1500 caratteri, Monti, Pd, Renzi

Le pippe passano, Orfini osserva

In un giorno così importante della storia repubblicana, non vorrei che passasse poco osservato l’atto di valore del presidente del PD, Orfini, che a un convegno ha definito Monti e la Fornero “discrete pippe”. Non che sussistessero dubbi, col buco che lasciano: ma pensate a Orfini. Al ruolo di responsabilità che copriva nel partito che appoggiò il governo Monti nel 2012. Pensate al coraggio che gli deve essere costato, dopo tanto tempo, quando ormai Monti e la Fornero sono due pensionati fuori dai giochi, sacrificarsi di fronte alla sublime necessità di dire il vero, per quanto scomodo: chi oggi è capace di altrettanta franchezza?

Ma l’Orfini che sostenne indomo Bersani quando guidava il PD; lo stesso Orfini che a due mesi dalla sconfitta elettorale stava già alacremente proponendo Renzi a capo del governo; l’Orfini tutto d’un pezzo che oggi presiede il PD… è la nostra più grande speranza. Perché è vero, il sole di Renzi è allo zenit, ma domani? Se qualcosa andasse storto, se finisse al ballottaggio e lo perdesse, o più prosaicamente la corte costituzionale facesse strame di una legge a occhio non proprio democratica; se il Pd si ritrovasse senza un leader, e Renzi e la Boschi ridotti a osservare il mondo da una panchina, esposti al ludibrio dei passanti – sic transit gloria mundi! – quel giorno solo il prode Orfini saprebbe trovare le parole.

A un convegno qualsiasi, chiacchierando amabilmente, soggiungerebbe: eh, ma si sapeva che erano pippe anche quei due. Next!

1500 caratteri, Monti

La Fornero e i tecnocrati che non sapevano fare i conti

Il paradosso dell’ex ministro Fornero è che pochi dei suoi predecessori avrebbero potuto vantare, al momento della nomina, un curriculum altrettanto prestigioso; e proprio a lei, un ‘tecnico’ di provata competenza, libero dai condizionamenti dei partiti, è intestata una serie di disastri contabili dai quali non ci siamo ancora ripresi.

Non è un caso isolato. Quando si installò il governo Monti anche a sinistra in molti lo salutammo come un salutare esperimento di meritocrazia: non ci illudevamo di aver davanti dei progressisti (e infatti), ma pensavamo che i professori almeno i conti li sapessero fare. Ci trovammo invece davanti a personaggi che parevano cascati dalla Luna come il ministro Profumo, che almeno per un giorno ritenne fattibile aumentare del 30% il carico degli insegnanti senza contrattazione. Non era un bieco schiavista: era un buon professore convinto che si potesse fare. Non aveva fatto due conti.

Se il ventennio di Berlusconi ci tolse ogni fiducia nella classe imprenditoriale italiana, nella sua capacità di rinnovare o anche soltanto di capire i problemi in cui si dibatteva, i 17 mesi del governo dei professori ci squarciarono il velo sul livello della nostra classe accademica e intellettuale. A quel punto tanto valeva far scrivere le riforme al primo arrivato. Non sarà poi difficile trovare qualche esimio costituzionalista pronto a mandar giù un premio del 53% per un partito che arriva al 40%. Del resto che pretendi: sono prof di diritto, mica d’aritmetica.

Berlusconi, elezioni 2013, futurismi, Monti, Pd, racconti, satira, scuola

Non sempre si può perdere

Qualche notte fa, in un oscuro sotterraneo dalle parti di Arcore:

“…insomma, signori, i numeri sono questi”.
“Ma non è possibile! Tutti gli altri sondaggi…”
“Tutti gli altri sondaggi, con rispetto parlando, sono specchietti per le allodole. Questi sono i numeri veri e… non hanno pietà”.
“Ma com’è potuto succedere! Avevamo otto punti veri di distacco”.
“Li abbiamo recuperati abbondantemente, come vede”.
“È stato il Monte dei Paschi?”
“È stato un po’ tutto l’insieme di cose. Bersani è stato bravo, bisogna ammetterlo”.
“Sono stati tutti bravi. Impacciati e confusionari al punto giusto”.
“Si capisce che hanno tanta voglia di vincere quanta ne abbiamo noi. E adesso siamo nella merda”.
“Via, non precipitiamo….”
“Altro che precipitare. Qui c’è scritto che vinciamo le elezioni, vi rendete conto? Noi! Vincere le elezioni! È un maledetto incubo!”
“Non è ancora detta l’ultima parola…”
“Sentite, il Capo era stato molto chiaro. Aveva detto che voleva il venti per cento. Fine. Voleva divertirsi, fare un po’ l’antieuropeista, dettare condizioni, eccetera. E tornare a casa presto. Una cosa tranquilla. Ve lo ricordate, sì? Venti per cento, aveva detto. Al massimo 25, non un decimo di più. Ci andate voi di sopra a dirgli che è già a Palazzo Chigi?”
“Io non so cosa dire, le abbiamo provate tutte. Pure Santoro”.
“Lascia perdere Santoro che divento una belva”.
“Ma chi poteva aspettarselo… gli avevo scritto apposta quella letterina noiosissima, come facevo a sapere che… sono stati quei due stronzi, veramente stronzi, chi se lo sarebbe aspettato. Gli hanno fatto fare un figurone. Ma senti…”
“Che c’è”.
“Magari non gli dispiace poi così tanto vincere”.
“No, guarda, proprio non ne vuole sapere. Solo di investimenti ci perde dei milioni con lo spread. E poi che fa una volta che è lì, litiga con la Merkel? Taglia l’Imu, esce dall’Euro? Rinegozia il fiscal compact? Ammesso che sappia cosa sia”.
“Ecco, appunto, cos’è?”
“Senti, lascia perdere. Noi non siamo qui per far politica. Siamo qui per far perdere le elezioni a Silvio Berlusconi, che ci paga per questo. Possibile che sia così difficile? È un vecchio bavoso e avido, che altro possiamo aggiungere al pasticcino di merda per renderlo immangiabile? Controlla il calendario”.
“Che c’è sul calendario?”
“Non lo so, controlla. Mi do una settimana. Voglio perdere quattro punti in una settimana, perdio, controlla se ci sono delle scadenze importanti, degli anniversari, roba così”.
“Mah, è fine gennaio… c’è la Giornata della Memoria”.
“Bingo! Lo facciamo andare in qualche luogo simbolico, cerca se ci sono luoghi simbolici in zona”.
“A Milano c’è un memoriale della Shoah”.
“Lo mandiamo lì e gli diciamo di dire due paroline antisemite”.
“Ma sei sicuro?”
“È terrorizzato dall’idea di vincere, vedrai che farà tutto quello che gli diciamo”.
“No, dico, sei sicuro che con l’antisemitismo perde punti? Potrebbe anche recuperarne”.
“Dici?”
“Non so, forse dovremmo prima fare un focus, qualcosa…”
“Non c’è tempo. Senti, proviamo la carta del vecchietto patetico. Niente antisemitismo, una cosa tipo vecchio zio in braghette sotto la copertina, Mussolini ha fatto tante cose buone, eccetera. E vediamo come va. Cosa abbiamo da perdere?”
“Tutto”
“Mi basta un quattro per cento”.

