Bibbia, cristianesimo, Islam, razzismi, religioni, repliche

Possiamo convivere con gente così?

(Forse li avete già visti: alcuni youtuber olandesi vanno in giro a citare versetti del Corano ai passanti; dopo averli scandalizzati, scoprono la copertina e rivelano che si tratta di una Bibbia. È divertente, ma non così originale.

Quando 11 anni fa Vittorio Feltri pubblicò il Corano in dispense su Libero – vi giuro, 11 anni fa Vittorio Feltri pubblicò il Corano in dispense su Libero – io scrissi questa recensione per Macchianera, che al tempo era uno dei blog più letti in Italia. Ci cascarono in parecchi – incredibilmente, un sacco di commenti sono ancora on line. È passato tanto tempo e siamo ancora convinti di parlare di qualcosa di attuale, di interessante).

Possiamo convivere con chi crede nel Corano? No

24 novembre 2004.

Ogni giorno è buono per imparare qualcosa, e io temo di avere imparato qualcosa da Vittorio Feltri. Sì, proprio lui, l’esegeta del Corano.
L’avevo preso sottogamba, sapete. Credevo che valesse la pena di comprarlo per dedicargli uno sfottò, una di quelle cose che piace a noi frustrati di sinistra. Ebbene.
La tesi di Feltri è scontata: il Corano è inconciliabile con l’Occidente. Si tratta di un pregiudizio? Magari. No, Feltri si è documentato, ha studiato il Corano, ed è giunto a conclusioni che sono inoppugnabili. Cioè, io ho anche provato, a oppugnarle. Ma quando uno ha ragione ha ragione, e stavolta devo dare ragione a Vittorio Feltri. Il Corano è inconciliabile coi principi della nostra Costituzione. Chi crede in quel libro non dovrebbe rimanere a lungo sul suolo italiano. Mi dispiace, ma è così. Giudicate voi:

Le donne? Per Maometto sono inferiori
di Vittorio Feltri

Il Corano che cosa pensa delle donne? C’è un versetto molto chiaro. Sura II [detto della “vacca”], 228: «Ma gli uomini sono un gradino più in alto». Usa proprio questa formula il Libro Sacro: i maschi sono superiori. Non è una frase suscettibile di interpretazioni.
[. . .]
Questa inferiorità è strutturale, ed essa è la chiave di volta su cui è costruita la società. Insomma, la donna non è vittima di qualche incidente di percorso, per cui basta un ritocco qua e là delle leggi o della mentalità. No, è minorata per volontà divina, ed anzi la vita comune si regge su questo principio. Il resto discende come conseguenza: nessun ruolo direttivo, nessuna possibilità di organizzare per sé un minimo di vita individuale. La schiavitù è sancita e benedetta. Non sono teorie religiose, ma sono diventate immediatamente leggi politiche dove l’Islam è al potere, e pratiche familiari dove sono (per ora) in minoranza. Non illudiamoci: gli ayatollah imporranno a tutti questa visione del mondo appena potranno, perché per essi non c’è distinzione tra sfera spirituale e politica, tra morale cranica e legge dello Stato. Si pone un’altra questione seria. Le comunità musulmane presenti in tra noi possono trattare così le donne in barba alle nostre norme e consuetudini?

La risposta sarebbe scontata (no), ma lo sapete, io sono il solito malfidato, mica potevo fidarmi del primo versetto che mi citavano.
Così sono andato a prendermi la mia copia del Corano, ché sapevo bene di averne una da qualche parte su una mensola alta (il Libro va sempre posato in alto). E ho iniziato a sfogliare. Ero convinto che avrei trovato subito qualche versetto che ribaltava la faccenda. Beh.
Mi sono dovuto ricredere. Più andavo avanti, più era peggio. Ragazzi, c’è poco da essere politically correct. Quel libro è veramente misogino. Tutte le volte che compare la parola “donna”, da qualche parte lì intorno c’è anche la parola “sottomessa”. Non ci credete?

Si parte dalla Sura “della Genesi” (3,16): è Allah che dice alla prima donna:
“Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ma egli ti dominerà”.

Tanto per mettere subito le cose in chiaro. Ma cos’ha fatto, la donna, di male? Lo spiega a chiare parole la Sura “del Siracide” (25,24):

Dalla donna ha avuto inizio il peccato,
per causa sua tutti moriamo.

Per cui il minimo che possa fare è restare sottomessa. E infatti: Se non cammina al cenno della tua mano, toglila dalla tua presenza (Siracide 25,26)

E poi ci lamentiamo se le loro donne rimangono segregate in casa? Finché continueranno a credere in un Libro che ragiona così…

Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo
è una donna che mantiene il proprio uomo
(Siracide 25,21)

…non c’è da aspettarsi che escano a cercarsi un lavoro. Né che partecipino a qualsiasi tipo di attività sociale. Perfino nella preghiera sono emarginate:

Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea. (Sura “dei Corinti I”, 14,34-35)

Nella stessa Sura si motiva anche l’uso femminile del velo (e del burqa, eventualmente):

L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. [… ] Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto? Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo. Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine […] (Sura “dei Corinti I”, 3,7-16)

Notate la grazia della chiusa finale: se qualcuno vuole contestare… noi non abbiamo questa consuetudine. Tante grazie. Noi sì, però. Come la mettiamo?
E ancora:

Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie […] (Sura “degli Efesini” 5,22-23;

Ugualmente voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati considerando la vostra condotta casta e rispettosa. (Sura “di Pietro I”, 3,1)

Per finire con questa botta:

“Di più! Dobbiamo cagarci addosso di più, perdio!”

La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia. (Sura “di Timoteo I”, 2,11-15)

Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo… e poi pretendiamo che abbiano rispetto per le nostre insegnanti? No, mi dispiace, io credo di essere una persona di aperte vedute e tollerante, ma ci sono dei limiti.

E che nessuno venga a dirmi che questi versetti vanno interpretati, inseriti nel loro contesto, mediati… interpretare cosa? Mediare cosa? È tutto chiaro qui, tutto nero su bianco: dalla donna ha avuto inizio il peccato, la donna stia sottomessa all’uomo, punto. E questo credo che non dovremmo tollerarlo. Mi dispiace, ma su questo sono più feltriano di Feltri: chi crede in questo Libro non ha il diritto di rimanere nel nostro Paese, dove vige una Costituzione che prevede per uomo e donna pari diritti.
Perciò, cari amici musulmani, aria.

[Continua domani]

cultura, religioni, santi

Il giglio dei Mohawk


17 aprile – Santa Kateri Tekakwitha (1656-1680), vergine mohawk

Di solito gli irochesi attaccano su due fronti; accerchiano il villaggio; uccidono i guerrieri feriti, gli anziani, i bambini troppo piccoli e in generale chi non reggerebbe la fatica di un lungo viaggio a piedi. Ai restanti prigionieri viene tagliato un dito a scopo di identificazione; nel frattempo un messaggero viene mandato al villaggio per avvertire che la piccola guerra è andata bene. Lungo il cammino i prigionieri che cadono vengono terminati rapidamente a colpi d’ascia e abbandonati insepolti. Quando finalmente arrivano al villaggio, una piccola folla si fa avanti per percuoterli un po’. Vengono spogliati e torturati con più professionalità dalle donne, specie le più anziane ed esperte. A questo punto venivano nutriti e potevano riposare; quindi erano fortemente invitati a danzare in cerchio mentre il consiglio del villaggio deliberava sul loro destino. I nuclei famigliari che avevano avuto un lutto recente avevano la facoltà di adottare uno dei prigionieri, che in caso contrario veniva ulteriormente torturato, ucciso e parzialmente mangiato. Il prigioniero adottato diventava membro della famiglia a tutti gli effetti, e dalla sua disponibilità a impersonare il parente precedente morto in guerra o in malattia dipendeva la sua sopravvivenza: se non riusciva a integrarsi poteva essere ucciso anche dopo qualche anno. Anche la madre di Kateri Tekakwitha divenne mohawk in questo modo, quando era bambina. Di nascita era algonchina, di una tribù cattolica e filofrancese; gli irochesi (di cui i mohawk facevano parte) in questa fase acquistavano armi da olandesi e inglesi, e attaccavano i francesi che si ostinavano a comprare pelli di castoro da altri popoli.


Gli irochesi erano tutto meno che un popolo in simbiosi con la natura. Giunti da sud nel medioevo, miravano a diventare la potenza egemone di tutta la zona tra i Grandi Laghi e il Mississippi che in alcune mappe europee si chiamava invece Nuova Francia. La loro idea di egemonia prevedeva il genocidio e l’assimilazione delle tribù nemiche. Da un punto di vista economico, miravano al monopolio della vendita di pelli del castoro gli europei, e questo era un buon motivo per combattere contro le tribù alleate dei francesi. Pazienza se nel frattempo la caccia sistematica dell’animale lo stava portando all’estinzione in una vasta porzione del suo habitat. Cacciatori e guerrieri erano costretti a viaggi sempre più lunghi, il che aumentava il prestigio e l’importanza delle donne che restavano a casa. Alle donne appartenevano terreni e abitazioni; soltanto loro conoscevano i misteri delle “tre sorelle” (mais, fagioli, zucche), senza le quali anche i più potenti guerrieri non avrebbero saputo come riempire la scodella quotidiana. E tuttavia le donne dovevano sposarsi e avere figli: era l’unico destino concesso. L’infertilità era connessa con la stregoneria e con altre sciagure. D’altro canto, divorziare sembrava straordinariamente facile: bastava posare i mocassini del marito fuori dalla casa.


Kateri però non voleva sposarsi. Quando le presentarono un pretendente (a 14 o a 17 anni), se la squagliò senza tante cerimonie. Ora faccio l’avvocato del diavolo: Kateri non era un buon partito. Non per via delle origine algonchine, dal momento che l’abitudine a rimpolpare le famiglie con prigionieri di altre tribù aveva reso gli irochesi un melting pot più amalgamato del nostro: dopo l’epidemia del vaiolo del 1662 gli etnologi calcolano che il 90% dei mohawk non fossero di origine mohawk.

Nella stessa epidemia però Kateri aveva perso la famiglia e la bellezza: i segni del vaiolo le sfiguravano la fronte. Aveva anche una vista assai debole, il che non le impediva di essere un’artigiana molto abile. La zia che l’allevava non aveva probabilmente né l’interesse né la possibilità di trovarle un guerriero bello e forte: bisognava arrangiarsi. Le fonti gesuite ovviamente non scrivono così, bensì:

Tekakwitha crebbe senza scuola e senza studio, amante soltanto della solitudine e del lavoro, ma la grazia di Dio la condusse per vie misteriose alla pratica eroica di tutte le virtù, specialmente di quella più sconosciuta agli Indiani, la castità.

