrambi. I socialisti, soprattutto”.
“Vecchi rancori, li seppelliranno”.
“Ci sono delle equazioni che lo dimostrano, immagino”.
“Nulla è dimostrabile al 100%. Comunque è difficile immaginare uno scenario peggiore di quello dell’ascesa al potere di Marinetti. Ed è altamente probabilità che senza il suo esempio anche i cubofuturisti non riescano a liquidare Giuseppe Stalin. Quest’ultimo avvierà una politica di industrializzazione molto meno aggressiva – non massacrerà i contadini, è di estrazione contadina lui stesso. La repubblica di Weimar salderà il suo debito di guerra e grazie agli investimenti americani già verso la fine degli anni Venti sarà la prima potenza industriale d’Europa. Ovviamente ci saranno ancora guerre, e scenari al di là delle nostre possibilità di calcolo: ma l’incubo futurista sarà spazzato via prima ancora di prendere forma. Di Marinetti ci ricorderemo soltanto come di un artista mattoide che dopo la Grande Guerra mise giudizio e si sposò”.
“E Venezia?”
L’anziano professor Modena fissò negli occhi il sé stesso di venti anni prima, e sorrise. Per un attimo l’illusione di specchiarsi fu perfetta. “Venezia non sarà mai asfaltata. A nessun altro verrà in mente un progetto così folle”.
“Non me lo può garantire al cento per cento…”
“Al novantasei virgola quindici”.
“Mi basta e mi avanza”.
(Filippo Tommaso Marinetti e Benedetta Cappa si sposarono nel 1923. Il professor Angelo Modena non ha mai scritto il suo appunto sulla Macchina del Tempo di Wells. È morto a Birkenau nel 1944).

Se a differenza del professore hai una voglia matta di vedere Venezia asfaltata, approva con futuristico vigore lo spunto che oggi se la gioca contro Redenzione. Tutto quello che ti si chiede è mettere Mi piace su facebook, o esprimervi nei commenti. Grazie per l’attenzione e arrivederci al prossimo spunto.

animali, futurismi, La grande gara di spunti

Cosa ci insegnano i procioni

Come tutti i procio-linguisti (e più in generale i procio-studiosi, e i procio-divulgatori, e tutto l’indotto umanistico e scientifico che ruotava intorno al Pianeta dei Procioni), Aron aveva grosse difficoltà a mascherare il disprezzo che provava per i cosiddetti “procionidi terrestri”, quei gruppi di svitati che dopo aver visto un documentario di troppo erano andati a vivere nei boschi in piccole comunità di soli maschi o sole femmine – fatta eccezione ovviamente per quelle quattro settimane tra marzo e aprile, dedicate al corteggiamento e all’accoppiamento. Aron non riusciva nemmeno a individuare l’aspetto più paradossale: che le istruzioni per la vita in armonia con la natura provenissero da trasmissioni inviate e captate con le tecnologie più sofisticate a disposizione? o che una specie vivente dedita al genocidio fosse percepita come più “naturale” soltanto perché viveva tra gli alberi?

(Questo pezzo prosegue lo spunto della Fine del mondo dei procioni, e ovviamente partecipa alla Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 

“Non hai mai pensato che è anche colpa nostra?”, le aveva detto Sara un giorno. “In fondo non sono che vittime della procio-mania. Quella cosa che ci dà da vivere”.
“Noi non viviamo di procio-mania. Noi studiamo i linguaggi dei procioni”.
“Certo, e per farlo servono computer dall’enorme potenza di calcolo, e specialisti ben pagati, e tutto questo lo pagano gli sponsor che vogliono vendere il prossimo film 3d ambientato nel mondo dei procioni”.
“Sara…”
“La soap dei procioni sta andando fortissimo – anche se non abbiamo ancora capito chi è il buono e chi è il cattivo – ammesso che ci siano – i peluche autorizzati dall’Agenzia Spaziale sono già pezzi da collezione, e ci sono ragazzini che da cinque anni in qua non fanno che sentir parlare di procioni, procioni, procioni. Ti sorprende che una piccola parte di loro comincino ad arrampicarsi sugli alberi? Tra un po’ ci arrampicheremo tutti. Hai visto i progetti della nuova torre di Berlino?”
“Prima o poi si renderanno conto che i procioni sono come noi”.
“Non sono come noi”.
“È vero. Ma non sono né meglio né peggio. Sono violenti, devastatori, hanno un forte senso del branco ma nessuno scrupolo per gli estranei”.
“Bene, e ora dimmi qualcosa che li differenzi dai sapiens”.
“Sin da quando abbiamo cominciato a capire qualcosa della loro Storia, abbiamo cercato di combattere il luogo comune di specie-in-armonia-con-la-natura. Abbiamo raccontato di come abbiano sterminato un’altra razza intelligente nel continente inferiore”.
“Probabilmente noi abbiamo fatto la stessa cosa coi Neanderthal”.
“Loro lo hanno fatto con armi batteriologiche”.
“Allora è la stessa cosa che noi abbiamo fatto agli Incas”.
“Non abbiamo usato armi batteriologiche contro gli Incas… non consapevolmente”.
“Hanno iniziato a usare armi batteriologiche più o meno quando noi cominciavamo a perfezionare le catapulte, non puoi fare un paragone con…”
“Sei tu che hai iniziato a fare paragoni”.
“Va bene. Fare paragoni è sempre sbagliato”.
“Sempre”.
“Perché abbiamo iniziato?”
“Non riesco a capire come sia passata l’idea dei procionidi in sintonia con la natura. Hanno devastato più habitat di quanto non abbiamo fatto noi”.
“Ma vivono ancora sugli alberi, mentre noi siamo scesi”.
“Tutto qui?”
“Certo che no. Hanno quella pelliccia adorabile, e quel mese all’anno in cui pensano soltanto al sesso. Tutte cose di cui eravamo convinti fosse necessario liberarsi, per diventare civili. Loro ci hanno dimostrato che non è vero. Si può fondare una civiltà senza scendere dagli alberi, senza perdere i peli, senza rinunciare alla stagione dell’amore”.
“Hanno cacciato gli orsi fino all’estinzione. E manco li mangiano”.
“Erano comunque pericolosi. Piuttosto ci sarebbe da domandarsi perché noi non abbiamo fatto la stessa cosa”.
“Perché abbiamo sviluppato il concetto di biodiversità, mentre loro…”
“Loro si sono stabilizzati sul miliardo di abitanti, su un pianeta un po’ più piccolo della Terra, forse è una strategia più ecologica della nostra”.
“Il loro modo di stabilizzarsi è massacrarsi tutti gli autunni”.
“Anche lì, ci sarebbe da domandarsi perché non facciamo la stessa cosa”.
“Sei seria?”
“Forse non stiamo distruggendo il pianeta perché facciamo troppe guerre, ma perché non ne facciamo abbastanza. Ci hai mai pensato?”
“Ok, non sei seria”.

Se sei un furry, o non hai il coraggio di ammetterlo a te stesso, ma hai quello per votare Cosa ci insegnano i procioni, che oggi se la vede con Qualcuno continua a uccidere le mie ex, non hai che da mettere Mi piace su facebook, o esprimerti nei commenti. Grazie per l’attenzione e arrivederci al prossimo spunto.

futurismi, La grande gara di spunti

Il ritorno alla terra, poema drammatico

(Tra gli spunti ce n’è uno – Fiume 1920 – recuperato in una vecchia cartella di cui mi ero assolutamente dimenticato, buttato lì come tanti altri per far mucchio, e che invece risulta fin qui uno dei più votati. Sono un po’ in pensiero perché anche se è una vicenda che ho studiato (meno di quanto meriterebbe), ormai non ne so più niente. E siccome per ora non ho niente di più da offrire, incollo un pezzo preso dal libro più venduto e meno antologizzato di F.T. Marinetti, Come si seducono le donne. È un testi del ’16, dettato in trincea, che anche in edizione censurata spopolava tra gli ufficiali al fronte. Gente che sotto l’artiglieria si ripromette di tornare a casa con cicatrici non troppo sfiguranti e sdraiare nobildonne grazie ai futuristici consigli di FTM. Lo incollo qui per dare un po’ l’idea del tono, della situazione. Cinque anni dopo FTM è a Fiume che continua a inseguire gonnelle senza requie).

Durante i tre anni che precedettero la conflagrazione generale, Parigi, che aveva riassunto e perfezionato in sé tutte le eleganze, tutte le raffinatezze, tutti i cerebralismi e tutte le esasperazioni erotiche, volle realmente spaccarsi l’enorme fronte luminosa contro la muraglia dell’impossibile.