Due sere fa, da qualche altra parte:

“…insomma, signori, i numeri sono questi”.
“Ma non è possibile! Tutti gli altri sondaggi…”
“Tutti gli altri sondaggi, con rispetto parlando, sono becchime per capponi. Questi sono i numeri veri e… sono devastanti”.
“Ma com’è potuto succedere! Eravamo terzi una settimana fa, una settimana fa! E adesso saremmo in testa?”
“Sono stati tutti molto bravi, bisogna ammetterlo. Bersani che si mette a sbranare a vanvera, quell’altro che sbava su Mussolini… due siparietti da commedia dialettale. E d’altro canto son mica scemi, chi glielo fa fare di vincere?”
“Il senso di responsabilità, per esempio”.
“Mi sa che dovremo tirarlo fuori noi”.
“Ma neanche per sogno, siam già stati responsabili abbastanza. I patti erano chiari: noi dovevamo fare l’ago della bilancia, metterci il know how. Al consenso popolare dovevano pensarci loro, i cosiddetti partiti di massa. Questa è un tradimento da parte loro, è… diserzione. Molto scorretta”.
“E che ci possiamo fare?”
“Tanto per iniziare cominciamo a perdere anche noi dei punti, subito”.
“Con tutto il rispetto, abbiamo appena mandato il Capo dai terremotati a prendersi le uova marce, e non è servito a niente, continua a sbancare i sondaggi”.
“Il terremoto è troppo settoriale, ci vuole un approccio più generalista”.
“Ovvero…”
“Non possiamo più permetterci di fare schifo solo ad alcuni, dobbiamo cercare di fare schifo a più gente possibile nell’unità di tempo. Trovare qualcosa che dia fastidio a tutti. Coraggio, ditemi qualcosa che dà fastidio a tutti”.
“Le tasse”.
“Le abbiamo già alzate, qualcos’altro”.
“Le banche”.
“Siamo coperti anche lì”.
“La sveglia alla mattina”.
“Bello spunto, mi piace. Tutti odiano la sveglia alla mattina. Lavoriamoci sopra. Cos’altro odiano tutti? Il lunedì”.
“E vabbe’, mica possiamo aumentare i lunedì alla settimana”.
“Non possiamo nemmeno allungare la settimana lavorativa, siamo liberisti”.
“La settimana lavorativa no… ma quella scolastica sì. Le scuole sono ancora di Stato”.
“Grazie al cielo, ma che vuoi fare? Se aumenti l’orario devi pagare di più gli insegnanti, hai voglia”.
“No. Non è detto. In luglio non li paghi di più, perché le scuole sono praticamente chiuse, ma loro sono reperibili. Bingo! Un bell’intervento contro le vacanze estive!”
“Tutti amano le vacanze estive”.
“Lanciamo un’agenzia, cominciamo a dire che d’ora in poi si frequenta per tutto luglio. Poi ovviamente rettificheremo, ma intanto la voce girerà. Mario Monti contro le vacanze estive. Boom!”
“Quattro punti li perdiamo come niente”.
“Ma anche cinque o sei. E poi voglio vedere cosa fanno quei due, ah ah”.

Un mese dopo
(ROMA) BERSANI: NON HO MAI “SBRANATO” BAMBINI. SOLO ASSAGGIATI UN PAIO MOLTO CATTIVI. Il segretario del PD ha smentito le affermazioni riportate ieri dai giornalisti, secondo le quali avrebbe ammesso di aver partecipato negli anni ’60-’70 a qualche banchetto a base di bambino bianco crudo alla festa dell’Unità di Bettola. “Non siamo dei barbari, noi i bambini li abbiamo sempre cucinati con molta umanità, e se devo dirla tutta non è proprio il mio piatto preferito, ne avrò assaggiato solo un paio ed erano bambini che si erano comportati davvero molto male con le loro mamme e con Stalin”.

(MILANO) BERLUSCONI: CULATTONI DI MERDA SONO STATO FRAINTESO, NON INTENDO AVVALERMI DELLO JUS PRIMAE NOCTIS A MENO CHE LE VOSTRE FIGLIE NON VALGANO VERAMENTE LA PENA. Il presidente Berlusconi durante la notte ha pubblicato su youporn un video girato con le sue fidanzate (in tenuta sadomaso-wehrmacht), in cui smentisce di volersi avvalere dello jus primae noctis in modo “universale”, come ventilato due giorni fa durante la conferenza stampa a Palazzo Grazioli. “C’è che voi giornalisti siete veramente dei culattoni, non capite… lo vedete questo, sì? Ecco, non lo capite, ora reggimelo, grazie cara”. Il presidente ha poi confermato che intende abolire l’IMU e sostituirla “con tua madre”, ha detto proprio così, ma forse era sovrappensiero.

(BERLINO) MONTI: INGIUSTIFICATE LE POLEMICHE SUL GATTO A NOVE CODE NELLA SCUOLA ELEMENTARE, sarà esposto soltanto alla parete come deterrente, ma le maestre dovranno limitarsi a bacchettate sulle nocche e gusci di noce sotto le ginocchia.

Continua… (in realtà no).

elezioni 2013, ho una teoria, Monti, Pd

Ichino, lui sì che è flessibile

Questa campagna elettorale-lampo ci costringe a vere e proprie tappe forzate. In un solo giorno per esempio ci siamo bevuti la conferenza stampa di Monti e la lunga sbroccata di Berlusconi a Domenica In. Ma non è tutto, nel frattempo stavamo anche in pensiero per il senatore Pietro Ichino.

Il giuslavorista infatti sabato aveva annunciato in un’intervista al Corriere che non si sarebbe più ricandidato nelle file del PD. E quindi per esempio io stavo già scrivendo una lettera aperta, implorandolo di ripensarci, di presentarsi alle primarie, di lasciare che fossero gli elettori del PD a decidere se candidarlo o no… ma intanto Ichino era già lontano, in questa campagna-lampo chi si ferma è perduto. Verso sera circolavano già le anticipazioni di una sua intervista alla Stampa in cui annunciava di essere pronto a candidarsi in una lista montiana in Lombardia.

E così, insomma, è ufficiale: Pietro Ichino ha lasciato il PD. Poco più di un mese fa, come tutti i sostenitori e tesserati, aveva sottoscritto un impegno a votare per il proprio partito, chiunque avesse vinto le primarie. Appena un mese fa, all’inizio della campagna per il ballottaggio, Matteo Renzi aveva annunciato che in caso di vittoria avrebbe proceduto con la riforma Ichino “senza più tavoli, gcommissioni, lunghe mediazioni”. Ichino del resto aveva già pubblicamente esultato per quel 35% ottenuto da Renzi al primo turno, che a suo avviso dimostrava come le sue idee fossero condivise da un settore assai più ampio di quello che un anno fa gli aveva attributo il responsabile economico del partito, Stefano Fassina (“Una linea ha il 2 per cento, l’altra il 98 per cento. Io capisco Ichino. Lui rappresenta quel 2 per cento e per farlo valere, per difenderlo ha bisogno di andare sui giornali tutti i giorni”). E però, anche ammesso che tutti gli elettori di Renzi avessero ben chiaro il contenuto della bozza Ichino, resta il fatto che il 35 per cento, o persino il 40, pur essendo una percentuale rilevante, non è la maggioranza: così come Renzi, pur festeggiando l’ottimo risultato, ha ammesso la sconfitta, anche Ichino avrebbe dovuto accettare il fatto di rappresentare nel suo partito una posizione importante, ma minoritaria.

Invece se n’è andato, (continua sull’Unita.it, H1t#159; racconta anche della misteriosa firma di Ichino sul pdf dell’Agenda Monti divulgato dal Corriere).