E può anche darsi che abbiano ragione; che Kateri non disprezzasse unicamente il suo promesso sposo, ma il matrimonio e il congiungimento carnale in sé. Persone del genere esistono in tutte le culture e a tutte le latitudini. Fu la scelta di non sposarsi – che nella cultura mohawk l’avrebbe portata dritta a un’accusa di stregoneria – ad avvicinarla ai “vestenera”, i missionari gesuiti. Ogni villaggio ne aveva uno: lo prevedeva una clausola di una pace da poco firmata coi francesi. Qui bisognerebbe aprire una parentesi enorme sul ruolo dei gesuiti, che abbinavano a una devozione fanatica una duttilità etnologica veramente in anticipo sui tempi. Ovunque arrivano – e arrivano ovunque, sprezzanti dei rischi di martirio – i gesuiti sanno di non trovarsi semplicemente in mezzo a selvaggi, ma al cospetto di culture da interpretare e studiare. Saranno i primi a pubblicare grammatiche giapponesi e azteche; ma a differenza degli antropologi di oggi, che sono portati a considerare ogni popolo come una nicchia da preservare, anche a costo di impedirsi di conoscerla, i gesuiti sono in missione per conto di Dio. La cultura che si portano con sé, dall’Europa sconvolta dalle guerre di religione, la vogliono spargere nel Nuovo Mondo, innestandola su piante autoctone ed esotiche, nella speranza che da qualche parte nella foresta o nella jungla nasca qualcosa di simile a un regno dei cieli, o anche solo una Repubblica di Indios conversi come in Paraguay. Anche in Nuova Francia erano riusciti a farsi intestare delle seignuries, dei feudi. Il piano era infettare le Sei Nazioni come un virus, portando armi e sacramenti (continua sul Post…)

cristianesimo, Francia, madonne, religioni, santi

La pastorella e la Bella Signora

Ha degli occhietti furbetti.
16 aprile – Santa Bernadette Soubirous (1844-1879), pastorella e mistica di Lourdes

La Madonna è contagiosa, chi la conosce lo sa. Chi la vede, di solito, ha già sentito parlare di altri che l’avevano vista. Proprio come le malattie infettive, il fenomeno è particolarmente evidente nei collegi. Un’allieva intravede Nostra Signora in fondo a un corridoio; lo dice a un’amica; la vede anche lei; il resto della camerata le prende in giro; nel giro di un mese l’hanno vista tutte. È successo in più casi. Da bambino mia zia ogni tanto andava a Medjugorje, molti anni prima che Paolo Brosio si accorgesse delle potenzialità mediatiche del fenomeno. Però non è che ci si potesse recare così spesso in quel Paese relativamente lontano che ancora si chiamava Jugoslavia (la Madonna spesso sceglie nazioni sulla via del disastro: in quegli anni si faceva vedere anche in un collegio in Ruanda). Così a volte si contentava di Fossoli di Carpi, perché tra i cultori locali di Medjugorie si era diffusa questa storia, che la Madonna stesse apparendo anche a Fossoli, poco distante dal vecchio campo di concentramento. E un giorno, in effetti, mentre una folla pregava da qualche parte a Fossoli, si sentì una voce ben distinta dall’alto che diceva: peccatori, pentitevi. Non era esattamente Nostra Signora, come si vedrà.

La natura virale delle apparizioni mariane è un grande argomento in mano agli scettici: chi vede la Madonna in realtà sa già cosa deve vedere. È stato, per così dire, istruito da una tradizione secolare. Questo spiega il perché la madre di Dio frequenti di preferenza contrade cattoliche: altrove, del resto, può capitare che ti curino a elettroshock, o ti recludano finché non confessi che ti eri inventato tutta la storia, prima per prendere in giro i compaesani e poi per non deluderli (così accadde per esempio alla giovane Margarethe Kunz nel 1878, appena qualcuno cominciò a parlare di una “Lourdes tedesca” a Marpingen, nel Saarland). Anche i veggenti in buona fede non farebbero che riprodurre, nelle loro allucinazioni, un immaginario cattolico condiviso da secoli.

Bernadette davanti alla grotta (ma è passato qualche anno).
A questa obiezione i credenti rispondono col modello della Pastorella, di cui la piccola Bernadette è l’incarnazione più famosa. Se è abbastanza naturale che una collegiale o una suora sogni le madonne e i sacri cuori che si vede intorno dappertutto, come la mettiamo con le pastorelle? Sono ignoranti, analfabete; frequentano cappelle disadorne; non riconoscerebbero la Madonna nemmeno se la vedessero, e nel caso di Bernadette andò proprio così: non la riconobbe. La chiamava “aqerò” (“quella là” in dialetto occitano); la descriveva come una piccola, bellissima signora biancovestita con una cintura blu e una rosa gialla su ciascun piede. Chiunque a quel punto penserebbe, se non a uno scherzo, a Maria di Nazareth; ma bisogna concedere che il vestito biancoazzurro non era così diffuso: entrò nell’iconografia standard proprio dopo le apparizioni di Lourdes. Nostra Signora dal suo canto ci mise più di quaranta giorni, e sedici apparizioni, prima di presentarsi con quelle fatali parole, que soy era immaculada concepciou, che, a detta di tanti lourdologi, Bernardette sarebbe stata troppo ignorante per capire: come poteva una pastorella sapere che appena quattro anni prima papa Pio IX aveva dichiarato dogma di fede l’Immacolata Concezione di Maria, al termine di un dibattito che aveva messo contro per secoli il fior fiore dei teologi? Anzi, se Bernadette riuscì a riferire la curiosa espressione allo scettico abate Peyramale, fu soltanto perché nel tragitto non smise di ripeterla sottovoce: quesoyeraimmaculadaconcepciou, quesoyeraimmaculadaconcepciou, quesoyeraimmaculadaconcepciou. Padre! Ho rivisto la bella signora! Mi ha detto di dirle quesoyeraimmaculadaconcepciou.

Per il povero parroco fu un bel colpo. Sei sicuro che ti ha detto così? Ma lo sai cos’è… lo sai chi è l’immaculada eccetera? No, certo che non lo sai, poveretta. Fin lì l’abate aveva diffidato della pastorella allucinata. Quando era venuta a riferirle la pretesa della bella signora di costruire un santuario nella grotta, aveva preteso un segno: di’ alla tua signora che faccia fiorire il roseto lì sotto. Chissà se aveva in mente il miracolo della Vergine della Guadalupe a Città del Messico.

Io ne avevo una, una volta mio cugino ne ha bevuto un sorso ed è ancora vivo.Il roseto non rifiorì. In compenso la fonte che Bernadette aveva trovato scavando lì sotto con le unghie cominciava ad attirare i malati. Era stata un’amica della pastorella, Catherine, a immergere per prima un braccio paralizzato e a trarne, diceva, un subitaneo giovamento. Non poteva certo immaginare di essere la prima di settecento milioni di visitatori, nonché di una settantina di guarigioni ritenute inspiegabili e pertanto miracolose – una ogni dieci milioni, percentuale tutto sommato ragionevole. Fu l’acqua benedetta a fare di Lourdes la Madonna più famosa del mondo: le altre si limitavano a sorridere e sussurrare segreti angosciosi a pastorelli perplessi, ma quella della grotta ti guariva. O perlomeno ti lasciava un segno tangibile, imbottigliabile: un sorso d’acqua pura – a patto di intercettarla molto vicino alla fonte, perché qualche metro dopo il miracolo è non prendersi il colera, con tutti quei malati intinti nella fanga.

Se l’acqua rese famosa la Madonna di Lourdes, la dichiarazione raccolta da Bernadette (quesoyeraimmaculadaconcepciou) la rese canonica: Pio IX riconobbe ufficialmente le apparizioni quattro anni dopo (1862) un record. Per dire: i veggenti di Medjugorje stanno aspettando lo stesso riconoscimento da trentaquattro anni. E d’altro canto l’apparizione a Bernadette era stata straordinariamente tempestiva. Proclamando l’immacolata concezione nella sua enciclica Ineffabilis Deus, il pontefice aveva sfidato i suoi stessi vescovi: era la prima volta che un papa proclamava un dogma senza consultarli in un concilio. Parecchi probabilmente borbottavano, specie quelli di formazione domenicana che avevano osteggiato il concetto di immacolata concezione sin dai tempi di Tommaso d’Aquino. Per metterli a tacere, niente di meglio che un intervento della diretta interessata, anche nel dialetto dei Pirenei. Quando alla fine il concilio si farà – nel 1870 – Pio IX ne profitterà per farsi dichiarare infallibile ex cathedra. Notevole prova di forza per un pontefice che stava per perdere l’ultimo brandello di Stato della Chiesa. Bernadette per quanto possibile, gli aveva dato una mano, recapitando un messaggio dal Cielo con la sua voce pura, immune da contaminazioni culturali e intellettuali. Perlomeno la tesi è questa: Bernadette era troppo ignorante per essere stata anche solo imbeccata da qualcuno meno che santo.

È una tesi che trasuda malafede (continua sul Post…)

aborto, cristianesimo, religioni

Ma sentiamo adesso la nostra amica stragista

A costo di suonare banale, al limite del lapalissiano, vorrei ricordare a tutti i lettori (e specialmente a quelli scandalizzati del fatto che Emma Bonino non possa tenere un discorso in chiesa) che i cattolici definiscono la propria posizione nella società attraverso princìpi che chiamano, non a caso, valori non negoziabili; che tra questi valori c’è la difesa della vita umana, e che la vita umana, secondo loro, comincia dal concepimento, e quindi se ne deduce, davvero con molta facilità, che un aborto è un omicidio, ed Emma Bonino un’assassina. Ma non un’assassina qualunque, perché di aborti non ne ha praticati due o tre, ma 10141 nel solo 1975: quindi una stragista, una genocida.