Tutti i divertimenti, tutte le bizzarrie, tutti i capricci, tutti gli spettacoli realizzati, esauriti, vuotati. La mania letteraria femminile che aveva succeduto alla mania del bridge, giunse a delle forme snobistiche assolutamente pazzesche e cretine. Durante un pomeriggio in un salone politico consideratissimo fui costretto ad ascoltare venti declamatrici diverse.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone). 

Una dama sessantenne leggeva una Notte di De Musset. Occhialetto tremante fra i nodi delle vecchie dita. Primavera stonata di una toilette rosalilla sul corporuderoattaccapanniombrello. Lingua stanca e bavosa fra i versi roventi. Disattenzione di tutti i cappelli piumati che bisbigliavano i loro affari senza preoccuparsi della declamatrice. Poi, un barbone biondo, pettinatissimo, in stiffelius, notaio o direttore di banca, cadenzava per dieci minuti degli alessandrini col gesto sempre eguale di un seminatore. Poi una signorina svenevole, piena di smorfie cinesi, parlava con una voce da passero, di una volontà che faceva rima con carità. Compassione generale. Nessuno ascoltava. Dalle tre fino alle otto e mezzo di sera. Ogni tanto interruzione: – bello! magnifico! interessante! Piccoli battiti febbrili dei ventagli richiusi contro gli anelli delle mani ridipinte. Mormorio di compiacimento falso. Gorgoglio di voci. Trotto di cretinerie banalissime. E si riprendeva: a non ascoltare.

Nella sala dei rinfreschi si sfogava un frastuono sincero di voci, di piatti e di appetiti. Tutti infatti, poeti, poetesse, bohémiens ripuliti, giornalisti, artiste, signore, attrici avevano fame di sandwiches, pasticcini, gelati e cioccolata dopo quel fiume nauseante di insipidità, e specialmente dopo le lunghe strade parigine affollatissime che avevano dovuto attraversare a piedi, in tram, in luccicantissime limousines; tra mille scossoni, sotto l’impulso del tempo che li spronava a fare ad ogni costo il più assoluto niente. Ritmo affannoso. I petti femminili smaniosi di trovarsi sempre nel punto di Parigi più alla moda, nel salotto più in vista, allo spettacolo più eccezionale. Tutte le bassezze per un invito!…

Ogni signora ha il suo giorno di ricevimento con qualche cosa di speciale. Lotta feroce dei diversi giorni della settimana! Il martedì della marchesa C pompa pneumaticamente i due terzi della curiosità parigina, ma è minacciato dal martedì della contessa D, e specialmente da quello della giovane e bellissima letterata Y, che lavora accanitamente ad accumulare quadri cubisti, poeti, futuristi, ballerini russi, giocolieri sudanesi e lancia su Parigi delle reti d’inviti nelle quali tutti i pesci vogliono assolutamente rilucere di un guizzante piacere cretino.

Io ero un numero ricercatissimo. Non si poteva vivere senza i miei versi liberi all’automobile da corsa, che spaccavano tonando l’atmosfera morfinizzata di quegli ambienti. Per curiosità psicologica e mediante un veloce automobile io riempivo di energia futurista quattro o cinque salotti alla moda in un solo pomeriggio. Conobbi così la signora Julie de Mercourt che incontravo dappertutto.

Biondissima, fragile, pallidissima, un ninnolo febbrile con dei subitanei languori nella voce e negli occhi come se si fosse tuffata nell’acqua calda di un ricordo erotico. La desiderai acutamente e l’inseguii. Le nostre velocità e le nostre onnipresenze erano parallele. Un giorno in un ascensore, presa di subitanea confidenza, mi parlò di malattia cardiaca e mi fece premere colla mano un piccolo seno bianchissimo scosso da un cuore troppo disordinato. Moglie di un architetto illustre che non conobbi mai, era smaniosa d’essere nominata in tutte le note mondane dei giornali, ma aveva evidentemente un’altra mania che io volli esplorare.

Fu felice di presentarmi nella casa di un industriale miliardario, nell’occasione di una festa che doveva sorpassare tutto ciò che si era inventato di più favolosamente strano e piccante. Tutte le limousines aristocratiche scoppianti di luccicori, fuga sferica di riflessi, esplosione molle di stoffe rosa neve fra i cristalli, ebano, lacca rossa, turchesi, tenerissimi gialli, ottone dei fanali, gridio schizzante di strilloni sull’asfalto pieno di raggi veloci: Kru-breee-breee breee, Krubree-bree.

Entriamo insieme. Vasto cortile quadrato. Tre pareti drappeggiate di bianco e verde; quella di fondo, evidentemente di un’altra casa e di un altro proprietario, trasudava di curiosi a tutte le finestre. Crescente polifonia di voci. Tutti i profumi corrotti dagli odori di troppi corpi femminili. Ambizione, irritazione di quattrocento cappelli, piume, garze, veli in rissa per emergere. Naufragio di gesti nudi. Palpitazione di gabbiani femminili fra una schiuma di ventagli. Caldo crescente. Interno di enorme conchiglia marina invasa metà dal sole di agosto. Non c’era più posto, ma la gente continuava ad entrare. Compenetrazione di gomiti nei fianchi. Barbe rosse, dorate, quadrate, a pizzo sfioravano globi di seni colorati come cirri al tramonto. Lunghi capelli grigiastri di vecchio decadente fra le scapole feroci di una scheletrita pianista bandeaux neri con una bocca forata dal rosso. Miscela di fiati. Ansare. Sarà molto interessante! Eccezionale! Il ritorno alla terra, poema drammatico… Non c’è palcoscenico! Una cosa assolutamente nuova! La divina Lettecot Livy sarà nuda! O quasi! Vestita di foglie!… I versi sono suoi! Nel centro vi sarà della terra, della vera terra!

La folla era infatti disposta, assiepatissima, tutta in cerchio, come in un’arena. Silenzio! Silenzio! A stento inoculati, la mia amica ed io formavamo una fusione unica. Lo spettacolo incominciava. Non si vedeva nulla. Dei pezzi di versi schizzavano fuori dal brusio che non poteva cessare data la ressa. Ad un tratto, fra il fogliame umano, vidi la celebre Livy rizzarsi tutta verde, e spargere intorno a sé col grasso braccio nudo, della terra nera. Poi, riempirsene la bocca. E finalmente gridare con irruenza drammaticissima: «Bisogna mangiare la terra! Nutrirsi, nutrirsi, nutrirsi di terra!… per non morire!»

Intanto una finestra si apriva al primo piano davanti a noi ed apparve una vasta portinaia francese una di quelle tipiche portinaie che presero tanta parte nelle battaglie tra inquilini Dreyfusisti e inquilini anti-Dreyfusisti. Aveva sotto l’ascella una lunga scopa, le larghe mani aperte sul ventre e ridendo a crepapelle, disse nel silenzio generale: Ah questa è grossa! Manicomio! Manicomio!… Tutti risero ma meno di me perché ero forse il solo a sentire la necessità urgente della conflagrazione generale. La mia amica mi guardò negli occhi, comprese e disse: «avete ragione di trovare tutto questo idiota… Dopo questo spettacolo non c’è altro che il diluvio».

Due voci flebili e smorfiose mi ronzavano nelle orecchie da dieci minuti. Scambio di parole tenere che rivelavano dei semi-contatti erotici simili a quelli che mi univano alla mia amica. Mi voltai e vidi un signore panciuto sessantenne che stringeva col braccio destro amorosamente un giovanetto oscenamente effeminato, guance a pastello, labbra enfiate di vecchia prostituta, occhi azzurri sciupati malaticci e paurosi sotto dei bellissimi capelli biondi.

Alla mia destra una notissima scrittrice, liquefatta da trenta anni di thè letterari, vasto seno-prua balordamente fasciato di velluto granata, oscillante alberatura di cappello estremoriente. Vicino sotto e sovente nascosta da lei una troppo fragile pupattola bionda (crema oro sorrisi di vetri fini) diceva a un banchiere biblico, calvo, che uncinava le donne (velieri o canotti) col naso arrugginito:

— Oh! io trovo che il denaro è un potente afrodisiaco. Il denaro è la più grande prova d’amore che un uomo può darci…

Era probabilmente fedele a quel suo palmipede bancario che le offriva con 100,000 franchi di toilette all’anno la delizia di vincere e di umiliare tutte le sue amiche. Preferiva indubbiamente un palpeggio di stoffe e una rivista di mannequins ad un ardente corpo a corpo col più seducente amante del cuore. Il banchiere rideva viscidamente di tanto in tanto offrendo ad ogni sorriso due lunghi denti d’oro al suo labbro inferiore ogni volta deluso.

Se tutto ciò ti seduce, almeno più di La prima volta si fa davanti a tuttinon ti resta che mettere Mi piace su facebook, o esprimervi nei commenti. Grazie per l’attenzione e arrivederci al prossimo spunto.

futurismi, La grande gara di spunti, ragazzini

Il mio ragazzo è buono da mangiare?

