Mi me son fato ‘na lengua mia

(2013. Il mondo non è finito, purtroppo, e così i leghisti sono rimasti al potere. Trieste, sede della Regione, Assessorato alla Pubblica Istruzione:)

“Ventiquattro. No! Daccapo. Per uno, sette; per due quattordici; per tre ventuno, per quattro… per quattro… Maledigne!”
Toc, Toc.
“E adesso chi è?”
“Commissario, avremmo un problema”.
“Adesso no, sono impegnato. Sto ripassando la tabellina del set…”
“Il fatto è che tra gli aspiranti insegnanti per la regione Friuli Venezia Giulia c’è un candidato che ci sta dando dei grossi problemi”.
“E alore bocciatelo, che problema c’è”.
“Ecco, il punto è proprio questo. Non possiamo bocciarlo. Ha superato tutti i test senza fare un errore”.
“Non capisco. Se è così bravo che problemi vi dà? Come si chiama?”
“Totò di Gennaro”.
“Ah, forse ho capito. Totò sta per Salvatore?”
“No”.
“Per Antonio?”
“Neanche. Totò sta per Totò e basta, ci ha fatto vedere i documenti, lui si chiama così. E pretende che lo assumiamo”.
“Eh, certo, poi quando si ritrovano in classe un maestro di nome Totò la colpa è nostra… va bene, ai casi estremi, estremi rimedi. Fategli il test sul dialetto”.
“Ma commissario…”
“Lo so, di solito non si fa, ma questo è appunto uno dei casi. Chiedetegli due frasi in triestino e mandatelo a casa. E se verranno i giornalisti, pazienza”.
“Commissario, non creda che non ci abbiamo già pensato”.
“E quindi?”
“Il punto è che il triestino non lo sa nessuno in commissione. Lei ne parla un po’?”
“Ma che razza di triestini siete?”
“O soi furlan, o ven di Udin”.
“Eh?”
“Dicevo che sono friulano, di Udine”.
“Ah! Ma che lingua parli?”
“Friulano”.
“Ma non mica una lingua quella lì”.
“Come no, certo che è una lingua”.
“Ma no, lo sanno tutti che vi capite a gesti, come i macachi… va bene, vengo io. Voglio proprio vedere come se la cava, il Totò Esposito”.
“Totò di Gennaro”.
“Esposito, di Gennaro, stessa roba. Faccia strada”.

(Entrano nell’aula. Al centro, una fila di esaminatori terrorizzati – tutti rigorosamente nativi della regione Friuli – Venezia Giulia. Davanti a loro, Totò di Gennaro si sta pulendo l’angolo di un’unghia con studiata non chalance. Ha appena finito di illustrare il teorema di Fermat, con una meravigliosa dimostrazione che per amor di sintesi qui vi risparmio).