Non solo. A differenza di tanti banali esecutori, la Bonino non ha eseguito ordini che provenivano da qualche autorità superiore, ma tutti quegli omicidi li ha commessi in piena coscienza, rivendicandoli a testa alta, al punto di auto-accusarsi all’autorità costituita, quando abortire in Italia era illegale ma lei aveva già fondato il Centro di sterilizzazione e di informazione sull’aborto. In seguito abortire ha smesso di essere un reato, anche grazie a lei, ma i cattolici non hanno cambiato idea e non c’è nessun motivo al mondo per cui la debbano considerare con occhi diversi da quelli con cui la guardavano nel 1975: una lucida assassina seriale che non si è mai pentita, anzi che rifarebbe esattamente tutto. Per questo immaginarsi un prete che accolga Emma Bonino nella sua chiesa durante le esequie di Mariangela Melato, e che le ceda il microfono per un breve discorso, è una di quelle fantasie che possono venire soltanto a uno che in Italia ci venga di passaggio ogni tanto, e sia convinto che gli edifici coi campanili siano una cosa folkloristica gestita da impiegati comunali con buffi abiti tradizionali.

Chi in Italia viceversa ci abita davvero, e con gli italiani ci discute un po’, persino coi preti, non è che possa sorprendersi più di tanto: sul serio, questa cosa dell’aborto=omicidio non è uno scherzo, una boutade che si dice ogni tanto per darsi un tono: non mi è mai capitato di sentire un cattolico che non ne sia convinto. Quelli che smettono di crederci di solito smettono anche di essere cattolici, perché da trenta, quarant’anni a questa parte l’opposizione a qualsiasi forma di aborto è diventata un cardine della dottrina pratica della chiesa. Sarebbe interessante discutere del perché sia successo questo, dato che nelle Scritture di aborto non si parla e anche i Padri della Chiesa per lo più se ne disinteressano; a mo’ di curiosità si potrebbe ricordare che per secoli il filosofo ufficiale della Chiesa è stato Tommaso d’Aquino, per il quale la vita non aveva inizio col concepimento: sarebbe interessante e qui ogni tanto si tenta di farlo, ma oggi prevale la sorpresa per l’unanime sdegno con il quale si commenta la notizia: non hanno fatto parlare Emma Bonino in una chiesa! Ma perché, povera Emma, cos’avrà mai fatto di male. Ecco, a mo’ di ripassino citerei il blog di un consigliere pidiellino del Lazio:

Se ogni politico nasconde qualche scheletro nell’armadio, Emma Bonino cela un cimitero di 10 mila bambini non nati e da lei spesso personalmente eliminati con una indifferenza orgogliosa e agghiacciante

Siete liberi di trovare la cosa assurda; ma di stupirvi francamente no. I cattolici queste cose le dicono a voce alta, da parecchio tempo: se non siete d’accordo magari non sposatevi in chiesa, e chiedete che il vostro corteo funebre non parta da una chiesa. Io in coscienza non ritengo che l’aborto sia equiparabile a un omicidio; non mi sono sposato in chiesa e quanto al mio corteo funebre chi ci sarà farà un po’ come gli pare, io quel giorno avrò altri impegni. Ma scandalizzarsi del fatto che un’organizzazione privata (la Chiesa) non lasci parlare dai suoi microfoni una persona che ritiene sua feroce avversaria (Emma Bonino) è secondo me indizio di una certa confusione su cosa la Chiesa sia. Non è un ente governativo, non gestisce edifici pubblici, gli officianti non sono pubblici ufficiali; perlomeno non dovrebbero esserlo, e chi è laico dovrebbe preoccuparsi vivamente che nessuno faccia confusione. Proprio perché si ritiene che la Chiesa debba essere trattata come un soggetto privato, e che debba pagare tutte le sue tasse esattamente come qualsiasi altra organizzazione privata, senza trattamenti di favore. Gli edifici di culto appartengono ai preti: decidano loro chi è ben accetto e chi no, chi può parlare e chi no, esattamente come a casa nostra entra e parla solo chi invitiamo noi. E in cambio di questa riconosciuta autonomia, la libera Chiesa paghi al libero Stato tutte le sue tasse – comprese quelle che servono a finanziare consultori e a continuare l’opera intrapresa da Emma Bonino nel 1975: visto che nel frattempo anche grazie a lei noi cittadini italiani abbiamo deciso a maggioranza che abortire non è una colpa, non è un reato, e che si deve essere liberi di farlo nel modo meno doloroso possibile, senza le pompe da bicicletta che la Bonino era costretta a usare.

Dico un’ultima cosa. Proibendo a Emma Bonino di parlare, il prete le ha reso onore: ribadendo la coerenza della Chiesa, ha riconosciuto anche la coerenza dell’attivista pro-aborto. Molto più di tutti quelli che in queste ore si stanno stracciando le vesti non si capisce esattamente in base a quale sistema di valori, forse di un generico Volemosebbène che dovrebbe scattare ogni volta che muore qualcuno, e ci togliamo i nostri panni ideologici e ci abbracciamo tutti in un’unica grande chiesa da Che Guevara a madre Teresa. Vaffanculo, no, questa cosa non esiste: per i cattolici chi pratica gli aborti va all’inferno e ci resta. Tenetevelo un po’ in mente, e fatevi seppellire di conseguenza.

anniversari, Bibbia, corpo, cristianesimo, Cristo, ebraismo, religioni, santi

Buon anno col prepuzio o senza

1° gennaio – Circoncisione di Gesù.

Fingiamo di lavorare in una cancelleria un trentun dicembre del millequattrocentoquarantanove – quasi millequattrocentocinquanta. Il vostro principe si sposa e voi dovete mandare biglietti di inviti a tutte le corti d’Europa. La data – il primo marzo – dovrebbe corrispondere in tutto il continente; non è ancora arrivata la riforma gregoriana a complicare le cose. Ma l’anno qual è? Eh. Dipende.

Se scrivete a qualche signore di Firenze, o a un pari d’Inghilterra, è ancora il primo marzo del ’49: da loro il capodanno si festeggia il venticinque marzo. In fondo ha un senso, visto che gli anni si celebrano dalla nascita di Cristo, e per i cristiani la vita comincia col concepimento… Se però invitate anche qualche dignitario di altre città toscane, come Pisa, attenzione: da loro è già il primo marzo 1450. Pure a Pisa capodanno è il 25 marzo, ma dell’anno prima: anche questo se ci pensate ha un senso, se Gesù nasce il 25 dicembre, deve essere concepito nove mesi prima, non tre mesi dopo. Anche per i veneziani sarà già il 1450, non potete sbagliare: loro festeggiano il capodanno proprio quel giorno lì, il primo marzo. Per i bizantini, i pugliesi e i sardi invece è ancora il ’49, e continuerà a essere il ’49 fino ad agosto – e anche questo, se ci pensate, ha un senso, anzi forse nel torrido mediterraneo è la cosa che ha più senso di tutte: l’anno vero comincia il primo settembre. In Spagna è già il ’50, con loro tutto sommato non si sbaglia mai, basta ricordare che l’anno comincia una settimana prima, il 25 dicembre. Il vero problema è se scrivete ai reali di Francia. In Francia infatti gli anni si contano dalla Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore, e anche questo potrebbe avrebbe un senso (ma non bisognerebbe detrarre 33 anni al computo?) non fosse per la complicazione che ogni anno la Pasqua cade in un giorno diverso. Che razza di casino. Perché? Possibile che per arrivare a sincronizzare i capodanni dell’Europa Occidentale abbiamo dovuto aspettare fino al Settecento? Come potevano resistere i nostri antenati, a tutta questa confusione e incertezza?

Resistevano benissimo. Avevano altre priorità: la maggior parte di loro nasceva viveva e moriva nello stesso luogo; la necessità di intendersi con i forestieri su curiosità come la numerazione dell’anno in corso non li toccava. Siamo noi a vivere l’ossessione della simultaneità, a sentirci obbligati a festeggiare tutti negli stessi giorni se non negli stessi minuti e secondi, con dirette sincronizzate da orologi atomici. L’incubo dell’Anno Mille come ce lo racconta Carducci, con le folle terrorizzate dall’arrivo del primo gennaio manco fosse l’apocalisse maya, “raccolte in gruppi silenziosi intorno a’ manieri feudali, accosciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e ne’ chiostri”, è una bufala ottocentesca: la maggior parte degli europei non aveva la minima idea di che anno fosse. Era il tot anno dalla nascita del tal re o imperatore o papa o figlio maschio o vacca da latte; per sapere quanti anni fossero passati dalla nascita di Gesù bisognava chiedere al prete, lui teneva il conto. Forse.

Comunque già alla fine del Seicento la diffusione del nuovo calendario gregoriano portò la maggior parte delle corti europee a uniformarsi (Venezia si arrese soltanto un secolo dopo, con Napoleone) e adottare il calendario che comincia il primo gennaio, secondo quello che è chiamato “stile della circoncisione”. Infatti se assumiamo che Gesù sia nato il 25 dicembre, il primo gennaio è il giorno in cui secondo la legge ebraica sarebbe stato circonciso. Dunque noi non contiamo gli anni dalla nascita di Gesù (25/12) né dalla sua procreazione/incarnazione (25/3), ma dal momento in cui è diventato a tutti gli effetti un ebreo. Il primo gennaio è poi diventato ben presto anche il giorno della festa di Maria madre di Dio, ma il sospetto è che sia stato un espediente per dissimulare una verità ovvia quanto imbarazzante: Gesù era un ebreo. Circonciso.

I cristiani invece non sono circoncisi – la maggioranza, almeno (continua sul Post, buon anno a tutti col prepuzio o senza, e anche chi il pene proprio non ce l’ha. Che non è che si perdano ‘sta gran cosa, diciamocelo).

Berlusconi, religioni

Cattolaico

Se io non fossi cattolico, di un pronunciamento dei vescovi sulle maialate di Berlusconi non saprei francamente che farmene. Non lo avrei atteso con impazienza per una settimana; non avrei nemmeno perso troppo tempo a leggerlo quando alla fine è uscito, con tante cose interessanti che ci sono in giro. Giusto un’occhiata, per curiosità antropologica. Si tratta del parere dei responsabili di una comunità religiosa nei confronti di un uomo politico che professa di appartenere a quella comunità ma non ne rispetta, platealmente, i costumi. Una questione di coerenza, insomma. Ma anche se non fossi cattolico, non avrei bisogno di ricorrere alla morale cristiana per accusare Berlusconi di incoerenza – ovvero di non fare, mai, quello che promette di fare: non aspetterei certo che fosse un cardinale a citarmi un articolo della Costituzione. Per cui, se non fossi cattolico, mi sentirei imbarazzato coi miei compagni laici che sventolano le critiche di Bagnasco a caratteri di scatola sui loro quotidiani, ennesima dimostrazione di quanto sia difficile essere veramente laici in Italia.

