Dicevamo qualche giorno fa: sul Post qualcuno ha denunciato “il sessismo, i pregiudizi di genere, le vittimizzazioni secondarie” che sarebbero “una costante” nella letteratura italiana che compare sui manuali scolastici. Questo mi ha fatto arrabbiare, un po’ più del necessario, per motivi che sto ancora cercando di spiegarmi. Nel frattempo le autrici hanno ribadito che era una provocazione, avremmo dovuto farci una risata, ecc. Ora non m’interessa ribattere punto per punto che no, i manuali non sono fatti così, la letteratura a scuola non si insegna così. Galatea Vaglio su Valigiablu lo ha fatto, e mi sembra che possa bastare. 

Vorrei riflettere su un piano diverso: cosa porta persone non stupide, non incolte, scrittrici, laureate, a produrre un tipo di testo del genere, una specie di parodia in cui una serie di autori e personaggi di epoche molto lontane dalla nostra vengono fotografati nella situazione più scorretta? E cosa porta centinaia di lettori altrettanto colti e sensibili ad apprezzare il testo? Potrebbe essere semplicemente una pagina divertente e scritta bene, ma credo che ci sia di più: è una di quelle pagine che prima o poi su internet qualcuno doveva scrivere, come se troppo forte fosse l’esigenza di certi lettori di leggerla. Che tipo di lettori?

Nel pezzo c’è una “doverosa precisazione” in cui spiegano che non vogliono assolutamente cancellare Dante o Ariosto – ci mancherebbe – ma promuovere “uno sforzo di consapevolezza”: il che poi implica che questa consapevolezza sui manuali non ci sia, e che a scuola gli insegnanti non si sforzino in tal senso. Questa è una delle cose che mi ha fatto più arrabbiare (cioè secondo voi esorto i ragazzini a trattare le coetanee come fa Nastagio degli Onesti?), ma effettivamente se vado a controllare nei manuali per la scuola media, non è che trabocchino di disclaimer sul fatto che Dante e Ariosto vivessero in epoche diverse con morali molto diverse che potrebbero risultare offensive ai giovani lettori. Quel tipo di disclaimer che la Disney sta mettendo su certi vecchi film, ecco, nei libri per la scuola media ancora non ci sono, è come se li dessimo per scontati perché insomma, Disney+ è alla portata del telecomando di qualsiasi bambino, mentre Dante deve per forza passare attraverso la mediazione di un insegnante. Insomma tutto dipende dall’insegnante e non posso escludere che ne esistano di quelli che approfittano dell’episodio di Paolo e Francesca per esortare i giovani alla continenza. Voglio sperare che non siano in tanti, ma faccio notare che anche le autrici alla fine non stiano affatto chiedendo questo tipo di contestualizzazione. Anzi il loro “sforzo di consapevolezza” va verso l’esatto opposto: personaggi e autori vengono strappati dai rispettivi contesti storici e trattati da contemporanei (altrimenti come faremmo a scandalizzarcene?): ci viene proposto di riconoscere in Orlando il Vasco Rossi di Colpa d’Alfredo, in Leopardi un incel. 

Il mio fastidio forse nasce da qui: ho un problema con chi ostenta intolleranza per il passato, come se non fosse la terra più straniera di tutte. A Dante credo si debba lo stesso rispetto che dobbiamo all’indigeno dell’Amazzonia: non gli spieghiamo che i suoi usi e i suoi costumi sono sbagliati; anche quando ci ripugnano dobbiamo accettare che sono il risultato di un adattamento al suo ambiente, di una civiltà la cui complessità potrebbe sfuggirci. Se leggiamo Dante, è anche per imparare cose su di lui e sul mondo in cui ha vissuto; un mondo interessante anche solo perché era diverso dal nostro. Di sicuro non leggiamo Dante per spiegargli che si sbaglia, e che avrebbe dovuto comportarsi come ci comportiamo noi. Né per sentirci migliori di lui. O lo facciamo?

Mettiamola così. È noto che da quando su internet siamo tutti diventati i promoter di noi stessi, l’esigenza di esibire le nostre virtù è cresciuta in modo geometrico. Dobbiamo tutti dimostrare di essere in grado di sconfiggere le ingiustizie, o almeno di segnalarle; e siccome non sempre la cronaca di provvede di ingiustizie fresche di giornata (e comunque la gara a chi le segnala per primo è molto serrata) ripiegare sui libri di Storia diventa un’alternativa comoda e a costi irrisori. Praticamente tutto quello che è successo prima del 2018 è discutibile, un manuale di Storia contemporanea è già un libro degli orrori. Razzismi, prevaricazioni, femminicidi a ogni pagina. Per non parlare del medioevo, e della letteratura medievale. Prima o poi qualcuno doveva denunciare il sessismo di Boccaccio o di Petrarca, era inevitabile: e infatti non è stato evitato. Ovviamente non per cancellarli, no. Per far discutere, questo sì. Creare un po’ di attenzione – e chi sono io per giudicare, davvero.