COMMISSARIO: “Di Gennaro Totò?”
TOTO’: “Songhe io”.
“Lei mi sembra molto determinato a conquistare una cattedra nella nostra bella regione”.
“E cosa vuole mai, commissario… se debbo scegliere tra il Friuli e la disoccupazione…”.
“È meglio il Friuli”.
“Della disoccupazione? Mmmsì”.
“Però, vede, per insegnare qui da noi non basta conoscere le materie, anche alla perfezione, come lei… ci vuole un certo attaccamento che forse, da parte sua, ancora non abbiamo riscontrato… insomma, è sicuro di riuscire a interagire con gli studenti?”
“Ma sì, penso di sì”.
“Per esempio, metta che le chiedano che tempo fa… in triestino”.
“Sùfia ‘n’arieta cruda e piovarà diboto: se se sera el capoto, se fica le man drento”.
“Eh?”
“Le ho risposto in triestino: soffia un’arietta cruda e pioverà fra poco: ci si chiude il cappotto…”
“Ma sì, sì, ho capito… più o meno… ma i triestini di solito non parlano così”.
“Dice di no?”
“Dico di no”.
“Sulla base di quali elementi?”
“Elementi? Non c’è bisogno di elementi, sono di Trieste e lo so”.
“Mi dispiace che lei triestino sconfessi in questo modo i versi di Virgilio Giotti”.
“E chi sarebbe questo Virgilio…”
“Il massimo poeta in lingua triestina del Novecento”.
“Poeta in lingua triestina?”
“Eh, sì”.
“Ma scusi, un conto è la poesia scritta, un conto è… il dialetto”.
“In che senso?”
“Il dialetto non è mica una cosa che si può imparare a memoria sui libri… è una cosa viva, mobile…”
“Può anche darsi: però un esame è una prova oggettiva, in cui lei mi fa una domanda e io le do una risposta. E c’è un verbale scritto, dal quale deve risultare che lei mi ha fatto una domanda in triestino e io le ho risposto”.
“E lei si aspetta che noi la promuoviamo semplicemente perché ha mandato a memoria due versi di un poeta triestino che…”
“Me ‘speto senpre, ‘speto incora, che fassa l’alba, che fassa aurora, e che la vegna a dame un baso, a ufrime el so geranio in vaso”.
“Ancora questo Virgilio…”
“No, questo è Marin”.
“Marino chi?”
“Biagio Marin, uno dei più grandi poeti…”
“Triestini?”
“Ma no, non lo sente? Marin è di Grado, provincia di Gorizia. Non si parla solo triestino, nella vostra bella regione”.
“Ah, perché se io le chiedessi di parlarmi in friulano, lei…”
“Na greva viola viva a savarièa vuèi Vinars”.
“Stop. Non ci ho capito niente, ma non m’importa. Lei non può fare così”.
“Così come? Sapevo che durante l’orale era previsto un esame di dialetto e me lo sono preparato; che altro avrei dovuto fare?”
“Lei non può fingere di conoscere i nostri dialetti”.
“Io non fingo niente. Ho solo imparato le vostre poesie”.
“Le nostre poesie, fantastico, adesso solo perché stiamo a Trieste o a Grado queste sono le nostre poesie”.
“Non lo sono?”
“Per esempio, io non le avevo mai sentite”.
“Ma sono sui libri, sulle maggiori antologie della letteratura italiana, e insomma io per superare la prova di dialetto cosa avrei dovuto fare? Studiarmi quindici grammatiche diverse che non sono neanche in commercio?”
“No. No. No. Il dialetto non s’impara”.
“O bella, e perché?”
“Perché… è la lingua che uno si trova in casa… ci nasce dentro, non ha bisogno di nessuno che te la insegni, capisce? È una radice. Uno ce l’ha o non ce l’ha”.
“E quindi non c’è neanche bisogno di un maestro che ve l’insegni a scuola, no?”
“Giusto. Però comunque i maestri li vogliamo tutti radicati”.
“Comincio a capire. Vi serviva qualcosa che fosse il contrario della cultura. Qualcosa che non si può insegnare, non si può imparare, non si può comunicare. E avete trovato il dialetto”.
“Appunto”.
“Ma è solo una vostra idea di dialetto. Bastava guardarsi un po’ in giro per rendersi conto che anche i vostri dialetti sono lingue, con le quali sono stati scritti libri, che tutti possono leggere e apprezzare… persino un neolaureato avellinese, perché no”.
“Certo che voi meridionali siete tremendi. Facciamo una legge e trovate un inganno”.
“Credete che il triestino sia solo quello delle bestemmie dei bar, e ci hanno scritto poesie d’amore. Il più famoso poeta in friulano è nato a Bologna, è morto a Roma. E poi siete arrivati voi, che non sapete un cazzo”.
“Ehi, come si permette?”
“È un’espressione dialettale. Significa che vivete in una dimensione di non comprensione di sé e dell’altro”.
“Cioè in parole povere…”
“Non capite un cazzo, a un punto tale che vorreste fare esami sul cazzo che non capite. E pretendete pure di avere delle radici, le radici, ma dico io, del concime tossico sparso tutt’intorno ne vogliamo parlare?”
“L’esame è finito, può accomodarsi, grazie”.
“Un giorno o l’altro mi tornarò, / No’ vùi fra zénte strània morir, / Un giorno o l’altro mi tornarò / Nel me paese”.
“E adesso che fa… scenda da quella cattedra”.
“Dentro le pière che i gà inalzà / Su le rovine, mi cercarò, Dentro le pière che i gà inalzà, Le vecie case”.
“Dobbiamo chiamare le camicie verdi? Scenda giù”.
“Sarò pai zòveni un forestier, / Che varda dove che i altri passa, / Sarò pai zòveni un forestier, / No’ lori a mi”.
“Ma in che lingua sta parlando, qualcuno ci capisce? Sembra arabo”.

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99 risposte

  1. Fulminante…come sempre !

    Vito

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  2. Sei un genio. Uno dei pochi veri.

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  3. Molto sagace: veramente efficace. 😀

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  4. bravissimo

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  5. Stupendo, ma tanto quelli là fuori continuano a “vivere in una dimensione di non comprensione di sé e dell'altro”

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  6. cioè, non ho parole: come fai a superare te stesso in continuazione?

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  7. immenso.

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  8. Davvero bello! È stato illuminante, quasi l'inizio di un cammino spirituale verso la conoscenza… del dialetto di Gorizia.

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  9. Due domandine leste.

    Perche', in queste edificanti storielline, quelli che abitano in su (triestini, veneti, brianzoli che siano) fan sempre la figura dei cipollotti, mentre quelli che stan piu' giu' son sempre astutissimi? Solo perche' gli uni votan Calderoli? Micciche' invece fa smart?

    Perche' le richieste di attenzione alle proprie radici vengono sistematicamente sbeffeggiate se arrivano da un bergamasco, mentre provocano pensose tavole rotonde con frotte di mediatori culturali se vengon poste da, che so, un maghrebino?
    Parlare in dialetto? Ah ah ah, grasse risate.
    Imbacuccare la moglie in un burqa o tagliuzzare il clitoride alla figlia? Beh, parliamone, approfondiamo, mediamo…

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  10. Due rispostine veloci veloci:
    1) forse perchè alcuni triestini o alcuni brianzoli dimostrano con le loro teorie di fare sempre le figure da pirla? (D'altronde, uno che vota Calderoli o Bossi….)
    2)Da queste parti mi sembra non si siano mai fatte penose tavole rotonde sulle radici culturali di un magrebino.
    Secondo me tu sei un esempio evidente di non comprensione di se e dell'altro.
    Con affetto
    Zagabart

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  11. O Zagabart veloce veloce:

    1) chiedere rispetto per la propria lingua, pur se con modalita' non ortodosse, non implica pirlaggine. Cosi' come non la implica votare per Bossi e Calderoli, o almeno non piu' di quanto implichi mafiosita' il voto degli elettori di altre regioni a certi personaggi.

    2) a me par di si' e non mi risulta che la richiesta di indossare e far indossare veli, burqa o niqab venga di solito liquidata con grassa risata e ironia facilona da quelli che hanno maggior comprensione di se' e degli altri.

