Il diritto di contare (Hidden Figures, Theodore Melfi, 2016)
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WE ARE THE COMPUTERS. (COLOURED COMPUTERS). |
Lo sapevate che nei primi tempi della Corsa allo Spazio, la NASA non aveva ancora un computer; non riusciva a installare l’IBM che aveva ordinato per una serie di disguidi tecnici, ad esempio era troppo grosso per passare dalla porta? E lo sapevate che nel frattempo i calcoli li facevano a mano, più spesso donne che uomini, non perché più portate ma perché (ovviamente) costavano meno? E che le “calcolatrici” bianche e quelle nere a Houston stavano in edifici separati? E che la calcolatrice più brava si chiamava Katherine Jones ed era stata ammessa al padiglione centrale, dove ricalcolava tutti i numeri necessari a mandare la capsula di John Glenn in orbita, ma quando le scappava la pipì, essendo nera, doveva farsi un chilometro a piedi per trovare il bagno segregato? Non lo sapevate?
Bene, perché in effetti non è successo.
Ma in fondo è successo qualcosa di simile ad altre, quindi tutto sommato va bene così.
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Ti ci mando io in orbita, baby. |
Povero Theodore Melfi, poveri produttori. Io me li immagino, un anno fa, mentre si dicono: che ci vuole a far man bassa di Oscar? Quest’anno sono tutti preoccupati perché non sono riusciti a candidare nemmeno un attore afroamericano. Bella gaffe. Quindi adesso noi troviamo una storia di afroamericani – no, non basta, devono essere ancora più minoranza, diciamo una storia di donne afroamericane. Di più. Donne afroamericane e matematiche – i matematici funzionano sempre nei film da Oscar, non c’è un motivo, è così e basta. Sono esistite importanti matematiche afroamericane? Sì. Hanno fatto qualcosa di importante? I calcoli della corsa allo spazio. Vabbe’, ma è un film che si scrive da solo. Praticamente ti danno una nomination anche solo a pensarci. Chi lo può battere un film così, nel 2017? Chi?
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Dove nessun uomo è andato prima, o almeno io su quel piolo non ci ho ancora avuto il coraggio. |
…Poi arriva un mezzo sconosciuto, un carpentiere, e con due soldi ti gira a Florida un film autobiografico di afroamericani gay spacciatori, santo dio, di tutti gli anni proprio nel 2016 doveva uscire Moonlight e vincere quell’Oscar? Posso dirla grossa? È un po’ un furto. Non perché Hidden Figures sia un film migliore. Ma gli Oscar si danno a Hollywood, sono l’annuale celebrazione del cinema di Hollywood, e Hidden Figures è dieci, cento volte più hollywoodiano di quello strano frutto europeo trapiantato in Florida che è Moonlight – quel tipo di film che ti mostra il mondo nei suoi lati peggiori, ti fa sentire un po’ in colpa e un po’ sollevato per essere nato altrove, e poi si congeda senza nessuna parola di consolazione. Premiateli a Cannes, quei film lì. Là vanno matti per i marciapiedi sbeccati e l’odore di muffa degli appartamenti sfitti, c’è un trenino che parte ogni ora, la gente scende dagli yacht e va al palazzo del cinema a farsi la sua gita organizzata, un’ora e mezza di povertà – tre ore se lo spettacolo è doppio – dev’essere corroborante. I film americani sono diversi, perlomeno una volta lo erano. Non mostrano il mondo brutto com’è – in generale gli spettatori non hanno bisogno che qualcuno glielo ricordi – ma come dev’essere. Forse non c’è mai stato un direttore della Nasa a forma di Kevin Costner che prende a mazzate il cartello “bagno riservato alle donne di colore”, ma avrebbe dovuto esserci. Deve esserci. Dobbiamo mostrarlo al cinema finché non prende forma nella realtà. Fare finta finché non diventa vero. Print the legend. Dici che è più propaganda che cinema? Va bene. C’è gente a cui interessa più cambiare il mondo che cambiare il cinema, tutto qui.
Io insegno in una scuola e ogni tanto mi capitano ragazze che quando vogliono fare una domanda, esordiscono dicendo: “Non ci capisco niente”. E tutte le volte: ma perché dici così? (Continua su +eventi!)
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Figurati che da me le ragazze quando alzano la mano esordiscono dicendo: “Posso andare al bagno?”. E quando escono da quella porta è come se andassero al bagno delle ragazze di colore, a un chilometro di distanza.
Sei uno fortunato tu.
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…è che quelli oltre a essere negri, so' pure…
oggigiorno nun c'è partita.
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Interessante questa tua tesi che Hollywood abbia interiorizzato il pallino di Umberto Eco secondo cui la semplice narrazione avrebbe il potere demiurgico di piegare lo spaziotempo fino a farlo aderire ai fatti inventati. Non so se il professore ne sarebbe lusingato, ma l'idea ha almeno il merito, amaro ma pur sempre merito, d'avermi fatto ricordare quanto mi manca
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