Invece se n’è andato, dopo aver lanciato dal Corriere uno strano ultimatum a Bersani (“prenda una posizione molto chiara, correggendo nettamente la posizione di Fassina“), di quelli irricevibili, specie durante una campagna elettorale. Nel frattempo al telefono con Renzi ribadiva la sua intenzione di partecipare alle primarie della sua città senza farsi cooptare in nessun listino bloccato, tanto che il sindaco di Firenze si proclamava “Orgoglioso di essere nella stessa squadra di persone come Pietro Ichino”! Poi però ha cambiato squadra, in modo abbastanza improvviso. D’altro canto qui la situazione cambia tutti i giorni, nuovi partiti si formano e disgregano in ogni momento, e se la situazione è così magmatica non se ne può fare una colpa al professor Ichino.
Tanto più che la famosa “agenda Monti” pubblicata ieri sul sito del Corriere è un testo veramente molto ichiniano. Non solo nei contenuti: come ha notato per primo credo Paolo Ferrandi, l’autore del documento pdf scaricabile sul Corriere si chiama “Prof. Pietro Ichino”. Questo in sé non significa nulla: potrebbe trattarsi di uno scherzo di dubbio gusto, o di una versione passata effettivamente da un computer di proprietà del “prof. Ichino”, ma soltanto per essere convertita da documento di testo modificabile a documento in formato pdf, prima di essere inviata al Corriere. Senz’altro nelle prossime ore il professore spiegherà come sono andate le cose, sul Corriere o sulla Stampa o anche qui. Fugherà probabilmente il dubbio di avere scritto lui il punto tre dell’agenda Monti: di avere programmato insomma il cambio di sella da alcuni giorni, magari gli stessi in cui confessava ai suoi lettori di sentirsi attratto dalla “prospettiva di una vita più tranquilla e meno faticosa, con più tempo per tante cose belle e buone che ho lungamente trascurato”, e intanto chiedeva a Bersani di correggere Fassina, e commuoveva Renzi con la sua abnegazione. http://leonardo.blogspot.com
Berlusconi, Monti

Rimuovere-la-mummia

Con lo spread non si ragiona, lo abbiamo capito; forse è l’unica cosa che abbiamo capito di questo spread, che per il resto non sappiamo ancora bene cosa sia, forse la media matematica dell’irrazionalità di un insieme di investitori impauriti, al punto che ormai basta un Buh!, ma meglio ancora un Berlusconih! e quelli corrono a nascondersi sotto il tappeto. Va bene. Sono fatti così. Ma il fatto che con lo spread sia inutile ragionare non significa che dobbiamo smettere anche noi. Cioè, al netto di tutto il rumore che fa paura in borsa, cos’è successo esattamente? Quasi niente.

Ma sul serio, quasi niente. Monti si è dimesso – continuerà a sbrigare gli affari correnti, il risultato è che si andrà a votare tre o quattro settimane in anticipo; forse manca il tempo per fare le primarie dei parlamentari del PD, ecco questo un po’ mi dispiace. E poi, ovviamente, Berlusconi si è candidato.

Ma scusate, perché prima, invece?

Se volete l’irrazionalità dello spread è tutta qui. Berlusconi si candida e lo spread s’impenna. Ma perché prima, scusate, invece Berlusconi pensavate che si pensionasse? Ad Antigua, magari? Cosa ve lo faceva pensare? Tutto il cancan sulle primarie del Pidielle?

Il fatto che sia un po’ matto non significa che Berlusconi non sia prevedibile. Molti matti lo sono e lo è anche lui. Peraltro non si sta comportando in maniera molto irrazionale. Il suo egotismo lo ha spinto negli anni a circondarsi di mediocri che, al momento in cui forse anche lui preferirebbe ritirarsi, non gli sembrano affidabili. E in effetti non lo sono. Può darsi che in qualche momento lui abbia davvero carezzato il proposito di lasciare la prima linea, ma non ha mai fatto l’unico passo necessario e sufficiente: trovarsi un candidato credibile. Magari a un certo punto ha pensato che le primarie potessero essere un sistema per farlo emergere, una specie di talent-show – poi deve aver dato un’occhiata alla puntata pilota e ha silurato il programma. Del resto se l’obiettivo è tra il 15 e il 20%, e le elezioni sono tra pochi mesi, il candidato migliore resta lui. Tutto abbastanza comprensibile – però lo spread s’impenna.

Però, scusate, il fatto che il PDL stesse pensando fino a qualche giorno fa di fare le primarie, di estrarre dal pantano primordiale in cui Berlusconi ha ridotto il centrodestra un nuovo candidato alla presidenza del consiglio – non significava mica che B. si fosse ritirato dai giochi, no? O lo pensavate davvero? Qualcuno lo pensava davvero? Forse lo spread lo pensava davvero. Però con lo spread è inutile ragionarci.

Voi però, abbiate pazienza, vi dovete rassegnare. Berlusconi è lì. Non se n’è mai andato, non si è nemmeno mosso parecchio. È sempre stato lì. Per un po’ sembrava che non si sarebbe candidato, il che significava semplicemente che avrebbe candidato un suo prestanome. Sostenuto dalle sue aziende di famiglia. Dalle sue televisioni. Dai suoi giornali. Le televisioni a dire il vero soffrono un po’ la congiuntura del mercato pubblicitario, e i direttori dei quotidiani vivono ormai in una dimensione allucinata, ma questo non toglie che Berlusconi sia lì. È molto meno smagliante che in passato, ma del resto non ci tiene più a vincere, non ne ha più bisogno. Gli basta un buon 15-20 per cento, e ce la dovrebbe fare. A dire il vero secondo me potrebbe anche prendere di più, ma chi glielo fa fare? Un 15-20% è perfetto per sedere al tavolo delle trattative, strappare qualche concessione, traccheggiare qualche anno, proseguire al libitum la commedia dell’assurdo sulla legge elettorale. La strategia più prevedibile è questa e tutto sommato Berl. è abbastanza prevedibile. Quindi di cosa ci stiamo spaventando adesso?

Che si candidi lui? È quasi una buona notizia: Berlusconi non si sarebbe candidato soltanto se avesse trovato una copia più giovane ed efficiente di sé stesso. Non l’ha trovata, allelujia, ci teniamo l’esemplare anziano e un po’ suonato. Non pretendo che lo spread questo lo capisca, ma voi esattamente, cosa vi eravate immaginati? Di cosa pensavate che avremmo parlato in campagna elettorale? Di welfare e diritti? Di rilancio dell’economia? Di giovani e vecchi? Di rottamatori e usato sicuro? Di liberalismo e socialdemocrazia? E vi scoccia scoprire che parleremo, come al solito, di Berlusconi e non Berlusconi?

Abbiate pazienza. È vero che la mummia è ingombrante. È vero che manda un cattivo odore – il che forse potrebbe farci sospettare che tanto mummia non è. È vero che non se ne può più. È vero che chi la odia, me compreso, nel tempo si è reso insopportabile tanto quanto chi la ama. È vero tutto questo e anche di più, ma allora?

Pensavate di avere risolto il problema? E come pensavate di averlo risolto: non parlandone più?
Ma la mummia è rimasta lì, al centro del salotto. È da un anno che ci impedisce di avere una legge elettorale conforme a una democrazia decente. È da un anno che fa pendere (in modo abbastanza discreto, bisogna dirlo, fino a una settimana fa) una spada di Damocle sul governo tecnico. È da venti e più anni che si difende con le unghie, che continuano a crescere, e i denti, veri o finti non importa, chiunque provi ad attentare alle sue prerogative, alle sue frequenze, ai suoi monopoli, ai suoi processi, facendo e disfacendo governi a suo piacimento. La mummia è ancora lì, e tutti quelli che pensavano che bastasse tapparsi gli occhi e il naso per risolvere il problema sono finiti nella discarica prima di lei, perché la mummia è un problema enorme, che sta seduto su tutti gli altri problemi d’Italia. Sì, sarebbe ora di parlare di tutti gli altri problemi e magari tentare di risolverli. Ma dobbiamo prima liberarci della mummia, mi dispiace.

Vi annoia? Vi capisco. Ma vi è mai successo di risolvere un problema annoiandovene?