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  12. 1) allora rispetta l'arabo, il magrebino ed il napoletano. Ci vorranno anche test di catanese, calabrese e molisano, giusto?
    2) a me par di no, e il burqa, niqab, veli di suore e scemenze varie li liquido con grasse risate e anche un po di profonda tristezza.
    Con immutato affetto
    Zagabart

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  13. Affettuoso Zagabart (e qui chiudo lo scambio, perche' mi pare che stiamo convergendo sulla stessa boa, pur partendo da moli diversi),

    1) non ho mai scritto di non rispettare l'arabo, il napoletano o il molisano. Per carita'. Certo che quelle lingue e le rispettive culture vanno altrettanto valorizzate. Ci mancherebbe. Chiedevo solo rispetto per simili istanze provenienti da latitudini superiori.

    2) prendo atto che tu liquidi con una risata uno dei punti piu' dolenti dell'integrazione islamica in occidente. E' una posizione legittima, anche se molto simile a quella di tal Borghezio. For your information.

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  14. saluti da un neolaureato avellinese!

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  15. Chiedere rispetto per la propria lingua, quando la propria lingua è il dialetto bergamasco, non implica pirlaggine… ma aiuta.

    Anonimo, si potrebbe ribaltare tutto il tuo argomento: perché i discorsi di attaccamento alle radici fatti dai magrebini devono condurre inevitabilmente allo stagliuzzamento di clitoridi mentre quelli di Calderoli meriterebbero rispetto?

    C'è un discrimine, ovvero: quando i magrebini mostrano attaccamento alle loro radici, uno ci può anche credere (specie se sono qui da noi e hanno un po' di nostalgia). Ma quando Calderoli dice che tiene alle sue radici, tu gli credi? Qualcuno gli può credere? Il leghismo ha radici di plastica, un dialetto stereotipato post anni'60 che serve giusto per capirsi al bar sotto casa e soprattutto non capirsi con chiunque altro.

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  16. Leonardo,
    Sorvolo sulla fine battuta “bergamasco quasi uguale a pirla”. Se fatta con ironia, fa ridere quanto un rutto dei tuoi stereotipati leghisti; se fatta senza ironia, meriterebbe un vaffanculo (pur non essendo io bergamasco), ma mi limito a farmi cadere le braccia.

    Ovviamente, ribaltone per ribaltone, si potrebbe sostenere che molte richieste che arrivano dalla comunita' islamica immigrata siano altrettanto plasticose e meritevoli di niuna considerazione quanto quelle leghiste. Tu ci credi veramente che tutte le ragazzine musulmane vogliano intabarrarsi in un velo o non sia piuttosto un desiderata di qualche fondamentalista con una sua agenda politica?

    E poi tu, fratello, ci hai grande confusione in testa sul rapporto fra leghismo e genti che abitano a nord della tua linea gotica del discrimine morale.

    Cos'e' 'sto “dialetto leghista stereotipato” che ti angoscia le notti? Esistono decine di lingue e dialetti parlati da individui che ogni tanto votano per un certo partito e che, quando vanno al bar e stan fra loro, parlan un po' come cazzo gli pare. E quel certo partito per cui votano potrebbe chiamarsi Lega o PCI o PD e il concetto precedente non cambierebbe.

    Il dialetto di plastica esiste solo nei tuoi incubi e ti serve per costruirci le tue allostorie, perche' tu hai sempre bisogno di una qualche caricatura della realta' a cui calcare in testa un cappello a punta, issarla su un ciuchino e portarla in giro per le strade della blogosfera affinche' tutti possano sghignazzare e tirarle verze marce e poi andare a letto lieti della propria superiorita' etica.

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  17. non commento mai, ma sei un grande. Puro genio. Ciao da uno di Trieste.

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  18. Magnifico post.
    Tra l'altro, mi stavo chiedendo: io, piemontese nata e cresciuta in Piemonte, non so neanche una parola di dialetto. Significherebbe forse che non ho radici? Fa ridere…

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  19. Ma pure se fosse i meridionali non si faranno fregare tanto facilmente: qualche corso e/o seminario di lingue padane, qualche soggiorno estivo in loco (perchè si sa che se non si va sul posto le lingue non si imparano mai veramente: quindi invece di agosto a Londra, agosto a Brescia) e il problema è risolto

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  20. Stupendo… all'inizio mi ha fatto pensare a quel famoso episodio di Sordi con i dentoni che vuol diventare un anchorman e la commissione RAI non sa come fare a bocciarlo perché è preparatissimo. Però poi quando il tuo candidato dice “Comincio a capire. Vi serviva qualcosa che fosse il contrario della cultura…” e poi soprattuto quando dice “Non capite un cazzo, a un punto tale che vorreste fare esami sul cazzo che non capite”, il tuo racconto raggiunge un'altezza ben diversa. Molto più amaro.

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  21. Sublime, Leo. Sei proprio una sagoma, Leo.
    Oggi ci siam ritrovati al Circolo Intellettuali Barbuti, ex Dopolavoro Insegnanti Sfaccendati, e abbiamo letto il tuo post sul dialetto a voce alta. Uh uh uh, le matte risate che ci siam fatti.

    Ti prego, Leo, scrivine di piu' di posts contro i polentoni legaioli, che quelli sulla scuola e il Marinetti hanno un po' rotto il cazzo.

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  22. Piccolo divertissement, edificante ed educativo, per dimostrare che il disprezzo per gli altri, unito a stantii luoghi comuni, puo' risultare antipatico assai.

    Leo – Aaarghhh, avete letto? Avete letto cosa ha detto Calderoli?

