La riforma Gelmini, dicevo.
Una premessa: è il Natale del 2008, Berlusconi vanta un 75% di consensi, l’opposizione non è mai stata così timida, il sindacato non è compatto. Se si vuole buttar giù la scuola italiana e rifarla, questo è il momento. Non domani o dopodomani: oggi, o mai più! Chi nel baraccone dell’Istruzione Pubblica ci lavora da anni lo sapeva, e attendeva l’uragano con occhi sbarrati e orecchie tappate. Beh, adesso puoi aprirle: è passato. Ora, è chiaro che qualche danno l’abbia fatto. Ma la prima reazione è quella di guardarsi intorno increduli: tutto qui?
Attenzione, però, guai a fidarsi della prima reazione. Può darsi che qualche trave debba ancora caderci in testa.
Scuola elementare (ne parlo da osservatore esterno, non me ne intendo): come lungamente annunciato, non si parla più di maestro unico, ma di maestro prevalente. Qui, come altrove, il governo ha minacciato cento per ottenere cinquanta, sessanta, vah. Magari si è trattato di una normalissima strategia di contrattazione; ma dimostra che su certi argomenti (quelli che coinvolgono gran parte dell’elettorato, come la scuola elementare) Berlusconi non ha nessuna intenzione di picchiare duro. Non credo che a destra sia sopravvissuto qualcuno dotato di abbastanza senso critico per notarlo, ma c’è un bello scarto tra la retorica brunettiana dei maestri fancazzisti e quello che alla fine si taglia davvero.
Scuola media (qui sono un osservatore interno, ma è possibilissimo che non mi sia ancora accorto di qualche trave). Ci si aspettava di peggio. Per esempio: la Gelmini non doveva abolire Educazione Tecnica? No, macchè, avevamo capito male. La materia (di cui, a proposito di riforma, Gentile non aveva mai sentito parlare) resta lì, con le sue due ore settimanali, le sue assonometrie cavaliere, i suoi laboratori di informatica in cui la prof tenta invano di attirare attenzione sulle animazioni di WordArt mentre i ragazzini chattano con messenger. Si può discutere all’infinito sull’utilità dell’Educazione Tecnica. Ma, appunto, sono discussioni: se sei un ministro e intendi abolirla, l’unico vero problema che ti si pone sono le risorse umane. Licenziare i prof è inammissibile, Berlusconi non è mica la Thatcher. L’ipotesi di infilarli nella graduatoria dei colleghi di matematica (ovviamente davanti a laureati in matematica più giovani e meglio preparati) è sfumata: qualcuno deve aver fatto due conti su quanto sarebbe costato organizzare corsi di aggiornamento dignitosi per tutti.
Morale: non si possono fare riforme strutturali al risparmio. Al massimo si fa qualche taglio – ma anche lì, siamo in controtendenza. La Moratti pensava che la scuola fosse un’azienda, e si comportava di conseguenza come una manager neoliberista anni ’90: tagliare, razionalizzare, esternalizzare, privatizzare. Oggi non credo che la differenza tra scuola e azienda sia più chiara al Ministro: quel che è chiaro è che le aziende anni ’90 sono comunque andate a scatafascio, e quindi si naviga a vista. Spender soldi no, ma tagliare seriamente creando conflittualità nemmeno, e quindi cosa? L’unica cosa che sanno fare bene Berlusconi & co.: promettere.
Prendiamo le cinque ore settimanali di inglese, fiore all’occhiello della riforma. Si tratta di un monte ore di tutto rispetto, degno di un linguistico (pensate che ormai le ore settimanali di italiano sono sei). Anche il rapporto prof-studenti cambierebbe radicalmente: oggi un prof di inglese ha sei classi da interrogare e verificare, quasi una catena di montaggio. Passare a cinque ore significherebbe ridurre le classi da sei a tre (e mezza). Insomma, ci sono tutte le premesse per un radicale salto di qualità nell’insegnamento dell’inglese. Fantastico! Ma perché non ci abbiamo pensato prima? Perché abbiamo lasciato che i nostri ragazzi studiassero tre ore una lingua straniera e due ore un’altra, senza poter imparare bene nessuna delle due?