Ma sul serio pensavate che se ne stesse andando da solo? E perché? Non se ne va da solo. Ha interessi da tutelare, e attenzione: sono interessi aziendali, che non moriranno con lui. Con lui morirà soltanto il suo più grande combattente – bisogna dire che finora tutti gli aspiranti successori hanno deluso, e anche gli eredi non sembrano all’altezza. In ogni caso no, non se n’è mai andato. Ha solo provato l’effetto di stare un po’ dietro le quinte. Non ha funzionato molto bene, rieccolo in scena. Ma la canzone è sempre quella. E anche la canzone dei suoi oppositori non può più di tanto suonare diversa.

Per esempio: riecco i ritornelli di chi vuole batterlo “alle urne”. Stavolta del resto sembra facile – lui stesso non ci tiene molto a vincere. È proprio in questo momento che ha più senso dire no, Berlusconi non si batte alle urne. Il solo fatto che dopo vent’anni spesi a danneggiare la cosa pubblica per difendere gli interessi della sue aziende Berlusconi possa candidarsi è un insulto alla democrazia. Il solo fatto che si candidi, e che riporti nel nuovo parlamento qualche centinaio di peones pronti a difendere gli interessi delle sue aziende, sarà per lui una vittoria: quindi no, Berlusconi non si batte alle urne; se gli consentiamo di presentarsi, Berlusconi ha già vinto.

Berlusconi non si batte alle urne perché ha sempre giocato slealmente, e lo farà di nuovo: non ci sarà mai una vera partita democratica finché gli si consente di giocare. Bisognerebbe liberarsi dal complesso per cui la democrazia è una competizione Onesti vs Sleali. Noi non siamo gli Onesti, non siamo i Buoni, non siamo migliori di nessuno: vogliamo una serie di regole che tutelino i cittadini, e non dovremmo permettere che un partito politico non le rispetti. Le regole impedivano a Berlusconi di candidarsi nel 1994: glielo si è permesso e la democrazia in un certo senso è finita lì. Sarà ripristinata quando a Berlusconi sarà finalmente impedito di danneggiare la cosa pubblica. Ora che è stato condannato con una sentenza definitiva la cosa dovrebbe essere un po’ più semplice.

Se invece gli permetteremo di giocare, andrà a finire come al solito, che ci toccherà di giocare sporco quanto lui. Vinceremo, ma non saremo i Buoni, non saremo gli Onesti, saremo i soliti idioti che abbiamo conosciuto fin qui. Vogliamo cominciare a essere diversi? Vogliamo iniziare a rottamare vent’anni inutili e molto sciocchi? Bisogna-rimuovere-la-mummia. Io non so più in che lingua dirvelo, insomma, Bomb Cologno.

Monti, scuola

Il giorno in cui Mario Monti mi spezzò il cuor

“Per esempio, due ore in più”.

Bisognerebbe sempre partire da una notizia, e la notizia questa volta forse non c’è. Un politico che dice una bugia, in Italia, è una notizia? No, probabilmente no. Un politico che in diretta tv dice una bugia grossa, una bugia smaccata, un’informazione la cui plateale falsità si può verificare in pochi secondi, è una notizia? Purtroppo no.

Anche il fatto che il politico stia concedendo un’intervista, e che l’intervistatore si guardi bene dal rettificare, dal controllare, dal far presente che no, le cose non stanno semplicemente così: è una notizia? Mi dispiace, non lo è, circolare.

La bugia è abbastanza pesante: getta discredito su un’intera categoria di lavoratori, bollati come conservatori e corporativi perché indisponibili a fare “per esempio, due ore in più settimanali”. Niente di nuovo. Il politico che la pronuncia, in diretta, in prima serata tv, su una rete nazionale, è il presidente del Consiglio dei Ministri, e capirai. Dov’è la notizia? è sempre andata così. Avvisateci magari quando un presidente in prima serata tv tenterà di dirci la verità. Fino a quel momento, ci dispiace, nessuna notizia. Oppure se vi va posso scrivere sul mio piccolo diario on line che Mario Monti, domenica, mi ha spezzato il cuoricino.

Fino a sabato non è che fossi un suo ammiratore, ma evidentemente nutrivo per lui più stima di quanto fossi disposto ad ammettere. Era palese che la sua agenda non fosse la mia (manco ne avessi una che non preveda il sopravvivere a oltranza); né potevo dire di avere molta fiducia nel suo rigorismo, ma è un discorso lungo e in fondo il commissariamento della repubblica italiana non è  responsabilità sua. Lui per me restava semplicemente un tecnico, uno che ha un lavoro da fare (giusto, sbagliato che sia) e cerca di farlo con serietà. La sua agenda non mi piaceva, la sua serietà mi serviva. Ne avevo un bisogno forse disperato, una di quelle necessità da innamorati, che ti spingono a immaginare che una cosa esista anche quando forse non c’è, e forse neanche la serietà di Monti c’è. O si è dissolta nei mesi necessari a trasformarsi da un docente universitario a un politico. La non-notizia di domenica sera è che Mario Monti è diventato un politico italiano, uno di quelli che va in tv a raccontare balle, e più sono grosse, ed evidenti, meglio è, tanto nessuno gliene chiederà conto.

Nello specifico, la bugia è triplice. Le ore di lavoro in più non sono “per esempio, due settimanali” (prima bugia). Controllate ovunque: appena un mese fa in una bozza di decreto le ore erano sei, pari a un terzo dell’orario settimanale. E non si tratta di ore di lavoro, ma di lezione (seconda bugia), che l’insegnante deve preparare, organizzare, gestire. Per un insegnante di lingue straniere, o educazione artistica, o musicale, quelle due ore equivalgono a una classe in più: venticinque ragazzi in più con cui lavorare, venticinque famiglie in più con cui interagire. È tempo, è fatica, è lavoro in più. E non è vero (terza bugia) che in questo modo si sarebbero liberate risorse: è vero semplicemente il contrario. Il governo vuole risparmiare sulle risorse, tagliando le cattedre: a perdere il posto saranno come sempre i giovani, i più bassi in graduatoria.

Ma in fondo queste tre bugie sono tutte comprese in una sola, ovvero: Monti non ha mai chiesto agli insegnanti di fare due ore in più alla settimana. Il ministro Profumo non ha mai proposto agli insegnanti di fare due ore in più alla settimana. Invece di lamentarsi in tv contro la categoria conservatrice e corporativista, perché non ce lo chiedono? Scoprirebbero cose interessanti.

Per esempio: io due ore in più le farei anche a partire da domani. E non credo di costituire un’eccezione. Anzi so di non costituire un’eccezione, perché non sono il solo che a settembre prova a chiedere al dirigente se non sia possibile fare una o due ore in più. E non è per spirito di missione o filantropia; o meglio, non è certo il mio caso: conosco colleghi missionari e filantropi, ma non è il mio caso. Io due ore in più alla settimana le farei volentieri perché risparmierei tempo e fatica. Perché in questo momento io sto facendo un corso di italiano di cinque ore, cinque ore alla settimana, che fidatevi, per insegnare la prima lingua ad alunni sempre meno alfabetizzati sono maledettamente poche. E siccome il tempo frontale a mia disposizione è poco, io devo compensarlo con più lavoro a casa: più compiti da correggere, più verifiche scritte, più cose che potrei agevolmente evitarmi se solo potessi restare coi ragazzi almeno una, due ore in più alla settimana. Professor Monti, no pardon, Presidente Monti: me le offra quelle due ore, anche a metà del loro prezzo (e parliamo di uno dei prezzi più bassi in Europa), e veda se le rispondo di sì o di no. Ma sì, vabbe’, a chi sto parlando.

Non c’è nessun presidente Monti che mi ascolti. Non c’è nessuno che mi voglia veramente far lavorare. È il solito fantoccio, il solito bluff. Nessuno mi ha veramente chiesto di fare due ore in più. Hanno buttato lì sei ore in più a zero euro per farci incazzare un po’, se lo sono prontamente rimangiati e sono andati in tv a lamentarci che c’incazziamo per niente, che siamo corporativi. Noi insegnanti, corporativi.

