C’è chi dice che siamo alla barbarie. C’è chi ribatte che ci siamo sempre stati. Una delle tendenze più interessanti del blablà mediatico-parlamentare degli ultimi giorni è il tentativo di trovare antecedenti nobili alle scemenze che diciamo o facciamo: ad esempio “Boia chi molla” dovrebbe cambiare del tutto sapore se invece di essere stata pronunciato da un qualunque fascista fosse un motto della Repubblica Partenopea del 1799 – anche se probabilmente non è vero. Il turpiloquio in parlamento diventa accettabile se si riesce a dimostrare che anche Sandro Pertini ha chiamato ai suoi tempi “carogna” e “porco” un presidente di Senato: e tuttavia la fondazione che porta il suo nome nega che sia successo… ma Vito Crimi conferma di avere trovato la citazione in un libro di parolacce parlamentari. Nel frattempo Beppe Grillo è già oltre: ieri salutava i lettori nella sua homepage con un discorso del… 20 aprile 1653. È la celebre sfuriata con cui Oliver Cromwell sciolse quel che restava del parlamento inglese. Direttamente dal sito di Beppe, un documento sempre attuale:
“È tempo per me di fare qualcosa che avrei dovuto fare molto tempo fa: mettere fine alla vostra permanenza in questo posto, che avete disonorato disprezzandone tutte le virtù e profanato con ogni vizio; siete un gruppo fazioso, nemici del buon governo, banda di miserabili mercenari; scambiereste il vostro Paese con Esaù per un piatto di lenticchie; come Giuda, tradireste il vostro Dio per pochi spiccioli. Avete conservato almeno una virtù? C’è almeno un vizio che non avete preso? Il mio cavallo crede più di voi; l’oro è il vostro Dio; chi fra voi non baratterebbe la propria coscienza in cambio di soldi? È rimasto qualcuno a cui almeno interessa il bene del Commonwealth? Voi, sporche prostitute, non avete forse profanato questo sacro luogo, trasformato il tempio del Signore in una tana di lupi con immorali principi e atti malvagi? Siete diventati intollerabilmente odiosi per un’intera nazione; il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie, siete voi ora l’ingiustizia! Basta! Portate via la vostra chincaglieria luccicante e chiudete le porte a chiave. In nome di Dio, andatevene!”
Come quasi tutti i discorsi memorabili, è una ricostruzione a posteriori: non esistono trascrizioni, e a detta dei testimoni, Cromwell parlava a braccio. Secondo alcuni storici fu persino meno diplomatico di così: definì Henry Vane il Giovane un ciarlatano (“jugler”), Henry Martin e Sir Peter Wentworth due magnaccia (“whoremasters”), Thomas Chaloner un ubriacone “drunkard”. Non siamo ai livelli dello pseudo-Pertini, ma è pur sempre l’Inghilterra della rivoluzione puritana.
Peraltro a quel punto Cromwell avrebbe potuto dire o fare quel che voleva: i parlamentari stavano davvero lasciando i loro seggi, non perché colpiti al cuore dalle furenti parole del Beppegrillo del Seicento, (continua sull’Unità, H1t#217) ma perché nel momento in cui Cromwell si era alzato per interrompere la seduta un plotone di moschettieri era entrato nella sala e li stava circondando. In effetti quella che può sembrare la nobile tirata di un cittadino oppresso da un parlamento corrotto e impresentabile, è viceversa il primo proclama di un dittatore militare insofferente nei confronti di un’assemblea che aveva già purgato l’assemblea di metà degli eletti, e che ancora non riusciva a controllare. Henry Vane stava per far passare una riforma elettorale che avrebbe ridisegnato in modo razionale i distretti e avrebbe reso possibile una consultazione realmente repubblicana. Cromwell non sembrava interessato (“Henry Vane, Henry Vane! Dio mi liberi da Henry Vane!”): irruppe nel parlamento coi moschettieri e invitò i rappresentanti a lasciare il posto a “uomini più onesti”.
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