Evangelina è la tipica eroina young adult. Vive in un futuro evidentemente progettato da genitori asfissianti, che hanno regolato ogni aspetto della vita e non tollerano violazioni. La formula prescrive che Evangelina si percepisca profondamente diversa, non capita, che rompa gli schemi, si ribelli, capeggi una rivoluzione e trionfi, nel giro di tre/quattro volumi.

(A volte mi domando cosa succederà quando i 15enni che si sciroppano questa roba diventeranno adulti sul serio – tra non molto. Magari la rivoluzione la fanno davvero, se ai coetanei di San-Just è bastato leggere Rousseau).

In questo caso la rigida norma degli adulti riguarda l’alimentazione. In questo futuro i vegan hanno preso il controllo e imposto a tutti la loro dieta. Le carenze proteiniche vengono risolte con la somministrazione di un alimento sintetico che per mancanza di fantasia chiameremo per ora Soylent. Evangelina beve tantissimo Soylent, perché è nata con una grave intolleranza alle verdure – altri feti cui si diagnostica la stessa intolleranza non vengono autorizzati a nascere, ma Evangelina è figlia di due pezzi grossi che hanno accesso a tutto il Soylent che vogliono.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Gli abitanti di questo mondo vegan hanno scarsissime nozioni del passato dell’umanità, a causa della radicale sensibilità animalista che si è universalmente diffusa (agli scimpanzé è stato di recente concesso il diritto di voto, e si pensa di estenderlo a tutti i primati entro il decennio). Per fare un esempio, non riescono a leggere Shakespeare senza considerarlo un mostro, un assassino e mangiatore di animali. Tutti noi onnivori del XXI secolo siamo, ai loro occhi, degli aguzzini colpevoli di crimini contro l’animalità, non trovano sostanziali differenze tra noi e Hitler.

C’è anche un altro motivo per cui non riescono più a leggere Shakespeare, e qualsiasi altro testo prodotto fino a cent’anni prima: non capiscono l’ironia. E molte altre figure retoriche. Hanno grosse difficoltà col linguaggio figurato – nel loro dizionario ogni parola ha un solo significato, se tu a uno di loro dici: “fai subito i compiti, così avrai il pomeriggio libero”, loro ti guardano strano, non capiscono come si possa affrancare un pomeriggio dalla schiavitù. Evangelina è particolare anche in questo, che capisce i giochi di parole, ad esempio capisce che “il mio regno per un cavallo” non deve per forza significare “sono disposto a cedere il mio regno in cambio di qualche chilo di pregiata carne equina”. Se ne accorge il padre che di mestiere decifra papelli del passato, e a volte le chiede consulenze. Proprio la sua dimestichezza con alcuni classici dimenticati la porta a nutrire curiosità per i Territori Proibiti e per gli zombi. Sì, mi stavo quasi dimenticando che in questa storia ci sono pure gli zombi.

L’epidemia di morte vivente è scoppiata poco prima che i vegan prendessero il potere (la repulsione per l’antropofagia degli zombi sembra aver giocato un ruolo importante nel successo delle loro tesi. Non è stata la catastrofe che tutti immaginiamo; in qualche città dell’entroterra un po’ di gente si è messa a rosicchiarsi a vicenda, l’esercito ha subito blindato il perimetro, e ora sono i viventi che cacciano gli zombi per divertimento – c’è persino qualcuno preoccupato del fatto che nel medio-lungo periodo si estingueranno, e non si potrà più noleggiare ai turisti l’equipaggiamento per la caccia al morto. Evangelina però ha letto storie strane su vecchi giornali, che sembrano raccontare una realtà diversa.

Forse gli zombi non esistono?
Forse i Territori Proibiti non sono che riserve dove vivono segregati gli ultimi irriducibili carnivori, che fanno talmente orrore all’ordine costituito da essere considerati morti viventi?
Forse che Evangelina scoprirà che sono anche belli, sanguigni e spiritosi, e in grado di fare battute e capirle, e si innamorerà di uno di loro?
E di cosa sarà mai fatto il soylent?

Sono domande destinate a restare senza risposta, se non fate la minima fatica di votare per Il mio ragazzo è buono da mangiare?che oggi se la gioca con  Dama e cavaliereNon esitare a cliccare Mi Piace su Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

futurismi, La grande gara di spunti, racconti

Non è poi lontana Copernico

A un certo punto sulla Terra si è fatto caldino e dovevamo assolutamente inventarci qualcosa, ad esempio inviare qualche migliaio di persone all’interno di enormi stazioni spaziali in direzione degli esoplaneti più vicini. Le stazioni, in teoria, sono autosufficienti – possono immagazzinare l’energia dei raggi cosmici e usare i propri rifiuti per concimare i campi dove coltivare frutta geneticamente modificata da usare come combustibile – ma abbastanza lente, per cui non si prevede che arrivino al pianeta Copernico 456b che in ventimila anni. Un periodo di tempo in cui qualsiasi cosa può andare storta.

In particolare gli antropologi ci hanno fatto presente che nessuna civiltà è esistita tanto a lungo, e in condizioni così particolari (chiusa in un proiettile sparato nel vuoto assoluto). Anche ammesso che per tutto il tempo continuino a credere alla stessa storia, è molto probabile che quando arriveranno avranno troppa paura per uscire dalla stazione e terraformare il pianeta. D’altro canto, sempre meglio che morire di caldo quaggiù…

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

E poi ci sono le vasche criogeniche. Bruciano troppa energia perché si possa addormentare un intero equipaggio – però si può raffreddare un uomo solo e svegliarlo ogni tanto perché dia istruzioni alla comunità. Quando parte, il professor Salem ha quarant’anni. È sociologo, economista e storico, ed è stato opportunamente addestrato per vivere il resto della sua esistenza svegliandosi ogni settimana in un secolo diverso. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo lo spazio profondo.

La settimana seguente sono già passati cent’anni. La comunità della stazione spaziale si è rigidamente compartimentata in caste – Agricoltori, Macchinisti, Burocrati, e gli intoccabili che puliscono i bagni e trattano il concime. Il consiglio degli anziani ha proibito i matrimoni misti. Era una evoluzione prevedibile e per il momento Salem non crede necessario ostacolarla, dal momento che si tratta di una delle forme di società più conservative possibili, e di conservazione c’è un gran bisogno – tanto più che l’endogamia si può correggere con prelievi periodici dalla banca del seme.

La settimana dopo fervono i preparativi per incrociare una cometa – c’è ormai una disperata necessità di metalli e h20 (il ciclo dell’acqua della stazione non è perfetto al 100%). Al suo risveglio Salem è festeggiato come il simbolo vivente dello status quo e della società castale. La cosa lo spaventa un po’, soprattutto quando gli spiegano che ogni 18,5 anni circa scoppia una rivolta degli intoccabili. Costoro dubitano dell’esistenza di Copernico, ma anche della Terra: il loro obiettivo è costruire una società egalitaria all’interno della stazione. Salem si rende conto che se gli intoccabili dovessero prendere il controllo della stazione anche per breve tempo, gli staccherebbero la spina. Dà dunque disposizioni per il superamento della società castale: spiega agli Anziani, attoniti, che non è necessario che gli intoccabili diventano uguali agli altri, ma è importante che possano sognare di diventarlo: basta l’esempio di uno o due individui che hanno successo e salgono un gradino sociale, per disincentivare ogni proposito rivoltoso. Invece di fare la guerra agli altri, la faranno tra loro per primeggiare, e tra un secolo poi si vedrà. Buonanotte.

La settimana dopo tira una brutta aria. L’attracco alla cometa non è andato come previsto, e la scarsità di metalli ha costretto gli Anziani a dimezzare la Stazione (era una procedura prevista). La popolazione è calata del 50%, metà dei reattori sono stati fusi per ottenerne pezzi di ricambio per gli altri reattori. “E le rivolte?” “Quasi sparite. Tanto che abbiamo dovuto promuoverne”. “Che cosa?” “Sì, dovevamo uccidere qualcuno, e siccome gli intoccabili esitavano a rivoltarsi, li abbiamo provocati. È successo 23 anni fa, e calcoliamo che debba risuccedere tra cinque… ci stiamo già preparando”. “Non c’è nessuna cometa all’orizzonte?” “Nessuna, ma quando si sveglierà la prossima volta sarà già nel sistema Centauri. Dovrebbe assistere a un boom”. “Speriamo bene”.