Si tratta di una mossa facile, ma forse più pericolosa di quel che sembra, perché… ma lo avete capito chi c’è là fuori? 

Ci sono gli studenti.

Quelli veri, quelli giovani. Voi siete woke per modo di dire: eravate svegli/sveglie anche venti anni fa. Siete andati tutti a scuola, e per quanto possa essere stato mediocre il vostro insegnante, difficilmente vi ha minacciato di andare all’inferno se commettevate adulterio perché l’Inferno dantesco lo prevedeva. Questa cosa che scrittori di epoche diverse risentano di sistemi di valori molto diversi, l’avete sempre saputa. Fingere all’improvviso di accorgersene, di dover denunciare le pagine più tossiche, può far nascere un’accesa discussione, che è il motivo per cui si scrivono le cose. Ma accendere una discussione del genere in un ambiente dove passano gli studenti, è come lanciare fuochi artificiali a un benzinaio. Voi non volete veramente cancellare Dante e Ariosto, ho capito. Magari gli volete ancora un po’ di bene, a quei due. Volete solo provocare una conversazione. Ma là fuori non c’è gente che vuole conversare: c’è gente che vuole leggere meno, o leggere altre cose, più attuali, più facili. Loro Dante e Ariosto non li hanno ancora letti, e se c’è in giro una clausola per non leggerli più, perché non dovrebbero attaccarcisi?   

E non perché siano giovinastri deficienti tutti droga play e netflix – o forse sì, ma la loro ansia cancellatoria ha ragioni molto più serie delle vostre. Tutti gli organismi viventi tendono a minimizzare gli sforzi, e gli studenti sono organismi molto viventi. Potrebbe essere uno dei motivi per cui negli ultimi anni la prima domanda che si fa un giovane lettore davanti a un testo non è più “cosa sta cercando di dirmi questo testo”, ma “c’è qualcosa in questo testo che potrebbe offendere me? o qualche altra minoranza sensibile?” Perché se c’è qualcosa, anche solo una parola, il problema è finito: il testo si cancella e si passa ad altro. Io capisco ormai che la parola con la N non sia più presentabile, ma immaginate di leggere una pagina dell’Autobiografia di Malcolm X a una classe che sonnecchia, quand’ecco che echeggia la parola con la N e li vedi svegliarsi di botto, scandalizzati: ehi, ma cosa stiamo leggendo? In realtà niente, non hanno letto niente. Hanno sentito solo la parola N echeggiare nel silenzio. Hanno antenne per queste cose, che non percepiscono ciò che noi percepiamo con gli altri cinque sensi. L’indignazione è il sesto senso: riescono a indignarsi per quel che c’è scritto su un libro senza neanche averlo aperto, a volte appena dopo averlo intravisto dalla vetrina della libreria, sono incredibili. 

Non ditemi che un po’ non li invidiate. Una certa cultura cancellatoria può anche nascere dall’ansia che i giovani provano di fronte allo scibile umano: quanti libri bisognerebbe leggere prima di capirci qualcosa, non possiamo cominciare a buttarne via un po’? (continua) <!—

Più che replicare a loro A spaventarmi in effetti non è tanto il loro intervento, quanto il fatto che tanti altri in calce applaudano: finalmente qualcuno gliela canta, a questo canone tossico e patriarcale. Anche perché, cosa gli rispondi? Che Dante non fosse l’interprete di una società patriarcale? Ma pure Fenoglio. 

Ovvero, se la premessa è che insegnare il passato significa proporre agli studenti i “modelli comportamentali” del passato, non credo si salvi molto di quanto successo prima del 2018. Bisogna dire che le autrici del pezzo non si spingono a tanto: sostengono che il loro sia un invito a “problematizzare”, dando insomma per scontato che gli insegnanti non lo facciano, che sui manuali non vi sia contestualizzazione e problematizzazione; questa è la cosa in effetti che mi ha fatto arrabbiare di più: che davvero qualcuno sia convinto che a scuola noi raccontiamo che Paolo e Francesca se la sono cercata, o giustifichiamo la pazzia di Orlando, o o o.

