Una buona festa dei lavoratori

(Karaoke esistenziale, ciak! 16).

Guardami bene, diritto negli occhi

che il mio mestiere non è il soldato

guardami bene, diritto negli occhi

che il mio mestiere non è.

Né di spada, né di cannone:

quello che ero io l’ho scordato

(se fosse spada, se fosse cannone,

il mio mestiere saprei qual è).

Adesso guardami le mani:

ti sembrano mani da padrone?

Coraggio, e toccami le mani,

che la mia vita non è.

Né col denaro né col potere

– oppure l’avrò dimenticato –

se fosse denaro, e ci fosse ragione,

il mio cammino saprei qual è;

ma il mio mestiere non è.

Guarda la punta delle mie scarpe:

quello che faccio non è la spia.

Né informatore né polizia,

che il mio mestiere non è,

di sicuro non è.

(Quello che faccio è cercare il tuo amore

fino nel cuore delle montagne;

quello che ho fatto è scordare il tuo amore

sotto il peso delle montagne).

Guarda i vestiti che porto addosso:

non sono quelli di un sacerdote.

Per i vestiti che porto addosso,

il mio mestiere non è

né rosario né estrema unzione:

quello che ero io l’ho scordato

(se fosse rosario, se fosse olio santo

il mio mestiere saprei qual è…)

E vedi che il bianco fra i miei capelli

non porta il titolo di dottore,

e la sveltezza delle mie dita

la mia vita non è:

né di taglio né di dolore,

né di carne ricucita;

né di taglio né di dolore,

anche questo non è,

il mio mestiere non è.

(Il mio mestiere fu cercare il tuo amore

fino nel fuoco delle montagne

Il mio destino, scordare il mio amore

sotto il peso delle montagne).

Guardami bene, diritto negli occhi:

ti sembrano gli occhi di un soldato?

Leggimi bene in fondo negli occhi,

che la mia vita non è,

il mio mestiere non è.

Ivano Fossati, Il canto dei mestieri, da Macramè, 1996.

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