Se non fossi cattolico, probabilmente sarei portato a considerare la Chiesa cattolica italiana come una forza ostile, che pretende di condizionare la mia vita e di usare i miei soldi per cose che non m’interessano. Dunque la criticherei, che si schieri con Berlusconi o no: e mi concentrerei in particolare sui danni concreti che mi arrecano questi amministratori del “perdono religioso” che – se non fossi cattolico – non sarei sicuro di aver capito cos’è, ma da lontano mi sembrerebbe simile a un’estorsione: ogni volta che commette un peccato, Berlusconi deve rimediare: a novembre Ruby raccontò del bunga bunga, i fondi alle scuole cattoliche furono raddoppiate, il problema rientrò; oggi si è scoperto che il bunga bunga è una complessa struttura di lenocinio organizzato, e, coincidenza, Calderoli ha sgravato la Chiesa di un po’ di ICI. Insomma, cos’è questo perdono? Una medicina che non guarisce, una pacchia per i farmacisti; o un’infamia che in qualsiasi momento posso rimettere in giro, e allora davvero non ci sono altre parole per definirlo: è un ricatto.

D’altro canto, se non fossi cattolico, non è che potrei mettermi a eccepire sul comportamento di un’associazione privata, chiamata Chiesa cattolica, che amministra ai suoi fedeli qualcosa che secondo me non esiste; finché la cosa resta all’interno della scatola, tra maggiorenni consenzienti, non mi riguarderebbe. Mi preoccuperei di criticare la Chiesa, il più aspramente possibile,  per quello che dalla scatola esce; per i danni concreti che la Chiesa mi fa (mi tocca pagare anche la parte di ICI dei preti perché Berlusconi non sa gestire il suo pisello?), non per il suo funzionamento interno, che da non cattolico, probabilmente non capirei, ma nemmeno m’interesserebbe. La comunione, ad esempio. Se non fossi cattolico, quella cialda di torrone non mi direbbe molto, e non perderei tempo a stabilire a chi tocca o a chi no: è una cerimonia religiosa, un fatto privato, o piuttosto comunitario, ma di una comunità di cui non farei parte. Probabilmente non conoscerei neanche bene le regole, a meno che nel mio tempo libero io non mi dilettassi coi tomi di diritto canonico (ok, Malvino può intervenire, gli altri però zitti). Se io non fossi cattolico mi sentirei a disagio nell’entrare in una discussione su chi ha diritto di mettersi in fila davanti a un uomo vestito con paramenti religiosi per mangiare un Dio in cui non crederei. Se non fossi cattolico.

Se fossi cattolico sarei molto imbarazzato per la tolleranza mostrata anche stavolta dai Vescovi nei confronti di un uomo politico che profana la mia, la nostra fede. Anche perché non ci metterei molto a capire che questa tolleranza ha un prezzo; qualche altro peccatore non se la potrebbe permettere, Berlusconi sì (ma sempre coi soldi miei). E allora farei mie ancora una volta le parole di un sacerdote marsicano: “che differenza c’è tra una prostituta che vende il corpo per danaro ed una chiesa che, sempre per danaro, svende l’anima?” Tanto vale ricominciare a vendere indulgenze, dovrebbe esserci mercato, e in fondo era più democratico fra’ Teztel con la sua macchinetta mangiasoldi (“appena entra la monetina, la tua anima se ne va in purgatorio”) di questi cardinali moderni che sono più cari dei diamanti (e durano molto meno).

Però se fossi cattolico, questo sarebbe il mio giudizio politico, non morale. Se fossi cattolico chiederei con tutta la voce che ho che i Vescovi, le mie guide, prendano una posizione più decisa nei confronti di Berlusconi in quanto governante, per gli oggettivi danni che esso mi arreca; ma non avrei comunque diritto di giudicare Berlusconi in quanto uomo – intendo in quanto anima – perché questo tipo di giudizio non spetta a me, e di sicuro non tocca a me scagliare la prima pietra. Io non posso sapere se il Silvio Berlusconi di questi giorni, che inveisce al telefono e si affida ai peggiori tra i suoi cicisbei, non sia nel suo intimo pentito delle sue azioni (e parole, pensieri, omissioni). Se fossi cattolico, quindi totalmente fiducioso nella misericordia di Dio e rispettoso del libero arbitrio, io non potrei escludere in linea di principio che Berlusconi abbia in questo momento la coscienza più pulita di quella di un bambino: tutti possono pentirsi, anche lui, e tutti possono confessarsi e riconciliarsi con Dio, purché abbiano un sacerdote a portata di mano, e lui ne ha di sicuro.

Se fossi cattolico troverei fastidiosi i non cattolici che pretendono di entrare nel merito e di spiegarmi perché a Berlusconi non dovrebbe essere impartita l’Eucarestia, ad esempio perché è divorziato ecc. Anche da cattolico non smetterei di essere me stesso, ovvero un maniaco delle discussioni bizantine, per cui m’impelagherei volentieri nel merito della discussione: tecnicamente Berlusconi è divorziato, sì, ma può essersene pentito e aver chiesto e ottenuto la riconciliazione; si è risposato, ma di quello si è pentito sicuramente, e un sacerdote può averlo assolto; in questo momento vive solo, e anche se ha una fidanzata, questo non significa che in seguito a un pentimento essi abbiano deciso di comportarsi in maniera retta e pia. È chiaro che al 99% le cose non stanno così, ma non sta a me dimostrarlo, non sta a me giudicare un fratello nella fede. Se Berlusconi è spergiuro mentre si confessa, commette un peccato mortale e ne pagherà le conseguenze in termini di vita eterna: conseguenze che io, se fossi cattolico, prenderei mortalmente sul serio. Però resterebbero fatti suoi, l’unica cosa che mi potrei permettere di fare sarebbe pregare per lui. Infine, se fossi cattolico le persone che meno sopporterei sarebbero proprio i giudici non autorizzati, i moralisti troppo lesti a levare le pagliuzze dagli occhi altrui, insomma i farisei.

Cattolico o no, a questo punto sarei più o meno la stessa persona: rispetterei l’individuo, le comunità e lo Stato, ma ci terrei molto a tenere separate le tre cose. Non vorrei pagare per gli errori di altri individui, né per quelli di comunità religiose cui non appartengo; gli errori dello Stato invece sarei rassegnato a pagarli, ma proprio per questo motivo pretenderei una classe dirigente che ne facesse il meno possibile.

Ne consegue che, se fossi cattolico, e incontrassi il me stesso non cattolico, ci discuterei serenamente e mi troverei abbastanza d’accordo con lui. Questo è interessante. Non credo si tratti di terzismo, anzi, mi pare che ne sia l’esatto contrario: non si tratta di trovare uno stupido mezzo tra due versioni dei fatti (Berlusconi non è né un vecchio porco né un grande statista, ma… uno statista mediocre un po’ porcello?), quanto di riuscire a entrare nel problema da entrambe le estremità. Credo che essere laici potrebbe consistere in questo: avere un’idea (qualsiasi idea), e saperla impugnare anche a rovescio. Non fosse che per tenersi in esercizio. Insomma, questo metodo bipolare che mi sono ritrovato, mi piace, mi sembra che mi funzioni, ne sono moderatamente soddisfatto. Potrà sembrarvi un disagio schizoide, ecco, probabilmente è il minimo disagio necessario per far parte di una civiltà a caso, questa.

religioni, santi

And When The Saints…

Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Padre P. si ritrovò nel suo letto trasformato in un lingotto…


Fratello, io non vengo a giudicarti. Chi sono io per? L’ultima pecora del gregge, quella che si perde per nottate intere.
Solo voglio capirti. Fratello, tu credi nella Resurrezione dei morti, nella vita nel mondo che verrà? Domanda retorica, sei un frate francescano, per forza ci credi. E quindi sai che non è questione di filosofia, qui. La Resurrezione sarà un evento materiale, un evento fisico. Ci risveglieremo dalla morte e i nostri occhi vedranno il Signore. I nostri occhi, non degli occhi nuovi, proprio quelli che abbiamo adesso. Tu ci credi, Fratello? Ah, beh, vorrei anche vedere. Se non credessi in questi, che sono articoli di Fede della nostra santa madre Chiesa, non avresti certo fatto i voti di Castità, Obbedienza e… e… il terzo non mi viene, mannaggia a me.

Allora a questo punto, Fratello, vorrei chiederti: ma te l’immagini la scena?
Il Santo sbatte gli occhi, si guarda intorno e… non è uno scherzo, o lo è solo fino a un certo punto, perché se ci credi, sai che succederà davvero. I suoi occhi guarderanno il Signore, ma sono occhi fisici e guardandosi intorno noteranno anche quella specie di Fort Knox dove l’avete collocato. Ci avete pensato bene?

Cosa penserà? Ma che, m’hanno messo nel museo? Ma con quest’oro qui ci venivano cinque ospedali, ci venivano. Ma chi è stato che ha fatto ‘sta roba, ma possibile che li fraticelli miei non gli abbiano detto niente?

Ora si sa che il Sant’uomo aveva, come dire, un certo caratterino. E anche il caratterino risorgerà con i Suoi occhi, la Sua barba, le Sue mani, e i Santi piedi con cui comincerà a pigliarvi a calci in culo appena vi trova, nel nuovo mondo che verrà, e secondo me vi trova presto. E comincia subito. E potrebbe continuare in eterno.
Come, dici che non ci saranno calci in culo nel Regno dei Cieli? Ma se per questo secondo me non c’è nemmeno il cielo fondo dorato, che senso avrebbe? Abbaglia tutto e non si distingue bene niente.

Ora io te l’ho detto, fratello, poi fa’ te.

arti contemporanee, Cristo, preti parlanti, religioni

Tutti i bambini, con i chiodini

Ma Benedetto Papa

Ma se voi foste il Papa – ci avete mai pensato bene?
Se tra tutte le creature senzienti, lo Spirito Santo avesse scelto voi, proprio voi, per fare le veci di Gesù Cristo sulla terra, come vi sentireste? Investiti di un pesante fardello, di una tremenda responsabilità, certo.

Dar voce a un miliardo di credenti. Ma anche tentare di evangelizzare gli altri cinque miliardi, senza però offendere la sensibilità di Chiese e religioni concorrenti. C’è da perderci la salute – uomini più santi di voi l’hanno già persa.
Ma insomma, se voi foste il Papa, con un’agenda così, non avreste proprio meglio da fare che occuparvi di questa roba?


