arti contemporanee, coccodrilli, karaoke esistenziale, lavoro, musica, traduzioni

Avresti dovuto scriverne 15

Lavoro

Andy era cattolico, con l’etica nella spina dorsale.
Viveva da solo con sua madre collezionando maldicenze e giocattoli.
Ogni domenica, quando andava in chiesa
s’inginocchiava e diceva:

È lavoro.
Importa solo il lavoro.

Andy era tantissime cose;
quella che ricordo di più,
è quando diceva “Devo portare a casa la pagnotta”,
“qualcuno deve portare a casa il salame”.
Arrivava alla Factory per primo,
se glielo chiedevi te lo diceva in faccia:

È lavoro
La cosa più importante è il lavoro.

Non importava cosa facessi, non sembrava mai abbastanza;
diceva che ero pigro, io dicevo che ero giovane.
Mi chiedeva “quante canzoni hai scritto?”
Ne avevo scritte zero, mentivo e gli dicevo “dieci”.

“Non sarai giovane per sempre,
avresti dovuto scriverne quindici:

È lavoro
Quello che importa è il lavoro”.

Mi ordinava di fare cose grandi:
alla gente piacciono così.
E le canzoni con le parolacce:
si assicurava che le registrassi così.
Andy adorava creare polemiche,
pensava che fosse divertente.

“È lavoro (diceva)
importa solo il lavoro”.

Andy mi fece un discorso un giorno,
“Decidi cosa vuoi fare.
Vuoi espandere i tuoi parametri
o giocare al museo come un dilettante?”
Lo licenziai su due piedi,
si fece rosso e mi diede del sorcio.
Era la parola peggiore a cui riusciva a pensare,
non l’avevo mai visto così.

Ma era solo lavoro.
Pensavo che avrebbe detto “è lavoro”.

Andy diceva tante cose, le custodisco tutte nella mia testa.
A volte, quando non riesco a decidere che fare,
mi chiedo: cosa mi avrebbe detto Andy?
Probabilmente mi direbbe: “Tu pensi troppo,
si vede che c’è del lavoro che non vuoi metterti a fare.

Ma è lavoro.
La cosa più importante, il lavoro”.
Il lavoro.
Quello che importa è il lavoro.

Lou Reed (1942-2013), John Cale. Da Songs for Drella, 1990.

anglistica, Bibbia, santi, traduzioni

Perdere la testa per una ragazzina

Paperina questa cose non le fa più da un pezzo.

29 agosto – San Giovanni decollato (1-30 ca.)

Giovanni Battista è l’unico santo di cui festeggiamo sia il compleanno (24 giugno) che il martirio (oggi). Io per la verità da bambino pensavo che il Giovanni Decollato fosse un santo omonimo che avevano ammazzato buttandolo dalla finestra.

Invece Giovanni, come tutti sanno, fu decollato nel senso che gli staccarono la testa dal collo: un supplizio violento ma che esprimeva una considerazione per lo status della vittima: la crocifissione invece era una cosa da schiavi. A metterlo a morte fu Erode Antipa, tetrarca della Galilea satellite di Roma. Su questo le fonti concordano. Purtroppo le “fonti” sono i vangeli e l’ebreo romanizzato Giuseppe Flavio. Quest’ultimo dovrebbe essere un po’ più affidabile, ma le sue Antiquitates Judaicae sono state interpolate per secoli, da copisti cristiani anche in buona fede, a cui sembrava impossibile che un cronista ebreo del primo secolo si facesse sfuggire notizie su Giovanni Battista e Gesù Cristo – così le aggiungevano loro, toh, ecco, adesso sì che è un testo completo. Quindi non è sicuro che Flavio abbia mai veramente scritto qualcosa su Gesù o Giovanni. Senz’altro non erano al centro del suo interesse: lui parla di politica, guerre, dinastie, e poi ogni tanto ci sono questi predicatori che fanno un po’ casino, ma niente su cui valga la pena di imbastire un capitolo. Nelle Antiquitates si accenna a Giovanni come “un uomo buono che esortava i Giudei a una vita corretta, alla pratica della giustizia reciproca, alla pietà verso Dio, e così facendo si disponessero al battesimo”. Questo sarebbe bastato al sospettoso re per incarcerarlo e, in un secondo momento, farlo ammazzare.