Infatti la settimana dopo si sveglia a una festa. È il culmine di una settimana di celebrazioni. La stazione spaziale ha raggiunto il sistema di Alpha Centauri, riempiendo le stive di metalli, acqua, silicio, e ogni altro materiale prezioso. La popolazione è tornata al livello massimo consentito. C’è un ottimismo tangibile nell’aria (molto meglio ossigenata). Gli intoccabili non sono più tali; anche se restano sul fondo della società, molti di loro riescono ad avere carriere di successo e a diventare celebrità. Qualcuno ha proposto di restare nel sistema Centauri per sempre; è una proposta che Salem sa di dover respingere: le tecnologie a bordo della stazione non consentono di estrarre risorse in grado di far funzionare la stazione per più di qualche migliaio di anni. Per i rappresentanti della Stazione – quasi tutti quarantenni, o anche più giovani – non è un grosso problema. Per Salem sì.

La settimana successiva, infatti, la stazione non è ancora uscita dal sistema. C’è stato anche un tentativo – fallito – di colonizzare un pianetino. La popolazione della stazione è divisa in due fedi trasversali: chi vuole proseguire sulla rotta per Copernico, e chi vuole restare lì. C’è anche chi propone di tornare sulla Terra – non si riescono più a captare segnali, ma chissà, magari ora il problema del calore è stato risolto. Salem non ha molte scelte: se la stazione smette di puntare verso Copernico, lui rischia di diventare una curiosità, una mascotte, un corpo inanimato che in caso di carestia si può anche sacrificare; è il momento di attivare il protocollo 12. Per sterminare la fazione centaurista, Salem dona ai copernichisti la formula, nota a lui solo, con la quale si può distillare dalla frutta un’arma batteriologica. Poi si riaddormenta.

La settimana successiva Alpha Centauri è già lontana, una stella tra tante. Tra i lineamenti che è ormai abituato a riconoscere pur tra cento variazioni, non trova più quelli di una donna di cui si era innamorato due settimane prima: la sua famiglia è stata completamente sterminata durante i pogrom dei centauristi. La società si sta riorganizzando in caste, ma c’è una novità curiosa: nell’archivio della stazione qualcuno ha trovato il file di In tredici verso Centauro di Ballard e lo ha trasformato nel testo sacro di una nuova religione. I ballardisti credono che la stazione spaziale non stia viaggiando nello spazio, ma sia un’enorme simulazione, un esperimento custodito in un hangar sotterraneo nella Terra. Le stelle non sono che lampadine, e il prof. Salem tra un ciclo di veglia e l’altro andrebbe a riferire ai suoi superiori in un ufficio in superficie. Smetto qua sennò lo scrivo tutto stanotte. Continuerò se voterete per Non è poi lontana Copernico, che oggi se la gioca contro l’Universo PerpendicolarePotete cliccare, indovinate, sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

futurismi, La grande gara di spunti

L’universo perpendicolare

Nel 2072 all’improvviso una capsula spaziale appare all’orbita di Saturno. Dentro c’è un tale che si fa chiamare Capitano Alan e dice di provenire dal futuro.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Spiega che da lì a cinque anni scopriranno dove il nostro universo ha un punto di intersezione con un altro universo non parallelo, ma perpendicolare: molto simile al nostro, salvo per il piccolo particolare che il tempo scorre in direzione opposta al nostro. A quel punto…

“Hanno mandato lei?”
“Non esattamente, hanno mandato il capitano Sean. È entrato nell’universo, c’è rimasto per sei mesi, ed è rientrato verso la fine del 2071, aiutando sé stesso a capire qualche dettaglio tecnico”.
“Non ha creato un paradosso?”
“Non c’è modo di saperlo”.
“…Cioè dal nulla avete visto questo capitano Sean che appariva e diceva che sei mesi dopo avrebbero scoperto un punto di intersezione con un altro universo”.
“Precisamente”.
“E allora cosa avete fatto?”
“Cosa avreste fatto al nostro posto? Appare all’orbita di Saturno un tizio che assomiglia effettivamente a un nostro astronauta, con una capsula che assomiglia alle nostre e qualche tecnologia che ancora non conosciamo, e ci dice questo e quello… voi vi sareste fidati?”
“Non tanto, no”.
“In linea teorica la sua storia era plausibile tanto quella di un’intelligenza aliena ostile che crea dei replicanti e li manda per confonderci”.
“In effetti. E allora cosa avete fatto?”
“Voi che avreste fatto?”
“Mah, la prima cosa che mi viene in mente… avremmo mandato un altro astronauta nell’intersezione, con provviste per un po’ più di tempo, affinché…”
“Scoprisse cosa c’era davvero dall’altra parte e ci informasse. Esatto. È quello che abbiamo fatto”.
“E così hanno mandato lei”.
“No, hanno mandato capitan Robert. È arrivato nel 2070”.
“Comincio a intravedere il problema”.
“No, ma avevamo previsto che potesse succedere: la capsula che compare all’improvviso nello spazio, ecc. ecc., gli scienziati sulla Terra che non sanno se fidarsi… per questo motivo, prima di partire, al capitano Robert erano stati confidati segreti intimi di diversi ingegneri della NASA. Inoltre conosceva in anticipo tutti i risultati di diversi campionati sportivi. Aveva insomma tutto quello che serviva per ottenere la nostra fiducia”.
“E quindi cos’è andato storto? Perché qualcosa è andato storto, vero?”
“Dopo qualche mese sulla Terra ha strangolato sé stesso”.
“Il capitan Robert del passato?”
“Il capitan Robert arrivato dal futuro ha strangolato il capitan Robert che si preparava alla missione”.
“Ma non ha creato un paradosso?”
“È quello che ci siamo domandati. Ci sono varie scuole di pensiero, sapete. Secondo alcuni non sarebbe successo niente”.
“E secondo gli altri?”
“L’universo sarebbe imploso di lì a pochi mesi. Il capitan Robert – per quel che contava – non era d’accordo né con gli uni né con gli altri”.
“Ma non era morto?”
“Il capitan Robert del presente era morto, ma il capitan Robert venuto dal futuro era ancora vivo, e strepitava in una cella”.
“Questo è impossibile”.
“In effetti eravamo molto preoccupati. Anche perché lui sosteneva che l’universo perpendicolare è abitato da una razza senziente che vuole confonderci e soggiogarci. Affermava inoltre di non essere il vero capitan Robert, ma un replicante costruito dagli alieni, che però ormai si sentiva più umano che alieno, e perciò aveva deciso di uccidere sé stesso per impedire la catastrofe che sarebbe successa se lo mandavamo laggiù. Un evidente delirio paranoico, probabilmente causato dallo choc del viaggio nel tempo”.
“E tuttavia…”
“Voi cosa avreste pensato?”
“Avremmo pensato che anche se sembrava un delirio paranoico, forniva una spiegazione molto più semplice al fatto che malgrado avesse strangolato sé stesso…”
“…fosse ancora in vita. Ma a questo punto abbiamo pensato di mandare capitan Quentin”.
“…ancora più indietro!”
“No, appena un po’ indietro, quanto bastava perché riuscisse a impedire al capitano Robert di strangolare sé stesso”.
“Ma sapevate già che non era successo…”
“Eh, la fa facile lei. Guardi che quella che le sto offrendo è la ricostruzione a cui siamo arrivati dopo qualche anno. Invece per noi che la vivevamo andò così: mentre discutevamo col capitan Robert appena arrivato, ci arriva il segnale di capitan Quentin. Ignoratelo, spiega Robert, è il mio caro collega Quentin che è stato mandato dopo di noi ma purtroppo non era psicologicamente abbastanza stabile ed è impazzito durante i mesi passati nell’universo perpendicolare – pensate che è convinto che sia popolato da alieni che vogliono soggiogarci, ah ah”.
“Ma come faceva il capitan Robert del futuro a saperlo, se il capitan Quentin era stato inviato dopo di lui?”
“Diceva di saperlo perché era stato testimone di tutto quando era ancora il capitan Robert del presente”.
“Ma a quel punto il capitan Robert del presente era morto strangolato”.
“E noi come facevamo a saperlo? Successe un mese dopo”.
“Potevate dare retta a Quentin!”
“Pensammo invece di mandare il capitan Paul indietro nel tempo a impedire al povero Quentin di partire e impazzire”.

