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Va bene, ora mi alzo

Mi chiedi perché vado a letto tardi, ebbene:

l’altra sera, appena coricato, ho sentito che mi dondolava un dente. Ho provato a smuoverlo un po’, e a quel punto dondolava ancora di più, sembrava implorarmi che lo staccassi e l’ho fatto, con due dita l’ho staccato dalla gengiva senza sentire dolore, anzi con una netta sensazione di sollievo, ma queste cose mi capitano soltanto nei sogni, e quindi ho pensato che stavo dormendo.

D’altro canto, quando nel sogno ci si rende conto di sognare, di solito si sveglia: io invece no, restavo lì con questo sassolino bianco in mano e mi sono detto va bene, va bene, non è grave, ora mi alzo, vado in bagno, e se nel tragitto non mi sveglio significa che sono davvero sveglio.

Alzandomi di scatto, ho un po’ sbandato al buio e ho urtato lo stipite della porta: la mia spalla ha avvertito il colpo, come non mi sarebbe successo in un sogno. Però poi sono arrivato in bagno, nella penombra ho cercato nello specchio l’ombra del mio volto, ma quando ho provato ad accendere la luce il pulsante non funzionava, la luce non si accendeva: ecco, mi sono detto, avevo ragione, sto sognando, e ora mi sveglierò.

Ma non mi svegliavo. 

Così c’è stato questo momento lunghissimo, in cui non vedevo più né lo specchio né il bagno, ma buio soltanto e la consapevolezza di non essere lì, ma di non essere nemmeno altrove, in un nulla che sarebbe durato per un attimo o per sempre, troppo consapevole per annullarmi nel sonno profondo, ma non abbastanza da svegliarmi, senza occhi per vedere, senza bocca per urlare, mando impulsi ma è tutto staccato, muovi le gambe le gambe non si muovono, muovi le mani, muovi qualcosa, niente, sto respirando? speriamo di sì. Mi batte ancora il cuore?

Alla fine qualche impulso ha funzionato, e mi sono svegliato. 

Tutto ok, ma a quel punto dovevo riaddormentarmi.

Mi chiedi perché vado a letto tardi: non c’è un vero motivo.

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Nel sogno l’ho picchiato

– Nel sogno sto cercando qualcosa nella campagna intorno a San Felice Secchia, sto seguendo una pista che mi ha fornito una collega in pensione. Non c’è molta gente in giro ma noto questa nuova tendenza di affondare vecchie automobili nei canali, una la vedo proprio imbarcare acqua e sprofondare, un’Alfasud grigio metallizzato.

Altre auto invece le abbandonano sui cigli delle strade e a questo punto mio padre, che non sogno quasi mai, mi insegna come attaccarne una all’uncino di un carro attrezzi, evidentemente sto lavorando con lui. Più che un carro attrezzi però sembra un mini-ponte, non so come lo chiamassero in qualsiasi altra auto-officina, una minigru semovente che guido stando in piedi, con l’auto al traino, e mio padre ci segue con un altro mezzo indistinto. Andiamo ai venti all’ora ma nel sogno sono comunque fiero del mezzo che sto conducendo, quell’orgoglio da ragazzo neopatentato. A un certo punto, e abbiamo già attraversato una piazza di San Felice, svoltando in una curva, ci affianca una motocicletta telecomandata, un giocattolo. Io che nel sogno non sono comunque esperto di quello che mi sta succedendo, per un attimo penso che sia una specie di mascotte della nostra ditta, invece mio padre mi avverte che è una truffa, un drone (non usa quella parola), insomma un affare che serve per fregarmi i dati dal telefono.

– Accostiamo il mio veicolo, estraggo lo smartphone con la stessa fatica che ci metto quando sono sveglio a farlo sgusciare dalla tasca dei jeans, e leggo in inglese che adesso sono cliente di Telecom Irlanda. Calcolo che con uno scherzo del genere mi sono giocato tutto quello che ho vinto online e questo è veramente curioso perché è da parecchio tempo che non gioco, da sveglio, mentre nei sogni evidentemente continuo e ovviamente vinco – non sarebbero sogni – ma non così tanto.

