giornalisti, indignazione, tv

Ci spiumeranno ancora (e i social non ci salveranno)

È passata una settimana, ne hanno parlato tutti, e adesso – perdonatemi – ho voglia di aggiunger qualcosa anch’io. Domenica scorsa ho visto il servizio di Report sulle oche, con un occhio solo come spesso accade. Non ero particolarmente interessato né alle oche né ai piumini. A partire dal mattino dopo ho iniziato a leggere pezzi sull’argomento, che in realtà continuava a interessarmi poco: ma sapete come funziona internet ultimamente. È come se fossero gli argomenti a scegliere te, e non viceversa. Continuavano a spuntare pezzi sulle oche e sui piumini e su Report nella mia timeline, nella mia bacheca, nelle zone delle homepage sui quotidiani in cui riesco a mettere l’occhio senza sembrare a me stesso un maniaco. E li leggevo. E imparavo tante cose.

Per esempio imparavo che Report non mi aveva insegnato niente perché tutti sapevano già che le oche vengono spiumate vive (in realtà io non lo sapevo; mai posto il problema, ma magari sono un’eccezione), e comunque chi vuole comprare piumini e foie gras li compra lo stesso (in realtà io quando qualche anno fa scoprii come venivano allevate le oche da foie gras smisi di comprarlo benché mi piacesse; ma bisogna dire che ne compravo pochissimo anche prima, e continuo a mangiare tanti altri pezzi di animali allevati in condizioni disumane).

Poi scoprivo che Moncler non aveva gestito bene l’emergenza su twitter e facebook. In seguito apprendevo che invece aveva gestito in modo magistrale l’emergenza su twitter e facebook. Verso la fine della settimana concludevo che “un efficace nowcasting sulla Rete aiuta a contenere le pandemie di sentiment“, frase che mi è parsa subito bellissima anche se non so bene cosa significhi (anche niente). E insomma è passata una settimana non dovrebbe esserci niente da aggiungere.

E invece.

Una piccola, banalissima cosa che sembra sfuggita a tutti i social media strategist, i teorici del nowcasting e gli epidiemologi del sentiment – tutta gente che a dispetto dei nomi che si è scelta è intelligente, quindi è difficile che se la sia fatta sfuggire in buona fede, ovvero:

Il titolo in borsa di Moncler è crollato lunedì mattina.

Domenica sera Report è andato in onda; lunedì mattina il titolo è crollato.

Quindi?

Quindi twitter più di tanto non c’entra; non c’entra facebook e nemmeno il sentiment, che tra domenica sera e lunedì mattina non può aver causato nessun calo nelle vendite. Chi ha mollato le azioni di Moncler, lunedì mattina, magari qualche tweet cattivo su Moncler poteva anche averlo letto la sera prima, ma è gente che maneggia soldi, non emozioni. Professionisti che probabilmente avevano deciso di vendere molto ancora prima che iniziasse la puntata.

Ancor prima che la Gabanelli comparisse in video, si sapeva che Report avrebbe spiumato Moncler. E si sapeva – è già successo – che il servizio, bello o no, professionale o meno, avrebbe leso l’immagine del marchio. Non c’era bisogno di leggersi uno o trecento tweet per capirlo. Non c’era bisogno di dare un’occhiata a quel che dicono i tuoi amici di facebook. O gli influencer. Capirai gli influencer. Da una settimana si sapeva che Report avrebbe parlato di produttori di piumini, e da una settimana si poteva prevedere che il titolo andasse giù. Infatti è andato giù. Sarebbe andato giù anche dieci anni fa, quando i social network non esistevano e gli influecer chiacchieravano al bar.

Capisco la necessità di parlare di social network, visto che sono ormai tutto quello che abbiamo. Entro certi limiti comprendo, rispetto e persino apprezzo la fantasia di chi parlandone ci si è inventato un mestiere. Ma quello che è successo davvero, è successo nel giro di poche ore tra tv e borsa, questi due vecchi arnesi pre-digitali: la tv ha mostrato immagini di oche e imprenditori, il prezzo delle azioni è sceso di botto.

I tweet di sdegno e controsdegno, le catene di insulti su facebook, tutta questa roba in cui nuotiamo, è davvero così importante? Oltre a essere una goccia nel mare (di Moncler il mattino dopo si parlava persino nei parcheggi delle scuole), si tratta di informazione ridondante e maledettamente lenta. Davvero chi sposta i soldi di mestiere può permettersi di aspettare che gli esperti di sentiment gli distillino milioni di tweet per scoprire che molta gente vuol più bene alle oche che agli industrialotti che delocalizzano?