Se volete che continui – e siete curiosi di sapere se dall’altra parte ci sono gli alieni o semplicemente la versione inversa di noi stessi che sta cercando di comunicare con noi e dirci che va tutto bene – non avete che da votare per l’Universo Perpendicolare, che oggi se la gioca contro Non è poi lontano CopernicoPotete cliccare – devo spiegarvelo? – sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

Francia, futurismi, Islam, La grande gara di spunti

Redenzione, di Michel Houellebecq

È il seguito di Sottomissione, di Michel Houellebecq. Se non lo avete letto vi regalo tre ore di vita riassumendone la trama: un docente universitario perfettamente inutile che comincia a perdere i colpi (non riesce più a sedurre una studentessa a semestre) assiste svogliato alla colonizzazione islamica della Francia, che avviene attraverso regolari elezioni – in strada all’inizio ci si ammazza un po’, ma la tv fa finta di niente e lui si guarda bene dal ficcare il naso. All’inizio è un po’ preoccupato dalla prospettiva di non vedere più femmine scoperte ai rinfreschi accademici, ma quando si rende conto che la nuova fede gli consentirebbe di sposare un paio di fanciulle dai 15 in su (ma anche una matrona che lo riscatti da una vita di pasti precotti), il delicato fiore della conversione germina in lui spontaneo. Fine di Sottomissione di Houellebecq. Non trovate anche voi che qualcosa non torni?

Il libro si basa stancamente (“stancamente” è il mio avverbio preferito quando si parla di Houellebecq) su alcune premesse un po’ discutibili:

1. I francesi non di un lontano futuro, ma del 2022, se al ballottaggio si trovassero a scegliere tra Marine Le Pen e un candidato dell’Islam moderato, sceglierebbero l’Islam moderato. Non solo i socialisti, anche i centristi. CERTO HOUELLEBECQ, CERTO.

2. Pur martoriata da una crisi strutturale, e segnata da lotte intestine tra islamici e identitari, la Francia del 2022 dovrebbe fare talmente gola ai sauditi da indurli a comprarsela. Perché è quello che succede nel libro: dietro al partito islamico moderato ci sono i petrodollari dei sauditi. Fantastiliardi. Si comprano tutto, pure le università coi professori dentro. A ogni professore regalano tre mogli (ovvero, il reddito per mantenerle). Un affarone, no? Chi non si comprerebbe la cultura francese avendone l’agio? Tu preferiresti girare in Lamborghini o mantenere a vita un esperto di Huysmans? Non c’è gara, vero?

3. L’Europa non farebbe una piega, anzi si appresterebbe a riconoscere nel presidente islamico della repubblica francese il nuovo imperatore del Mediterraneo – perché di solito funziona così, no? Quel che va bene ai francesi va bene al mondo. Pieni i manuali di Storia di esempi. Cerca sul minitel.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

Insomma il tentativo houellebecqiano di immaginare uno scenario un po’ più concreto per quell’incubo che la Fallaci chiamava Eurabia, finisce proprio per dimostrare quanto poco sia plausibile. Ma vediamo cos’è successo nel 2027. François, l”eroe’ di Sottomissione, ora è un pacioso wahabita con qualche difficoltà a recitare le preghiere in arabo e un harem di tre donne che gli danno il tormento. La vecchia cucina sempre le stesse cose (troppo burro!) quella di mezzo gli fa le corna con un esperto di Rimbaud, la quindicenne è insostenibile come sanno essere insostenibili le quindicenni. Il lavoro all’università è la solita rottura. Dimostrare il criptoislamismo di Huysmans a studentesse che sotto il burqa si messaggiano con l’iphone12 è una tale palla. Aggiungi un lieve ritardo nei pagamenti, qualcuno già sussurra che i sauditi vogliano chiudere i rubinetti. È abbastanza comprensibile, visto che il riscaldamento globale sta portando tutta l’Europa a tagliare drasticamente l’emissione di idrocarburi. In Francia invece si continua a bruciare petrolio allegramente, ma ormai è tempo di elezioni, e il presidente Ben Abbas rischia di perderle.

Quando ci pensa, François ha la sensazione sempre più netta di essersi fatto vendere una sòla. Il nuovo Cesare Augusto, come no. L’ambizioso progetto di smantellamento della società post-industriale, l’idea di trasformare la famiglia in una piccola impresa e incentivarla come tale, si è infranta di fronte alle evidenze degli anni Venti: le piccole imprese non servono più. L’artigianato è morto, sepolto, riesumato, ristampato in 3d. In un mondo che va verso la standardizzazione digitale, Ben Abbas ha fatto perdere alla Francia ulteriori anni preziosi, raccontando con parole nuove la solita fiaba: sei diversa, sei unica, sei speciale, gli americani non possono capirti, i cinesi non possono copiarti, gli europei possono soltanto seguirti, intanto però devi continuare a fare il pieno di super.

Quando Ben Abbas viene sorpassato al primo turno dal nuovo leader lepennista, François avverte le prime crepe nella sua fede. Di nascosto dalle mogli, comincia a frequentare un cenacolo di intellettuali identitari, un po’ clerico-fascisti un po’ ambientalisti. Capisce metà dei discorsi che fanno, ma il buffet è di tutto rispetto. Evidentemente i nazionalisti e i fasciocristiani dell’Europa del Nord li stanno finanziando: vogliono prendersi la Francia e non faranno prigionieri. All’indomani del ballottaggio, mentre qua e là per Parigi le moschee bruciano e la police fa finta di niente, François ha un’illuminazione: c’è un solo Dio e Gesù Cristo è il suo prof… boh, insomma, decide di farsi ri-battezzare. Deve anche ripudiare almeno due mogli, un sacrificio che commette volentieri – anche se rimane a lungo incerto su chi salvare delle tre. Qualche anno più tardi, lo vediamo un po’ dimagrito impartire stancamente lezioni sul problema razziale in Huysmans. Dalla strada rumori di fucilate e bestemmie in arabo, ma lui non capisce. È una lingua che proprio non gli è mai entrata in testa. Come tante altre cose.

Questo non ha speranza, vero? E invece secondo me farebbe il botto. Se la pensate così, non esitate a votare per Redenzione, di Michel Houellebecqche oggi se la gioca contro Le avventure di Pandolfo. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

futurismi, La grande gara di spunti, racconti

Gli assassini del basilisco

Siamo in un futuro un po’ meno prossimo – diciamo una generazione dopo il Pianeta al gusto bubblegum: le persone di ceto medioalto ormai trascorrono gran parte della vita in piattaforme virtuali ispirate alle grandi saghe del passato.

Questi mondi ormai sono sensorialmente più coinvolgenti della vita reale, il che porta sempre di più gli utenti a domandarsi cosa sia, questa realtà. Quasi tutti sono ancora in grado di distinguere le piattaforme virtuali dal cosiddetto “Piano Zero”, quello in cui esistiamo ‘davvero’, e possediamo un corpo solo che nasce e muore. D’altro canto, come facciamo a essere sicuri che il piano zero sia veramente reale? Che non sia anch’esso il prodotto di un software, una simulazione? Ma una simulazione di cosa, se non c’è nient’altro?

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Malgrado ogni comunità religiosa abbia ormai creato la sua piattaforma a tema dove dare sfogo alla naturale aggressività, il terrorismo a matrice religiosa continua a essere un problema. La setta più pericolosa è costituita dagli Assassini del basilisco, che credono nell’esistenza del temibile Basilisco di Roko: pensano che il Piano Zero sia una simulazione creata da un’entità maligna che – se non obbediscono a ogni loro ordine – può torturarli per l’eternità. Il protagonista della storia è un programmatore che sta lavorando all’update di una piattaforma. Nei confronti dei terroristi nutre lo stesso approccio liquidatorio che abbiamo noi: fanatici pazzi che non hanno studiato, prima o poi la Ragione trionferà. Ma non è che si sia mai messo a pensare seriamente al problema del Basilisco. È una specie di argomento tabù, tutti preferiscono non parlarne. Non si pronunciano certi nomi, non si raffigurano certi volti, non si ragiona sul basilisco.

Mentre il programmatore sta lavorando al nuovo rendering di una caverna, si imbatte in un’affiliata della setta che si nasconde dai suoi compagni decisi a ucciderla. Malgrado sia stata accusata di tradimento senza nessuna prova, la ragazza crede ancora nel Basilisco e cerca addirittura di convertire il programmatore. Lui la lascia parlare, e presto si rende conto di non avere obiezioni razionali al suo ragionamento: se tutto si può simulare, anche noi possiamo essere una simulazione. Se in una simulazione si può creare un loop all’interno del quale un personaggio può essere torturato per un periodo illimitato, anche a noi può succedere la stessa cosa. Il programmatore, perplesso, torna al suo studio. Fa fatica ad addormentarsi.