Per una questione di organico, come al solito. La scuola media ha un annoso problema: lo smaltimento degli insegnanti di francese. Il problema è noto: ancora 35 anni fa si riteneva che il francese fosse la lingua del futuro, e si assumevano insegnanti in conseguenza. Oggi che nemmeno i francesi ci credono troppo, quelle prof sono ancora tutti in cattedra. Quindi? Forse che la Gelmini ha proposto di prepensionarle? No, assolutamente: anzi, c’è rischio che Brunetta prolunghi loro l’agonia, con questa storia dei 65 anni. Si tratta semplicemente di aver pazienza e aspettare che si esauriscano, ad una ad una, cedendo le loro due ore all’insegnamento dell’inglese, “compatibilmente con le disponibilità di organico e l’assenza di esubero dei docenti della seconda lingua comunitaria”. Ecco, questo è veramente sleale. Come promettere una psp al figlioletto e poi allungargli cinquanta euro: compratela pure, compatibilmente col tuo ridicolo budget. Allo stesso modo la Gelmini va in tv a promettere ai genitori qualcosa di favoloso che i presidi potreanno realizzare soltanto “compatibilmente con le disponibilità”.
E i presidi ci proveranno anche, a realizzare la classe all-English (specie se i genitori ci tengono molto, nei centri dove più scuole si disputano le iscrizioni): ma non sono onnipotenti, e senz’altro non possono accoppare le prof di francese che non hanno maturato la pensione.
Morale: se state studiando francese, non pensate giammai di poterlo insegnare nella scuola dell’obbligo (ma quello credo lo sappiate già), la graduatoria resterà bloccata per decenni; se vostro figlio deve andare in prima media, e pensate che fargli studiare inglese cinque ore alla settimana sia una buona cosa, drizzate le antenne: non tutte le scuole potranno attivare una classe del genere, e quelle che ci riusciranno facilmente vi metteranno in lista di attesa. È possibilissimo che le classi all-English diventino il nuovo status symbol; quello che oggi sono le classi musicali, o in certi casi quelle di tedesco: classi di un certo livello, dov’è meno facile incontrare bimbi col cognome strano o straniero. C’è poi un lieve vantaggio per le scuole paritarie: loro (credo) possono licenziare la prof di francese, lo Stato no.
Ho scritto troppo? Un’ultima cosa. Sentite qui:
Art. 7 L’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, previsto dall’art. 1 del decreto legge n 137 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 169 del 2008, è inserito nell’area disciplinare storico-geografica.
Ci vuole una discreta faccia tosta a spacciare come una novità epocale l’insegnamento dell’Educazione Civica. La Gelmini ci ha provato. Almeno speravo che tanta insistenza sulla Cittadinanza e la Costituzione si traducesse in un’ora in più per il povero insegnante di Italiano, che deve concentrare grammatica, geografia, storia ed educazione civica in dieci ore alla settimana (e deve anche infilarci un bel libro, o una poesia): e invece no; l’orario passa da dieci ore a nove più una, che se non sbaglio fa sempre dieci (però il discorso lì si fa molto più complesso: vi basti sapere che se quella decima viene a mancare saltano un sacco di cattedre, compresa forse anche la mia). Ogni tanto dovremo fare lezioni sulla Cittadinanza o sulla Costituzione che in effetti non avevamo mai smesso di fare, prima durante e dopo qualsiasi riforma. L’unico danno sicuro per ora è la delusione sulla faccia dei ragazzi, sempre amanti del nuovo, che avevano sentito in tv di questa inedita materia chiamata Cittadinanza e la Costituzione e speravano in qualcosa di eccitante, e invece si ritrovano la stessa lagna dell’anno scorso: il prof col gessetto alla lavagna che spiega la differenza tra Legislativo ed Esecutivo.
(L’ho fatta lunga anche stasera, alla prossima).

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