Sui social ora c’è tanta gente che discute di spiumaggio e delocalizzazione. Tutta questa discussione è un sintomo. Chi si propone di curarla, con strategie mirate e professionali, ti sta proponendo di curare un sintomo, come un farmacista che ti fa ingollare paracetamolo appena il termometro segna 37. Sarà senz’altro vero che sui social noi buttiamo le nostre emozioni, ma questo non rende necessariamente i social luoghi interessanti per chi sposta i soldi veri. Chi gioca al gioco dei grandi, le nostre emozioni le deve saper prevedere molto prima che le proviamo e le condividiamo col cancelletto. Magari il caso Moncler gli servirà per capire come ci comporteremo la prossima volta. Ma ne avrà bisogno? Ci comportiamo in modo talmente prevedibile che non si può neanche troppo biasimare chi procede, a intervalli regolari, a spiumarci.

Berlusconi, ho una teoria, indignazione, Monti

Perché poi sempre battutisti al governo

Sapete qual è il problema con questo governo?
Che ci abbia alzato le tasse? No, noi non siamo così banali.
Che sia l’espressione dell’Unione Europea anche se l’Unione Europea non ha nessun piano? No, non è mica colpa di Monti, lui fa quel che può.
Che tra le sue priorità non ci sia la pace sociale? No. Forconi e tassisti sembrano rientrati.
Che parli sempre di sistemi per licenziare e mai di sistemi per assumere? Eh, ma non è mica il solo.
E insomma, allora, qual è il problema?

Sono le battute. Le gaffes. Non ci piacciono. Quasi quasi era meglio… no, non lo dirò mai. Però qualcuno forse comincia a… Ma le gaffes di Monti & co. sono così interessanti? è sull’Unita.it, e si commenta laggiù (H1t#112).

