Il reato di clandestinità a qualcosa serve. Non a eliminare i clandestini (anzi li aumenta), non a risolvere la complicata situazioni delle carceri (che anzi stanno scoppiando, e che hanno attirato l’attenzione delle Corte europea dei diritti dell’uomo). Non a ridurre la microcriminalità; non a dissuadere profughi provenienti da situazioni comunque più disperate, non a evitare che i trafficanti li stivino sui barconi e li lascino alla deriva; non a salvare vite nel Mediterraneo. Il reato di clandestinità non serve a nulla di tutto questo.
Eppure a qualcosa serve: altrimenti Bossi e Fini non ci avrebbero messo la firma, e oggi Beppe Grillo non lo difenderebbe. Il reato di clandestinità serve a vincere le elezioni. Grillo è persona abbastanza intelligente e pratica per sapere che la criminalizzazione dei profughi non ha nessun’altra utilità, e molti effetti collaterali. Ma tanto gli basta, evidentemente. Nel suo blog lo ha scritto a chiare lettere: se il M5S avesse in campagna elettorale proposto l’abolizione del reato di clandestinità, “avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico”. Più in là Grillo abbozza l’idea che abolirlo equivalga a inviare un invito “a tutti gli emigranti”, che come è noto prima di imbarcarsi danno sempre un’occhiata all’evoluzione della legislazione italiana in materia. È una scemenza a cui non crede lui per primo.
(Questo è il duecentesimo pezzo che scrivo per l’Unità. Niente, così, giusto per dirvelo. Il mondo non sembra molto migliorato in questi quattro anni. Magari è solo una coincidenza).

Lascia un commento