Seguitemi però un attimo su questa china scivolosa: se davvero ritenete che insegnare Dante significhi proporre agli studenti un “modello comportamentale” in cui se ti innamori ti ammazzano e vai all’inferno, a un certo punto qualcuno proporrà di fare a meno di Dante. È inevitabile, anche perché a scuola ci vanno i giovani e i giovani sono molto sensibili a qualsiasi causa possa comportare una riduzione del carico di lavoro (ciò è perfettamente razionale: ogni essere vivente tende a ridurre gli sforzi, e i giovani sono molto viventi).  

Una certa cultura cancellatoria può anche nascere dall’ansia che i giovani provano di fronte allo scibile umano: quanti libri bisognerebbe leggere prima di capirci qualcosa, non possiamo cominciare a buttarne via un po’? 

Qualcuno in effetti l’ha già fatto per altri motivi, più tipici della sfera anglosassone. Ne abbiamo già parlato: dalla rivoluzione americana la società anglosassone si è strutturata come una serie di comunità che lottano per mantenere identità e anche un po’ di egemonia. Il canone letterario è uno dei tanti ambiti di questa lotta: se in un libro c’è una parola offensiva per la comunità, si chiede di ritirarlo dalla biblioteca della scuola, o dai programmi scolastici. La Commedia di Dante offende molte comunità. Prima o poi qualcuno riterrà che questo è più importante di altre cose, e lotteremo per mantenere la Commedia a scuola. Sono abbastanza certo che almeno alle medie perderemo, ma forse siamo ancora in tempo a riflettere tutti assieme su questo: quando mai abbiamo letto la Commedia a scuola perché condividevamo le idee di Dante? 

Mai. Nemmeno Boccaccio che fece scoprire Dante ai fiorentini del Trecento, nemmeno lui condivideva le idee monarchiche e retrive di Dante. Nemmeno i fiorentini che ascoltavano rapiti, credevano davvero che Dante fosse stato all’Inferno (e avesse trovato concittadini in ogni bolgia). Noi non leggiamo Dante perché pensiamo che il paradiso sia nel Primo Cielo Mobile e vogliamo mandarci gli studenti – sul serio, se qualcuno lo fa segnalatelo ai suoi colleghi, ai dirigenti. Noi studiamo Dante non so esattamente perché, ma forse per l’esatto contrario: perché ha idee diversissime dalle nostre, incondivisibili, ma coerenti, che disegnano un intero mondo diverso dal nostro, ma che è stato possibile. Probabilmente studiamo la Storia per lo stesso motivo: anche perché se la studiassimo per offrire modelli relazionali, davvero, ci sarebbe da incarcerarci tutti noi insegnanti: tra guerre persecuzioni e rivoluzioni non si salva nulla, sono tutti cattivi, non se ne salva uno. Anche quando ogni tanto c’è una scheda sulla condizione femminile, serve a ribadire che la condizione femminile era pessima. Non mi sembra di dire una grande novità: noi studiamo la Storia come una serie di errori, sperando di riuscire a non ripeterli. Sì, non sembra che stia funzionando, ma questa era l’idea. 

Quello che mi lascia perplesso (ma non è la parola giusta) di tutto il movimento woke è questa sensazione di essersi appena svegliati dalle tenebre del medioevo (sensazione che peraltro condividono con tutti i movimenti rivoluzionari venuti prima, da Lutero per Voltaire verso Marx eccetera), per cui tutta la Storia passata, lorda di errori e crimini, non è poi una cosa così importante. Se ne può fare a meno, si può anche riscrivere. Non c’erano donne nei ruoli chiave? Ce li mettiamo. Non c’erano gay dichiarati? Li dichiariamo.

Questo mi lascia perplesso, ma non è la parola giusta: ma non è nemmeno che mi infastidisca davvero, per adesso è più un… prurito, la sensazione che qualcosa non va e che dovrei farci qualcosa (qualcosa che potrebbe peggiorarmi la situazione). Il revisionismo mi costringe a prendere una posizione, e non la vorrei, conservatrice: perché mi sento amico di tutte le minoranze oppresse ma ancor più amico della verità, e se è mio dovere far sì che vi sentiate più a vostro agio nel presente, non posso tollerare che cambiate il passato, perché esso per me è prezioso, anche perché include la memoria della vostra oppressione, al punto che persino la più scrausa statua di uno schiavista per me potrebbe avere valore documentario, e in generale l’idea di cancellare un nome dai documenti prude, prude fortissimo, mi dispiace.

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