
Doppio Gioco (Shadow Dancer, James Marsh, 2012)
Quant’è difficile essere mamme in carriera, Colette lo sa. Se poi la carriera è quella di terrorista nell’IRA, in una cellula che è una piccola impresa di famiglia, prima o poi un guaio ti capita. Non puoi neanche dire a tuo figlio ciao, torno a fine settimana perché devo piazzare una bomba nella metro di Londra. E poi ti distrai, ti dimentichi di attivare il timer, ti fai prendere dai tizi dell’antiterrorismo che ti propongono di fare il doppio gioco, e a quel punto il casino si triplica: mamma, terrorista IRA e doppiogiochista di Sua Maestà, mai un momento per te. Che vita di merda, alzarsi al mattino, preparare la colazione, calzare il passamontagna, tradire i fratelli senza farsi ammazzare… C’è un modo per uscirne? Certo che c’è, Colette. Magari però ci ha già pensato qualcun altro prima. Doppio gioco è un film lento, di una lentezza inespressiva: non è che mostrando tutti i corridoi che deve attraversare l’agente Clive Owen ti si aumenti in qualche modo la suspense. E non c’è bisogno di tenere la camera fissa sullo sguardo sbarrato di Andrea Riseborough per capire che è una madre esaurita, una terrorista stanca e una bravissima attrice. Gillian Anderson per contro (proprio lei, Scully) compare per pochissimi minuti e dice le due battute più importanti di tutto il film.

Il fatto è che Doppio Gioco è quel classico film lento per il puro gusto di esserlo: così lento che mentre lo guardi vorresti fare l’esperimento di prenderne una copia e tagliare un fotogramma su due. Si salverebbero quasi tutti i dialoghi e gli snodi dell’intreccio, andrebbero persi un sacco di silenzi, scale e corridoi. E avremmo un film tv da 45 minuti, perfetto per una prima serata con tre break pubblicitari. Poi magari bisognerebbe stare attenti davvero a tutto quel che succede sullo schermo. Invece Doppio gioco è così lento che finisce in una nuova categoria, film che puoi guardare mentre scarichi la posta e controlli gli aggiornamenti sui social. Tanto nella saletta piccola del Cinelandia di Borgo, alle dieci e mezza, chi vuoi che si lamenti. Ti siedi in fondo e puoi persino farti una partita a ruzzle mentre Colette riflette se tradire o no i fratelli terroristi. Magari ti perdi un paio di scambi di sguardi intensi, pazienza, tanto se non sei un deficiente totale hai già capito chi è il secondo infiltrato mezz’ora prima di Clive Owen – che di conseguenza non è che faccia fare all’antiterrorismo britannico una gran figura. Ma la debolezza sta nella storia. Il solito problema: nel romanzo di Tom Bradby c’era ciccia per cinquanta minuti, ma per andare in sala ce ne volevano ottanta. James Marsh è un bravo regista – ha stra-meritato l’Oscar per il suo documentario Man on Wire, sul folle acrobata che camminò su un filo sospeso tra le Twin Towers – ma non ha i mezzi per mantenere l’attenzione più di quanto la storia non meriti.

Bisognava mettere altra carne al fuoco, magari approfittarne per raccontare ai non-britannici e non-irlandesi che cos’è davvero l’IRA e cosa stava succedendo nell’Ulster degli anni Novanta, durante un processo di pacificazione che ovviamente stava innervosendo i duri e puri. Invece Doppio Gioco è un film brittocentrico, che dà tutto per scontato, a rischio di sbattere contro una cortina continentale di indifferenza. Un peccato: avremmo bisogno di più film così, ambientati in un tempo neanche tanto lontano, in cui i terroristi erano bianchi. Non olivastri, non islamici, anzi biondini e devoti al crocifisso.
Doppio gioco stasera è ancora al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo, alle 20:10 e alle 22:35. Se vi interessa è il caso di affrettarsi