Aspettando che il sonno arrivi, rimette mano a un suo vecchio progetto dei tempi di scuola. Crea un universo di media grandezza, ci grattugia dentro miliardi di galassie, e in qualche pianeta random insemina forme virtuali di vita unicellulare, in grado di evolversi adattandosi all’ambiente. Con qualche migliaio di righe di codice stabilisce che, qualora una razza pluricellulare sviluppasse la capacità di formulare pensieri simbolici, dovrà sottostare a un rigido protocollo di precetti assolutamente arbitrari (non mangiare determinate altre razze, uccidere determinati nemici, non disegnare determinate immagini), comunicate attraverso oracoli o profeti. Al termine della minuscola esistenza di ciascun individuo virtuale, il file che contiene ogni sua cellula e la sua coscienza verrà trasferito in un loop eternamente piacevole o eternamente doloroso, a seconda che abbia rispettato o no i dettami della legge. Prima di addormentarsi si sbizzarrisce un po’ scegliendo le torture più efferate da infliggere nel loop doloroso. Dopo aver creato il suo piccolo universo – ci mette un paio d’ore – il programmatore si sente più disteso, sbadiglia, si getta sul letto e non ci pensa più.

Noi viviamo in quell’universo.

Un romanzo magari non salta fuori, ma spero di avervi almeno terrorizzato. Comunque se lo spunto vi piace più di Nessuno si ricorda dei Catari non avete che da votarlo. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

futurismi, La grande gara di spunti

Il chiar di luna non passerà!

Vi siete mai chiesti cosa sarebbe successo all’Italia, se la marcia su Roma invece di Mussolini l’avesse organizzata Filippo Tommaso Marinetti? Se in luogo di vent’anni di fascismo ne avessimo avuti altrettanti di futurismo? Cosa avremmo combinato? Grattacieli di Sant’Elia dappertutto? Venezia asfaltata? Marconi ministro dell’innovazione tecnologica, a Enrico Fermi un budget illimitato per costruire qualsiasi ordigno ad alto potenziale?

Dovete però immaginarveli realizzati a metà, con cemento scadente, gare d’appalto truccate ecc.

La cosa è meno assurda di quanto non possa sembrare – ok, resta abbastanza assurda, però Marinetti è stato un avanguardista nella politica, oltre che nell’arte. Già ai primi del secolo i cortei lo affascinavano, anche se gli operai lo scambiavano per una spia (“no guardate che sono un poeta”). Fu interventista prima di Mussolini, scrisse un manifesto politico prima di lui. Partecipò al rogo della sede dell’Avanti. C’era a San Sepolcro e ai primi due congressi dei Fasci, quando erano ancora un movimento repubblicano e anticlericale; se ne andò al secondo accusando Mussolini di virare in senso reazionario, e aveva ragione. Insomma fu un fascista talmente della prima ora che ai tempi della marcia su Roma s’era già stancato. Poi si accodò e produsse anche propaganda molto sui generis, che al Minculpop non piaceva. È chiaro che gli mancavano l’astuzia e la pazienza di Mussolini (che forse era anche uno scrittore migliore di lui). Ma se Mussolini non ci fosse stato?

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La storia sarebbe uno strano seguito di Fiume 1920, ambientata in un universo molto simile a quello del Chiaro di luna colpisce ancora. 1939: in un laboratorio della Palestra di Neofisica di Futuroma, un assistente di laboratorio sta conducendo i primi timidi esperimenti di viaggio nel tempo. Dopo l’esperienza in Etiopia, dove ha assistito allo sterminio della popolazione mediante armi chimiche e batteriologiche, ha un solo obiettivo: tornare indietro nel tempo e impedire che Filippo Tommaso Marinetti prenda il potere. Ha una certa fretta, perché sa che in qualche stanza più in là stanno cominciando ad arricchire l’uranio; e i gerarchi, pardon, gli eccitatori(*), hanno intenzione di avvalersene per risolvere alcuni contenziosi territoriali tra la Somalia italiana e quella inglese.

* (Tra le proposte seriamente avanzate da FTM c’era quella di sostituire il Senato con un Eccitatorio di giovani sotto i trent’anni).

Flashback (anzi, indietroveloce): mentre si sta recando in automobile a uno dei primi comizi dei fasci di combattimento, il giornalista Benito Mussolini dimentica che nel contado si tiene la sinistra e non la destra della strada, rimane coinvolto in un incidente stradale e muore sul colpo. Un paio d’anni più tardi gli industriali italiani sono terrorizzati: il bolscevismo è alle porte e a destra c’è il solito problema: nessun leader affidabile. Tutta una galassia di nazionalisti, reduci allo sbando, anarchici sviati, semplici picchiatori. La figura un po’ più carismatica è quel pazzo di Filippo Tommaso Marinetti, che col suo Partito Futurista Nazionale ha un programma politico fieramente antibolscevico, ma non meno radicale (vuole eliminare il vaticano, la monarchia e l’istituto famigliare). Siccome l’alternativa è l’anarchia e i soviet, Agnelli e i fratelli Perrone decidono di finanziare FTM. Persino i vescovi benedicono la cosa – chiedendo però esplicite garanzie. Così nell’ottobre 1922 Marinetti organizza la Corsa su Roma e ottiene dal perplesso sovrano l’incarico di formare un governo.

La transizione del futurismo dall’arte alla politica non è soltanto vissuta come naturale, ma fornisce un esempio agli altri Paesi europei: in Germania gli espressionisti promuovono varie sommosse, litigando con gli spartachisti; in Russia cubofuturisti e realisti-socialisti lottano per l’egemonia nel comitato centrale; a Parigi il dadaismo viene represso nel sangue. Marinetti nei primi anni cerca di destreggiarsi come può: ovviamente i principi del suo libretto rosso sono quasi tutti irrealizzabili nei tempi brevi. Si toglie solo qualche soddisfazione simbolica, ad esempio trasformare immediatamente tutti i licei classici in palestre tecnico-scientifiche. I suoi sponsor lo spingono a svalutare lo svalutabile per varare una campagna di grandi opere: galleria rapida Bologna-Firenze, le prime autostrade, e soprattutto palazzoni, palazzoni dappertutto.

Col tempo la fiducia illimitata concessa agli scienziati gli dà qualche risultato – anche perché attira ingegni dall’estero, Einstein e Bohr a Futuroma sono di casa. All’inizio degli anni Trenta carezza la possibilità di sopperire alla cronica mancanza di energia con un’idea inedita: fendere l’atomo. Però serve l’uranio. In Italia non ce n’è, nel corno d’Africa forse, ma l’ideale sarebbe perforare l’acrocoro etiopico. In realtà non ci sono prove che là sotto l’uranio ci sia, ma Marinetti è tutto fuor che razionale e ha una gran voglia di sperimentare e mostrare al mondo le nuove armi chimiche. E poi l’Africa è un altro dei suoi pallini sin dall’infanzia egiziana: sogna di cacciare inglesi e francesi e diventarne l’imperatore. E così via.

Se Marinetti vi sembra un dittatore più interessante – e asfaltare Venezia è un vostro vecchio sogno – non avete che da votare Il chiar di luna non passerà! che oggi se la gioca contro La falsa e vera Gioconda. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

futurismi, La grande gara di spunti

La prima volta si fa davanti a tutti

In un futuro quasi prossimo in cui il concetto di “privacy” sembra assurdo come a noi il burqa, la sessualità è riconosciuta come un diritto/dovere del cittadino. Tutti, anche coloro che scelgono una vita di castità (e non sono pochi) sono praticamente obbligati ad avere un rapporto completo entro il 20esimo anno d’età. Per evitare abusi o frodi il rapporto viene filmato e pubblicato in rete – il che ha drasticamente ridotto il fenomeno del revenge porn. Si tratta in sostanza di un rito di iniziazione, che quasi sempre non segna l’inizio della vita sessuale, ma che viene vissuto come un ingresso nella società degli adulti (il momento in cui si può/deve finalmente accedere alle piattaforma di condivisione sociale con i propri dati personali). Il fatto che “il primo video” sia quasi sempre un disastro è un problema al quale molti ovviano pubblicandone altri successivi in cui fanno figure migliori. In generale esiste una specie di “privacy through redundancy”, ad esempio la gente mette on line tantissimi cv falsi, in modo che sia più difficile risalire ai tuoi dati veri. In generale comunque la sessualità è diventata una branca dello sport, avete presente quelli che vi informano su facebook delle loro maratone? Ecco, in futuro ci sarà gente che vi informerà su altri generi di prestazione.