    Collega Barbuto 1 – Leo, ma sei impazzito? Cosa urli? E metti via quel giornale, se no non finiamo piu' sti scrutini.

    Collega Barbuto 2 – Si', dai, Leo. non ti incazzare cosi' tutte le volte che leggi una dichiarazione della Lega. Sai come son fatti, no?

    Collega Baffuta – Iih, sui razzisti icci sui razzisti chilli munni…

    Collega Barbuto 1 (sottovoce) – 'azzo ha detto, Baffona?

    Collega Barbuto 2 (sottovoce) – Non so, non la capisco, il grave e' che neanche gli studenti capiscon quel che dice.

    Collega Barbuto 1 (sottovoce) – Soprattutto non capisco come han fatto a darle la cattedra.

    Collega Barbuto 2 (sottovoce) – E come facevano a non dargliela? Laureata in due anni all'Orientale di Avellino, magna cum laude, bacio e abbraccio accademico, PhD al Politecnico del Salento, prima al concorso, di ruolo a 23 anni, parla quattro lingue…

    Collega Barbuto 1 (sottovoce) – … fra cui non l'italiano, pare, eh eh

    Preside Barbuto – Aheao', cuddi statti a fagghe sempi ciuppi ciuppi vui due?

    Colleghi Barbuto 1 e 2 (all'unisono) – Ci scusi Signor Preside, ci scusi, stavamo rileggendo le valutazioni dell'alunno Franti, Signor Preside.

    Preside Barbuto – Iiih, Franti e' nu bravu guaglione

    Collega Barbuto 1 – Veramente Franti ha collezionato piu' note sul registro e denunce in questura di tutti gli studenti del Friuli messi insieme.

    Preside Barbuto – Icchicci signiffica questa cosa? A me mi sembra chi Franti i nu bravu guaglione. Chiediammoci all'insegnante di sostegnu: professoressa Franti, cummi si e' cumpurtato l'alunnu Franti durante l'annu?

    Prof.ssa Franti – L'alunnu Franti i nu bravo figghiu miu… ehm, vuleva dire, nu bravu guagliune.

    Preside Barbuto – Ecchu, vistu? I adissu nu bella caffe'. Bidellu! ATA! Bidellu!

    Bidello ATA Baffuto e Pizzuto – Aggiu chiamatu, Signor Preside?

    Preside Barbuto – Icso, purtaci nu caffe', anzi, uscimmo tutti a prenderci lu caffi!

    Collega Barbuto 1 – Hai sentito, Leo? Metti via il giornale e smettila di digrignare, che usciamo a prendere il caffe'.

    Collega Barbuto 2 – Allora ci vediamo al bar? Io passo un momento a ritirare la macchina dal carrozziere, spero mi bastino 600 euro, che stavolta Franti c'e' andato giu' pesante col cacciavite, ahime'.

    Collega Barbuto 1 – Al bar, allora. Dai Leo, togliti almeno la schiuma di bava dalla barba, sembri un pazzo.

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  23. non capisco se ci sono quattro pirla balabiutt che si nascondono dietro “anonimo” o è sempre il solito ciula balengo.

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  24. È desolante che un bel post come questo venga commentato in maniera così insulsa, da taluni anonimi in grado solo di ricondurre anche la poesia di un simile pezzo alla loro forma mentis fatta solo di polemichette e luoghi comuni.

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  25. “Sorvolo sulla fine battuta “bergamasco quasi uguale a pirla”.

    No, non è che sorvoli: è che proprio non l'hai capita.
    Non ho detto che un bergamasco è quasi un pirla; ho detto che chiedere rispetto per una lingua quando codesta lingua è il dialetto bergamasco… sì, vabbè.

    Il punto è che anche i dialetti hanno una storia: per esempio, nella storia del mio c'è il marchio a fuoco di Dante, che nel Vulgari Eloquentia lo segnala come l'idioma più rozzo che si parlasse in Italia. E ciapa sò e porta a ca' (non so come si dica in toscano).

    In seguito si è diffusa una corrente di pensiero che sostiene che bisogna raccontare a ogni paesan rifatto che il suo dialetto è nobile, bello, degno di essere insegnato… ma è una corrente di pensiero che si chiama relativismo culturale.

    Io sono relativista fino a un certo punto: il bergamasco lo trovo poco gradevole e lo scrivo.

    Il “dialetto di plastica” non è che non mi faccia dormire la notte: constato semplicemente che si tratta di un dialetto impoverito rispetto a quello che parlavano ancora i nostri genitori 30 anni fa (dal punto di vista lessicale, soprattutto). Il fatto è che ancora una generazione fa si parlava in dialetto per capirsi, tra gente che non aveva alternativa; oggi si sceglie di parlare dialetto per identificarsi in una comunità, che però è fatta da gente che conosce dialetti diversi, e che quindi ha un lessico comune limitato. Se vogliamo, è il dialetto minimo che hanno imparato gli immigrati dagli anni '70 per non sentirsi esclusi al bar (gli stessi immigrati che oggi votano lega).

    “Esistono decine di lingue e dialetti parlati da individui che ogni tanto votano per un certo partito e che, quando vanno al bar e stan fra loro, parlan un po' come cazzo gli pare. E quel certo partito per cui votano potrebbe chiamarsi Lega o PCI o PD e il concetto precedente non cambierebbe.”

    Ma guarda che il tuo non è nemmeno un concetto: è “in casa nostra facciamo quel cazzo che ci pare”. Si tratta peraltro dell'unica radice comune dei popoli padani: fateci fare in casa nostra quel cazzo che ci pare. Potrebbe essere l'articolo unico della vostra costituzione: se solo si trovasse una lingua in cui scriverlo comprensibile da Ventimiglia a Trieste. Buffo, l'unica è l'italiano.

