La Passione delle Sante Prof.sse
(Ovvero: perché la scuola italiana – che pure non è malaccio – è destinata a tornare all’età della pietra nel giro di vent’anni).
Gli insegnanti si lamentano, per definizione. Io a mia discolpa posso dire che non mi lamento per l’orario, o per i soldi, o per la burocrazia, o per l’alienazione. Tutti buoni motivi per lagnarsi, intendiamoci, ma io ne ho trovato uno più originale: la formazione. Nessuno mi ha insegnato a insegnare, e questo secondo me è molto grave.
Di solito, a questo punto, c’è sempre qualcuno che scuote la testa e dice: se ragioni così, non puoi essere un buon insegnante. Ti manca qualcosa, che nessuno ti può insegnare. Di solito si tratta della passione. Pare proprio che a me manchi la passione. E un po’ mi spiace, di andare in giro così frigido per le scuole del mondo. Per me insegnare dovrebbe essere una disciplina. Una pratica. Un metodo. Ma pare che non sia nulla di ciò.
Se ci fosse un modo per impararla, la passione; ma il punto è proprio questo: come diceva Louis Armstrong, se devi chiedere cos’è il jazz, non saprai mai cos’è il jazz. Così, se mi fermo a chiedere a una collega cos’è questa benedetta passione di cui tutti parlano, renderò evidente quello che invece dovrei occultare, e cioè che non ho la minima idea di cosa sia la passione per l’insegnamento.
Questo non significa, badate, che io non ami insegnare. Mi piace un sacco, anzi. Parlare coi ragazzini è divertentissimo. Se nessuno mi ferma posso andare avanti a contar palle per ore, senza neanche menzionare l’isola di Guam; ieri per esempio in una lettura siamo inciampati nella parola “estasi”, e ho cercato di spiegare cos’era l’estasi; ho frugato nello scaffale alla ricerca dell’Estasi di Santa Teresa del Bernini, e non trovandola mi sono messo a mimarla: c’è l’angioletto che fa così, e c’è la Santa che fa così, con tanto di occhi sbarrati, da cui poi deriva tutta una moda di dipingere i Santi con gli occhi all’insù, in una smorfia d’estasi, appunto. Tutto questo è divertente per chi lo fa, a volte forse anche per chi assiste; ma un conto è movimentare una lezione, un altro conto è programmare, valutare, dialogare coi ragazzi, rapportarsi coi genitori, eccetera eccetera. Se si trattasse solo di contar palle ai ragazzini, la passione ce l’avrei. Ma sarei un bravo insegnante? No, sarei solo un appassionato contapalle. Ne ho avuti di insegnanti così, e non li stimavo poi molto. Mi sembravano un po’ persi nei loro piacevoli percorsi privati – come Santa Teresa, appunto.
Così, chissà, forse una certa passioncella ce l’ho. Ma non mi fido, non è una cosa che mi aiuti veramente a capire il mio mestiere; spesso anzi mi ha messo sulla cattiva strada. Quanto durano i matrimoni di passione? Secondo me è solo un totem che ci siamo costruiti. Quando ci siamo accorti che il sistema ci lasciava soli, nelle aule, davanti a torme di studenti esigenti, abbiamo sentito un profondo magone dentro il cuore e lo abbiamo chiamato “passione”. Ma noi non siamo mistici del Seicento. Siamo in mezzo alla gente, in una posizione delicatissima. Abbiamo una responsabilità oggettiva – se un ragazzo in gita cade da un cornicione abbiamo anche la responsabilità penale. Altro che passione. Professionalità, ci vorrebbe. Eppure.
Eppure devo ammettere una cosa. Che se nella scuola italiana c’è un po’ di professionalità – anzi, ce n’è molta – la dobbiamo tutta a una generazione di insegnanti che dalle cattedre di pedagogia o didattica ha avuto pochissimo aiuto; le babyboomers che sono entrate in ruolo a partire dagli anni Settanta, incassando una sfilza impressionante di riforme scolastiche, e traghettando la scuola italiana dalla penna bic a wikipedia senza quasi una piega. Anno dopo anno, la scuola l’hanno fatta loro; nessuno gliel’ha insegnato, nessuno era in grado. Se a voi il risultato non piace, vi garantisco che poteva essere molto, molto peggio di così. La scuola degli ultimi trent’anni non aveva un progetto; nemmeno una direttiva coerente; tutto quello su cui poteva contare erano queste signore, e tutto quello su cui queste signore potevano contare era… la loro passione. Un materiale umano fantastico. Sul serio.
Ma allora il problema qual è? Se abbiamo buoni insegnanti, chi se ne frega delle teorie pedagogiche?
Il problema è presto detto: queste insegnanti stanno per andare in pensione. Tutte insieme, tutte in una volta (il solito problema dei babyboomers: hanno fatto la maturità tutti assieme, la rivolta tutti assieme, il matrimonio e il divorzio, il lavoro e adesso la pensione).
Siccome se ne stanno andando tutte, non ci sarà molto tempo per il trapasso delle nozioni – che, come sanno gli antropologi, è un il momento fondamentale per la sopravvivenza di una civiltà. Se un vecchio cromagnon non si fosse ricordato di insegnare al nipote come si accende il fuoco, staremmo ancora nelle grotte.
Ma ammesso che ci sia il tempo, il problema è che queste eroiche babyboomers non saprebbero come insegnarci ad appiccare il fuoco dell’istruzione, perché… per loro era una cosa interiore, una passione. Come chiedere a Louis Armstrong come si suona il jazz. O a Santa Teresa come si decolla. Se devi chiedere, non lo saprai mai, dannazione. E questo significa semplicemente che la civiltà evoluta degli insegnanti italiani sta per estinguersi; e che nel giro di vent’anni la scuola italiana è destinata a tornare nelle grotte.
Me compreso.
Ah, che bel vivere. Che bel mestiere. Di qualità.
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