Un’eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi, poteva portare a qualche forma di sedizione, poiché pareva che volessero essere guidati da Giovanni in qualunque cosa facessero. Erode, perciò, decise che sarebbe stato molto meglio colpire in anticipo e liberarsi di lui prima che la sua attività portasse a una sollevazione, piuttosto che aspettare uno sconvolgimento e trovarsi in una situazione così difficile da pentirsene.

Condannato a morte perché parlava bene. Non che non sia plausibile, da quelle parti, almeno in quel periodo, però è veramente troppo vago. Cosa avrebbe detto il battista di così pericoloso per l’ordine costituito? I vangeli di Marco e Matteo ci forniscono un’ipotesi ragionevole: Giovanni avrebbe protestato contro il matrimonio di Erode con Erodiade. “Non ti è lecito tenerla”. E in effetti prima di stare con Erode, Erodiade era stata sposata col di lui fratello, che aveva litigato col padre Erode il grande e si era trasferito a Roma. Inoltre era figlia di un altro fratello di Erode, il maggiore, Aristobulo; anche lui caduto in disgrazia presso Erode il grande e fatto ammazzare. E se tutto questo vi pare un po’ incestuoso, considerate che la mamma di Erodiade era una cugina di Aristobulo. L’endogamia della famiglia erodiana era tipica di altre dinastie regali del Medio Oriente, dai faraoni in poi, ma non degli ebrei. E in effetti gli Erodi erano ebrei sui generis: venivano da una regione di confine (l’Idumea), e malgrado Erode il grande avesse sposato una principessa di stirpe maccabea, molti sudditi li consideravano ebrei posticci, pedine dell’imperialismo romano. Criticare un tetrarca per i suoi costumi incestuosi poteva, insomma, avere un significato politico.

Miley Cirus scostati, questo è un lavoro per Brigid Mary Bazlen.
Miley Cirus, scostati,
questo è un lavoro per Brigid M. Bazlen.

Però è difficile fidarsi di Marco e Matteo. Sono pur sempre vangeli, ovvero resoconti della vita di Gesù. È normale che cerchino di presentare Giovanni come il precursore di Gesù, e non come il suo rivale. Eppure è possibile persino tra le righe degli evangelisti immaginare almeno un momento in cui i battezzati dovettero scegliere: con l’uno o con l’altro. O Giovanni o Gesù. Non dicevano proprio le stesse cose. I discepoli di Giovanni digiunavano, quelli di Gesù no; Giovanni si lascia andare a commenti pericolosi sulla famiglia reale, Gesù cerca di non fare politica (ma poi finisce comunque nei guai). Forse Giovanni era stato il maestro di Gesù (è lui a battezzarlo), ma poi quest’ultimo aveva preso una strada sua, e l’incarcerazione di Giovanni lo mise nella condizione di ereditare un po’ del credito del predicatore rivale, che davvero in questo senso gli aveva aperto la strada. Eppure anche in carcere Giovanni continuò a diffidare del cugino (Luca li considera cugini: ma in nessun altro testo sembrano manifestare alcun tipo di familiarità), mandando i suoi discepoli a chiedere a Gesù se davvero è il Messia. Gesù non si limita a rispondere “sì”, ma invita i giovanniani a verificare di persona: come si riconosce un Messia? Cosa dice il profeta Isaia al riguardo? I ciechi recuperano la vista? Fatto. Gli storpi camminano? Fatto. I lebbrosi guariscono? Questo a dire il vero in Isaia non c’è, ma crepi l’avarizia. Eccetera eccetera: i sordi odono, i morti resuscitano…”

“E gli schiavi?”
“Eh?”
(continua…)

poesia, Svuotando i solai, traduzioni

Colloque séntimental


Plagio (1995)

Nel vecchio parco, tra i viali innevati
due antichi amici si sono incontrati.

Tra i freddi marmi e fra le grigie aiuole
ne echeggiano, leggere, le parole.

Nel vecchio parco, buio e raggelato
due spiriti rievocano il passato:

Rammenta, deh, la nostra estasi antica?
“No, francamente non ricordo mica”.

