Lo so, che è soltanto rock’n’roll

(ma mi piaaaaaaaace!)

Siamo qui, stiamo sudando i primi caldi dell’estate, siamo alle prese con un lavoro che non ci attira o con uno studio che ci deprime. La radio ci consola (o gli mp3), ma mentre ci facciamo cullare dalle note ci prende l’antico rimpianto: cosa ci facciamo qui? Alle prese con uno squallido futuro che non abbiamo mai desiderato? Noi che volevamo fare le rockstar, cantare su un palcoscenico davanti a decine di migliaia di persone (paganti)! Come abbiamo fatto a perderci per strada in questo modo?

Lo stesso pensiero, parecchi anni fa, colse Luciano impreparato. Era la prima di un’opera… importa dire quale? La solita, il tenore voleva farsi il soprano e il basso non era d’accordo. Per l’appunto basso e soprano stavano duettando, e dietro la quinta Luciano paziente aspettava, sudando l’impossibile. (Maledetti abiti di scena).

Da lì s’intravedeva la platea. I soliti visoni, le solite cariatidi sbadiglianti, fierissime di assistere a un evento culturale di quella portata (figurarsi, con quello che avevano pagato). Che noia. Che brutto mondo. Come ho fatto a finire qui? Io volevo fare la rockstar!

Il pensiero, appena appena formulato, lo stupì. Era stato proprio lui a pensarlo? Possibile? Lui era un grande artista, acclamato in tutto il mondo… eppure… sempre in giro per questi teatri, tutti uguali… con questa musica e questi abiti ridicoli… questo Ottocento protratto all’eternità… Tutto perché sono nato in provincia, lì studiare bel canto era il non-plus-ultra, ma fossi cresciuto a New York, a Londra… anche solo a Liverpool… gliela facevo vedere io, gliela facevo…

Ma era troppo tardi. Una volta impostata, la voce non si cambia più. È come un cerone che non riesci più a levarti di dosso, ti penetra sotto la pelle, diventa parte di te. Luciano non era ancora all’apice della fama, ma ci stava arrivando. Il suo manager gli aveva consigliato di ingrassare un po’ (“il tenore pingue gode di maggior visibilità, lo capisci o no?”)… Troppo tardi per i concerti da stadio…

“In scena!” Luciano si riscosse. Toccava a lui. Ma mentre si accingeva a stringere il soprano tra le braccia, ebbe il tempo per fare a sé stesso un solenne giuramento: Ingrasserò, e quando sarò il più grosso tenore del mondo organizzerò un concerto nella piazza più grande della mia città, e tutte le rockstar del mondo faranno a gara a cantare con me!

È da anni che non vado più al Pavarotti & Friends. Forse ho ricordi troppo belli, che non voglio inquinare. Ero piccolissimo, sarà stato l”84, o l”85. Per ottenere i biglietti, io e mia nonna avevamo piantato una grana con la mamma, che alla fine aveva acconsentito ad accompagnarci.

Lo spettacolo fu memorabile. Sin d’allora, P. sapeva stupire il mondo. Ricordo un’incredibile medley Vincerò / We are the champions con Freddy Mercury. Una fantastica Stairway to heaven con Robert Plant: il ritornello, in cui P. cantava “Mi meravigliaaaa!”, faceva venire i brividi. Una spiritosissima versione di I love to love con Tina Charles:

Tina Charles: Oh, I love to love,

But my baby just loves to dance

Pavarotti: Amo l’amor

Ma il mio diletto ama sol danzar

Coro: get get get get down. Get get get get down,

Get get get get get get get, oooh!
(Acuto)



Ricordo anche un grande duetto con George Michael, che però allora non potevo sopportare (odiavo le ragazzine). Ma che versi ispirati…

George: And I never gonna dance again

Guilty feet they’ve got no rhytm

Though it’s easy to pretend

I know you’re not a fool

I should have known better than to cheat a friend

And waste a chance that I’ve been given

So I never gonna dance again

The way I dance with you

Luciano: Oimé, e non danzero mai più

Nell’orma dei passi colposi

Finger già facile fu

Ma con te giammai!

Con te persi un amico che il fato mi dié

E nel pensier io mi torturo

So I never gonna dance again

Come danzai con te

Ma il numero che è rimasto scolpito nella mia memoria è quello con il grande Serge Gainsbourg. Certo, all’epoca non potevo neanche immaginare chi fosse, e certo mia madre e mia nonna non me l’avevano spiegato: eppure il fascino di quell’uomo magro, brutto, scavato, pallido, a fianco del tenore pingue e bronzeo… si guardano negli occhi, si sorridono, intonano un canto d’amore immortale…

Pavarotti: Deh! Ché t’amo, io t’amo, oh se t’amo!

Gainsbourg: Moi non plus

Pavarotti: O mio divino!

Gainsbourg: L’amour physique est sans issue

Pavarotti: Tu vai, tu vai e tu vieni

Tra le mie reni

Tu vieni e tu vai

Tra le mie reni

E poi… ti ritrai

Gainsbourg: Je vais, je vais et je viens

Entre tes reins

Je vais et je viens

Et je me retiens…

Pavarotti: No… adesso… vien! (Acuto)

Dolci ricordi. Ma è tempo di mettersi a sgobbare. Ho deciso che diventerò il più grande cliccatore del mondo, e quando lo sarò diventato, comprerò piazzale Novi Sad e ci farò un concerto tutti gli anni, duettando con chi mi pare. Che anche se stecco qualche volta, chi verrà mai a rimproverarmi? È per beneficienza… è solo rock’n’roll.

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