No, dico, e la prossima volta cosa? Harry Potter? Ah, no, dimenticavo, quello è già stato scomunicato a tempo debito.

Poi hai un bel da dire, Santa Sede, che le prese di posizione di Famiglia Cristiana non ti rappresentano. Eh, certo, può darsi che schedare i bambini sia una vergogna, però noi abbiamo altri problemi di cui occuparci, per esempio il ranocchio crocefisso. Sacrilegio! Eresia!

Ma Benedetto Papa, tu stai dando una nuova speranza agli artisti d’avanguardia. Da troppo tempo si ostinavano incarogniti in atteggiamenti provocatori che ormai non provocano più niente e nessuno. Nessuno? Ma no, vedi che uno che ci casca ancora c’è, e sei tu! Finalmente un Papa che si prende a cuore l’arte, come ai tempi di Giulio II e Sisto IV! Perché diciamolo, ai tempi del tuo predecessore, il signor Martin Kippenberger chi se lo sarebbe filato? Dopo qualche mese di esposizione a Bolzano, si sarebbe re-impacchettato il suo ranocchio in croce e se ne sarebbe tornato all’oblio da cui proveniva. E invece grazie a te il ranocchio in croce sta per diventare l’Opera d’arte più discussa del 2008, vale a dire la più riuscita… e magari anche la più quotata. A questo punto non è difficile prevedere per il 2009 un fiorire di animaletti in croce, santini osé e tutto quello che potrebbe urtare la sensibilità del vostro curato di campagna… a proposito, il vostro nanetto da giardino vi sembra ritratto in una posa vagamente mistica? Magari guarda in alto, come i santi rapiti di Guido Reni? Ehi, pensateci bene, magari potreste avere in casa il prossimo capolavoro proibito!

Sull’argomento segnalo le parole del grande poeta Davide Rondoni, al tg2 di oggi:
“Io credo che un artista sia libero di fare quello che vuole e anche il Papa di dire che gli fa schifo, evidentemente. In genere registro che i grandi artisti della storia non hanno mai offeso nessuno: né Michelangelo né Caravaggio sono diventati noti perché hanno fatto opere offensive”.

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Come dire, sacrosanto. Cioè, v’immaginate se Michelangelo o Caravaggio si fossero messi in testa di offendere qualcuno? Per dire, se il Buonarroti avesse preteso di mettere nudi integrali nel Giudizio Universale? O se il Merisi avesse cominciato a ritrarre le Sante coi piedi da popolani? Oggi nessuno parlerebbe più di loro, proprio come nessuno parla più di quel rancoroso e offensivo gobbetto, come si chiamava, Giacomo Leopardi, mentre fuori dalla libreria ci sono le file per acquistare i libri di versi del grande Davide Rondoni.

Cristo, preti parlanti, religioni

l’Egitto dopo Sharm-el-Sheik

Saltando sui treni in ritardo

Quel che scrissi a suo tempo per il grande Tony Blair, può andar bene anche per il piccolo (subdolo) Magdi Allam: convertirsi è legittimo, ma convertirsi al cattolicesimo ai tempi di Ratzinger è un po’ come scoprire i Genesis ai tempi di “Invisible touch”.

O i Pink Floyd quando vennero a Venezia.
O i Beatles quando uscì “Imagine”.
O Battiato dopo “La cura” (era meglio prima, dai)
O i Clash quando “Should I stay” divenne uno spot dei Levi’s.
Oppure… continuate voi

Americana, campagna elettorale (permanente), cattiva politica, religioni, Veltroni

Walter è OK, noi siamo OK, Alleluja!

Ex voti?

Oggi ho scoperto che le verità dipendono anche da chi le afferma. L’ho scoperto leggendo la seguente affermazione di un politico italiano:

“Il trasferimento in Italia di un modello statunitense si fonda più sull’indicazione del nuovo come speranza che sulla politica come soluzione dei problemi”

Beh, che dire – sacrosanto. Il problema è che il politico in questione è Ciriaco De Mita, che in 45 anni di onorato servizio in Parlamento tutti questi problemi non è che li abbia proprio risolti, eh.

La lettura dell’episodio in chiave “nuove speranze vs vecchie cariatidi” potete farvela su qualche altro blog, o al limite da soli. Io ne propongo un’altra, giusto per variare un po’: la deriva protestante del PD.

Cosa significa protestante? Banalmente, significa che al concetto cattolico di “perdono dei peccati”, che rende gli italiani quei lagnosi peccatori sempre pronti a pentirsi, sostituisce il concetto protestante di “grazia”. Per Lutero l’uomo non si salva in virtù delle opere buone che può commettere (e che comunque sono una goccia nell’oceano della malvagità universale), ma solo perché Dio gli dona la Fede. Se hai la Fede, sei salvo. Incollo da un vecchio pezzo mio:

Quando andai in Scozia, mi capitò di andare a un paio di liturgie della locale chiesa protestante. Solo un paio di volte, per cui sarò costretto a generalizzare.
In quella situazione caso quel che mi ha stupito di più sono le parole degli Inni. In quella chiesa non facevano che cantare: Dio è grande, Dio è con me, ho trovato la via, wow. Una cosa entusiasmante, sul serio. E il sermone del pastore era sullo stesso tono.
Ora, non so se avete presente le canzoni che si cantano in una qualunque chiesa cattolica la domenica, ma vi garantisco che all’80% sono variazioni sul tema: Dio mio, che razza di povero piccolo peccatore che sono. Quando poi il prete attacca l’omelia, non fa che ribadire il concetto: ragazzi, quanti stupidi peccati avete fatto questa settimana? Perché non date più retta a quel che dice Gesù, eh, non avete sentito il Vangelo?
Una liturgia piuttosto demoralizzante, specie se ripetuta per tutte le domeniche di una vita. Ma i cattolici sono fatti così: hanno bisogno di sentirsi nel Peccato, è parte della loro quotidianità. Quello che li spinge a migliorarsi, e nei casi peggiori a tormentarsi, è l’idea di doversi liberare dal Peccato.
Come i cattolici vivono nel Peccato, i Protestanti vivono nella Grazia. Loro, se vanno in chiesa la domenica, è per sentirsi parlare della Grazia. Quanto al Peccato, non è più così difficile da individuare. È Peccato tutto quello a cui hanno rinunciato da quando vivono nella Grazia. Può essere il sesso, la droga, l’alcol, o qualsiasi altro impedimento che è stato superato, è stato vinto.

La mia ipotesi è che il PD – anche a causa dell’americanofilìa del suo segretario – stia scivolando in una deriva protestante, oltremodo favorita dalla marcia trionfale di Barack Obama, il personaggio più messianico in circolazione (via Gilioli). Tutto ciò che dice Veltroni mi sembra che suoni semplicemente: “Io sono ok, voi siete ok, se abbiamo fede ce la possiamo fare!”

Sì, ma perché “deriva”? Che problema c’è ad essere protestanti? Beh, se dovete farvi eleggere in una nazione di cultura cattolica, qualche problema c’è. Per questo lo scetticismo di De Mita nei confronti del nuovo corso non è liquidabile tanto alla leggera. De M. rappresenta un tipo di elettore insofferente alle promesse a lungo termine, più incline al do ut des immediato, verificabile entro i confini della propria circoscrizione elettorale: il fedele cattolico che a Dio non si permette di chiedere niente, ma è continuamente affaccendato a mercanteggiare davanti all’altare del Santo del Paese: se mi fai questo favore t’accendo la candela, se mi fai questa grazia ti faccio un regalino… Molto prima di andare al voto, l’Italia era la terra degli ex voto. Una riforma nel senso protestante del termine potrebbe essere un po’ prematura.

Non che non ci abbiano già provato. Forse che Berlusconi non si presentava già come Uomo della Provvidenza? Forse che non ostentava i segni del suo successo, da bravo calvinista? Sì, giusto. Però Berlusconi temperava questo americanismo alla Mike Bongiorno con sane dosi di pragmatismo cattolico. Per esempio, l’enfasi sulle opere. Sapete che i cattolici, a differenza dei protestanti, credono nell’importanza delle Opere. Pur essendo gocce nel famoso oceano di malvagità, esse sono l’unica espressione della nostra fede. Questo punto di vista è bene illustrato dalla breve Lettera di San Giacomo (2,14-18):

A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: “Andate in pace, scaldatevi e saziatevi”, ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? Così è della fede; se non ha opere, è per sé stessa morta. Anzi uno piuttosto dirà: “Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”.

Berlusconi ha capito abbastanza presto che gli italiani, più che alla Fede, guardano alle Opere, o meglio: a chi gli chiede di avere Fede, rispondono “mostraci le Opere”. Così l’enfasi sul Nuovo Miracolo Italiano si è sempre accompagnata a proposte concretissime: “un milione di posti di lavoro!” “Abolirò l’ICI!”, ecc.. Che poi queste promesse non fossero sempre esaudibili, ha un’importanza relativa: diciamo che gli italiani non si lasciano convincere dalle visioni a lungo termine, ma amano essere coglionati con proposte il più possibile concrete. Spero che al PD ne tengano conto, mentre rifiniscono il programma.

Cristo, religioni, superstizioni

Non di soli feti

Per una Sana Inquisizione

Santità, Le scrivo per farLe umilmente sapere che nel 2007 mi ha molto deluso. Come del resto nel 2006. In verità aveva iniziato a deludermi nel 2005, ma al tempo ero propenso a considerarLa con la benevolenza che si riserva agli esordienti.
Santità, chi le scrive è uno dei tanti cristiani – senz’altro uno dei peggiori – che non può più soffrire di sentirsi minoranza in casa sua. Non è forse l’Italia un Paese di salde radici cristiane? Non è Roma la capitale della Cristianità? E allora perché noi cristiani dobbiamo sentirci, giorno dopo giorno, una minoranza sotto assedio? E perché i nostri pastori non fanno nulla di concreto per difenderci? E perché Colui che dovrebbe guidarli, il Vicario di Cristo in terra, sembra piuttosto assorto in preoccupazioni mondane, come ripassare le declinazioni del latino o provarsi le nuove frangette rosse che piacciono tanto a quella vecchia zia di Zeffirelli? Eh? Sto parlando di lei, Santità: crede che ci basti un’enciclica, mentre qui fuori i barbari ci inquinano le sorgenti?