E insomma, la luna di miele dell’elettore di sinistra con il governo Monti è finita. Più che dai giornali lo si capisce su facebook, persino su twitter se non fosse ancora un po’ di nicchia. Era inevitabile, Monti è sensibilmente migliore del suo predecessore, ma non è un leader di centrosinistra e nemmeno ci tiene a sembrarlo: ha altre idee, altre priorità. La delusione era prevedibile, ma è interessante notare le forme in cui si esprime. Cos’è di Monti e dei suoi ministri che non ci piace più? Qualche proposta di legge, qualche scelta in materia economica? Non esattamente. Quel che non ci piace davvero sono le frasette.
Quelle piccole battute che magari non vogliono nemmeno strappare un sorriso, ma soltanto vivacizzare una conferenza stampa. Monti ha detto che il posto a vita è monotono, beh, non sempre ma a volte sì. Probabilmente non si aspettava questa ondata di indignazione.  Né pensava di scatenarla la Fornero, irridendo i figli che non vogliono allontanarsi da mamma e papà. Sono stati ingenui, bisogna dirlo. Ma lasciamo stare un attimo loro. Cosa ci sta succedendo? Perché invece di concentrarci sulle politiche di Monti & co. ci attacchiamo alle frasette? Io ho una teoria.
C’era una volta, pochissimo tempo fa, l’Antiberlusconismo. Era un movimento di massa, oddio, movimento, diciamo che era una massa che ogni tanto ondeggiava. Qualche frangia più o meno importante ogni tanto mostrava più definiti segni di vita, organizzando anche girotondi, cortei, raccolte di firme, boicottaggi: ma lo zoccolo molle dell’Antiberlusconismo seguiva a distanza, con prudenza. Ogni tanto, a intervalli quasi regolari, lo si osservava ribollire e fremere: erano le avvisaglie dell’unica vera ritualità degli antiberlusconiani, l’Indignazione Condivisa. Di solito funzionava così: Berlusconi andava in tv, o in una conferenza stampa, o al parlamento, e sparava una cazzata. No, chiedo scusa, Berlusconi adesso è a riposo e non posso più nascondermi dietro di lui per indulgere al turpiloquio. Insomma ogni tanto Berlusconi diceva una sesquipedale corbelleria, raccontava una barzelletta spinta, commetteva una gaffe monumentale… e la grande balena berlusconiana fremeva di sdegno, schizzava getti d’acqua dai pori, e correva a fotografare l’immagine di sé stessa indignata per la gallery di Repubblica. Tra tanti esempi, mi viene in mente quando prima di una tornata elettorale Berlusconi a un comizio disse che avrebbe vinto, perché gli italiani non erano così coglioni da votare contro i loro interessi – ecco, in quell’occasione molti si fecero fotografare col cartello IO SONO UN COGLIONE, che in alcuni casi risultava pleonastico. Eravamo così, noi antiberlusconiani. Avevamo bisogno di questi sussulti di indignazione per riconoscerci, svegliarci, ricordarci che quell’uomo ci stava rovinando l’esistenza – e poi tornare alle nostre occupazioni un po’ più leggeri.
C’era una volta l’Antiberlusconismo e c’è ancora, da qualche parte sotto le ceneri. Ma è confuso. In fondo ce l’abbiamo fatta, siamo sopravvissuti a Berlusconi. E però non vorremmo abbassare la guardia, vorremmo riuscire a opporci alle cose che non ci piacciono del governo Monti. Il problema è che non sappiamo come fare, perché Monti e i suoi ministri tecnici fanno una cosa alla quale non siamo più abituati. Politica. Niente a che vedere coi teatrini messi su da Berlusconi e Bossi negli ultimi anni. Ma la politica è complicata, e l’Antiberlusconismo è una creatura semplice, assuefatta alla semplicità. Sa solo fremere e sbuffare. Non gli resta che trovare qualcosa di Monti & co. che lo faccia fremere e sbuffare. Possibile che non dica mai una battuta scema? Possibile che i suoi colleghi non facciano mai qualche gaffe?
Dai e dai qualcosa si trova. Un sottosegretario che dica “sfigati” agli studenti fuoricorso. Cosa che in realtà è capitato a tutti di dire, pensando ad almeno uno dei fuoricorso che abbiamo conosciuto: però il sottosegretario non si doveva permettere. Un ministro che dice che il lavoro a vita è un’illusione. Un’altra che biasima quelli che vogliono lavorare “nella città di mamma e di papà”. E l’indignazione è esplosa, finalmente! Ne sentivamo un po’ la mancanza. Adesso però l’effetto è finito e magari c’è tempo per chiedersi: ma perché quelle frasette ci hanno fatto arrabbiare tanto?
Non è una domanda retorica. È davvero così importante sapere cosa pensa il sottosegretario Martone dei fuoricorso? Chi conosceva Martone fino alla scorsa settimana? Monti è stato indelicato a parlare di monotonia del posto fisso, ma è davvero questo il problema che abbiamo col governo Monti, le sue gaffes? O le scelte non sempre tecniche sul lavoro, sull’economia, sulla scuola? Perché ci concentriamo su frasette infelici, spesso estrapolate da un contesto? È come se fossimo in crisi d’astinenza dalle figuracce di Berlusconi: forse possiamo sopportare le manovre di Monti, ma non che B. si sia ritirato lasciandoci senza un gaffeur par suo.
Forse stiamo semplicemente guarendo, forse tra qualche mese le battute infelici di un governante che non ci rappresenta non ci faranno più sobbalzare e nemmeno discutere. Avremo cose più importanti a cui pensare. Saremo finalmente fuori dal berlusconismo, e dall’anti-medesimo. http://leonardo.blogspot.com
antisemitismo, blog, fascismo, giornalisti, indignazione, razzismi

C’è sempre qualcuno che ti odia (sull’internet)

La lista è la morte

C’è stato un po’ di baccano, ieri, a causa di una lista comparsa su di un sito neonazista. Io sono arrivato a casa tardi e non sono riuscito a leggerla: il sito era inaccessibile a causa del traffico elevato (poi è tornato visibile, ma la lista era stata cancellata). Si trattava di un forum semisconosciuto, ma quando i quotidiani hanno scoperto il fattaccio (Repubblica è stato il primo, direi), da blog e social network tutti hanno cominciato a puntare link verso la lista, che da quel che ho capito censiva gli italiani da odiare perché amici degli immigrati.

Io naturalmente sto con gli immigrati, auspico l’estinzione dei fascisti eccetera. Però queste ondate di indignazione mi lasciano perplesso. Un gruppetto di fascisti butta giù un elenco di nominativi; nessuno per quanto ne so ha scritto “italiani da ammazzare”. È una lista di persone odiose, su internet se ne stilano parecchie. Peraltro non è mai successo fin qui che un personaggio à la Breivik o alla Casseri, nel momento in cui decide di passare alle vie di fatto, utilizzi una lista divulgata via internet: di solito c’è un notevole scarto tra chi scrive su un foglietto (o su un sito) i nomi delle persone che detesta e chi si procura le armi e scende in strada a farle fuori. Insomma le possibilità che quella lista potesse ispirare l’istinto criminale di un fanatico erano abbastanza esigue. Fino a ieri.