Ma magari fossimo un po’ corporativi. Quattro sindacati su cinque hanno revocato uno sciopero la sera prima. La sera prima. Siamo la corporazione più ridicola mai vista e davvero non sorprende, non fa notizia, che un politico di razza possa andare in tv a prenderci in giro. Onestamente ce lo meritiamo. C’è ben poco da lamentarsi, a meno che uno non sia sotto sotto un’anima bella che crede nelle favole, le favole dove i professori sono persone oneste che non mentono mai, neanche quando diventano Presidenti dei consigli.

Chiedo scusa per lo sfogo, bisognerebbe sempre partire da una notizia e la notizia questa volta non c’è. Il presidente del Consiglio dei ministri dice bugie in diretta tv, gettando discredito su un’intera categoria di lavoratori. E da qualche parte di sicuro un cane ha morso un uomo. Buonanotte.

lavoro, Monti, scuola

Strangolami un po’ più forte, Ministro, non sento

Questo è un pezzo un po’ diverso dagli altri in cui dico la mia opinione eccetera eccetera. È più una richiesta di aiuto.

Dunque, ieri ho letto che nel nuovo Ddl del Ministro Profumo – quindi non si sta parlando di castelli in aria, si sta parlando di un testo già scritto – l’orario di insegnamento dei docenti di ogni ordine e grado passerebbe dalle 18 alle 24 ore settimanali. Il tutto a parità di retribuzione, ovvero, ci aumentano l’orario del 33% e lo stipendio dello 0%.

Tutto questo al fine di “portare il livello di impegno dei docenti sugli standard dell’Europa occidentale” (senza però aumentare la paga sugli standard dell’Europa occidentale), e la mia richiesta di aiuto consiste appunto in questo: abitate in Europa occidentale? Sapete quante ore di lezione frontale fanno gli insegnanti colà? In realtà il conteggio è maledettamente complicato, le informazioni su internet un po’ frammentarie, la cosa più comprensibile che mi hanno segnalato fin qui (grazie) risale al 2002; a quel tempo le 18 ore degli insegnanti italiani erano nella media occidentale, magari nel frattempo hanno aumentato le ore a tutti e a noi no.

Non so se valga la pena ricordare, anche stavolta, che un insegnante lavora molto più di 18 ore: quelle sono soltanto le lezioni frontali. Poi ci sono le ore di ricevimento, i consigli, le ore spese a correggere i compiti, eccetera eccetera. Parlare di 24 o di 18 ore insomma è un po’ strumentale: sarebbe più onesto dire che ci si sta chiedendo di lavorare il 33% in più a parità di retribuzione. Perché se ho sei ore di lezione in più dovrò anche prepararle, e probabilmente avrò una o più classi in più, ventine di genitori in più con cui interagire in ore che non sono conteggiate, il 33% in più di compiti da correggere eccetera (naturalmente posso impegnarmi meno, correggere meno compiti, interagire meno coi genitori: forse mi si sta chiedendo questo: di aumentare la quantità e diminuire la qualità).

Poi c’è il problema delle cattedre, vale a dire dei posti di lavoro. Il ministro ha un bel da dire che vuole assumere un sacco di gente coi concorsi; se la matematica mi assiste, aumentare del 33% l’orario degli insegnanti equivale a tagliare il 33% delle cattedre. A quel punto non sono nemmeno sicuro di mantenere il mio posto (sono ancora relativamente ‘giovane’, e ogni volta che si tagliano le cattedre sono i più giovani che si ritrovano a spasso).

Infine, siete liberissimi di pensare che noi insegnanti lavoriamo poco; neanch’io penso di essere tra quelli che lavorano di più. Però a questo punto ho una domanda: vi viene in mente un’altra categoria qualsiasi in Italia, che di fronte alla richiesta di aumentare del 33% l’orario e la prestazione a parità di salario non marcerebbe su Palazzo Chigi coi forconi e le torce? A me no, non viene in mente. Oggi infatti sono in sciopero (nel mio giorno libero), ma vedrete che anche stavolta non saremo tantissimi. Al punto che ogni tanto mi domando cosa deve fare esattamente un ministro per farci incazzare sul serio, e non so che rispondermi. Lo jus primae noctis con i nostri figli, forse. Forse.

ho una teoria, Monti, Pd

Guida al suicidio responsabile

Ma ammettiamo pure che abbiano ragione Monti e la Fornero; che davvero i lavoratori italiani non si possano più permettere il diritto di reintegro; che in questa congiuntura europea e mondiale l’Italia abbia bisogno, più che di una riforma del lavoro, di una sua decostruzione; che i licenziamenti facili siano la scossa positiva di cui le imprese hanno bisogno. Ammettiamo, per amor di ipotesi, che questa riforma di destra abbia un senso. Ma perché la dobbiamo sostenere noi che di destra non siamo?

Non potevano scriversela e votarsela loro, quelli che dicevano di essere di centrodestra e che hanno avuto governo, maggioranza parlamentare e largo consenso nel Paese per otto anni degli ultimi dieci? Dovrebbe invece sostenerla il PD di Bersani, a costo di alienarsi una larga fetta del suo elettorato, che andrà a ingrossare le file del nuovo massimalismo antieuropeo e complottista? E perché va sempre a finire così, che il centrodestra governa e non fa nulla finché non arriva la crisi, e quando arriva la crisi le misure punitive deve intestarsele anche il centrosinistra? (continua sull’Unità – H1t#118, niente di originale ma mi sembra che funzioni ancora).

Il sospetto è che in Italia, più che tra sinistra e destra, si assista a una finta dialettica tra il principio di realtà e il principio del piacere. Chi ha votato Berlusconi o Bossi – scrivevo qualche tempo fa – non è di destra in senso storico, o liberale, o perfino fascista: Lega e PdL si votavano per la soddisfazione immediata che garantivano, promettendo ogni volta di tagliare le tasse e ridisegnare fantomatici confini federali. Allo stesso modo, chi vota centrosinistra ormai ha ben poco di comunista o di socialdemocratico (anzi ha contribuito più volte al varo di riforme di sapore liberale); di solito lo fa per un senso più o meno consapevole di responsabilità individuale o collettiva; per entrare in Europa, o restarci, per salvare il bilancio, il buon nome del Paese, eccetera eccetera. Il Centrodestra regala sogni, il centrosinistra interviene ogni cinque anni a salvare i conti. Da questo punto di vista non si tratta di due schieramenti contrapposti, quanto piuttosto complementari: se Berlusconi ha potuto folleggiare (ma gli italiani non è che abbiano folleggiato parecchio, nemmeno durante i suoi mandati), lo deve agli odiatissimi Amato, Ciampi, Visco, Padoa Schioppa, che al momento giusto arrivavano a salvare i conti e a porre le basi per una nuova trionfale campagna anti-oppressione-fiscale.
Nei fatti anche questa manovra sembra un prendere-o-lasciare: il PD lascerà? O farà qualche distinguo, tenterà di concertare qualche contentino, metterà il musetto, ma in sostanza voterà una manovra che è una botta dura al suo bacino elettorale? Se cederà sarà in nome del supremo valore della “responsabilità”: l’unico paletto rimasto saldo nel cedimento ideologico circostante. Il PD è un partito che se c’è da sacrificarsi, lo fa. In fondo è nato dal sacrificio di due identità (democristiana e postcomunista) che Veltroni sanciva in nome del bipartitismo di domani e di una vittoria nel futuro remoto. Ma l’idea di sacrificarsi per il bene del Paese viene più da lontano: è l’eredità di Prodi, l’idea che l’Italia possa pensare di rivolgersi al centrosinistra soltanto quando è con l’acqua alla gola e deve essere salvata da sé stessa. Dovevamo entrare nell’Unione Europea, ce l’abbiamo fatta, poi dovevamo entrare nell’Euro, missione compiuta, ora dobbiamo restarci a dispetto dello spread: e ogni volta c’è sempre un professore che fa due conti, e un partito che fa un po’ di manfrina e poi si adegua. Il canovaccio è così vecchio che i protagonisti di oggi sembrano recitarlo istintivamente.
Una volta questa tendenza della sinistra responsabile italiana a farsi responsabilmente male la si chiamava tafazzismo. Io però sarei per eliminare questa parola di cui i giovani d’oggi (spero) ormai ignorano l’etimo. Preferisco raffigurarmi il PD come una mamma sollecita che con le sue continue attenzioni e autoimmolazioni non fa che ritardare il momento in cui gli altri membri della famiglia cominceranno a sviluppare una qualche forma di responsabilità, o anche solo di dignità. E mi chiedo se non è ora di mollare il pupo, e che si voti la sua Thatcher da solo se davvero ne ha il coraggio.http://leonardo.blogspot.com
Berlusconi, ho una teoria, indignazione, Monti

