Su Lucio Dalla in questi giorni è stato detto tutto di tutto, vero? No, sbagliato. Ci sono cose che persino nel coccodrillo più accurato non avete letto, per il semplice motivo che nessuno le sa – o chi le sa ha la consegna di tacere. Ve ne allungo qualcuna, senza la pretesa di far luce su nessun mistero: mi limito a far notare che di misteri ce n’è: ed è abbastanza intrigante, se si pensa all’uomo. Se si eccettua qualche strofa di Com’è profondo il mare, Dalla non ha mai coltivato l’ermetismo chic di molti suoi colleghi (vien subito in mente De Gregori, che con gli anni comunque si è molto aperto): era uno che potevi incontrare davanti alla vetrina di un negozio di strumenti musicali o in piscina e nei limiti del possibile se lo salutavi ti salutava; dava l’impressione di sentirsi a suo agio in mezzo alla gente, e la coda che vedete in Piazza Maggiore lo testimonia. In questi giorni si sono rilette diverse interviste e sembra proprio che Dalla avesse sempre da offrire all’interlocutore qualcosa di nuovo, qualcosa di suo: non era il tizio che ribadisce sempre i tre concetti e i due aneddoti e fa il muro su tutto il resto. E però a un certo punto un muro evidentemente c’è, perché noi tante cose di Dalla non le sappiamo e forse non le sapremo mai, per esempio:
1. Come ha fatto a diventare il più grande cantautore italiano nel giro di pochi mesi?
I termini della vicenda sono noti. Fino ai tardi anni Settanta Lucio Dalla ha scritto diverse musiche e almeno il testo, molto curioso, di una canzone (La capra Elisabetta), sepolta in un vecchio LP che non si è comprato nessuno (Terra di Gaibola). Ai più è noto come musicista e interprete; un ruolo simile a quello del diversissimo Lucio Battisti, salvo che quest’ultimo ha un sodalizio ormai stabile con il demenziale Mogol, mentre Dalla le sta provando tutte per rendere cantabili le strofe del poeta Roberto Roversi, in tre dischi che sono forse l’ultimo posto in cui la Musica italiana e la Poesia italiana sono state viste assieme. A un certo punto il sodalizio con Roversi si interrompe e Dalla si improvvisa cantautore, una cosa che praticamente non aveva mai fatto. Il problema, che credo abbia turbato molti suoi colleghi e persino me, è che il modo in cui si improvvisa cantautore è Com’è profondo il mare, cioè l’eccellenza assoluta nella categoria, sin dalla prima strofa che descrive l’insonnia e tante altre cose ma è anche come se dicesse: cari amici cantautori, fin qui abbiamo scherzato, ma se volete venire a prender lezioni io ne ho qui per tutti quanti, prendi questa Francesco, prendi questa Fabrizio, porta a casa Antonello eccetera.
Siamo noi
Siamo in tanti
Ci nascondiamo di notte
Per paura degli automobilisti
Dei linotipisti
Siamo i gatti neri
Siamo i pessimisti
Siamo i cattivi pensieri
E non abbiamo da mangiare
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare
Non so se avete presente quella scena nei film americani in cui una ragazzina che fino a quel momento non aveva mai provato i pattini / la ginnastica acrobatica / la danza moderna / il softball fa un tentativo e bum! diventa campionessa assoluta del mondo mondiale, queste cose capitano appunto soltanto nei film americani per teenager e nella vita di Lucio Dalla, che ha cominciato a scrivere testi, immaginate, a 35 anni, e ha cominciato direttamente dai capolavori (tutto quel disco sembra scritto da un signore che abbia la lingua italiana a sua immediata e completa disposizione). Non lo so, avete delle ipotesi? Vuoi dire che se le scrivesse già da prima intestandole a dei prestanome perché era timido? O che sono davvero tutti buoni a fare i parolieri, che ci vuole? Non lo sapremo mai. Qualcuno di voi ha 35 anni e non ha mai scritto una canzone in vita sua? Controlli se per caso non è il più grande paroliere degli anni Dieci, magari ci fa un favore a tutti.