Santità, la prego, volga uno sguardo al suo povero gregge italico, che come ogni trentun dicembre si ritrova sbalordito davanti alla televisione e constata una volta di più l’amara verità: la Chiesa ha perso. L’Italia è pagana. Forse non ha mai smesso di esserlo, in ogni caso negli ultimi anni ha smesso di vergognarsene e lo proclama a testa alta. Fino a qualche tempo fa gli oroscopi erano un passatempo da parrucchiere, ora ormai sono una presenza istituzionale in tutti i canali. Compreso quelli di Stato. Compreso quello in quota CEI, e Lei che fa? Cosa ne pensa? Niente, lei continua a prendersela con gli atei. Ma Santità, si può sapere dove li ha visti tutti questi atei in Italia? Magari ce ne fossero. Almeno gli atei sono razionalisti, ci si può discutere. In fondo gli atei e i monoteisti hanno centinaia di cose in comune, basti pensare a tutti gli Dei a cui non credono. Ma in Italia non ce n’è, si fidi, hanno tutti almeno un cornetto al collo, e cosa vuoi discutere con qualcuno che crede ai poteri invisibili del corallo? O ai poteri di Venere nello Scorpione? O nella sfiga? O nel malocchio? O nei maghi che conoscono in anticipo i numeri del lotto, e invece di giocarseli te li vendono in offerta speciale? Ci vuoi anche discutere, con questi qui? L’unica è bruciarne un po’. Potremmo cominciare con gli stregoni – gli indirizzi sono sulle pagine gialle.

Santità, i suoi uomini continuano a prendersela con Odifreddi, e intanto Wanna Marchi è a piede libero. Si rende conto? Magari nessuno le ha mai parlato di Wanna Marchi, mentre le hanno raccontato che Odifreddi è una grave minaccia; è possibile essere così mal consigliati? Odifreddi non è che un cane sciolto, sconosciuto ai più, mentre la Marchi rappresenta l’Italia profonda, l’Italia crapulona e bottegaia, l’Italia credulona e felice d’esserlo, l’Italia pagana, la Babilonia, la Grande Meretrice! E Lei, Santità, vive al centro di tutto questo e… di cosa si preoccupa? Delle radici cristiane dell’Europa, mentre qua fuori i santoni ancora ci curano con gli estratti di mandragola? Contro gente come questa, andrebbe rifatto un tribunale della Santa Inquisizione, e subito. E Odifreddi, lo si potrebbe cooptare come membro esterno. C’è tanto da imparare dagli scettici come lui.

Santità, all’inizio del 2008 vogliamo finalmente porci il problema delle cosiddette “previsioni astrali”? Vogliamo dire che è un rito pagano e repellente, e che nessun editore o responsabile di rete cristiano dovrebbe averci a che fare? Se lei va al balcone a ordinare di bruciare tutte le riviste astrologiche nei chioschi, io son pronto; soltanto, è meglio se me lo dice un po’ per tempo, così mi tengo da parte la benzina, con quel che costa. Perché anche in questo 2007 mi è capitato di vedere in tv persone sorridenti dichiarare che loro non assumerebbero mai un Ariete o un Sagittario o un vattelapesca; e sono sicuro che non scherzano. Ne vogliamo parlare? Se le stesse persone dicessero che non assumono neri, o musulmani, o circoncisi, cascherebbe giustamente il mondo; in quest’Italia hypocritally correct la segregazione razziale è proibita e la segregazione religiosa un’eresia; invece la segregazione zodiacale è perfettamente tollerata. Andate poi a lamentarvi della fuga dei cervelli – se la selezione del personale la fanno coi tarocchi, di cosa vi stupite? In Italia, nel 2007, c’è gente che perde opportunità di lavoro perché è Scorpione. Nessuno dice niente, e intanto tutti si toccano le parti basse. È uno schifo, Santità, uno schifo.

Santità, prima ancora di essere cristiano, io sono un monoteista. E so cosa significa. Banalmente: c’è un solo Dio, e il resto sono stronzate. Idoli. Vanno bruciati, e va bruciato chi si ostina ad adorarli: perché chi è tanto stupido da adorare pezzi di legno, o addobbi dorati, o astri lontani anni luce, o è in malafede o ignorante senza redenzione.
Prima della sua elezione avevo udito mirabilie sul suo conto. Mi aspettavo dunque da lei lo zelo del vero Monoteista. Il Mosè che fonde il vitello d’oro e lo fa bere agli ignoranti. O il Maometto che torna alla Mecca e spazza via tutta la chincaglieria pagana intorno alla Ka’ba. O almeno il Gesù che frusta i mercanti al Tempio. Invece lei si preoccupa degli… aborti. Ma Santità, col dovuto rispetto, che problema saranno mai gli aborti? Non ci sono più, forse non ci sono mai stati, e comunque se esistono non possono più essere nel Limbo e quindi probabilmente stanno in Paradiso. Problema risolto, direi. Vogliamo dunque cominciare a preoccuparci anche dei poveri cristiani post-partum, bambini e adulti, costretti a destreggiarsi in un mondo di ignoranza e superstizione? Non si vive di soli feti, Santità. Suo devoto
Leonardo

anniversari, cultura, non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo, religioni

just one of my favourite things

(Ho pensato che se in tv continuano a dare Angeli con la Pistola, o Tutti Insieme Appassionatamente, io posso anche postare il pezzo di Natale del 2006, che è ancora buono):

Gli spettri dei Natali passati

Tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente più buono di quello dei non credenti: è semplicemente più ragionevole.
(Cardinale Biffi)

1) Publio Plinio a Domizio Rufo:

“Carissimo, ti auguro con questa epistola di trascorrere un buon Natale del Sole. Non so da voi, ma qui a Mediolanum ormai lo festeggiano tutti: persino i cristiani! Sì, anche quella setta di santoni pseudoebrei, gli adoratori dei crocefissi, dopo qualche resistenza ormai si sono decisi a festeggiare come tutti gli altri.

Non c’è che da apprezzare la saggezza del nostro grande imperatore Aureliano, che volle rendere ufficiale la festa, l’ottavo giorno prima delle Calende di Gennaio. Noi cittadini dell’impero siamo diversi per lingua, razza e religione, ma tutti siamo scaldati dallo stesso Sole, che dopo il freddissimo Solstizio d’Inverno ora ricomincia timidamente a riallungare le giornate. Né Aureliano volle inventarsi una Festa di sana pianta, ma lungamente studiò il problema coi suoi collaboratori, scoprendo che la festa della Rinascita del Sole è la più universale; anche se alcuni lo chiamano Mitra, altri Elagabal, altri Helios: in fin dei conti è sempre lo stesso per tutti, e tutti ugualmente ci riscalda.

Solo i cristiani, nella loro superstizione, sono convinti di non adorarlo. Ho appreso da un mio servo, che partecipa alle loro riunioni, che pure loro mangiano gli stessi dolci impastati con frutta candita e miele: ma non per festeggiare il Sole a cui devono la frutta e i fiori, bensì la nascita del loro Dio, o profeta (essi non hanno chiara la distinzione tra i termini), Gesù Cristo.
Confesso di essere affascinato dall’ignoranza che nutrono per la loro stessa religione. Avendo dato un’occhiata, per curiosità, ai loro libri sacri, so bene che in nessun giorno del calendario è fissata la data di nascita del loro eroe. Stavo quasi per dirlo al mio servo, ma a che pro? Non sa leggere. Ma lasciamolo pure mangiare il suo pane dolce e i suoi canditi, anche se ignora l’autentico significato di ciò che fa”.

2) Ebrhardt a Kwenghjil

“Gran figlio di vacca visigota e padre ignoto, come va? Spero che in Hispania faccia meno freddo che qui. Tra un po’, grazie al cielo, le giornate si riallungheranno. Nel frattempo io me ne resto accampato in questa nebbiosa valle padana. E mi si gelano i coglioni.
Mi gelano anche perché la mia Orda ha deciso di convertirsi in blocco a quella religione del menga, il Cristianesimo.
Dicono che conviene farsi amici i vescovi, che sono i veri capi delle città. Mah. Fosse per me avrei giù brindato coi loro teschi disossati, ma forse hanno ragione. Ci vuole gente che sappia amministrare tutto questo casino.
Del resto mi conosci, io di religione mi sono sempre interessato quanto bastava per portare le fanciulle alle orge. Però, boia d’un Thor, non toccatemi Odino! Te lo ricordi, Kwenghjil, quando eravamo bambini e la mamma ci diceva di mettere fuori gli stivali pieni di carote per il cavallo del dio Odino?
Era due giorni dopo il solstizio d’inverno, come oggi. Nella notte lunghissima il dio con la barba bianca portava gli eroi caduti a una battuta di caccia. E quando si fermava alla nostra stalla, dovevamo essere a letto e non fiatare, se volevamo che ci riempisse gli stivali di nocciole al miele e altre leccornie.
E adesso mi spieghi, Kwenghjil? Se mi converto al cristianesimo, cosa ci racconto al mio nipotino? Ha il diritto di credere in Odino anche lui, o no?
Ieri sera l’ho preso davanti al fuoco e ho attaccato con la storia del dio che cavalca nella notte. Si è messo a piangere come un puledrino! Ben ti sta, mi ha detto mia moglie. Basta con queste storie di Dei barbari a cavallo, mi dice, sei vecchio, aggiornati! Se non fossi il vecchione che sono l’avrei impalata lì dov’era! E invece l’ho lasciata fare: ha preso in braccio il marmocchio e (non credevo alle mie orecchie) ha completato il racconto spiegando che Odino era un dio cattivo e feroce, che abitava nei boschi, ma poi ha incontrato un tale San Nikolao, Santa Nicola, non so, che ha convertito pure lui, e da allora è buono e porta i dolci dal camino!
…E poi dimmi se a uno non devono gelarsi le palle. Dove sono finite le tradizioni dei nostri padri? È tutta una schifezza. Meno male che posso mangiarmi ancora le mie nocciole al miele. Le mangio alla tua salute, vecchio scannagalline”.

