Jersey Boys (Clint Eastwood, 2014)
C’è stato un tempo, neanche tanto lontano, in cui i cantanti non si gonfiavano la fedina penale al microfono per giocare ai personaggi scomodi; tutto il contrario. Erano tempi peggiori di adesso, che ti credi? Sotto tutta la brillantina, bernoccoli e cicatrici prese in strada o in famiglia; eppure appena salivi su un palco, anche minuscolo, tutto la fetenzìa spariva come un incanto, e tornavi a essere il bello di mamma tua capace di sciogliere in lacrime i mammasantissima del quartiere e le liceali alla prima libera uscita. Elvis era a militare, i Beatles non erano ancora arrivati, l’America ingannava il tempo sprofondando nella melassa dei quartetti vocali. I Four Seasons qui da noi non li ha sentiti nominare quasi nessuno, forse per lo stesso motivo per cui nessuno ti serve le fettuccine Alfredo o la pizza ai peperoni; ma in quella manciata di anni andarono fortissimo. La risposta italoamericana ai Beach Boys – voi non ne avreste sentito il bisogno, ma milioni di acquirenti di 45 giri evidentemente sì. Dopo anni di gavetta errabonda tra bowling e pizzerie del New Jersey, una sera fatidica trovarono la formula di un doo-wop all’italiana che li portò in cima alle classifiche e in tutti juke box del Paese. Poi ci furono i passi falsi e gli scazzi del caso – e la British Invasion non aiutò – ma dovettero passare cinquant’anni e un musical a Broadway prima che il pubblico scoprisse che quei quattro figurini impomatati e adorabili erano avanzi di galera. Come si evolvono i costumi – oggi se scoprono che sei in cella il tuo disco va in cima alle classifiche, vabbeh, per quel che contano oggigiorno le classifiche…
Jersey Boys è in parte la trasposizione cinematografica dello show di Broadway (continua su +eventi!)