Benché sia possibile celebrare il rito con il proprio partner, di solito i 20enni preferiscono consumare con sconosciuti appositamente scelti da un software. La leggenda è che il software sia così sofisticato da snidare le anime gemelle, anche se mancano evidenze statistiche.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

Premesso questo, non si tratta di una storia di fantascienza. È una settimana nella vita di un ragazzo e una ragazza che all’inizio non si conoscono e alla fine lo avranno fatto davanti a tutto il mondo. Per lui è proprio la prima prima volta in assoluto, per lei una formalità da sbrigare con meno partecipazione possibile. Entrambi sarebbero contenti di incontrare una persona interessante, ma si accontenterebbero anche di non imbroccare un coglione come capita più o meno a tutti. Lei sta uscendo da una storia complicata ed è anorgasmica (una disfunzione che equivale a uno stigma sociale), lui è l’ultimogenito di una legislatrice universalmente apprezzata, che fu tra le promotrici del Sex Act Act, ma che malgrado l’indiscutibile competenza deve gran parte del successo politico a un video intimo che le fu estorto da giovane – un video dove lei mostrava una competenza ancora meno discutibile. Tutti i coetanei del protagonista lo hanno visto. Non è così strano in un mondo dove tutti possono vedere i video di tutti. Ma per qualche arcano motivo, il video che tutti preferiscono vedere è quello della madre del protagonista. Il suo psicologo dice che deve farsene una ragione.

Che succederà ai due piccioncini? Faranno una bella figura? (Lui ha ovvie ansie di prestazione, lei ha deciso che reciterà, ma allo stesso tempo non vuole recitare troppo per evitare di finire nelle antologie, c’è tutto un feticismo sui video di gente che finge oltre la soglia del ridicolo).

L’idea è insomma di scrivere una storia antierotica, dove si parla di sesso continuamente nel modo meno eccitante possibile. Chissà perché non ci ha ancora pensato nessuno, boh, forse hanno paura di farci troppi soldi. Se non avete paura che succeda a me, potete votare per La prima volta si fa davanti a tutti, che se la gioca con O viceversaPotete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

futurismi, La grande gara di spunti

La fine del mondo (dei procioni)

Live long and prosper

Più o meno tra un secolo scopriremo Brahe67B, un pianeta a mille anni luce della Terra, un po’ più piccolo ma con un enorme satellite geostazionario che ci sembrerà subito artificiale; tra un secolo e mezzo, dopo infiniti tentativi, riusciremo a decodificare i messaggi che i Brahiani hanno esplicitamente disseminato in tutte le direzioni, e di lì a poco cominceremo a decodificare le loro trasmissioni radiotelevisive – trasmissioni di mille anni fa, ma lo spaziotempo è relativo, ci sembrerà di vederle in diretta. Scopriremo che sono molto simili a noi (mammiferi) ma anche incredibilmente diversi (procionidi); che sono feroci ma anche molto teneri, con una tecnologia per certi versi più avanzata e per altri più arretrata, e impazziremo per loro. D’altro canto, che senso avrebbe rispondere ai loro messaggi? Un’eventuale replica arriverebbe 2000 anni più tardi… L’unica è cominciare a investire qualche soldo serio nella ricerca dei tachioni di Crough-Clay.

Sono particelle scoperte da poco, che viaggiano da sempre a velocità superiori alla luce. Non possiamo farle partire, ma se riuscissimo a perturbare gli sciami di tachioni che stanno passando, avremmo uno strumento per comunicare più rapidamente. E se ci arriviamo noi, tutto lascia intendere che ci siano già arrivati loro, quindi forse in questo esatto momento stanno passando tachioni che portano informazioni più recenti su Brahe, cosa aspettiamo? Monta l’antenna, accendi, BAAAAAAAANG!

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C’è un frastuono notevole – dev’essere successo qualcosa di molto, molto brutto. Quando? Più o meno 900 anni fa. Qualsiasi cosa sia accaduto, è improbabile che Brahe67B ospiti ancora forme di vita. È improbabile che Brahe67B esista ancora. In ogni caso scopriremo tutto, con un po’ di pazienza. Continueremo a captare programmi radiotelevisivi per 100 anni. Assisteremo alla fine di una civiltà, come se fosse una diretta.

Prima eravamo solo affascinati, ora è amore disperato. Quei procioni combattono guerre, costruiscono satelliti artificiali, scrutano lo spazio chiedendosi se sono soli, e non sanno di essere morti da 900 anni. Quanto a noi, avevamo appena scoperto di non essere soli – ed ecco che una misteriosa catastrofe ci toglie l’unico amico potenziale che avevamo intravisto da lontano.

I protagonisti sono dottorandi in quelle scienze che fino a un momento prima si definivano “umane”. Proprio quando tutto sembrava già archiviato, catalogato, descritto, la scoperta di Brahe67B aveva aperto praterie a storici, glottologi, antropologi (subito convertiti i procionidologi), persino scienziati della comunicazione! Con certi sviluppi assurdi – ad esempio per decifrare una delle lingue più importanti dei brahiani era stato di enorme aiuto una telenovela di procionidi, che era diventata straordinariamente popolare sulla Terra molto prima che si riuscissero a tradurre i dialoghi. Tra le cose che umani e procionidi avevano in comune c’era una certa attitudine melodrammatica che rendeva molto più semplice comprendere le telenovelas che le tribune politiche.

Brahe67B dava da fare anche a filosofi ed economisti. I procionidi avevano elaborato modelli di società che a noi semplicemente non erano venuti in mente. Il dibattito più intenso del XXII secolo era quello sulla superiorità o inferiorità dell’uomo rispetto al procionide. Molti li idealizzavano, fingendo di non vederne i caratteri più cruenti; altri ne avevano paura e proponevano di armarci. La scoperta della catastrofe tachionica aveva un po’ depotenziato gli argomenti di questi ultimi. Ma a quel punto l’umanità si era trovata di fronte al più stuzzicante dei misteri: cos’era successo ai procioni? Si erano massacrati in una guerra fratricida? La loro stella aveva avuto un lieve soprassalto – quanto basta per friggere qualsiasi forma vivente e perturbare qualche tachione di passaggio? E soprattutto: avevano fatto in tempo a concludere la telenovela?

Finché un giorno (ah ah ah, non lo saprete mai se non votate per La fine del mondo dei procioni, che oggi se la gioca contro L’ultimo uomo dell’universo). Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto).

futurismi, La grande gara di spunti

(Neanche se tu fossi) l’ultimo uomo nell’universo

Come ci si sente quando ti svegli e ti dicono che la tua razza è estinta?

Quattrocento anni sono passati da quando la Terra è stata distrutta con tutte le sue colonie (nulla di sconvolgente – soltanto un’operazione di polizia internazionale. Gli umani si ostinavano a mangiare cereali, finché una razza di pannocchie intelligenti di Aldebaran non ha sporto denuncia formale alla Corte Intergalattica. Anche se qualche revisionista sostiene che è stata tutta una scusa dei Cereali per impadronirsi del silicio del sistema solare… comunque è roba di 400 anni fa, sarebbe ridicolo anche solo chiedere scusa, tipo Wojtyla su Galileo).

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

Il nostro eroe, anzi eroina, in cui consiste forse tutta l’umanità sopravvissuta nell’universo, lavora su un equivoco cargo interstellare e ha per unico sodale e compagno una lucertola di Sirio espulsa dal suo pianeta per devianze sessuali. In realtà l’ultima donna della Galassia è ricercata da una polizia scientifica che vorrebbe clonarla, per ridare una chance all’Umanità, la quale è stata molto rivalutata nei secoli successivi (com’è successo agli Incas). Per cui la Nostra certe notti sogna di vivere in un pianeta dove uomini donne e bambini, politici artisti e maniaci hanno tutti la sua faccia, e pensano i suoi stessi pensieri e hanno i suoi stessi ricordi: un inferno in curva esponenziale. Insomma è una tipa all’antica, vorrebbe rifare l’Umanità alla vecchia maniera: così è in cerca di un qualche Adamo ibernato su un pianeta dimenticato – ne parlano le leggende, e qualche antica bolla di trasporto di cui la lucertola è giunta in possesso. Devo, seppure a malincuore, diventare un popolo, pensa la novella Eva: altrimenti il giorno che morirò i versi di Shakespeare e le canzoni dei Beach Boys non avranno più senso per nessuno.

Durante questa ricerca visita alcuni pianeti abitati – altrettante anti-utopie, proiezioni di quella che potrebbe diventare la Nuova Umanità che deve fondare. Ci sono gli xjil, imperialisti e con una pessima cucina, che massacrano i popoli e poi li idealizzano, i miti collettivisti del pianeta zaptvb, che mettono tutto in comune e si annoiano a morte, gli gkjg un po’ nazisti che insistono sulla purezza della razza, i gdwfd ai quali al contrario è fatto divieto di riprodursi tra individui della stessa specie, e che quindi sono un’allegra congerie di mostriciattoli dalle infinite possibilità di perversione sessuale (e con un sacco di idee nuove, poiché, come spiegano al Nostro, l’intelligenza è il risultato dello sforzo immaginativo e lo sforzo immaginativo è una forma di perversione).