Perché poi sempre battutisti al governo

Sapete qual è il problema con questo governo?
Che ci abbia alzato le tasse? No, noi non siamo così banali.
Che sia l’espressione dell’Unione Europea anche se l’Unione Europea non ha nessun piano? No, non è mica colpa di Monti, lui fa quel che può.
Che tra le sue priorità non ci sia la pace sociale? No. Forconi e tassisti sembrano rientrati.
Che parli sempre di sistemi per licenziare e mai di sistemi per assumere? Eh, ma non è mica il solo.
E insomma, allora, qual è il problema?

Sono le battute. Le gaffes. Non ci piacciono. Quasi quasi era meglio… no, non lo dirò mai. Però qualcuno forse comincia a… Ma le gaffes di Monti & co. sono così interessanti? è sull’Unita.it, e si commenta laggiù (H1t#112).

E insomma, la luna di miele dell’elettore di sinistra con il governo Monti è finita. Più che dai giornali lo si capisce su facebook, persino su twitter se non fosse ancora un po’ di nicchia. Era inevitabile, Monti è sensibilmente migliore del suo predecessore, ma non è un leader di centrosinistra e nemmeno ci tiene a sembrarlo: ha altre idee, altre priorità. La delusione era prevedibile, ma è interessante notare le forme in cui si esprime. Cos’è di Monti e dei suoi ministri che non ci piace più? Qualche proposta di legge, qualche scelta in materia economica? Non esattamente. Quel che non ci piace davvero sono le frasette.
Quelle piccole battute che magari non vogliono nemmeno strappare un sorriso, ma soltanto vivacizzare una conferenza stampa. Monti ha detto che il posto a vita è monotono, beh, non sempre ma a volte sì. Probabilmente non si aspettava questa ondata di indignazione.  Né pensava di scatenarla la Fornero, irridendo i figli che non vogliono allontanarsi da mamma e papà. Sono stati ingenui, bisogna dirlo. Ma lasciamo stare un attimo loro. Cosa ci sta succedendo? Perché invece di concentrarci sulle politiche di Monti & co. ci attacchiamo alle frasette? Io ho una teoria.
C’era una volta, pochissimo tempo fa, l’Antiberlusconismo. Era un movimento di massa, oddio, movimento, diciamo che era una massa che ogni tanto ondeggiava. Qualche frangia più o meno importante ogni tanto mostrava più definiti segni di vita, organizzando anche girotondi, cortei, raccolte di firme, boicottaggi: ma lo zoccolo molle dell’Antiberlusconismo seguiva a distanza, con prudenza. Ogni tanto, a intervalli quasi regolari, lo si osservava ribollire e fremere: erano le avvisaglie dell’unica vera ritualità degli antiberlusconiani, l’Indignazione Condivisa. Di solito funzionava così: Berlusconi andava in tv, o in una conferenza stampa, o al parlamento, e sparava una cazzata. No, chiedo scusa, Berlusconi adesso è a riposo e non posso più nascondermi dietro di lui per indulgere al turpiloquio. Insomma ogni tanto Berlusconi diceva una sesquipedale corbelleria, raccontava una barzelletta spinta, commetteva una gaffe monumentale… e la grande balena berlusconiana fremeva di sdegno, schizzava getti d’acqua dai pori, e correva a fotografare l’immagine di sé stessa indignata per la gallery di Repubblica. Tra tanti esempi, mi viene in mente quando prima di una tornata elettorale Berlusconi a un comizio disse che avrebbe vinto, perché gli italiani non erano così coglioni da votare contro i loro interessi – ecco, in quell’occasione molti si fecero fotografare col cartello IO SONO UN COGLIONE, che in alcuni casi risultava pleonastico. Eravamo così, noi antiberlusconiani. Avevamo bisogno di questi sussulti di indignazione per riconoscerci, svegliarci, ricordarci che quell’uomo ci stava rovinando l’esistenza – e poi tornare alle nostre occupazioni un po’ più leggeri.
C’era una volta l’Antiberlusconismo e c’è ancora, da qualche parte sotto le ceneri. Ma è confuso. In fondo ce l’abbiamo fatta, siamo sopravvissuti a Berlusconi. E però non vorremmo abbassare la guardia, vorremmo riuscire a opporci alle cose che non ci piacciono del governo Monti. Il problema è che non sappiamo come fare, perché Monti e i suoi ministri tecnici fanno una cosa alla quale non siamo più abituati. Politica. Niente a che vedere coi teatrini messi su da Berlusconi e Bossi negli ultimi anni. Ma la politica è complicata, e l’Antiberlusconismo è una creatura semplice, assuefatta alla semplicità. Sa solo fremere e sbuffare. Non gli resta che trovare qualcosa di Monti & co. che lo faccia fremere e sbuffare. Possibile che non dica mai una battuta scema? Possibile che i suoi colleghi non facciano mai qualche gaffe?
Dai e dai qualcosa si trova. Un sottosegretario che dica “sfigati” agli studenti fuoricorso. Cosa che in realtà è capitato a tutti di dire, pensando ad almeno uno dei fuoricorso che abbiamo conosciuto: però il sottosegretario non si doveva permettere. Un ministro che dice che il lavoro a vita è un’illusione. Un’altra che biasima quelli che vogliono lavorare “nella città di mamma e di papà”. E l’indignazione è esplosa, finalmente! Ne sentivamo un po’ la mancanza. Adesso però l’effetto è finito e magari c’è tempo per chiedersi: ma perché quelle frasette ci hanno fatto arrabbiare tanto?
Non è una domanda retorica. È davvero così importante sapere cosa pensa il sottosegretario Martone dei fuoricorso? Chi conosceva Martone fino alla scorsa settimana? Monti è stato indelicato a parlare di monotonia del posto fisso, ma è davvero questo il problema che abbiamo col governo Monti, le sue gaffes? O le scelte non sempre tecniche sul lavoro, sull’economia, sulla scuola? Perché ci concentriamo su frasette infelici, spesso estrapolate da un contesto? È come se fossimo in crisi d’astinenza dalle figuracce di Berlusconi: forse possiamo sopportare le manovre di Monti, ma non che B. si sia ritirato lasciandoci senza un gaffeur par suo.
Forse stiamo semplicemente guarendo, forse tra qualche mese le battute infelici di un governante che non ci rappresenta non ci faranno più sobbalzare e nemmeno discutere. Avremo cose più importanti a cui pensare. Saremo finalmente fuori dal berlusconismo, e dall’anti-medesimo. http://leonardo.blogspot.com
giornalisti, ho una teoria, Monti

Certi gatti sono più bigi di altri

Ma voi mettetevi nelle squame del direttore del Giornale, che finalmente aveva trovato la campagna giusta, e probabilmente pregustava di farci prime pagine su prime pagine, Malinconico Dimissioni, Malinconico Vergogna!, Malinconico ancora lì? Gli ozi di Malinconico… più tutti i più vieti giochi di parole che il triste cognome può suggerire al fantasioso titolista, insomma immaginatevi l’eccitazione, l’entusiasmo, il brio col quale si stava apprestando a scrivere per cinquanta giorni in cinquanta diversi modi “chi non ha mai peccato scagli la prima pietra”…

…e invece al primo titolo, Malinconico che fa? Si dimette davvero. E adesso? Ci si ributta su Fini, ovviamente. Le dimissioni che spiazzano Sallusti (e Ferrara) si leggono sull’Unita.it e si commentano là (H1t#108).