Acquattato in un androne noto il tizio con il telecomando giocattolo in mano. Ha i capelli neri, ma pochi, lo sguardo triste perfettamente sbarbato. In questo sogno in cui mi muovo molto, lui invece è prigioniero, mi vede e non può muoversi. Adesso mi dai i documenti e li fotocopio, gli dico, che è una frase che di solito uso nella mia scuola coi nonni che quando un bambino sta male vengono a prenderlo ma non hanno una delega firmata dai genitori. La stesa frase adesso è intonata come una minaccia: lui non può darmi i documenti ma non può nemmeno scappare. Non ti conviene farmi arrabbiare, gli spiego, perché è da tanto che voglio picchiare qualcuno e ho pure in mano il connettore che serve ad adattare il bocchettone del GPL al serbatoio della mia macchina: un affarino che sta in un pugno ma che è molto pesante. Il tizio si dibatte ma non può scappare, così lo martello in testa con quell’affare e al primo colpo va giù. Non è svenuto, è solo che non ne vuole prendere più.

Gli prendo il portafogli e leggo il suo nome su un documento rovinato, un liquido colando a rivoli l’ha corroso in due punti, è un nome di origine mista con le consonanti più strane proprio dove passano i segni del liquido. Inoltre è doppio, e anche il cognome è doppio, ma io ci sorrido sopra perché in questo sogno sono espertissimo di nomi, li conosco tutti. Lo passo a mio padre/collaboratore e gli dico di fotocopiarlo. In questo largo androne, una specie di sottoscala ma di una scala architettonica, c’è in effetti una fotocopiatrice, forse a gettone. Siamo a posto, mi dice, e poi mi dice un’altra cosa divertente, ma gli rispondo che ho picchiato una persona e quindi adesso sarò di cattivo umore per un mese intero. Il tizio sotto di me finge di dormire, o forse a questo punto si è svegliato.

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La diabolica strategia mediatica

(La notte)

“Va bene, adesso interroghiamo. Nizzoli per esempio, che Paese dell’Africa Occidentale portavi? Mi vuoi parlare del Senegal?”
“No”.
“No?”
“No”.
“Forse la Gambia?”
“No”.
“Di cosa mi vuoi parlare, Nizzoli?”
“Della strategia social di Salvini”.
“No”.
“Credo che Salvini ci stia fondamentalmente trollando, postando contenuti provocatori che dovremmo invece ignorare…”
“Ok, è un incubo, vero? Adesso mi sveglio”.
“Per esempio la Nutella…”
“Oppure guarda facciamo così, adesso bussano ed entra un elefante nella stanza”.
“O De Andrè…”
“Ma perché no, va bene, fate entrare De Andrè…”

(Al forno)

“Buongiorno, come va?”
“La strategia social di Salvini non va presa sottogamba”.
“Eh? No, no certo. Mi darebbe uno sfilatino ai cereali, per favore”.
“Questa sua enfasi sul cibo, per esempio, è una chiara rincorsa al pubblico dei talent, e in generale delle trasmissioni sul food…”
“Ho cambiato idea, scusi, lo prendo senza cereali…”
“Ma secondo me sbagliamo a rispondere sempre alle sue provocazioni”.
“Anzi no guarda non lo prendo proprio, mi scusi, mi è passata la fame”.
“Per esempio, rifarsi a De Andrè…”
“Addio”.

(Dal barbiere)

“Come li tagliamo?”
“Beh, corti”.
“Sì però non faccia quella faccia”.
“Che faccia?”
“Lei ha la faccia di uno che sta per mettersi a parlare della strategia social di Salvini”.
“No le giuro no”.
“Dicono tutti così, e poi…  Io tra l’altro faccio un mestiere a rischio, non so se la gente ci riflette, ma sono sempre qui con le forbici in mano”.
“Eh, mi rendo conto”.
“Un giorno o l’altro succederà, capisce? Uno si siede, mi parla della strategia mediatica di Salvini, della Nutella e di De Andrè e io… zac”.
“Un solco lungo il viso”.
“No anche un po’ più sotto guardi”.
Drin
“…Allora se preferisce non dico niente”.
“Grazie”.
Drin
“Ma stanno suonando?”
“Sì, è l’elefante. Ma io non lo faccio entrare”.
Drin
“Bravo”.

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