2 febbraio:  Presentazione del Signore, già purificazione della Vergine, insomma Candelora

Candelora è una festa ambigua. Nessuno è veramente sicuro di quel che si dovrebbe festeggiare. Il popolo l’ha sempre chiamata così, dal rito della benedizione delle candele che si compie durante le celebrazioni, e che forse, dico forse, ha un’origine pre-cristiana (tendiamo a dimenticare quanto importanti fossero, e diffuse, le candele, in tutte le civiltà che non avevano ancora inventato la lampadina). Nella Germania medievale era l’ultimo giorno in cui si usavano le candele per i lavori domestici: dal 3 febbraio si sarebbe dovuta usare la luce del sole. Magari l’abitudine a illuminare tante candele ha un’origine del genere: così come a Pasqua ci si disfaceva degli agnelli di troppo, a Candelora si finivano i mozziconi di candela che non aveva senso conservare per l’anno seguente.  

A volte si collega candelora ai lupercalia, la festa del dio Luperco/Fauno, protettore delle greggi, che però cadeva a metà febbraio (e ha lasciato tracce in altre due festività: carnevale e San Valentino). All’inizio di febbraio i Romani festeggiavano invece i februalia in onore di Giunone, che nell’occasione si sovrapponeva alla dea Febris o Februa (da cui Febbraio), e assumeva una funzione purificatrice (februare = “purificare”). Questo ci fa sospettare che almeno in Occidente i cristiani abbiano semplicemente sostituito Giunone con la solita Maria di Nazareth: per molto tempo in effetti Candelora fu ricordata nei calendari come la festa della Purificazione della Vergine. 

Una delle cose più curiose del calendario cattolico è che non esiste una festa di Maria in quanto vergine. Maria è festeggiata tutti i mesi, per tantissimi motivi, ma mai per la sua verginità. Al massimo come “Beata Vergine Maria Regina” (22 agosto), ma anche in quel caso l’enfasi è sul concetto di regalità, che condivide col figlio (San Cristo Re). La festeggiamo come Madre di Dio (primo gennaio), come Assunta in cielo (15 agosto) e Immacolata Concezione (8 dicembre); ne festeggiamo il Santissimo Nome (12 settembre) e l’Immacolato Cuore (secondo sabato dopo la Pentecoste); oltre ovviamente al compleanno (8 settembre) e a tantissime altre occasioni in cui è apparsa in questo o quel santuario, o ha fatto questo o quel miracolo. Ad esempio in ottobre ha vinto contro i Turchi a Lepanto, da cui la Madonna del Rosario. E in dicembre è apparsa agli aztechi, da cui la Madonna della Guadalupe. Insomma le occasioni non mancano, ma una festa della vergine in quanto vergine non c’è. Vuoi vedere che fosse Candelora? E però se andate a controllare, nei calendari non c’è più cenno alla Purificazione della Vergine. 

In effetti è sempre stato un concetto problematico: una contraddizione in termini. Il significato di “vergine” è molto oscillato nei secoli – il che vedremo è parte del problema – ma credo siamo tutti d’accordo sul fatto che contenga in sé un’idea di purezza. Dunque che bisogno avrebbe avuto, una vergine, di essere purificata? Nessun bisogno. Le stesse Scritture non ne parlano – come del resto non parlano di tanti altri dettagli che all’inizio non sembravano importanti e su cui nei secoli si sono combattute battaglie teologiche che oggi osserviamo perplessi. L’unico appiglio era il vangelo di Luca, che nel secondo capitolo sembra voler rassicurare sul fatto che la Sacra Famiglia stesse osservando tutti i precetti della legge ebraica: all’ottavo giorno della nascita Gesù viene circonciso, e “quando venne il tempo della purificazione secondo la Legge di Mosè”, portato a Gerusalemme per essere “offerto al Signore”. 

Presentazione di Gesù al tempio, Giovanni Bellini

Luca non dice quando sia nato Gesù – tra parentesi, è curioso che un cronista così attento al dettaglio non sia riuscito ad accedere un’informazione del genere: forse era una data che non si accordava con nessuna profezia e quindi ha preferito lasciarla perdere. Però se si decide, come fecero i cristiani a un certo punto, di festeggiarne il compleanno il terzo giorno dopo il solstizio d’inverno, i conti sembrano miracolosamente tornare: non solo la circoncisione viene a cadere proprio nella calenda di Gennaio, ma anche la presentazione di Gesù al tempio arriverebbe proprio il due febbraio (sappiamo però che la festa oscillò nel calendario, e che fino al VI secolo si sovrapponeva ai lupercalia più che ai februalia). La legge di Mosè, che Luca cita senza avventurarsi in dettagli, prescrive un appuntamento al tempio dopo quaranta giorni dalla nascita, e trentatré dalla circoncisione. 