Poi ieri Repubblica, Twitter e via dicendo hanno iniziato a puntare sul forum semisconosciuto. Migliaia di persone hanno potuto leggere la lista o scaricarla prima che si oscurasse, e a questo punto la possibilità che qualche emulo di Casseri l’abbia letta e decida di utilizzarla è cresciuta sensibilmente. È il solito doppio taglio dell’informazione: vale la pena dare risalto nazionale a un gruppetto che stila liste di proscrizione? Io non lo avrei fatto; oltre al concreto rischio di attirare l’attenzione su gente pericolosa, mi ritroverei anche a spalare l’acqua col forcone: sicuramente da qualche parte qualcun altro sta compilando un’altra lista di persone da odiare, internet glielo consente e io non posso fare il cane da guardia di internet, mica mi pagano. C’è chi invece può.

Il giornalista che ha scoperto la lista di ieri non è nuovo a scoop del genere. Un’occhiata al suo sito (molto interessante) suggerisce l’impressione che le sue scoperte siano frutto di un’indagine sistematica: come quel prete che batte l’internet alla ricerca di siti pedofili, il giornalista in questione è costantemente alla caccia di segnali di razzismo, antisemitismo, intolleranza. Avrete notato che non lo chiamo per nome.

È uno scrupolo ridicolo, chiunque può benissimo recuperare le sue generalità. E anche lui presto o tardi troverà questo mio post, lo leggerà, e deciderà se infilarlo o no in un eventuale dossier sull’antisemitismo di sinistra. In effetti è lo stesso giornalista che la scorsa primavera commise una grossa carognata nei confronti di una mia doppia collega, blogger e insegnante, la quale professa opinioni fortemente critiche nei confronti dello Stato d’Israele. Il giornalista in questione l’accusò, sempre su Repubblica, di negazionismo: accusa falsa, peraltro. Non solo, ma nello stesso articolo suggerì, in modo piuttosto ambiguo (anche un po’ maldestro, via), che questa blogger, essendo insegnante, avrebbe anche insegnato il negazionismo ai suoi studenti (e in effetti noi blogger-insegnanti siamo proprio così, la molla che ci spinge a riempire lenzuolate digitali sul sionismo o su San Giovanni Damasceno è che sono proprio gli stessi argomenti che spieghiamo a lezione ripetutamente, a tutte le classi, tutti gli anni, siamo così felici di continuare a parlare di sionismo e San Giovanni Damasceno che anche sul blog non vorremmo scrivere d’altro. Sono ironico). E arrivarono gli ispettori. Parli male d’Israele su un blog? Faccio in modo che ti arrivino gli ispettori a scuola. Ecco.

Per tagliar corto: il giornalista in questione ha già ampiamente dimostrato che se vuole sputtanare un insegnante lo fa. Però questo non è un buon motivo per non chiamarlo per nome e per cognome; magari era un buon motivo per non iniziare nemmeno a scrivere questo post, per fare finta di niente. Invece sto parlando di lui, ma il suo nome non lo metto perché si sa cosa succede ai nomi: li lasci lì e dopo un po’ diventano una lista: e io una lista non la voglio fare, la lista è la morte, e anche se mi scappasse una lista, mai vorrei mettere al primo posto lui. Lui è un buon diavolo con una missione: battere la campagna, censire tutti gli insetti, tutti i parassiti che ce l’hanno con quelli come lui. O con qualche altra minoranza, tutto fa brodo. E sono convinto che nel suo far circolare insetti e parassiti è in buona fede: il suo scopo è mostrare quanta intolleranza (e quanto antisemitismo) ci siano in Italia, e a tale scopo qualsiasi infimo insetto, qualsiasi larva di bacherozzo abbia dichiarato di non sopportare il presidente della comunità ebraica di Roma fa buon brodo. Il problema è che in quel brodo i bacherozzi sguazzano, e sembrano addirittura ingrossare – ma questo effetto ottico collaterale il giornalista in questione lo ritiene sopportabile. Oppure si tratta del solito gioco win/win: i bacherozzi ottengono più visibilità, le minoranze minacciate più solidarietà. Sì. Non credo che convenga a tutte le minoranze.

articolo 18, Berlusconi, blog, Bush, indignazione, Israele-Palestina, missioni italiane

naso da pugile piace alle ragazze

Tra i vari effetti negativi che ha indubbiamente il tenere un blog (sindrome di Celentano, stress da contatore, paranoia da referrer, cazzeggio compulsivo…), ce n’è uno positivo, e cioè: scrivere in pubblico ti costringe a fare i conti coi tuoi limiti. E questo è importante.
Se guardo dietro di me, vedo un signorino che si credeva assai informato e intelligente, appena un anno fa. Oggi non sono più così sicuro sul mio grado di intelligenza o di informazione. Mi accorgo sempre più che vado avanti per istinto. E mi accorgo anche che va benissimo così.