Tutta la mia solidarietà allo sfortunato direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, che probabilmente già pregustava una lunga campagna per chiedere le dimissioni del sottosegretario Malinconico: gli è andata male, il sottosegretario si è dimesso subito. Ora toccherà inventarsi qualcos’altro per dimostrare che tutti sono corrotti, tutti sono inquisibili, eccetera. Mal che vada ci si può ributtare sui vecchi classici, per esempio le dimissioni di Gianfranco Fini – è da un po’ che non si sente parlare del suo interessantissimo appartamento a Montecarlo (NB: scherzo. Sul famoso appartamento monegasco Feltri e Sallusti ci fecero prime pagine per un mese, nell’autunno 2010. Bei tempi. Belle notti. Tutti i gatti erano bigi, tutti erano inquisibili, nessuno si dimetteva…)
Un po’ di solidarietà anche per lo sfortunato opinionista di Rai1, Giuliano Ferrara, che ieri sera è andato in onda in uno stato un po’ più confusionale del solito, perlomeno mi è parso così. Dopo averci riassunto l’affaire Malinconico per sommi capi, ci ha spiegato che i giornalisti dovrebbero smetterla di cercare storie del genere e di gioire, addirittura, quando le trovano, perché nessuno è mondo dal peccato(mi sembra che abbia detto proprio detto così), tutti possono fare degli errori, anche il presidente della Repubblica Federale Tedesca ne ha fatti, eccetera eccetera, ci vediamo domani, ah no scusate domani c’è la Champions, boh. Forse Ferrara è semplicemente nei postumi dell’Epifania, la maledetta festa che spazza via le altre e ci lascia soli davanti a un terribile anno nuovo.
O forse è rimasto anche lui spiazzato da questo governo, che fa cose incredibili. Questi sottosegretari, per esempio, che si dimettono per cosucce da nulla, vacanze non pagate, appena i giornalisti se ne accorgono… E a proposito, maledetti giornalisti, ma perché indagano? E addirittura, quando qualcosa salta fuori, gioiscono? Ferrara non se ne capacita, evidentemente secondo lui il giornalismo dovrebbe servire a qualcos’altro. Probabilmente a spiegarci che tutti pecchiamo, come Berlusconi, e quindi non dobbiamo attentarci a scagliare la prima pietra contro il prossimo, che in nove dei dieci casi che interessano a Ferrara è Berlusconi. Ecco, magari ieri pomeriggio Ferrara aveva già pronta una predica di questo tenore. Anche Malinconico si faceva offrire le vacanze, tutti si fanno offrire le vacanze, tutti sono corrotti, anche voi, anche io, e il presidente della Germania Federale, e quindi non prendetevela (con Berlusconi). Poi però Malinconico si è dimesso – e a Ferrara è toccato cambiare la forma della predica in fretta e furia. Non la sostanza, che rimane la stessa: siamo tutti peccatori. Difficile dargli torto. Abbiamo tutti qualcosa negli occhi: chi travi, chi pagliuzze, nessuno ha la vista del tutto sgombra.
Ma non siamo nemmeno del tutto ciechi; perlomeno, la differenza tra l’ultimo governo Berlusconi e quello guidato da Monti la notiamo. Magari non è il governo che vorremmo o voteremmo, ma è un governo decente. Se emergono storie non chiare su di un sottosegretario, quello se ne va senza troppe manfrine. Com’è giusto che sia. Perché forse è vero, di notte tutti i gatti sono bigi. Ma alcuni sono molto più bigi degli altri, più della notte stessa; forse senza di loro tra i piedi si comincerebbe a vedere un po’ d’alba.http://leonardo.blogspot.com
ho una teoria, internet, missioni italiane, Monti

Ce ne vogliamo almeno andare dall’Afganistan?

Ok, sembra proprio che quei diciotto miliardi in cacciabombardieri ci tocchi spenderli. Però non è vero che non si possa fare proprio nessun taglio. L’Afganistan, per esempio.

Loro a un certo punto se ne sono andati. Dovremmo esserne capaci anche noi. Sull’Unità (h1t#102), anzi, comunita.it, vi imploro non fate troppo caso alla foto del pirla.

Sarà una crisi di crescita: se non economica perlomeno morale. Diventeremo tutti un po’ più adulti, ci sta già succedendo. Per esempio, siamo già passati nel giro di poche settimane da popolo di Commissari Tecnici della Nazionale a popolo di Ministri dell’Economia: abbiamo tutti qualche rilievo da fare alla manovra Monti, abbiamo tutti critiche costruttive e competenti. Mi piace pensare che sia un progresso; un anno fa passavamo il tempo a chiacchierare delle Olgettine. Ora invece su Facebook scopriamo che il governo potrebbe far cassa semplicemente sospendendo l’acquisto di 131 cacciabombardieri per un totale di diciotto (o tredici) miliardi di euro: più o meno mezza manovra, quanto basta per rimettere in sicurezza i pensionati. A un certo punto l’appello è stato raccolto da Massimo Donadi, capogruppo alla Camera dell’IdV – a proposito, secondo me non è così che dovrebbe funzionare, la politica sui social network. Piuttosto il contrario: i leader politici dovrebbero cercare di servirsi dei social network per far conoscere e diffondere le proprie idee: invece in questo caso l’idea ce l’ha messa facebook, Donadi l’ha presa da lì ed è andata a diffonderla in parlamento. C’è da stupire che poi i conti non tornino?
Comunque è sempre meglio che parlare di Ruby Rubacuori: adesso sappiamo (anche grazie alla discussione che è nata in rete, soprattutto sul blog Noise From Amerika, a cui ha contribuito con molta franchezza lo stesso Donadi) che sì, quei 131 cacciabombardieri li compreremo davvero, e ci costeranno davvero almeno 13 miliardi… ma spalmati in un intervallo di tempo che va dal 2013 al 2026. Se anche decidessimo di annullare la commessa (i nostri Tornado sono comunque ormai mezzi obsoleti), il risparmio sarebbe dunque relativo. Il discorso a questo punto dovrebbe spostarsi sulla nostra spesa militare: ha un senso che una nazione senza nemici dichiarati, inserita stabilmente in un sistema di alleanze militari e politiche, continui ad armarsi così? Ma quanto si sta armando l’Italia? È veramente difficile da calcolare:però almeno se ne può parlare serenamente, ora che non siamo più distratti dalle scenette dell’ex ministro La Russa.
Io devo dire che sono un po’ in affanno: fino a due settimane fa bastava abbaiare un po’ contro Berlusconi e il pezzo era pronto. Invece adesso bisogna fare conti, interpretare tabelle, non credo di essere la persona adatta. Ho solo una modestissima proposta: non mi azzardo assolutamente a quantificare il risparmio che ne deriverebbe, ma per me varrebbe la pena in ogni caso. Quand’è che ce ne andiamo dall’Afganistan?
Siamo arrivati lì nel 2003, senza davvero volerlo (fu una delle decisioni meno popolari del secondo governo Berlusconi). La guerra, appena dichiarata finita e vinta dal commander in chief Bush, in realtà è proseguita a bassa intensità per tutti questi anni, più o meno come ai vecchi tempi delle “pacificazioni” coloniali. Abbiamo fatto il nostro dovere, abbiamo fugato col nostro atto di presenza la sensazione che l’occupazione dell’Afganistan fosse un gesto unilaterale del gigante americano ferito dall’11 settembre. Abbiamo avuto una quarantina di perdite. Ci siamo invischiati in una situazione tutt’altro che chiara: tra Pakistan e Nato in questi anni sono successe cose che soltanto gli storici della prossima generazione riusciranno a vedere con chiarezza. Magari nel frattempo avremo anche fatto qualcosa di buono, non lo so, non è di questo che si parla adesso. Ora dobbiamo semplicemente chiederci: vale la pena di restare?Possiamo davvero permetterci di aiutare gli afgani, mentre in Europa a chiedere aiuto siamo noi?
Alla conferenza internazionale sull’Afganistan, che si è appena tenuta a Bonn, il ministro Terzi ha riaffermato che nei prossimi dieci anni non lasceremo l’Asia centrale. Ridurremo soltanto il nostro contingente, che in questo momento ammonta a 4200 unità, man mano i reparti locali che addestriamo diventeranno operativi. Speriamo soltanto che non diventino operativi contro di noi (non sarebbe la prima volta). Terzi ci ha anche spiegato che negli ultimi dieci anni (in realtà un po’ meno) abbiamo “impegnato 570 milioni di dollari in cooperazione allo sviluppo e interventi umanitari”: forse il margine per risparmiare qualcosa c’è. Più che lamentarsi con Terzi, che nella democratizzazione dell’Afganistan mostra di crederci ancora seriamente, bisogna rivolgersi con franchezza ai leader del PD: nei primi mesi del nuovo anno si voterà, presumibilmente, il rifinanziamento della missione. In tutti questi anni il PD, sia quand’era al governo sia quando preferiva l’opposizione, ha sempre votato responsabilmente. Adesso si tratta semplicemente di individuare qual è la scelta più responsabile: continuare a sostenere il regime di Karzai, o salutare, ringraziare americani e altri alleati per la bella occasione che ci è stata offerta di aiutarli a salvare il mondo, e riportare i ragazzi a casa? http://leonardo.blogspot.com
Monti, Pd, tv