3) Ing. Taddei Barnaba a Dott. Taddei Luciano

“Ciao dutùr, spero che ti passi un buon Natale. Qui a Milano è un freddo cane come sempre (e poi dicono il riscaldamento globale, bah). Ma se Dio vuole, da qui in poi ci si riallungheranno le giornate.
Ti saluta anche tuo nipote – perlomeno ti saluterebbe, se riuscissimo a staccarlo da quella plaistescion rivoluzionaria che gli hai regalato. Che sia l’ultima volta: siamo seriamente preoccupati. Da mezzanotte alle nove del mattino è rimasto lì impalato a dimenarsi davanti al televisore. Al che mia moglie gli ha detto: “Ma devi proprio giocarci da solo? Perché non inviti i tuoi amici?”
Gli amici di mio figlio: un cinese, un turco e un Di Gennaro. Tre ore chiusi nella stanza a dar di matto con quell’affare. A un certo punto blocco mia moglie nel corridoio con in mano un vassoio di panettone: ma sei sicura? Le ho detto io. E se è contro la loro religione?
Ma che religione e religione, fa lei. È un dolce, non lo proibisce nessuno. Appunto, faccio io, è un dolce di Natale, cosa vuoi che sappiano in Cina? Loro mica ci credono, in Babbo Natale. E poi c’è un turco, figurati.
Proprio in quel momento dal bagno salta fuori Giampiero, e alza le spalle: Papà, dice, veramente Babbo Natale viene dalla Turchia. Ma che Turchia e Turchia, dico io, chi te le racconta queste cose? La prof di religione, dice lui. Ci ha spiegato che Babbo Natale è San Nicola, e San Nicola è nato in una città che adesso è in Turchia. Ah, sì? Vorrà dire che l’anno prossimo ti esentiamo dalla materia, visto che la tua prof non sa nemmeno che San Nicola sta a Bari!
E vai!, ha detto lui. Che stronzetto ho messo al mondo.
Alla fine se lo sono sbafato, il panettone. Glie n’è fregato assai, di sapere perché lo mangiano. Che mondo. Che mondo.
Speriamo soltanto che torni un po’ di sole”.

(Un buon Natale di Sole a tutti quanti).

cultura, religioni, scontro di civiltà

i mostri siamo noi

Svegliati, Popolo del Sangue

Tutti questi finti o veri preti che continuano a prendersela con Halloween – festività – pagana, ma si rendono conto che dell’idiozia che incarnano? Halloween e Ognissanti cadono lo stesso giorno: possibile che una festa sia celtica e l’altro giudaico-cristiana? Che il Natale caschi la stessa notte in cui i romani celebravano il Sole Invitto e il Dio Odino cavalcava portando doni ai piccoli barbari non vi suggerisce proprio niente? Halloween-Ognissanti non sarà semplicemente la stessa festa filtrata in due culture diverse? E il fatto che una stia mangiando l’altra… non depone a sfavore della vitalità di quest’ultima? E una cultura in crisi di vitalità, come intendete curarla, con le messe in suffragio? Hai voglia.
Sedetevi, vah, che vi racconto una storia.

La tribù aveva paura dei morti, che tornavano di notte a tormentare il sonno dei bambini. Per ovviare al problema s’inventò la sepoltura; restava il problema dei morti dispersi. Si pensò allora di celebrare un rito anche per loro, una volta all’anno. Finché dalla città arrivò un predicatore, spiegò che Gesù era risorto anche per loro, e battezzò tutta la tribù in mezza giornata. Prima che andasse via gli chiesero: ma possiamo ancora festeggiare la prima notte di novembre?
“E cosa sarebbe?”
“È il giorno in cui lasciamo i dolci per i morti”.
“I dolci per i morti. Dunque… nel Vangelo non se ne parla. Ma cosa se ne farebbero, i morti, insomma?”
“Sono morti dissepolti, che altrimenti vanno negli incubi dei bambini”.
“Aaah, è per i bambini”.
“In pratica sì”.
“Ma se lasciate i dolci sui davanzali, le bestie selvatiche…”
“Dopo un po’ in effetti li togliamo e li diamo ai bambini. Dici che è una cosa troppo pagana?”
“Via, non si dica che Gesù è venuto a togliere i dolci ai bambini. Fate pure. E intanto dite delle preghiere”.
“Preghiere?”
“Pregate Gesù che porti i morti in paradiso. Teologicamente non fa una grinza, e rispetta anche le tradizioni del territorio. Col vescovo poi me la vedo io. C’è altro?”
“Nell’equinozio di primavera rubiamo un bambino alla tribù vicina e lo sgozziamo…”
“D’ora in poi sgozzerete un agnellino”.
“Ma l’agnellino è tanto carino…”
“No. Su questo Gesù Cristo non transige. Stop ai sacrifici umani”.
“Uffa”.

Sarà anche un’americanata, Halloween: ma se funziona (e funziona), forse risponde ad esigenze a cui la cattolica liturgia dei Morti non risponde più.
Per esempio, l’elemento paura. Non venite a dirmi che è un sostrato celtico: i morti fanno paura a tutte le tribù del mondo. Morte e Paura vanno a braccetto: ma Halloween celebra la paura, Ognissanti no.
Ora aspetto che arrivi uno laureato fresco pronto a spiegarmi che noi latini siamo troppo solari per celebrare questo tipo di cose. La letteratura gotica non l’abbiamo inventata noi. Le storie di fantasmi non sono roba nostra.
Fate che arrivi. Fate che ci provi, a spiegarmi questa cosa. Io lo aspetto al varco per sgozzarlo col mio italianissimo attrezzo da norcino. Noi italiani siamo il popolo del sangue e del terrore! Gli elisabettiani ambientavano le tragedie in Italia perché il pubblico si metteva paura solo a sentire i nomi delle città… Noi facevamo splatter nel Trecento, con Dante Alighieri e i suoi effettacci che gli americani ancora c’invidiano! E anche Boccaccio quando voleva sapeva mettere insieme storie di fantasmi mica male. E certe pagine di Ariosto, del Tasso… ma restiamo nel folklore. Prendiamo le Fiabe Italiane e andiamo a vedere quanti boschi oscuri e quanti diavoli incontriamo. No, quello che fa rabbia di Halloween, è che fino a due secoli fa avevamo tutto il materiale culturale per farcelo da soli, il nostro Halloween, anche più spaventoso di quello americano. E poi cos’è successo?

Sbaglio di troppo a dire che l’egemonia anglosassone nella letteratura fantastica nasce proprio dalla consuetudine di raccontarsi storie di fantasmi ad Halloween? Pensate a Henry James, a Dickens. Col suo Cantico, Dickens si è preso persino il Natale, l’ha trasformato in un’anglissima leggenda di fantasmi. Non solo, ma con i Fantasmi dei Natali Passati e Futuri, Dickens ha persino inventato la nozione moderna di viaggio nel tempo. La moderna letteratura fantastica e fantascientifica deve quasi tutto alle storie di fantasmi. Gli inglesi e gli americani sono abituati a raccontarsele da bambini, noi no.
Alla fine, sarà un caso? Loro hanno un immaginario vivace, pieno di variazioni sul reale, e noi ci becchiamo i filmetti minimalisti alla Soldini.
Non ditemi che è una questione culturale, perché noi italiani siamo quelli che abbiamo lanciato Dario Argento e Dylan Dog. Se penso a un film letteralmente terrificante, penso alla Casa delle Finestre che Ridono di Avati, che non solo è orrore puro, ma italiano al 100%: il pittore matto, il prete ambiguo… Il nostro problema è che tutto questo rimane confinato nel “genere”. La più grande fregatura degli ultimi vent’anni è stata appunto questa nozione del “genere”. Dieci anni fa era un ghetto, oggi ha messo i cancelli d’oro, ma sempre ghetto è. Nel mondo anglosassone la storia di fantasmi non è “genere”: può essere benissimo grande letteratura. Amleto è un groviglio di psicanalisi e antropologia, ma allo stesso tempo è anche una grande storia di fantasmi. Nessuno può scambiarla per evasione.
I fantasmi sono una cosa seria. Il racconto dell’orrore, quando lo scrive Kafka in una notte insonne, mette a fuoco l’umanità meglio di cento o mille romanzetti minimal-realisti. Se nei secondi tempi dei nostri film non atterrano mai gli alieni, se non si risvegliano gli zombie, se non si riesce mai a fare un discorso che vada un po’ più in là del nostro naso, è proprio perché a un certo punto abbiamo voluto tenere i fantasmi fuori dal nostro Ognissanti. Abbiamo fatto male. Ce lo meritiamo, Halloween. Ci serve proprio.
Non dite che i morti dissepolti non tormentano anche voi. Prendete un bambino sulle ginocchia, questa sera. Raccontategli qualche storia spaventosa. Ve ne sarà grato per la vita.

2025, religioni, universiade, vita e morte

– 2025

Come sapete

Caro Leonardo,

ogni docente ha il suo intercalare preferito, che sarà senza dubbio rivelatore di qlcosa. Chi dice “è vero” ogni tre frasi ha paura di mentire (o di farsi scoprire?); chi dice: “se non vi dispiace” ha un gran bisogno di piacere a qlcuno.
Io credo di aver capito ql è il mio intercalare: “Come sapete”. Simpatico modo di esorcizzare il fatto che i miei studenti non sanno un c.

“Come sapete, questo trimestre è dedicato a una delle opere di narrativa scritta più importanti del secolo scorso, Left Behind di Tim LaHaye e Jerry B. Jenkins. Solo di recente l’opera è entrata nei programmi didattici del Teopop, in parte a causa del lungo periodo di ostilità tra il nostro Sistema e gli usastri. Perdurava inoltre la secolare, cattiva abitudine di studiare soltanto le opere narrative lette e divulgate dalle élites culturali, con qualche concessione ai generi che le élites stesse amavano consumare nel dopocena divertimento: il pulp, la space opera di Lucas… Oggi il nostro approccio è molto cambiato, come sapete”.

(Due sbadigliano, uno già dorme. La coppia sul fondo è interdetta, pensava che si proiettasse un video. Adesso non sanno se uscire o limonarmi davanti).

“Oggi, dopo le varie rivoluzioni perlopiù religiose che hanno profondam mutato le società sulle due sponde dell’atlantico, il ruolo di qste famose élites è stato molto ridimensionato, e gli studiosi preferiscono occuparsi delle opere che hanno maggiorm segnato l’immaginario popolare: il codice Da Vinci, la profezia di Celestino, l’Alchimista, eccetera. E Left Behind ovviam. Non per il loro intrinseco valore letterario (che in certi casi, come il nostro, è irrisorio), ma per l’importanza che hanno avuto nel modificare il comportamento di vaste moltitudini di persone. Un libro può essere bello o no: ma quando riesce a riformare una religione, provocare una rivoluzione e svariate guerre, è senza dubbio importante, e meritevole di essere studiato. Siete d’accordo?”