Le vengo ancora giorno e notte in mente?
E quando sogna, sogna me?
 “Per niente.”

Ah quei bei giorni in cui era dolce amarsi,
tra verdi siepi, noi due… 
“Può anche darsi”.

E azzurro il cielo, e grandi le speranze!
“Venne poi Autunno a chiudere le danze”.

Nel vecchio parco, dai viali innevati,
due spiriti si sono congedati.

Tra i freddi marmi e tra le grigie aiuole
si perdono, leggere, le parole.

santi, traduzioni

11000 vergini +1


21 ottobre – Sant’Orsola e co., per un totale di 11001 vergini e martiri (IV o V secolo).

Un ruolo tutt’altro che marginale, nella carriera dei Santi, ce l’hanno gli errori di trascrizione o traduzione. È per un errore di traduzione che Santa Cecilia diventa patrona della musica, lei che magari era pure stonata, chi lo sa. Dalle varie traduzioni possibili di “Tu sei Pietro e su questa Pietra” dipendono due o tre secoli di guerre di religione. Quanto a Orsola, era una classica vergine e martire tardo-antica venerata in zona germanica, possibile erede di una Ursel della mitologia norrena che si prendeva cura delle bambine morte. Sarebbe probabilmente sfumata nell’oblio, se un’iscrizione a Colonia (poi andata persa) non avesse avvertito che Ursula era stata martirizzata ad undecim milia, a undici miglia di distanza. L’ipotesi è che quell'”ad” sia diventato nel tempo un “et”, e Orsola la protagonista di un genocidio barbarico, l’animatrice di un viaggio organizzato di undicimila vergini che scorrazzando per l’Europa di ritorno da un pellegrinaggio a Roma non potevano che incappare in qualche invasore senzadio, in questo caso Attila. Attila (figura ricorrente nelle saghe norrene) in questo caso gioca il ruolo prevedibile del bruto che si invaghisce della bellissima principessa britannica Orsola – già però promessa sposa a un altro principe, Aetherius che per lei si era fatto battezzare. Affranto dal diniego, Attila la fa trafiggere da una freccia, e già che c’è martirizza tutte le undicimila, offrendo ai pittori dei mille anni seguenti la migliore occasione per impaginare uno femminicidio di massa (continua ovviamente sul Post)

Bibbia, santi, traduzioni

Il virus Cicerone

30 settembre – San Girolamo (347-420), padre della Chiesa.

Con quel che costava la pergamena, usarla così, uhm, no. 

Oggi quando una ragazza muore di digiuno la gente dice: è colpa delle riviste di moda, e le riviste di moda dicono: è colpa della famiglia – ma nell’antichità? A chi si attribuiva la colpa in mancanza di foto patinate? Ai padri della Chiesa. A Girolamo, perlomeno, che su certe fanciulle della Roma-bene pare che facesse questo effetto: si appassionavano al suo eloquio, si lasciavano catturare dal suo personaggio un po’ hobo  – quel tipo di snob figlio di patrizi che passa qualche anno in una comunità in Siria e poi torna con una certa aria di saggezza e i pidocchi nella barba – ne adottavano i costumi vegetariani, e dopo un po’ rischiavano di lasciarci le penne. La giovane Blesilla  ci restò secca davvero, dopo qualche mese di dieta, e Girolamo cadde in disgrazia: dovette abbandonare la città. Non aveva ancora quarant’anni ed era già stato segretario particolare di un Papa, il padre Georg di Damaso I; alla morte di Damaso alcuni lo davano già per papabile, ma appunto: i romani possono sopportare molte cose, ma un papa convinto che nell’attesa del Regno dei Cieli imminente non sia più concesso mangiar carne, eh, grazie, anche no. Girolamo se ne tornò nei deserti della sua giovinezza tormentata, la cristianità ci perse un papa vegetariano e ci guadagnò la miglior Bibbia che poteva permettersi. Perché Girolamo, riparato a Betlemme, non ebbe più niente di meglio che riprendere le sue traduzioni del testo sacro in latino, rimaneggiarle ed espanderle. Ci mise altri quindici anni, ma alla fine la latinità aveva un testo leggibile, organico, comprensibile, alla portata di tutti (Vulgata, lo chiamarono), e a suo modo elegante, come doveva essere stato elegante quel patrizio romano sotto gli stracci da asceta che ostentava nei circoli romani.