2. Chi amava Lucio Dalla?
La risposta più sensata alla domanda rimane ovviamente Cazzi Suoi. Però un minimo di curiosità per uno che ci ha dispensato tante canzoni d’amore potete concedercela, o no? E insomma, quando muore un cantante giovane tutti sul palcoscenico vanno a dire “Sono stato io suo padre”, purché lo spettacolo non finisca; qualcuno che in questi giorni salisse a dire: ci sono stato assieme, poi eventualmente ci siamo lasciati, non credo che creerebbe problemi a nessuno. Fino a quel momento tutti hanno, sulla sessualità di Lucio Dalla, divertenti teorie basate su sentiti dire, supposizioni ed esegesi di canzonette. Non c’è nulla di male, in fondo è un personaggio pubblico, aveva diritto alla sua privacy e noi avevamo diritto a ricamarci su. Io magari eviterei di saltare violentemente a certe conclusioni, come fa per esempio Aldo Busi, scagliandosi contro una specie di traditore della causa LGBT, uno che
mai nulla ha espresso contro l’omofobia di matrice clericale che impesta il suo Paese, che mai una volta ha preso posizione aperta per i diritti calpestati dei cittadini suoi simili di sventura politica e civile e razziale, un tipo così che, per esempio, scrive e canta il suo amore per una donna viene prima (per mediocrità di carattere, ipocrisia deliberata, amore del quieto vivere a discapito di chi lotta per i suoi stessi diritti da lui per primo negati) della bellezza o bruttezza della sua dedica impropriamente musicata. Non vedi l’omaggio alla donna, vedi la ridicola falsità e la necessità estetica per conto terzi che vi soggiace.
Magari semplicemente era bisessuale e se gli andava di scrivere una canzone d’amore a una donna lo faceva. Anche perché prima di qualsiasi preferenza sessuale era un professionista, Lucio Dalla, e le canzoni le scriveva pensando al suo pubblico, non necessariamente a sé. Capisco che per uno scrittore gay sia normale considerare sé stesso in quanto gay e attingere soltanto al comunque cospicuo bacino di lettori gay: ma Dalla era un cantante, e un elemento comune a tutta la sua sinusoidale carriera è stato il tentativo di portare musica e contenuti di qualità al pubblico più vasto possibile, entrare negli stadi e suonarci il jazz. Una cosa difficile da coniugare con la militanza gay, specie negli anni Settanta. Probabilmente Busi lo avrebbe preferito ostracizzato ed emarginato come Bindi: come se poi le difficoltà di Bindi avessero in qualche modo reso anche un minuscolo servizio alla causa LGBT; a me sembra di no. Io poi sto cominciando a pensare che i veri danni alla causa in questione, non li fanno tanto i gay che tacciono, ma Aldo Busi ogni volta che parla.
3. Perché a un certo punto ha smesso di interessarci?
Indubbiamente questo è successo. Ma quando, e perché? Domandate a qualsiasi vedovo Dalla che in questi giorni vi strazia canticchiando Te voijo bene assai se conosce il suo ultimo album di inediti, se ha intenzione di procurarselo: per i più curiosi rimando al buon Madeddu:
l’ultimo disco di Lucio Dalla Angoli nel cielo è stato un flop quasi spiazzante. Entrò in classifica all’inizio del novembre 2009 al n.18. Nemmeno in top ten. Sapete quante copie servono per entrare in top ten a inizio novembre? No, meglio che non lo sappiate. La settimana successiva scese al n. 27 nonostante un singolo grazioso (Puoi sentirmi?) Poche settimane dopo fu annunciato che Dalla e Francesco De Gregori sarebbero tornati insieme.