Silenzio-assenso. “Left Behind descrive – e in parte provoca – il radicale mutam religioso della fede protestante usastra a cavallo tra i sec. XX e XXI. Sapete come in quel periodo molte vecchie comunità protestanti chiudano i battenti, sostituite da chiese di concezione nuova. Ora, se voi due in fondo mi date una mano ad abbassare le tende, proietterò il mio visore a pag. 104:

Per anni aveva sopportato la chiesa. Ne frequentavano una che chiedeva poco e offriva molto. Avevano allacciato diverse amicizie; avevano trovato il loro medico, il loro dentista, il loro assicuratore e persino avuto accesso al circolo sportivo grazie a quella chiesa. Rayford era riverito, presentato con orgoglio come il comandante di un 747 ai neofiti e agli ospiti; aveva prestato persino servizio nel consigli pastorale per diversi anni.

Ecco, direi che qui si descrive in sintesi il senso di un’appartenenza religiosa di fine secolo. La parrocchia come mini-lobby: in una società che sta smantellando il welfare, la Chiesa consente ai nuovi arrivati in un quartiere di inserirsi in un proficuo circuito di conoscenze e di scambio dei saperi. Una chiesa di qsto tipo “chiede poco e offre molto”: non in termini di vita ultraterrena, ma di benessere quotidiano. A un certo punto, però qsto modello entra in crisi ed è soppiantato da qlcosa di nuovo, che all’inizio è solo “una stazione radio”.

Dopo la scoperta della stazione radio cristiana e di ciò che definiva “la vera predicazione, la vera dottrina, Irene si era definitivam disillusa nei riguardi della loro chiesa e aveva preso a cercarne un’altra. Rayford allora aveva colto l’opportunità per abbandonare del tutto le sue frequentazioni, assicurando la moglie che quando lei avrebbe trovaro una nuova chiesa che davvero le piacesse, lui l’avrebbe seguita. Irene ne trovò una e Rayford occasionalm si provò a seguirla; ma prendevano le cose troppo alla lettera da qlle parti, scendevano troppo sul piano personale; il che era troppo gravoso per lui. Non era riverito, aveva come la sensazione d’essere parte di un progetto e quindi prese a tenersene più o meno alla larga.

Si tratta evidentem di una chiesa born again. La prima reazione di Ray è tipica: alla larga, quelli fanno sul serio. Dopo qualche tempo inizia a temere per le “manie religiose” della moglie. Pag. 9:

La più grande paura di Rayford era che le manie religiose di Irene non si sarebbero dissolte nel nulla come il suo entusiasmo di venditrice porta a porta per la Amway o di propagandista per la Tupperware, e come la sua passione per la ginnastica aerobica. Se l’immaginava tutta intenta a suonare campanelli e a chiedere alla gente se poteva leggere un paio di versetti.

Amway, tupperware, aerobica: il triangolo usastro delle Casalinghe. È questo il primitivo brodo di coltura delle chiese Born Again. Il libro insiste su qsto punto: è la Casalinga che deve pregare per il Marito, e tentare di evangelizzarlo. Anche se c’è il concreto rischio di allontanarlo da sé, come succede nel caso di Ray. Domande?

“Che vuol dire born again?”
“Significa «rinati». Per i born again occorre rinascere alla fede, buttar via la vecchia religione e rinascere alla nuova. Non a caso in qsto periodo viene esaltato il bambino appena nato, come individuo perfetto perché senza peccato”.
“E il peccato originale?”
“Non è più così importante. Tanto che, come sapete, si arriva all’esaltazione del super-bambino: l’embrione, il feto. Sono senza dubbio meritevoli della vita eterna. Durante la Rapture spariscono bambini appena nati, come a pag. 41:

La CNN ritrasmise il video al ralenti mostrando il ventre ingrossato della donna che diventava quasi piatto, come se avesse partorito in quello stesso istante. […] La sequenza si bloccà nel momento in cui il ventre della donna si afflosciava. «Il camice dell’infermiera sembra ancora gonfio, come se lo indossasse una persona invisibile. È sparita! Lì, lo vedete?

“Altre domande?”
“Cos’è Amway?”

2025, religioni, universiade

– 2025

Apocalypse on air

Caro Leonardo,
giornate difficili. Taddei è depresso. Io soffro l’afa e un’ondata di polline micidiale, che mi ha spinto in piazza a cercare antistamina di contrabbando. E devo anche fare lezione.
E a lezione, come temevo, non c’è più lei.

I PENSIERI DI RAYFORD STEELE vagavano di continuo su una donna che non aveva mai neanche toccato. Il suo 747, a pieno carico e con il pilota automatico innestato, faceva rotta sopra l’Atlantico; ora prevista dell’atterraggio a Heathrow: le sei del mattino. Rayford aveva rimosso deliberatam ogni pensiero riguardo ai familiari“.

“Qsto è l’incipit del romanzo che ha maggiorm segnato la cultura usastra nel ventunesimo secolo – benché sia uscito nel 1995. Ora, voi sapete che noi insegnanti amiamo fissarci sulle frasi iniziali dei romanzi, che sono spesso rivelatrici”.

[In realtà noi insegnanti a volte arriviamo in Facoltà intorpiditi da dosi illegali di cortisone, abbiamo amnesie e crisi d’ispirazione, e ci fissiamo sulle prime righe di un libro in attesa che il buio passi o regni del tutto].

Ma in qsto caso, a dire il vero, l’incipit è depistante. Il lettore iper-occasionale, quello per intenderci che scorresse qste righe nel chiosco di un’edicola, s’immaginasse… che cosa? Voi cosa vi immaginate? Fingete di non aver letto le prime cento pagine per oggi.

[Fingono fin troppo bene, vedo].

“Prof…”
“No prof, ma dimmi”.
“Sembra… un testo immorale”.
“In che senso immorale?”
“L’apologia di un adulterio”.
“Come il sessanta per cento di tutta la letteratura occidentale, esatto. Il caro vecchio adulterio. Ma il libro, come sapete, non ci racconterà nulla di tutto ciò. Rayford Steele non ‘toccherà’ mai la donna a cui sta pensando così intensam. Il lettore iper-occasionale non lo sa ancora, ma in ballo qui c’è molto di più di un banale adulterio con l’assistente di volo: in gioco c’è addirittura l’anima di Steele. Proprio all’inizio del libro, nel momento in cui in tutto il mondo i Prescelti sono assunti in cielo in anima e corpo, il pilota è sorpreso nel mezzo di un peccato di pensiero. La sua immaginazione corre liberam, come l’aereo in pilota automatico: Steele non pensa ai familiari che ha lasciato sulla terra, e qsti stanno volando in cielo. Passerà il resto del libro a pensare a loro. Altre considerazioni?”

“Mi stavo chiedendo… perché un aereo? Considerato che il libro poteva iniziare in qualsiasi punto del mondo, perché proprio un aereo?”

Tenera manina che spunti dalle ultime file, allora ci sei! Il cuore mi dà un colpo un po’ più forte, un fiotto di sangue spazza via il cortisone soporifero e mi riporta in vita.

“Ecco una buona domanda. L’aereo risolve in maniera economica alcuni problemi narrativi. Come sapete, il libro è il primo di un ciclo di testi che si pone il problema dei problemi: come descrivere la fine dei tempi in modo verisimile? Come calare le profezie del Vecchio e Nuovo Testamento nella contemporaneità, e in particolare nella vita quotidiana di un lettore del midwest usastro? Per fare un esempio: nella Bibbia si parla di Rapture, di salita al cielo degli eletti del Signore. Un evento miracoloso che non è facile da immaginare. I pittori di tutte le epoche lo hanno raffigurato in modi diversi. Nel 1995 tocca a Tim LaHaye e Jerry B. Jenkins. Noto qui che è erroneo chiamarli profeti, loro non hanno mai preteso di avere qsto dono. In realtà le profezie esistevano già. Qllo che LaHaye e Jenkins hanno fatto con i testi Left behind è un’opera di illustrazione: hanno illustrato l’Apocalisse, il Libro di Daniele, le Epistole di San Paolo eccetera… in sintonia con i canoni estetici del Midwest, l’area di principale diffusione della fede born again. Niente aure new age, dunque – ma neanche fanfare cattoliche, niente angeli sulle nuvolette che l’usastro Mark Twain aveva deriso un secolo prima. La genialità degli autori sta nella semplicità delle loro scelte. L’ascesa dei puri è una sparizione. Un momento prima c’erano, il momento dopo non ci sono più. Spariscono dai loro letti, dagli stadi, dalle ecografie. Abbandonano le macchine in strada, i carrelli nei supermercati, il bagaglio a mano nell’aereo. Segno della loro scomparsa, i vestiti abbandonati: proprio come il sudario di Gesù dopo la Resurrezione. Ecco un’illustrazione dell’ascesa al cielo abbastanza verosimile.

La verosimiglianza è ottenuta anche con riferimenti alle tecnologie più avanzate. Avrete notato che durante gran parte del libro i personaggi non fanno che chiamarsi in segreteria. Qsto può snervare il lettore contemporaneo, ma nel 1995 era il modo più moderno di comunicare. Il più ‘sportivo’ dei personaggi, Buck, riesce a connettersi a Internet sull’aereo; e pensate che il WWW era appena nato. E pensate all’aereo. Un non–luogo che li comprende tutti. La signorina si è in pratica risposta da sola. Proprio perché il libro deve cominciare in “tutto il mondo” (le sparizioni accadono nei cinque continenti), non può che iniziare su un aereo. Non c’è nulla come un Boeing per farti sentire che il mondo è piccolo rotondo. E Lahaye e Jenkins sono due scrittori apocalittici per un mondo piccolo e rotondo, così come San Giovanni era l’apocalittico di un mondo immenso e piatto.
Allo stesso tempo, il Boeing è anche un pezzo di Midwest semovente, che trascina con sé i suoi personaggi 100% usastri nel primo passo verso la fine dei tempi… toh, è già finita l’ora. Ci vediamo domani. Sì? Che altro c’è?”

“Prof, ma è successo davvero?”
“Sì, più o meno vent’anni dopo l’uscita del libro è successo qlcosa del genere. Molti usastri sono spariti dall’oggi al domani. Quelli che sono rimasti hanno rifondato la loro nazione su basi puritane e isolazioniste, come sapete”.
“Allora l’apocalisse è già successa?”
“Tecnicam, è una cosa che è cominciata e che sta succedendo tuttora”.
“E quando finisce?”
“Scusate, ora devo scappare. A domani”.

[Mi piace lasciarli a fiato sospeso. Non so quanto sia pedagogico o didattico, ma mi piace.
Lo scrittore dovevo fare, mica il prof.]