[Questa è la Gara delle canzoni di Franco Battiato, ma anche delle canzoni di Manlio Sgalambro, di Giusto Pio, con qualche incursione occasionale delle canzoni di Jacques Dutronc, di Ennio Morricone, perfino delle canzoni di Maurizio Costanzo].
1967: Il mondo va così (Buffoli, Dutronc, Lanzmann, Pagani, #222)
1980: Frammenti (Battiato/Pio, #94)
Perché, bella ragazza padovana, ti vuoi fare una comune giù in Toscana? A volte mi domando se Patriots non sia il disco fondamentale non dico per “capire Battiato” (il presupposto sarebbe che non c’è poi molto da capire), ma per interpretarlo in senso postmoderno. In Patriots Battiato gioca ancora allo scoperto, in seguito sarà più sgamato; però se conosci questo disco i successivi li ascolti in un modo diverso: sai di avere davanti un manipolatore, un interpolatore, uno che sta giocando. In Patriots ritorna quel procedimento di cut-up che aveva adottato a partire da Clic, quando i suoi dischi cominciarono a somigliare a un flusso di trasmissioni radiofoniche captate a caso, anche se stavolta il collage è confinato al livello testuale (la musica, nel caso di Frammenti, è il solido rock che Radius ha portato nel progetto con l’Era del cinghiale bianco, sporcato appena dai synth ancora analogici di Battiato). Tutto è citazione, brandello strappato da un palinsesto, che accanto ad brandelli lascia intendere barlumi di significato probabilmente illusori (“i cipressi che a Bolgheri alti e schietti vanno da San Guido in duplice filar hanno veduto una cavalla storna riportare colui che non ritorna”). La cultura è il più delle volte scolastica, c’è Proust ma più spesso Carducci ed è tutto mescolato a banalità colloquiali (“che gran comodità le segretarie che parlano più lingue”). Non è che Battiato non abbia niente da dire, ma è notevole come riesca a dirlo con le parole altrui, anche lise dall’uso.
1996: Memorie di Giulia (Battiato/Sgalambro, #163)
La mia memoria trae fuori i ricordi da un cappello, senza che io sappia perché questo e non quello. Memorie di Giulia è uno dei primi brani composti per L’imboscata (era già pronto nel maggio 1996, quando Battiato lo eseguì sul sagrato del Duomo di Noto). È uno dei più simili ai brani dell’Ombrello, ovvero la musica per quanto ispirata è concepita in funzione del testo di Sgalambro. Il quale testo, purtroppo, è terribile: la classica miscela sgalambriana di immagini un po’ kitsch, vecchia scuola ma efficaci (“O memoria perché mi inganni, perché come se fossi vento mi butti questa polvere negli occhi”) e comicità involontaria (“accarezzavo le tue ginocchia e il tuo semplice cuore era contento”). Il tutto rifacendosi a Leopardi, come se fosse facile, e in effetti è facile rifarsi a Leopardi e rendersi ridicoli. Probabilmente non è né il tempo né il luogo, ma prima o poi dovremo affrontare questo aspetto: Sgalambro è un cattivo poeta. Ce ne sono sempre stati, ma a volte mi domando se non sia inevitabile trovarne sempre di più, man mano che la tradizione letteraria diventa più pesante da portare sulle spalle, ovvero, mettetevi nei suoi panni: ti è morta un’amica adolescente. Ne vuoi parlare. Giusto, in effetti la poesia serve a questo. Il problema è appunto che in mezzo c’è Leopardi. Puoi far finta di non aver mai letto A Silvia? No, non puoi. Puoi citare Leopardi senza sembrare un piccione su un monumento? Nemmeno. E quindi che fai? La maggior parte di noi smette di scrivere poesie, è andata, ormai gli ultimi posti sono stati presi, Sereni, Zanzotto, Sanguineti, capolinea. Chi rimane? Gli ignoranti veri, gli imbecilli e gli incoscienti. Sgalambro non era affatto ignorante e nemmeno imbecille. Probabilmente Battiato amava la sua incoscienza. Dovrei amarla anch’io, ogni tanto ci provo. In attesa dei barbari che distruggano tutto e poi si può ricominciare da capo con la poesia, la musica, ecc. (Molti barbari non sanno di esserlo, credono anzi di essere sulla frontiera ad aspettarli, tipo Stilicone, o Baricco. O Sgalambro, appunto).
2015: Se telefonando (Costanzo/De Chiara/Morricone, #35)
“Ho voluto rendere giustizia a quella canzone. Quando venne pubblicata io lavoravo in corso Vittorio Emanuele, a Milano. La sentii e ne rimasi sconvolto e affascinato. E fui molto deluso quando scoprii che era sparita dalle classifiche poco dopo essere entrata soltanto al quindicesimo posto. Una vera ingiustizia”. Vedi come mille soddisfazioni nella vita non riusciranno mai a ripagarti di un singolo torto subito nella giovinezza? Voglio dire, come si fa nel 2015 a essere arrabbiati perché nel 1966 Se telefonando non aveva venduto molto? E non importa cos’è successo dopo – le mille volte che l’abbiamo sentita in radio e a techetechté, le ottocentomila cover tutte di successo (quella di Battiato sta tra i Delta Vu e Nek, e funziona come richiamo all’ordine: no, non è un ballabile, è un Lied, un capolavoro minimalista di tre note, una strofa e due ritornelli). Ma non importa, nel 1966 non piaceva abbastanza e questa cosa cinquant’anni dopo è ancora per Battiato una vergogna. Forse ogni uomo di successo continua a struggersi per una rabbia patita da ragazzino? Forse nello stesso Battiato, celebrato maestro, continuava a scalciare il fattorino che consegnava i pacchi di Nuova Enigmistica Tascabile, con allegato i 45 giri incisi da lui.
(Se telefonando è un paradosso, una persona che grida a un’altra persona la sua impossibilità di comunicare con lui, l’istantanea di un pusillanime che non ha il coraggio di lasciare una persona neanche al telefono, una canzone che è impossibile non immaginare rivolta a sé stessi, perché la persona a cui è destinata non è previsto che l’ascolti. L’esatto opposto della protagonista di Insieme a te non ci sto più, che ti lascia col sorriso in faccia e vuole pure convincerti che non ti sta facendo male. Battiato ha cantato meglio Insieme a te, ma è più facile immaginarselo mentre non ti telefona e si strugge dentro).
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