Luca utilizza l’episodio per raccontare l’incontro della Famiglia con due profeti, Simeone e Anna, che confermano la natura messianica del neonato. In Oriente sin dall’inizio Candelora veniva chiamata Hypapante, “incontro”, ed era associata appunto all’incontro con Simeone e Anna. Sappiamo che era una festa molto importante già nel V secolo, dal resoconto della pellegrina Egeria, che racconta come a Gerusalemme “si accendano tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima”. Il racconto di Luca però fa a pugni con quello di Matteo, secondo il quale la Famiglia sarebbe scappata immediatamente in Egitto dopo l’Epifania. Inoltre Luca, per quanto interessato a includere le liturgie ebraiche nella sua narrazione, non è che le conosca benissimo: la Famiglia doveva tornare al tempio non tanto per consacrare il figlio, ma perché la madre, che fino a quel momento era considerata impura (e sottoposta a una serie di limitazioni sociali), doveva sottoporsi a un rito di purificazione. Maria non era però una madre come tutte le altre: di purificarsi non avrebbe avuto bisogno. O no? 

Vuoi vedere che in quei primi secoli Maria non fosse considerata una vergine ‘vergine’, e che ‘vergine’ fosse solo un modo iperbolico di alludere alla sua giovinezza, alla sua innocenza, così come se dico a una persona che è un angelo non intendo che gli sono spuntate le ali? Non sarebbe la prima volta che un’iperbole, un modo di dire, un errore, vengono male interpretati e diventano articoli di fede: sarebbe però il caso più spettacolare. L’errore qui lo avrebbero fatto i Settanta, leggendari traduttori della Bibbia dall’ebraico al Greco nel III secolo aC. La Lettera di Aristea racconta che fossero chiusi in settanta celle diverse, senza comunicazione; e nonostante ciò avrebbero prodotto settanta traduzioni assolutamente identiche. Se lo chiedete a me, faccio meno fatica a credere ad Adamo ed Eva e all’arca di Noè, comunque i Settanta traducendo una profezia di Isaia, scrivono che “una vergine (parthénos) concepirà e darà alla luce un figlio, e gli porrà il nome di Emanuele”. Emanuele significa “Dio con noi”: si tratta del Messia. Nell’originale greco però la vergine era “‘almah“, giovane donna: non necessariamente vergine. Da cui l’equivoco.

Ogni scusa è buona per rimettere questa foto

Nei primi secoli la teologia era ancora abbastanza fluida: l’ossessione per la verginità fisica di Maria di Nazareth è in realtà un fenomeno relativamente moderno. Questo avrebbe consentito ai cristiani d’Occidente di immaginare un episodio in cui Maria viene purificata al tempio, il che offriva un’occasione per reinventare la festa di Febris/Giunone purificatrice. È un’ipotesi. Quando poi cominciarono le guerre sulla natura del Cristo (solo umano, solo divino, più umano che divino, ecc.), a vincere fu un compromesso che, come molti compromessi, scontentava un po’ tutti e soprattutto sfidava la verosimiglianza: Cristo era sia Dio sia uomo; in quanto uomo però era diverso da tutti gli altri, pouiché privo di peccato originale. Nato da una donna, ma senza contributo dell’uomo, e soprattutto (ma questo nessuno osava metterlo nero su bianco) senza amplesso carnale: Maria non aveva avuto un rapporto sessuale con uno di quegli dei mascalzoni dell’Olimpo che si travestivano da uomini; in quel senso era da considerarsi vergine. Questo lasciava lo spazio ad altri interrogativi (ma era rimasta vergine anche dopo la nascita? Ed era nata con o senza il peccato originale?) che in millecinquecento anni poi i teologi cercarono di sbrigliare.

Nel frattempo non è che non ci siamo preoccupati di altre cose. In Francia hanno inventato le crêpes, il dolce tradizionale di Candelora. In Belgio i pancakes, un tipico caso di emulazione fallita ma comunque interessante. Da qualche parte in Germania si dava un’occhiata alla tana del riccio: se il sole era uscito da consentire all’erinaceida di proiettare la sua ombra, vi sarebbe stato un secondo inverno. Questa tradizione, trapiantata da immigrati tedeschi nel nuovo continente, avrebbe dato vita al Giorno della Marmotta: una celebrazione che forse ai miei coetanei è più familiare della Candelora.

La festa della purificazione della Vergine è resistita sul calendario fino al Concilio Vaticano II. La contraddizione in termini era risolta in modo abbastanza ragionevole: no, Maria non avrebbe avuto bisogno di purificarsi, ma c’era andata lo stesso perché la legge diceva così e le leggi vanno rispettate. Ad esempio il catechismo di Pio X proponeva di leggere nell’episodio un “esempio di umiltà e obbedienza alla legge di Dio”. La questione, come tutte quelle aventi a che fare col concetto di verginità della Madonna, negli ultimi anni è stata in un certo senso insabbiata: nel Martirologio Romano non si legge più “Purificazione della Vergine”, ma “Presentazione del Signore”: insomma alla fine gli occidentali hanno dato ragione agli orientali, almeno su questo.

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