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  26. Grande leo (e grande Noventa).

    All'anonimo che si lamenta che i meridionali vengano sempre dipinti come astutissimi: hai ragione, gente che prende i rifiuti tossici del nord, li sversa nel terreno, ci pianta le pummarole e ci si fa la conserva può davvero dirsi astuta? Quello del meridionale furbo è un mito nel quale molti di noi si cullano e che ci fa solo del male. Leo lo ha utilizzato perché era funzionale al racconto, e se invece di Di Gennaro fosse stato Parodi di Genova non sarebbe cambiato nulla. Quello del leghista tonto, invece, non è mica un mito, vedi Renzo Bossi (e non solo).

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  27. Leo sei un mito. ti sei superato ancora una volta. questo non è un post. e' un racconto che va messo su carta di giornale da godersi la domenica mattina al bar sotto casa.
    grande grandissimo Leo
    cristina

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  28. da bravo terrone che sono, i dialetti nordici mi stavano tutti antipatici; poi ho scoperto paolini e dopo le sue parole mate non so più odiare il veneto e il friulano. similmente, dopo aver visto mistero buffo persino il lumbard mi fa simpatia. l'arte unisce, chi vuol dividere è stupido di necessità.

    giorgian

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  29. Boh, a parte la solità genialità di Leonardo nel congegnare i propri post, direi che:
    1) l'insegnamento del dialetto a scuola è la negazione della scuola stessa. A cosa serve insegnare qualcosa che non è codificato? Si va a fare lezione al bar tra i vecchietti che bestemmiano e giocano a carte? Ed i giovani laureati con 110 e lode che non capiscono una parola del proprio dialetto di origine che fanno, non possono lavorare nemmeno a casa loro?
    2) Si dovrebbe valutare l'idoneità di un insegnante in base alla conoscenza del dialetto, ovvero una materia nemmeno lontanamente contemplata in alcun corso universitario?
    2) Che ne penserebbe la comunità europea? Esiste un bel pacco di leggi comunitarie sul libero scambio di merci e credo anche sulle opportunità di lavoro di professionisti e dipendenti sul territorio europeo (di cui la padania fa ancora parte, per quanto ne so).. Secondo me gli insegnanti estromessi da concorsi perchè non sanno il dialetto scatenerebbero una serie di ricorsi destinati solo ad essere vinti per poi essere assunti in barba alle leggi discriminatorie della padania.
    Potrei concludere con un bel “le solite cazzate leghiste” se non fosse che mi par di scendere pericolosamente al loro stesso livello.

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  30. Leonardo,
    leggo con interesse che il relativismo culturale non ti piace poi cosi' tanto e il discrimine ovviamente e' che non ti piace quando lo si applica per difendere cose e persone che ti stanno antipatiche.

    Nulla di nuovo sotto il cielo, soprattutto la meta' sinistra del cielo, strumenti e metri di giudizio si cambiano a seconda dell'oggetto da misurare: se un extracomunitario pretende cose assurde, opperbacco, in fondo non son cosi' assurde, relativizziam, relativizziam; se un bergamasco (a quei de berghem fischieran le orecchie ormai), avanza una qualunque richiesta, allora lo si sdegna come zotico ubriacone.

    L'elettore a basso “tenore culturale” che popola la pianura padana era un “uomo del popolo” quando votava PCI, e' un “paesan rifatto” ora che vota Lega. Sempre dello stesso individuo parliamo, ma, si sa, i tempi cambiano cosi' come i sistemi metrici, apparentemente.

    Il dialetto di plastica continua ad esistere solo nella tua testa, perche' ti piace l'assonanza con il “partito di plastica” del Berlusca.

    L'inglese parlato in India e' sicuramente un parente poverissimo del British English, ha una grammatica variabile, una pronuncia imbastardita, un lessico ridotto, ma e' adatto a fungere da lingua franca e istituzionale per popolazioni con decine di dialetti diversi. Cioe' ha molte delle caratteristiche che tu attribuisci al fantomatico dialetto di plastica, ma, nondimeno, una sua dignita' e funzione.

    Ti faccio poi sommessamente notare che l'ultima generazione che tu sostieni parlasse ancora il vero dialetto, quella dei nostri genitori (chi ha dai sessant'anni in su, cosi' a spanne), e' ancora ben viva in mezzo a noi e, se andassi alla feste legaiole, ne troveresti un ampio campione. Per loro il dialetto e' ancora significativo e infatti la lega raccoglie consenso quando ne parla, ma probabilmente a sinistra quei voti non interessano, visto che vengon da “paesan rifatti” e pure vecchi.

    Io non ho mai scritto “in casa nostra facciamo quel cazzo che ci pare”: se ti fa piacere crederlo, accomodati, cosi' puoi sparare il trito pistolotto sui “popoli padani” (che se poi non ci credi ai popoli padani, che caspita li citi ad ogni pie' sospinto, lo vedi che sei ossessionato da fantasmi).

    Relativamente parlando, poi, sempre meglio “a casa mia faccio quel che cazzo mi pare” di “a casa mia devo fare quel che cazzo pare te”.

    Nota a latere.
    Ma non sei un po' imbarazzato dal livello medio dei commenti dei tuoi fan (“grande Leo, che bellino, Leo, chi dice di no e' tonto, ciula e balabiutt”)?
    Leggo cose piu' articolate nei forum delle Winx.

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  31. Non hai capito neanche stavolta, eh.