L’influenza di Girolamo sulla lingua che parliamo milleseicento anni dopo è incalcolabile. Nel senso che davvero è impossibile capire quante parole gli dobbiamo. Un esempio qualsiasi, su milioni che si potrebbero fare: l’aggettivo “geloso”. Deriva da “zelotes”, un termine che compare due volte nell’Esodo tradotto da Girolamo; in entrambi i casi è riferito a Dio, e in entrambi i casi Dio sta chiedendo al suo popolo di non avere altro Dio. Insomma la prima gelosia della storia è la gelosia divina, di un Dio che si considera Unico ma evidentemente non ne è troppo sicuro – sennò tanta gelosia non avrebbe un senso. Prima della vulgata i latini non avevano una parola per “gelosia”: ne avevano il concetto? A leggere Catullo pare proprio di sì, ma così come non marcavano una netta distinzione tra l’azzurro e il verde, gli autori classici non danno la sensazione di distinguere nettamente invidia e gelosia. Forse i concetti sono dei grumi di senso che prendono forma intorno alle parole: finché non esiste una parola, non c’è nemmeno il concetto. Forse non avremmo il concetto di gelosia, se Girolamo non avesse deciso di tradurre un certo termine ebraico in un certo modo.

È un anno che scrivo storie di santi sul Post – ho cominciato proprio il primo ottobre scorso. All’inizio non sapevo bene dove sarei andato a parare, ho proceduto per tentativi. A distanza di un anno mi sembra che il metodo sviluppato consista nella simpatia: si prende un uomo o una donna vissuti secoli o millenni fa, in contesti radicalmente diversi, e si tenta di trovarli simpatici. A volte la cosa è fattibile, altre volte è così disperata che diventa divertente. Come metodo, è il meno serio e il più anti-storico che si possa adottare. Le persone nate secoli fa, in contesti alieni, sono alieni. Non parlano come noi, non pensano come noi, non mangiano le cose che mangiamo noi (Girolamo era vegetariano in un mondo senza pomodoro e senza pastasciutta). Trasformarli in figurine simpatiche (o antipatiche) non serve probabilmente a nulla. E in certi casi è veramente impossibile. Come si fa a provare simpatia per Girolamo, un fanatico ossessionato dall’inferno, che si fece mantenere per tutta la vita dalla nobildonna (Santa Paola) a cui aveva fatto perdere la figlia (Santa Blesilla)? C’è che contrariamente a tutte le aspettative, questo fanatico ossessionato è un grande intellettuale, un bravo scrittore, un incredibile traduttore. E la sua Bibbia in latino è un dono, prezioso anche per quelli che a milleseicento anni di distanza non si considerano cristiani (continua sul Post…)

jukebox '10, karaoke esistenziale, traduzioni

Un giorno sfondo

Diceva d’essere un attore,
e anche un po’ fotografo;
la sua vita era una commedia,
perciò era pure un comico.
Avrebbe fatto i milioni,
ormai stavano arrivando…
e nel frattempo cazzeggiava.

Si guardò indietro nello specchio:
tutti quegli anni, formidabili.
Posò lo stuzzicadenti
e rise un po’ dei cazzi suoi.
Vedeva l’odio per sé stesso
già inciso nell’autoritratto
che avrebbero esposto a Brera
di fianco a un Tintoretto,
ma era in ritardo con l’affitto.

Spiegava: sono un musicista,
che ha questa ambizione:
che tutti possano ascoltare
il mio ritmo interiore…
Nel frattempo stava immobile
e diceva così:

È una questione di tempo,
vedrai che arriva il mio momento.
Io credo ancora nel mio sogno:
sto per spaccare il culo al mondo,
sto per spaccare il culo al mondo.

Non negava di esser bello,
aveva fatto anche il modello,
ma non mandava giù l’idea
di sfilare in mutande
(rendeva più in Autunno-Inverno).

E lavorava a un portale(*)
che avrebbe aperto a Natale.
Faceva tutto anche da casa
con il suo cellulare,
finché è rimasto senza credito.