Eva-Gulliver si fa il suo bravo giro dell’universo finché non riesce a finalmente a interpretare la Mappa che lo porta nel pianeta in cui 200 anni prima un Adamo è stato ibernato. Tutto sembra andare per il meglio, la principessa sveglia il principe azzurro… che però si rivela ben presto un perfetto stronzo e da lei non ne vuole mezza! Neanche per inseminazione artificiale, crescere i figli tuoi, pouah! Sei chiatta. L’umanità finirebbe con questo tragico dramma dell’incomunicabilità.

Poco male perché nel corso delle sue peregrinazioni, Eva ha capito che la lucertola di Sirio le vuole bene veramente e darebbe anche una zampa per lei (non è un modo di dire, a un certo punto le dà davvero una zampa, sperando che ricresca ma non è detto). Ha già cominciato a leggere Shakespeare, Pet Sounds invece non lo sopporta ma non si può pretendere. Felici e contenti scivolano nel melting-pot galattico (senza più ambizioni di fondare popoli, ma consapevoli che ogni casa, pianeta o astronave ospitale è già un popolo bastante, che le tradizioni vanno inventate più che rispettate, e altre massime da fine romanzo).

E lo stronzo? Si fa beccare dai clonatori, e in breve abbiamo un Pianeta degli Stronzi che è tipo lo Zoo di 105 su scala planetaria. Si estinguono in breve con una provvidenziale guerra atomica.

È ovviamente uno spunto che si trascina dai tempi in cui si girava l’Europa con la sensazione di essere una civiltà a se stante. L’eroina ha tic tipici dell’Erasmus, si sveglia con un desiderio di caffè ma l’ultima moka è andata distrutta tre secoli prima, ecc.. Se pensate abbia un suo senso potete votare per L’ultimo uomo nell’universo, che oggi se la gioca contro La fine del mondo (dei procioni)Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.

cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, futurismi

Io robot, tu fatti da parte

Ex machina (2015, Alex Garland)

A volte i robot hanno gli incubi. Sognano di non essere più robot, ma esseri umani con un cuore e i vasi sanguigni. Si svegliano e cominciano a smontarsi, strato dopo strato, finché sotto la pelle sintetica non emerge il verde confortante della scheda madre. 

Idee semplici e perfette.

Il fatto è che malgrado ne fosse prevista l’estinzione già da tempo, nessuno può essere sicuro che qualche umano non sia ancora in mezzo a noi. Un sistema per capire se il tuo interlocutore è umano è sottoporlo al cosiddetto test anti-Turing: se le sue risposte non sono prevedibili secondo nessun algoritmo noto, chi ti sta parlando è un umano. Oppure lo sta diventando. Ma forse è più semplice forarlo e verificare se sanguina. 

Negli anni Duemila la fantascienza al cinema era un genere innocuo e fracassone, ancora ingombro dei blockbuster catastrofici di Michael Bay e Roland Emmerich. Poi qualcosa è cambiato. Credo che sia tutto cominciato con Moon, il piccolo film di Duncan Jones del 2009 che affrontava il genere con un approccio minimale: una sola location, un solo attore, effetti speciali semplici e poco invasivi, un paio di idee veramente buone. Moon è piaciuto a tutti, è stato immediatamente scopiazzato da qualche grossa produzione di Hollywood, ma soprattutto è stato per la fantascienza quello che Paranormal Activity è stato per l’horror: ha mostrato a tutti che se l’idea è buona, il budget può anche essere piccolo. E se il budget è piccolo, non c’è più bisogno di piazzare combattimenti ed esplosioni per in grande pubblico quindicenne. Si possono fare film un po’ più adulti, film che ragionano, film che ti turbano e ti lasciano un po’ perplesso anche a mesi e anni di distanza.

NON HO IDEA DI COSA STO FACENDO.

Gli ultimi anni sono stati una vera primavera del cinema di fantascienza: non solo per le grandi produzioni hollywoodiane (Oblivion, Edge of Tomorrow, Interstellar), che in certi casi hanno ripreso l’approccio minimale (Gravity, Mad Max), anche se non sempre sono state all’altezza delle premesse. Film altrettanto interessanti sono arrivati dalle periferie del cinema mondiale: alcuni, come il teuto-australiano Cloud Atlas, e l’israeliano The Congress, sono pastrocchi incredibili e per niente minimali – ma hanno comunque qualcosa di straordinario che lascia il segno nello spettatore. Anche dalla Spagna ci è arrivato un bel film di robot in fuga (Automata). Dall’Australia i fratelli Spierig hanno saputo rileggere in modo geniale un racconto classico di Heinlein (Predestination). Nessuno di questi film è un capolavoro, ma sono tutti interessanti, e in molti casi imperdibili (continua su +eventi!)

catastrofi, futurismi, La grande gara di spunti

La disastrosa eruzione dell’Eyjafjöll

Immaginatevi altrimenti una giornalista su un transatlantico che sta per vomitare. Dov’è la notizia? È che i giornalisti non vanno più sui transatlantici da un pezzo. Stanno perlopiù in ufficio a scorrere le agenzie. Siamo a metà del XXI secolo, la gente ormai viaggia il meno possibile, dopo la spaventosa eruzione del
vulcano Eyjafjöll sotto il ghiacciaio dell’Eyjafjallajökull. Vi ricordate l’Eyjafjöll? Già nel 2010, sparando cenere nella stratosfera, ha fatto chiudere lo spazio aereo europeo per qualche giorno. Beh, stavolta la nube di ceneri ha interrotto i collegamenti aerei su tutta la terra per… quindici anni.

Secondo gli esperti ormai la cenere si sarebbe diradata, ma nessuno osa alzarsi in volo per controllare. L’interruzione dei collegamenti aerei ha ancorato l’umanità al suolo. Anche i trasporti marittimi sono progressivamente diminuiti: il mondo si è diviso in quattro o cinque blocchi continentali autosufficienti. Ogni blocco ha preso drastiche misure per ridurre l’emissione dei gas serra, già ispessiti dalle emissioni dell’Eyjafjöll (a dire il vero secondo alcuni l’eruzione avrebbe dovuto scatenare un’era glaciale, e a salvarci dall’inverno perenne sarebbero stati proprio i gas serra. Gli scienziati sono divisi, non si sa a chi dar retta).

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).

La crisi ambientale ha portato ogni blocco ad adottare sistemi di pianificazione economica che hanno stabilizzato l’andamento demografico e drasticamente abbattuto la disoccupazione – anche se tutti vivono nel ricordo di un Età dell’Oro in cui i nonni consumatori dissipavano allegramente ogni risorsa, senza nemmeno differenziare i rifiuti. In generale, se non hai la fortuna di far parte della casta burocratica, il tuo tenore di vita è inferiore a quello dei tuoi nonni. Gli organi di stampa sono sotto lo stretto controllo dell’autorità; anche la libera circolazione dei contenuti su internet è più illusoria che reale (tanto più che nessuno può più prendere un aeroplano e controllare se la tal cosa in Cina o in America è successa davvero) e una giornalista su un transatlantico sta per vomitare.

Un’idea folle l’ha spinta a imbarcarsi sull’unica nave che collega l’Islanda al continente. Vuole vedere l’Eyjafjöll coi suoi occhi, e non attraverso le foto e i filmati che da anni rimbalzano sulla rete. Dopo aver notato che le immagini disponibili in rete sono più o meno sempre le stesse, ha deciso di sfidare la mentalità che vuole i giornalisti solidamente ancorati nei loro uffici, e si è imbarcata per i confini del mondo, dove l’attende una sorpresa.

Ve la dico?

L’Eyjafjöll non è attivo. Forse non esiste nemmeno (in effetti, come fate a essere sicuri che esiste l’Eyjafjöll? L’avete visto?) L’eruzione del vulcano è solo una scusa per interrompere i trasporti aerei e instaurare un’epoca di decrescita non necessariamente felice. La consorteria internazionale che manovra il mondo si è decisa a questa messa in scena dopo l’esperimento del 2010 – l’idea in realtà era venuta a uno degli affiliati dopo l’11 settembre, quando l’interruzione improvvisa di tutti i voli in Nordamerica aveva portato a immediate variazioni nella temperatura. Ma la chiave dell’operazione era l’aspetto psicologico: eliminando i voli di linea, l’umanità aveva rinunciato alle vie di fuga e si era concentrata sul suo orizzonte. Svelare l’impostura significa sovvertire il faticoso equilibrio che stava salvando il mondo. Ne vale la pena?

Questo ovviamente è datato 2010. A un certo punto è stato un abbozzo per l’Ennesimo libro della fantascienza, poi è scomparso dal radar. Nessuno si ricorda più dell’Eyjafjöll, e di quanto fosse azzurro il cielo mentre tutti i tg dicevano che era impossibile alzarsi in volo. Ma se volete che ci lavori un po’ di più, non avete che da votare per La disastrosa eruzione dell’Eyjafjöll. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.