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| È più colpa mia che tua – abbiamo troppe cose in comune. |
Apes Revolution (Ma il titolo originale è Dawn of the Planet of the Apes), Matt Reeves, 2014.
Un tempo qui era tutto dell’uomo. Ma uomo cattivo, uomo pasticciare con virus ed esplosivi, uomo uccidere uomo, uomo tramontare. Futuro è scimmia. Scimmia non uccide scimmia. Se proprio non necessario, diciamo.
È insolitamente difficile scrivere una specie di recensione dell’ultimo capitolo della saga che mi terrorizzava da bambino nei lunghi pomeriggi del palinsesto estivo rai, scimmie parlanti e scenari postnucleari. È oggettivamente impossibile scriverne una migliore di quella di Gundam sui 400 calci, tanto per cominciare. Poi c’è il problema che il film è piaciuto a tutti, proprio a tutti, mentre e a me, mah, non tanto. E invece avrebbe dovuto piacermi. Quando ha battuto i Transformers ai botteghini, avrei dovuto scrivere un peana entusiasta in onore di Matt Reeves e degli altri sconosciuti di Hollywood che qualche anno fa hanno preso una saga accantonata per 25 anni e poi umiliata da un remake devastante, e l’hanno riavviata con ‘pochi’ milioni di dollari e tanta passione per il cinema d’avventura fatto bene. Prendi questa, Michael Bay. Un cantico, avrei dovuto sciogliere, a questo western con scimmie più espressive degli uomini, puri mascheroni amplifica-sentimenti, animali fatti di rabbia e orgoglio e amor paterno e invidia e perfidia, più umani dell’umano, agli antipodi di quei robottoni cromati barocchi e inespressivi. E invece guardate qui che cinema si può fare, con un po’ di sana apocalisse batteriologica anni ’70, due-location-due ma ben costruite, e tanto sentimento: tanta rabbia, tanto orgoglio e amor paterno eccetera. Avrei dovuto scrivere di questo, e di quanto mi sia piaciuto questo film. Se mi fosse piaciuto.
Ma non mi è piaciuto così tanto (continua su +eventi!)

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