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Gogne, sciacalli e denunce

(questa è internet, figlioli)

Mi pare che, semplificando al massimo, la storia si possa raccontare così (se sbaglio, per favore, correggetemi, non denunciatemi):

Corrado Maria Daclon, presidente di un’associazione ambientalista (pro Natura), navigando su internet trova il suo nome in calce a una manifesto ambientalista che non ha mai firmato. Il manifesto non gli piace, anche perché non è tenero con l’amministrazione Usa. Ora, si dà il caso che Daclon sia anche consulente Nato e Nasa.

Quello che dev’essere successo a Daclon, è il classico esempio di “panico da google”: trovare il proprio nome e cognome su internet, in un luogo dove proprio non dovrebbe stare. Tanto più che google è implacabile, non dimentica. Daclon probabilmente si è sentito scippato della propria personalità, forse messo alla berlina, a rischio di dovere spiegazioni a partner di lavoro.

E se si fosse limitato a chiedere immediatamente la propria cancellazione dalla petizione ai gestori dei siti internet in cui compariva, Daclon avrebbe avuto tutta la mia solidarietà. Il cognome, su internet, è qualcosa di sacro, da usare con spasmodica attenzione.

Ma Daclon ha fatto qualcosa di più, che onestamente non capisco. Tra i siti in cui veniva segnalata la petizione, ne ha scelto uno (Peacelink) e lo ha denunciato. Ha chiesto 50.000 euro di danni, che per lui sono simbolici, per Peacelink sono la fine.

Ora Peacelink, (uno delle migliori siti di informazione italiani sulle guerre nel mondo) non era il promotore della petizione: l’aveva semplicemente riportata, così com’era, dal sito di Rifondazione Comunista. Che, mi par di capire, non ha ricevuto denunce, ma solo una garbata richiesta di togliere il nome di Daclon dal manifesto (Cosa che quel sito ha prontamente fatto). A mesi di distanza, la domanda è sempre quella: cos’ha Peacelink che il sito di Rifondazione non ha? Perché dev’essere proprio lui a beccarsi una denuncia e a dover sborsare 50.000 euro ‘simbolici’?

I fatti sarebbero già abbastanza spiacevoli per tutte le parti in causa senza bisogno dell’intervento di “Libero”, il pregevole quotidiano d’informazione, che in questi giorni sta scoprendo Internet e un’ormai vecchia tecnica di killeraggio: dare risalto al primo messaggio offensivo scritto da un balordo sul forum di Peacelink. Quello che stanno facendo parecchi sciacalli, da mesi, nei confronti di Indymedia, e con particolare recrudescenza nei giorni in cui Placanica è rimasto vittima di un incidente ancora da chiarire.

***

Insomma, l'”emergenza Peacelink” è qualcosa di più di un caso di diffamazione. In gioco ci sono alcuni problemi insoluti dell’informazione su internet: basta un link o una citazione da un altro sito a diffamare una persona? (Peacelink avrebbe dovuto controllare le generalità di tutti i firmatari di un manifesto comparso su un altro sito autorevole)? Come ci si può difendere dall’abuso del proprio cognome su Internet? Come evitare che un forum di discussione caschi nelle mani di provocatori e sciacalli? Sono tutte domande senza risposta.

Nel frattempo io ho scoperto che non sono più in grado di cancellare i messaggi sgraditi sul mio forum (cosa che, onestamente, ho dovuto fare una sola volta in sei mesi): il che mi rende, nel mio piccolo, esposto alla malignità del primo che passa. Fare appello al senso di responsabilità dei lettori ha poco senso: mi pare anzi che dietro molti Nick ci sia gente che si prende la responsabilità di mandare in vacca le discussioni, e svolge questo compito con fede e passione. (Magari si tratta degli stessi individui che si vantano di fare informazione d’alto livello su siti privi di forum).

E allora come si fa?

Non lo so, però intanto vado al mare. Nei prossimi giorni ci saranno ospiti, qui.

Vedete di non farmi fare brutta figura.

(vi supplico).

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