    Non è che i bergamaschi mi sono antipatici e gli avellinesi simpatici; non è che le aspirazioni degli islamisti mi siano più simpatiche di quelle dei leghisti.

    Il punto è che io non vivo in un Paese governato da un partito islamico che vuole imporre la clitoridectomia, o un partito meridionalista che vuole imporre un test di avellinese agli insegnanti.

    Io vivo in un Paese dove una ganga di malmaturi, dopo aver fallito come musicisti (Bossi chitarra, Maroni tastiera) si sono inventati la cultura padana e l'hanno rivenduta ai ciula: e adesso governano. Bravi, sì, ma anche molto ciula quelli che li han votati.

    Per cui nessuno sta imponendo alle mie studentesse di mettere il velo, ma qualcuno sta chiudendo le frontiere e comincia a parlare di test di dialetto per gli insegnanti.

    Adesso dammi del banale, del sinistroide, del barbuto, ma io in generale preferisco prendermela con chi al potere c'è davvero e i danni ha più possibilità di farmeli.

    Se lo stesso PCI degli anni Settanta, con gli stessi “uomini del popolo”, fosse al potere oggi, e cercasse d'impormi un esame di cultura sovietica per entrare in graduatoria, io me la prenderei con loro: nella misura in cui cercassero d'impormi la loro più o meno come facevano Pazienza o Scozzari nel '77 (si parva licet). Perché non ce l'ho in particolare coi lombardi (ci vado a letto quasi tutte le sere, guarda), ma con l'arroganza.

    In più c'è una simpatia istintiva per tutti quelli che alle cosiddette “radici” devono o vogliono rinunciare.

    Il paragone tra dialetti del nord e inglese indiano mi sembra sbilenco: hai in mente un “adatto a fungere da lingua franca e istituzionale per popolazioni con decine di dialetti diversi”? A me viene in mente solo l'italiano, e quindi di cosa stiamo parlando?

    Li ho chiamati di plastica perché hanno un lessico impoverito. Giusto ieri, ti giuro, ne parlavo con mia madre – vivente, che si lamenta di tutte le parole che ogni tanto le vengono in mente e che non usa più da anni. Perché 30 anni fa il dialetto assolveva esigenze espressive che oggi sono assunte dall'italiano. Al dialetto resta spesso una funzione identitaria, come i gadget delle feste padane. Roba di plastica, appunto.

    “Io non ho mai scritto “in casa nostra facciamo quel cazzo che ci pare”…

    E poi l'hai scritto quattro righe sotto. Ma non è così che funziona, capisci? Nessuno sta constringendo i leghisti a fare cose che non vogliono. Sono loro, per adesso, che costringono gli altri. Questo rende la loro pirleria più degna di studio e di sdegno. Tutto qui.

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  32. Claudio:

    1) Sbagli a dire che i dialetti non sono codificati: nel suo post Leonardo cita poeti e scrittori dialettali del passato e tu puoi aggiungerne altri a piacimento da Eduardo De Filippo a Davide Van De Sfroos. Se i dialetti non fossero codificabili e codificati, come faresti a scriverci poesie, commedie e canzoni?

    2) Chiedere un minimo di conoscenza dei luoghi e delle culture in cui si va ad insegnare non significa necessariamente fare gli esami di e in dialetto (questo e' lo strawman di Leonardo, non caderci anche tu).

    3) Dovresti chiedere all'Unione Europea cosa pensa del catalano e del basco che sono considerate lingue ufficiali a tutti gli effetti, pur se all'interno della stessa nazione. Lo sai che se un commerciante di Barcellona si rivolge in castigliano ad un cliente puo' beccarsi una multa? Che dice la UE di questo?
    Fra l'altro, l'autonomismo sia basco che catalano e' sempre stato sostenuto dalle sinistre locali.

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  33. Anonimo, ma potresti almeno mettere una firma alla fine? Ci sono altri quattro mona che usano il tuo stesso soprannome e ti fanno fare una figura di palta.

    E comunque:
    1) Sì, ma quelli sono casi celebri. Ci sono dialetti minori che non hanno nomi così famosi. Se un insegnante bergamasco venisse trasferito a Pavia, dovrebbe impararsi le poesie di Mino Milan? Neanche 100 km nella stessa regione, e due dialetti completamente diversi.

    2) Può aiutare, ma non deve essere un prerequisto. Ma poi qual'è la cultura del luogo? Se un insegante va ad insegnare in una scuola dell'hinterland milanese, non sarebbe meglio imparare l'arabo il calabrese il pugliese ecc.?

    3) Indicami dove sta questa regola che non ci credo.

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  34. Molto molto bello.
    🙂

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  35. bellissimo ed acuto. fa piacere trovare ancora in giro qualcosa di intelligente

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  36. All'anonimo che legge i forum delle Winx:

    Uff! Da pugliese nato in Venezia Giulia e vissuto al nord, al centro e al sud mi sono un po' rotto di queste crisi identitarie di pianerottolo. Io sono sempre sentito italiano, anche se ammetto che non è mai stato un gran che, ed oggi è ancora peggio. E ne ho conosciuti pochi, di italiani: tutti sempre molto consci di essere prima di tutto triestini, piacentini, foggiani o romani de roma; sempre molto informati sui luoghi comuni circa polentoni, mangiarane e terroni vari.

    Non capisco davvero: nel mondo degli affari già siamo out perchè sgnoccoliamo poco di inglese, quelli furbi imparano il cinese e noi cazzoni vogliamo insegnare a scuola il vicentino? E perchè non i dialetti albanesi della provincia di Foggia o il Griko salentino? Ma sì, basta con questa storia della modernità, che ci si capisce anche tra paesi distanti 20 km: torniamo all'età dell'oro.