Un anno fa avevo teorie da spiegare al mondo. Oggi va grassa se mi riesce di metter su un pezzo divertente ogni tanto. Nel frattempo le cose diventano sempre più intricate e incomprensibili. Siccome non posso bermele tutte (da Bush che si strozza con un salatino ai complotti delle toghe rosse alla gloriosa missione italiana in Afghanistan, a Berlusconi grande mediatore europeo), non mi resta che andare a naso, e pazienza se a volte lo sbatterò contro il muro. Che poi la verginità l’ho persa molti anni fa, e non la rimpiango neanche.

Così, a naso, direi che Borrelli ha ragione a protestare e Taormina deve aver imparato da certi suoi clienti l’arte della minaccia. Così, a naso direi che, piuttosto che per un banale match di football, è più facile strozzarsi davanti a un rapporto sullo scandalo Enron. Così, a naso, direi che i Dieci Piccoli Italiani in Afghanistan ci stanno coprendo di ridicolo, e che a questo punto gli italiani dovrebbero farsi tutti pacifisti gandhiani per un semplice questione di decoro. Così, a naso direi che l’articolo 18 è una trincea più simbolica che reale, una specie di Linea Rossa, perché tanto i nuovi imprenditori aprono una ditta nuova ogni dieci dipendenti.

Così, a naso, direi che Israele sta vivendo un incubo dal quale lui solo può decidere di svegliarsi. Dopo mesi di blocchi in tutti i territori, come può un ‘martire di Al Aqsa’ entrare in un locale di Tel Aviv e fare fuoco? E allora a che serve tenere sotto sequestro tutto il popolo palestinese? Togliere i blocchi. Riprendere il dialogo con Arafat. L’incubo non finirà, ci saranno ancora morti inutili, il tunnel della pace è lungo e stretto, ma ha una via di uscita. Il tunnel dell’odio è cieco.

Queste cose io le dico a naso. E magari dico un sacco di cazzate, e i posteri rideranno di me (tanto sarò morto). Oppure io stesso riderò di me, quando tra qualche anno, dopo aver studiato con attenzione ogni questione, concluderò che Berlusconi, Bush e Sharon sono stati tre formidabili statisti, e io ero il solito giovane accecato dalle ideologie. A quel punto, però, spero che mi offriranno qualcosa, una sottosegreteria, una rubrica sul Foglio, una striscia in tv, perché nessuno si converte gratis, neanche San Paolo.

Nel frattempo, io, a naso, decido volta per volta da che parte stare, e se mi sbaglio, tanto peggio per me. E tanto meglio per chi sta dall’altra parte. Quelli li posso anche capire.
Faccio più fatica a capire, invece, quelli che si tirano fuori da gioco, come se non li riguardasse. Come se fossero i giudici – non alla maniera di Borrelli, no, infatti loro giudicano anche Borrelli, che “dovrebbe fare il suo mestiere”.

Gli italiani sono fatti così. Hanno una soglia d’indignazione molto bassa, che scatta subito, dopodiché può succedere qualsiasi porcheria, loro ormai sono indignati. E a quel punto non c’è più niente da fare. Un po’ come i cani, che se gli punti il dito loro guardano il dito, il meccanismo indignatore scatta sempre di fronte al messaggero piuttosto che al messaggio. Non scandalizza che esista una rete pedofila in Italia, scandalizza che Gad Lerner ne parli in prima serata. Non scandalizza che Berlusconi cambi legge per salvare i suoi amici inquisiti: scandalizzano i magistrati che denunciano la situazione.

Voi, che finché non si processa (e si condanna, evidentemente) un D’Alema o un Rutelli non ha senso processare Berlusconi. Così, per par condicio. Quanto siete garantisti. Quanto siete equilibrati. Voi il naso di sicuro non ve lo rompete da nessuna parte. Lo tenete ben alto a fiutare da che parte tira il vento, e così, impalati sull’attenti, ci fate anche la figura di uomini tutti d’un pezzo. Beh, che posso dire, bravi. Qualcosa però ve lo perdete. Che cosa esattamente non lo so, però qualcosa. Il naso da pugile, forse. A certe ragazze piace.