Un gran lavoratore,
che non riusciva a stare fermo:
cercava ancora il suo Dio,
senza più credere all’inferno
(ma andava ancora a confessarsi).

Un uomo molto indipendente,
ma con qualche dipendenza;
un vero uomo libero,
(dormiva in case occupate);
aspettava un bonifico,
che ormai stava arrivando,
e nel frattempo cazzeggiando
mi spiegava così:

È una questione di tempo,
ma arriverà il mio momento.
Io ci credo un giorno sfondo,
spaccherò il culo al mondo,
spaccherò il culo al mondo…

Fatti spiegare il mio sistema,
mentre mi offri la cena,
ecco vedi,

Io sono un attore,
e anche un po’ un fotografo;
poi la mia vita è una commedia,
il che fa di me un comico.
Vedrai farò i milioni,
vedrai vedrai che arrivano…

(*) Era il 2000, dopotutto. Succedeva persino a me.

camillo, giornalisti, Iraq, torture, traduzioni

Help, I’m a Rock

Gentile Camillo, che ti è successo?
Capita a tutti di sbagliare. A me spesso, e ho scoperto il modo migliore per rimediare: chiedere scusa. Lo so, è banale, è poco virile, però la gente accetta le mie scuse e pensa: in fondo è un bravo ragazzo.
E noi cosa dobbiamo pensare di te?

Gentili signori Leonardo non so come e Francesca Mazzucato,
sul blog Rolli ho letto di vostre poco cortesi polemiche nei confronti di un mio commento a un articolo del Boston Globe.
Riassumo: quell’articolo riportava le parole di ex prigionieri-detenuti a Guantanamo. Gli ex prigionieri sostenevano di essere stati trattati bene, seppure innocenti. Negavano le torture negli interrogatori, e dicevano di stare meglio lì che ora a Kabul. Pare che avessero anche i videogiochi. Vero? Falso? L’articolo però diceva questo.

No.
Stanotte l’ho riletto di nuovo, e non è cambiato: è vero che quasi tutti enthusiastically praised the conditions, ma nessuno nega le percosse. Un prigioniero afferma quello che dici tu, altri due parlano di percosse a loro e ad altri. Vero? Falso? Però l’articolo diceva questo. Tu l’hai letto un po’ in fretta, per usare un eufemismo. Perché non chiedi scusa e passiamo oltre?

Secondo voi, invece, diceva il contrario, e io non saprei l’inglese. Possibile. Però conosco l’italiano.

Anzi, lo maneggi piuttosto bene.

E leggo, il 29 marzo, sulla Stampa (pagina 7, taglio basso), un articolo con questo titolo: “A Guantanamo da innocente, ma ci sono stato bene”. Do you understand italian? No?

Yes, a littol.
Italian è quella lingua in cui, se un professionista fa una cappella, si scusa citando la cappella di un collega. Almeno però alla Stampa si sono accorti che a parlare è solo un afgano, non 18 (come scrivevi il 27 marzo, non “i detenuti afgani” in generale (come ribadivi il 29). Hai pestato una cacca? Pulirsi con la Stampa non è il massimo.

Capito-mi-avete? Non ancora? Ecco il sommario: “Uno dei presunti terroristi, liberato dopo 16 mesi per assenza di prove, smentisce Amnesty International”.
Bene, dovreste aver capito
.

E invece no, perdonami. Dieci righe di intervista a un pesce piccolo smentiscono Amnesty International, il cui ultimo rapporto sulle carcerazioni americane post-11/9 si sviluppa per una quarantina di pagine. Tu l’hai letto? Beh, neanch’io, onestamente.

Se non è sufficiente, ecco un altro articolo, di oggi, prima pagina del primo giornale italiano: Il Corriere della Sera.
Heard about it?

Vagamente. (Sai che ho fatto una traduzione per la RCS? Sai da che lingua? Indovina). Non ho capito: dovrei essere impressionato dal nome “Corriere della Sera”? E il senso critico del lettore medio? Have you ever heard about it? There’s plenty of it in the USA. Stiamo cercando d’importarlo in Italia, senza bombardare nessuno.