    Ma cosa c'è di serio e di sano e di progettuale nel mettersi un paio di corna di plastica in una sbevazzata domenicale tra meccanici, geometri e analfabeti di ritorno? Non è questo il modo di rispondere alla paura: il mondo cambia fottendosene di voi lumachine spaventate, e il vostro guscio è fragile. Crollano gli assolutismi, crollano i fascismi, crollano gli apartheid e voi pensate che qualche leggina vi impedirà di avere un nipotino “negher”?

    La differenza abissale tra il popolo della Lega e quello del PCI è che per i comunisti la cultura è sempre stata la chiave per aprire le porte sbarrate per secoli tra classi e “razze”: istruitevi, imparate, capite, comprendete e decidete. Per la Lega purtroppo basta assecondare le reazioni spinali della gente, quelle legate ai cinque sensi senza eleborazione intellettiva, va' a sapere se per convinzione o per deficienza personale. L'ignoranza diventa un diritto fondamentale, roba di cui vantarsi, e la chiave che invece chiude le porte.

    Quanto ai livelli dei commenti, a volte i post sono così gradevoli e il significato così chiaro che non c'è molto da aggiungere se non un “bravo”. Forse interventi come il tuo hanno il merito di animare la discussione. Magari il livello resterà comunque basso, ma sempre più alto di una riunione di segreteria della Lega.

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  37. Punto primo: il post di Leo, come scenetta, è molto divertente ed ha un piacevole gusto agrodolce.

    Punto secondo: i dialetti sono una ricchezza che andiamo perdendo, e non sono d'accordo sul fatto che servano solo a “cercare di capirsi”. Io ho sempre sentito come “di plastica” fosse l'italiano, una lingua “voluminosa” (parole con troppe sillabe), poco immediata ed eccessivamente “colta” (per dire il congiuntivo è molto fine, ma se nella lingua parlata si usa il passato prossimo è perché di fondo non è così indispensabile…). Il confronto con l'efficienza e l'essenzialità dell'inglese è disarmante.

    Punto terzo: pretendere di “difendere il dialetto” nelle forme proposte dalla Lega è ridicolo. Quello che andrebe fatto è semmai un lavoro di recupero e salvaguardia del “salvabile”, subito. Intervistare e registrare le voci degli anziani che ancora lo parlano, codificare termini e grammatiche, preservare una cultura secolare che la “globalizzazione” sta spazzando via, per fare in modo che almeno non sia dimenticata.

    Fermare l'evoluzione del linguaggio non è possibile. Io mi rendo conto di utilizzare, nel linguaggio di tutti i giorni, termini che vent'anni fa non esistevano nella forma attuale, perché non esistevano gli oggetti che descrivono. Internet, per dirne uno. Ma conciliare la padronanza e la memoria di più linguaggi (dialetti) è possibile, ed anzi è una buona ginnastica per il cervello.

    Ricordo un viaggio in Olanda di una decina d'anni fa, in cui ci stupivamo che le casalinghe sessantenni che gestivano i bed&breakfast parlassero correntemente quattro o cinque lingue diverse. Ma lì, in una terra di navigatori e mercanti, è la norma.

    P'r finì, pur'io ch' so' nat' e viv' a Roma parlo (malament') 'n dialett' marchigian' ch'ho 'mparat' da p'cino, e c' terrei ch' 'nnandass' sperso. S' po' fa qualcò?
    (trad.: per finire, pure io che sono nato e vivo a Roma parlo un dialetto marchigiano che ho imparato da piccolo, e ci terrei che non andasse perso. Si può fare qualcosa?)

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  38. All'anonimo che mi ha chiamato in causa:
    1) io sono romagnolo, sono molto legato al mio dialetto, che per altro parlo e capisco perfettamente. Esiste una quantità di poesie, rime e canzoni in dialetto romagnolo (Guerra, Baldini, Baldassarri e pure Pascoli, toh) ma non esiste alcuna grammatica ufficiale. Ci sono vari volumi che si occupano di delineare una grammatica romagnola ma gli autori stessi si trovano in disaccordo tra loro. Il dialetto è di per se fondato su di una tradizione esclusivamente orale, vocaboli ed inflessioni variano ogni 50 km in linea d'aria (se un forlivese di Verghereto ed uno di San Mauro Pascoli si trovassero a parlare in dialetto avrebbero non poche difficoltà a capirsi). Quando nessuno avrà più bisogno di parlare il dialetto.. questo semplicemente morirà. E riposerà in pace, avendo svolto la propria funzione. Certo, qualcuno potrà studiarlo come oggi si studia l'etrusco antico, ma insegnarlo a scuola mi pare una corbelleria.
    2) Gli esami di dialetto sono una pataccata (come si dice dalle mie parti). Ne convieni anche tu, mi par di capire. Tuttavia è proprio di questo che si parlava in questi giorni sui giornali. Non di cultura regionale, o lingue locali, proprio di dialetto. E non stento a credere che i fedelissimi della Lega vorrebbero proprio esami di bergamasco o di trevigiano piuttosto che di vercellese (magari declinato nelle possibili varianti all'interno dello stesso territorio comunale di Vercelli).
    3) Il caso delle lingue basche e catalane mi pare diverso. Sono idiomi che identificano un preciso territorio o regione. I paesi baschi e la Catalogna sono da sempre inclini a pensare a se stessi come entità autonome e culturalmente indipendenti. Mi pare che la Padania non si possa minimamente avvicinare a questa concenzione di un'indipendenza cercata per rafforzare la propria identità “unitaria”: la Catalogna è unica e ben distinta dal resto della Spagna. La Padania cos'è? Oltre ad essere un'invenzione dei leghisti, intendo.. La Padania non esiste, è un artificio sbattuto in faccia all'elettorato facilone e superficiale per far passare l'idea del “vogliamo fare il cazzo che ci pare a casa nostra”. La stessa idea che, una volta unificata la Padania e resa indipendente dal resto d'Italia, porterebbe poi alla scissione della Lombardia dal Veneto ed alla nascita di chissà quante altre micro-identità separatiste. Cos'hanno in comune un commerciante triestino ed un imprenditore torinese? Direi poco o nulla, a parte forse la volontà di non pagare le tasse a Roma Ladrona. Sicuramente non hanno in comune lo stesso dialetto.