Una specie di pregiudizio non ostile, ma piuttosto annoiato, si era deposato anche davanti alle lenti dei critici. Il mese scorso Rolling Stone Italia pubblicò la classifica dei cento dischi che, secondo una giuria selezionata, avevano fatto il rock italiano. Al primo posto c’era Bollicine, un disco degli anni Ottanta con sonorità e concetti che devono tantissimo a Dalla e al suo entourage del periodo. Ma Dalla Dalla dov’è? Al numero quaranta, tra Frankie Hi-NRG e gli Afterhours. Sette posti sotto agli Allegri Ragazzi Morti, diciassette posti sotto agli Offlaga Disco Pax, che, con tutta la buona volontà di questo mondo… ma cos’è successo all’eredità di Dalla da renderla più indigesta dei contemporanei Battiato o Battisti, che sono ai primissimi posti? Chi ha ancora qualche vago ricordo vissuto dei primi Ottanta (e la giuria in questione doveva averceli, o non avrebbe votato compatta per i Diaframma in top ten) sa bene come Dalla in quel periodo non fosse assolutamente discutibile: era l’avanguardia ed era il pop, era il jazz ed era il rock, stava per essere anche il funk e il rap, riempiva gli stadi e scriveva i testi più belli in circolazione. Poi cosa diavolo è successo, e quando? La parabola discendente è stata lunga e lenta: parte da alcuni dischi non brutti ma senza niente di nuovo, e contiene un paio di incidenti di percorso che Battiato per esempio non ha commesso: Caruso, appunto, e Attenti al Lupo. Con quei due pezzi Dalla ha forato definitivamente dal pop al nazionalpop, e le giurie scelte si vede che non gliel’hanno perdonato. Lui poi secondo me se ne fregava, continuava a scrivere quel che gli pareva e a vivere il meglio che poteva. Anche se i due pezzi in questione era probabilmente giunto a detestarli anche lui, che c’entra, la gente li voleva e lui li cantava: si chiama professionismo.
4. Di chi parla Cara?
Per quel poco di statistica che posso estrapolare dalla mia vita, Dalla piaceva più alle ragazze; e la canzone di Dalla che piace più alle ragazze (e che fa prevedibilmente incazzare Aldo Busi) porta il banalissimo titolo Cara: parla di una ragazza che mangia il gelato mentre noi moriamo d’amore fuori tempo massimo. In questo live veramente Dalla spiega che all’inizio portava l’invendibile titolo Dialettica dell’immaginario, poi “un uomo rozzo” ha cambiato il titolo. Chi era l’uomo rozzo? E la ragazza del gelato? Io a dire il vero una storia la so, però me l’ha raccontata mio cuggino, quindi non posso metterla qui. Peccato perché è una bella storia. E secondo me non offende nessuno. Insomma, chi sa parli.
5. Ma Sanremo, ma Carone, ma cosa diavolo.
Non lo so. Non lo sapremo mai. A me piacerebbe che le cose stessero come le scrisse a caldo Gilioli:
Lucio Dalla, tra pochi giorni, entrerà nel settantesimo anno d’età. Nella sua vita ha cantato, vinto e venduto tutto quello che poteva cantare, vincere e vendere.
Ieri sera era così: a fare da corista, spalla e maestro di un ragazzo di 23 anni.
Tutto giusto, tutto bello, tranne ahinoi il pezzo, che non era un granché. Io poi se mi sforzo riesco a leggere una specie di continuità: Dalla si tenne sempre lontano dalla politica politicata, ma quando andò a Sanremo cercò di portarci i lembi della società meno presentabile: ladri puttane e barboni. De Andrè, per dire, si teneva a rispettosa distanza, e le radio non lo trasmettevano: Dalla invece ci andava, cambiava il titolo di Gesubambino per evitare le censure, era disponibile al compromesso con la Rai-di-Bernabei, però voleva mostrare quell’Italia lì e in un qualche modo rappresentarla: Gesubambino era nato lo stesso giorno del suo compleanno. Carone, quarant’anni più tardi, ha portato all’Ariston gli stessi argomenti. Non sono più censurati, non polarizzano neanche più la polemica come invece riusciva a fare Povia parlando di gay o eutanasia, però forse a Dalla non interessava lo scandalo, bensì l’argomento. E Carone che canta l’amore per una stradale magari non è uno choc per noi trentaquarantenni, ma lo è per i messaggiatori degli Amici di Maria. Senz’altro a Dalla non dava nessuna noia collaborare con qualcuno proveniente da quello o da un altro carrozzone televisivo: anche lui aveva avuto una storia complicata, anche lui era diventato un personaggio tv ben riconoscibile molto prima di cominciare a vendere dischi come il pane. L’unica vera tristezza, alla fine, è che l’ultima canzone di Dalla non fosse un granché. Questo non è nemmeno un mistero, non più del solito: anche i più bravi in assoluto a un certo punto non lo sono più. Le cose vanno così e non dico mica che sia giusto, anzi.

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