Riotta spiega che “circa 600 prigionieri, talebani o terroristi di Al Qaeda, come «combattenti illegali», non coperti quindi dalla Convenzione di Ginevra. Il Pentagono si giustifica con il fatto che Al Qaeda non è uno Stato sovrano, non ha siglato i protocolli del 1949 e non ha diritti particolari”.

Se ho capito bene, allora anch’io posso essere torturato dal Pentagono, perché ho la tessera del Club di Topolino, e il Club non ha mai siglato i protocolli del 1949. Straccerò la tessera, però secondo me non è giusto. Avevo sentito parlare da qualche parte di Diritti dell’Uomo.

“quando la Croce Rossa ha visitato Guantanamo ha certificato che, tranne in un caso, le condizioni sono accettabili”. Croce Rossa, Red Cross.

Lincami il rapporto della Croce Rossa. Traducimelo. Sono curioso. Nel frattempo resto fedele al rapporto di Amnistia Internazionale, Amnesty International.

Riotta, e io condivido in pieno, sostiene che comunque gabbie e cappucci sono un errore.

E allora perché impantanarti in questa polemica?

…Sostenere che siano da considerare “tortura” è una stronzata.

Purtroppo è una stronzata documentata in sede di diritto internazionale.
“Tortura” è una parola importante, non una coperta che si può tirare da un capo o dall’altro. Secondo la Risoluzione Onu 3452 dicesi “tortura” la violazione delle Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners. Le trovi qui, se ti va le leggi, dopodiché sarai in grado di affermare, con coscienza di causa, se Guantanamo è tortura o no. (Temo che scoprirai che anche certe situazioni carcerarie italiane potrebbero rientrare nel concetto di “tortura”).

E poi cosa sono queste parolacce. Hai capito male. Tu pensi che questo sia un blog dove ci si diverte a insultarsi per il gusto di affermare la propria identità. Non è così. Qui c’è un umile Leonardo Non So Come che sostiene che hai deformato una notizia. Prova che non è vero, articolo alla mano. Oppure ignoralo, tanto è solo un Non So Come. Invece tu sei un giornalista stimato.
Oppure chiedi scusa: sei ancora in tempo.

Io non ce l’ho con te. Mi diverto solo un mondo a farti le pulci, a vedere che ti arrabbi.
Sono sicuro che tu puoi capirmi.

(Avvertenza: Questo mese i permalink non funzionano)

giornalisti, traduzioni

Impieghi non meglio definiti del terzo tipo
PIÙ di due milioni di tedeschi sono occupati nel settore del no-profit, nel terziario…
(Gerhard Schröder, Lo stato sociale del futuro, “La Repubblica”, 12 aprile 2001)

Due milioni di tedeschi nel terziario? Un po’ pochini.
Più probabilmente, il cancelliere si sta riferendo agli operatori del no-profit, e cioè del Terzo settore.
Del resto, di terziario non parla più per tutto il resto dell’articolo, mentre si ostina a parlare di “imprese e organizzazioni di volontariato”, “responsabilità civile”… (addirittura a un certo punto, si parla di “utili del capitale sociale che un’impresa accumula attraverso l’impegno civile”: un’allegoria un po’ inquietante).
Non resta che controllare: esiste in tedesco l’espressione Dritter Sektor?
…Pare proprio di sì. Il diagramma sopra (http://www.maecenata.de) ricorda qualcosa? Stato, economia (Wirtschaft)… e terzo settore. Insomma: tutto suggerisce una svista nella traduzione. Triste però, proprio in prima pagina. Di terzo settore si parla ormai da più di cinque anni (anche prima di Schröder). Ma ancora non sappiamo come si chiama.

Grazie a Riccardo (operatore del settore) per la segnalazione.

anglistica, Dante, il cliccatore, italianistica, poesia, traduzioni

Let’s go to Hell, boys
Buon principio di quaresima a tutti. Sì, oggi è il mercoledì delle ceneri e cercherò di essere in tema.
Venerdì scorso si parlava dei classici italiani all’estero. Mi è venuta in mente una cosa da mostrare.

“THROUGH ME ONE’S LET INTO THE CITY OF SORROW,
THROUGH ME ONE’S LET INTO EVERLASTING PAIN,
THROUGH ME ONE JOINS THE THRONGS THAT LOST THEIR MORROW.