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  39. Nessuno lo ha ancora detto, ma le uniche zone in cui il dialetto è ancora una lingua d'uso (e non un idioma da bar, o 'di plastica') sono quasi tutte nel vituperato sud.

    Ciao,
    Lorenzo

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  40. Se posso interloquire, anche i baschi e i catalani hanno parecchio rotto i coglioni, e se il loro nazionalismo aveva qualche senso sotto Franco, adesso faccio proprio fatica a distinguerlo dal leghismo e dai regionalismi fessi in generale.

    Quando capita di passare da Barcellona e trovare i cartelli bilingue, in due lingue che (almeno sui cartelli) sono perfettamente intelleggibili persino a uno che non ha studiato nessuna delle due (figurati a gente che a scuola dovrebbe averle imparate entrambe) si ha realmente la sensazione di viaggiare nella stupidità. E' un po' quella sensazione che le amministrazioni (non solo leghiste, purtroppo) stanno cercando di ricreare coi loro cartelli marron coi nomi dialettali dei comuni.

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  41. Varde' ca c'entra gnente el dialeto.
    El fato l'e' ke noialtri polentoni se semo roti i vovi de ste furbade cua':

    http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/scuola_e_universita/servizi/presidi-del-sud/presidi-del-sud/presidi-del-sud.html

    Parke' va ben mona, ma cojoni propio dal tuto, no.

    tibi

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  42. Insomma, visto il link direi che scivoliamo verso una cosa tipo “moglie e buoi (e presidi) dei paesi tuoi”.. L'idea che qualcuno che proviene di là dal giardino di casa nostra possa in qualche modo arricchirci non ci sfiora neanche..

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  43. Claudio, a te forse non sfiora l'idea che, se ci sono delle norme a livello nazionale che determinano i requisiti con cui si accede alle graduatorie da preside, tu, Regione X, ti devi attenere a quelle norme, non mettere in graduatoria cani e porci perche' “in casa nostra facciamo il cazzo che ci pare”. Oppure lo fai, ma poi ti tieni in casa i tuoi cani e i tuoi porci in eccedenza, non li sbologni in altre regioni.
    Perche' poi sai che succede? Succede com'e' successo piu' volte, in una scuola dove lavoravo io, che arrivava il preside bello fresco di nomina dal Centro-Sud, prendeva servizio, rimaneva un paio di settimane, firmava qualche circolare e poi spariva. Letteralmente, spariva. Mandava su un qualche certificato farlocco, di depressione o altro, e intanto intascava il lauto stipendio e i punti che gli servivano per rientrare in graduatoria nella regione d'origine, dove evidentemente la depressione gli passava subito.
    E quassu', a mandare avanti la baracca pro tempore, rimaneva il mona vicepreside di turno.
    Se tu questo me lo chiami 'arricchimento', preferisco la poverta', grazie.

    tibi

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  44. Bene bravi bis! Quindi quella ministra di Brescia che è andata a prendersi l'abilitazione in Calabria sarà la prima a essere cacciata dalla semplificazione etnica del vostro amato Caleroli, vero? Mona, siete al governo da 7 anni su 9 di questo decennio, piantatela con il chiagni e fotti (vituperato dialetto del sud ma si capisce no?).
    Nello F

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  45. Nello, 'cca' nisciuno e'ffesso: per quanto mi riguarda, anche la terrona di comodo Gelmini andava disincentivata e costretta a farsi un esame di abilitazione serio, se voleva un titolo serio e spendibile.
    Come vedi, tu chiagni al razzismo, mentre a noi mona basterebbe non farsi fottere.
    Non per pregiudizio ma per esperienza, tant'e' vero che quella mozione a Vicenza e' stata approvata da destra come da sinistra: e' una questione di elementare equita' e buona amministrazione (come previsto dalla Costituzione, che dovrebbe tutelare sia i lavoratori che gli utenti dei servizi pubblici anche a nord della Linea Gotica), gli schemini ideologici servono solo per incantare i fessacchiotti.

    tibi

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  46. Grazie, qui c'è un po' d'aria buona

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  47. Leonardo, fossero solo i cartelli marron! Pure wikipedia:

    http://en.wikipedia.org/wiki/Bergamo
    Bergamo (Bèrghem in Eastern Lombard and Bergum in Western Lombard , antiquated:Wälsch-Bergen in German)

    http://en.wikipedia.org/wiki/Brescia
    Brescia (Lombard: Brèsa)

    eccetera eccetera. Perlomeno siamo in buona compagnia nell'internazionale dei mona:

    http://en.wikipedia.org/wiki/Cologne
    Cologne (German: Köln, local dialect: Kölle)

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