La sindrome di Lynette

Il partito suicida

Non ho fatto i compiti. Ballarò l’ho visto con un occhio solo, Vespa men che meno. Per cui probabilmente mi sbaglio, ma la sensazione è che il PD si sia fatto incastrare un’altra volta, nel modo splendido in cui solo il PD ci riesce, anche quando non si chiamava ancora così. Cioè, ripeto, ne ho visto poco, ma da quel poco che ho visto mi è sembrato che la democratica Finocchiaro stesse difendendo la sua manovra dalle critiche di Maroni, della Gelmini, di Belpietro, ma cosa diamine? Manco l’avesse scritta lei.

Ora: nei fatti è così, la manovra Monti è un prendere-o-lasciare, e il PD prenderà. Farà qualche distinguo, concerterà qualche contentino, metterà il musetto, ma in sostanza voterà una manovra che è una botta dura al suo bacino elettorale di salariati, dipendenti pubblici e diciamolo, pensionati. Lo farà perché è un partito responsabile, in effetti questo aggettivo (“responsabile”) è una delle poche cose che può dire di sé: l’unico paletto rimasto saldo nel cedimento ideologico circostante. Il PD è un partito che se c’è da sacrificarsi, lo fa. In fondo è nato dal sacrificio di due identità (democristiana e postcomunista) che Veltroni sanciva in nome del bipartitismo di domani e di una vittoria nel futuro remoto – nell’immediato si tirava a prendere il trenta per cento e sbattere i partitini di sinistra fuori dal Parlamento. Ma l’idea di sacrificarsi per il bene del Paese viene più da lontano: è l’eredità di Prodi, l’idea che l’Italia possa pensare di rivolgersi al centrosinistra soltanto quando è con l’acqua alla gola e deve essere salvata da sé stessa. Dovevamo entrare nell’Unione Europea, ce l’abbiamo fatta, poi dovevamo entrare nell’Euro, missione compiuta, ora dobbiamo restarci: e ogni volta c’è sempre un professore che fa due conti, e un partito che fa un po’ di manfrina e poi si adegua. Il canovaccio è così vecchio che i protagonisti di oggi sembrano recitarlo istintivamente.

Dall’altra parte c’è il principio del piacere, l’irresponsabilità, l’oblio. Maroni non può ricordare di essere stato ministro fin quasi alla settimana scorsa; cioè, l’uomo Maroni di certo lo sa, ma il personaggio-Maroni è già altrove, nella sua Padania tra le nuvole, oppresso da questo governo tecnocrate. Anche in questo caso, la rapidità e la facilità con cui certe facce da culo si adattano al nuovo ruolo non stupisce più, ci siamo abituati: loro sono fatti così, lotteranno sempre per la pensione, per i Comuni tartassati, per non toccarci le tasche, per l’orfano, per la vedova, per la Padania. Davvero, ci stanno così bene all’opposizione. Invece il PD si sente sempre al governo. Sempre responsabile, sempre ragionevole. Responsabile come certe persone travolte dagli impegni, che nascondono dietro l’ansia per le scadenze (dobbiamo pareggiare il bilancio subito! Dobbiamo entrare nell’Euro!) il fatto che non riescono più ad alzare lo sguardo oltre l’orizzonte di sei mesi, un anno, una legislatura, un decennio. Del resto chi ha bisogno di Visione, quando ha Emergenze? Voteranno la manovra Monti: si lamentano, ma l’avrebbero votata anche più dura di così. C’è da salvare l’Italia e loro si aspettano che l’Italia sarà in qualche modo riconoscente. Questa è la forma più pura del tafazzismo, io però sarei per eliminare questa parola di cui i giovani d’oggi (spero) ormai ignorano l’etimo. Preferisco raffigurarmi il PD come una mamma sollecita che con le sue continue attenzioni e autoimmolazioni non fa che ritardare il momento in cui gli altri membri della famiglia cominceranno a sviluppare una qualche forma di responsabilità, o anche solo di dignità.

Io poi se fossi nell’on. Finocchiaro mi comporterei probabilmente allo stesso modo, e nel mio piccolo di tesserato CGIL onestamente non so nemmeno se farò il prossimo sciopero, poco più di un atto di testimonianza. Però anche la forma ha la sua importanza. Un conto è bere l’amaro calice, un conto è mettere la faccia sullo spot. Perché devo vedere la Finocchiaro che difende Monti e Gelmini che lo critica? Questa manovra fa più comodo al centrodestra, non fosse altro perché allontana il PD dalla sua base, rafforza Vendola, Di Pietro, Grillo, chiunque non si senta obbligato da un vincolo di responsabilità. Nel gioco delle parti per cui prima di votare la manovra gli esponenti di PD e PDL si faranno un po’ guardare mentre litigano, è già chiaro che vinceranno i secondi anche stavolta: non li si può almeno attaccare per primi, non gli si può almeno lasciare l’ingrato ruolo di essere quelli che parlano bene di Monti? Tanto la voteranno: si terranno Monti fino all’esatto momento in cui gli conviene. Non è la prima volta che alla fine di una gestione Berlusconi arriva un professore a rimettere i conti in ordine. E allora perché loro possono brontolare finché vogliono, senza pudore, senza rispetto per il loro pubblico… e la Finocchiaro no? Ops, mi sono risposto da solo.