JUSTICE MOV’D MY HIGH MAKER, NOT DISDAIN;
BY DIVINE POWER WAS I MADE, AND BY
SUPERNAL WISDOM AND FIRST LOVE SOV’REIGN.

NO THINGS WERE MADE, ERE CREATED WAS I,
IF NOT ETERNAL, AND ETERNAL I LAST:
LAY DOWN ALL HOPE, YE WHO STEP IN, AND CRY”.

My eyes upon these dark-hu’d words ran fast
That high above a door were hewn in writ;
So “Hard” I said “on me their sense is cast”.

Può piacere o non piacere (a me piace), ma credo sia comunque facilmente riconoscibile. È il principio del terzo canto dell’Inferno, tradotto in inglese. Fin qui nulla di straordinario. La traduzione rispetta però tutti i vincoli metrici dell’originale: la rima è concatenata e il verso è il pentametro giambico (il verso inglese più simile all”endecasillabo dantesco). E già questo sarebbe un exploit notevole. Infine: il folle (italiano) che ha fatto questo non si è limitato a quattro quartine, ma ha tradotto l’intera Commedia, Hell, Purgatory e Paradise, tutto.
È un’altra incredibile produzione wordtheque! Non ci contattano soltanto pazzi pericolosi, ma anche pazzi a loro modo ammirevoli, come questo ingegner Fanelli di Firenze, ex maestranza Enel, autore di svariate pubblicazioni di idraulica, che nel tempo libero si diletta di architettura, computer graphics, e traduce Dante verso per verso. Senza gridare al miracolo, come tanti autori di romanzi di sicuro successo.
The power of Dante’s language, dichiara, is so irresistible that sometimes, somehow, it can suddenly shine through this opaque screen. When it does, it gives the rash craftsman an exhilarating thrill. I hope that these few shafts of light can also break through to some of the readers (if any).
Io non ho la competenza né il tempo per verificare se l’inglese di Fanelli funzioni, ma mi piace pensare di sì. Tanta pazienza e modestia meritano menzione. Fate girare la notizia. Avete amici anglofoni che vorrebbero leggere Dante? Creiamo un piccolo caso net-editoriale… Let’s go down, boys, let’s go hell!

anglistica, cultura, preti parlanti, ragazzini, rap, razzismi, traduzioni

“Perché – si chiede monsignor Frisina – presentare con tanta leggerezza e facilità personaggi così negativi come Eminem, che incitano alla violenza contro i genitori, all’odio razziale, alla trasgressione? È un problema della Rai, ma anche le tv private non possono sottrarsi alla grave responsabilità di essere più attente ai contenuti dei programmi”. Don Sciortino, si chiede, a sua volta, “perché Sanremo va a cercarsi grane con un personaggio simile solo per inseguire una discutibile audience? È grave.

Ma è poi così scandaloso Eminem?
Può anche darsi che inciti “alla violenza contro i genitori, all’odio razziale, alla trasgressione”. In inglese. E a noi italiani cosa resta? Un vago abbaiare anglofono su basi ben confezionate, in una manciata di video simpatici. E un’immagine di orgoglio razziale, questa sì preoccupante: vedete, anche un bianco può fare il rap (Eminem non è un tipo qualunque: è il bianco qualunque).
Ma qualcuno si è veramente preoccupato di tradurre i testi di Eminem? I ragazzini vegliano la notte compulsando il booklet del CD con a fianco l’Hazon Garzanti? Ma dai.
Io da piccolo ero andato a ripescarmi The End dei Doors, dove c’è quel verso che dice “Father – yes son? – I want to kill you”. Ma era un inglese molto basico, come si vede. Invece non riuscirò mai a capire chi ascolta rap inglese in Italia. Bisogna avere una conoscenza della lingua, e perfino della cultura, molto approfondite, per capirci qualcosa.
Altrimenti, si simula. Ci si affeziona a qualcosa perché ci hanno detto che è bello. Ci si scandalizza, perché ci hanno detto che è scandaloso. Ama, odia, scandalizzati, consuma, crepa. Che lo facciano i ragazzini, passi. Ma anche i vescovi. Tirando fuori anche quello che è successo a Novi Ligure. Per carità d’Iddio.