Leonardo

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Baricco e i suoi messia

Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?

Il passato è tutto ciò che non esiste più, e questo è triste, perché il passato è anche l’unica cosa che possiamo davvero conoscere (quel poco che possiamo). Ogni volta che cerchiamo di immaginare il futuro, non abbiamo altra scelta che rielaborare tutto quello che sappiamo già, ovvero tutto quello che il futuro inesorabilmente supererà. Già è difficile in generale non pensare all’elefante: ma questo è uno dei casi in cui l’elefante è tutto quello che sappiamo. Anche quando ce la mettiamo tutta alla fine non facciamo che formulare cose che a ben vedere sono elefanti senza zanne, o con due proboscidi, e mentre siamo lì a domandarci se abbia un senso far passare la coda tra le orecchie, qualcosa che proprio non s’è visto fin qui, ecco che ci passa davanti una giraffa – ehi, cos’era quella? Il futuro? E chi poteva immaginarselo?  

 “Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”

Questo non significa che a furia di pensare al futuro come a una sottospecie del presente, non si possa in un qualche modo costringerlo a vestire zampe d’elefante anche quando non ne avrebbe bisogno – cioè se proprio insisti la Storia può anche ripetersi: purché in farsa. I francesi avevano questa idea che alla Monarchia avrebbe potuto seguire una Repubblica, perché lo avevano letto sui libri di Storia di Roma: ma a quel punto si poteva anche presumere che ne sarebbe seguito un Impero, e infatti così fu; avrebbe potuto chiamarsi in tanti modi, Secondo Direttorio o Nuova Monarchia, ma in un qualche modo ci si aspettava ormai un Impero. Con l’Impero poi ci si aspettava la pax romana, e invece ne seguirono più di dieci anni di guerre continentali, che a loro volta prefigurano le Guerre Mondiali, che furono due e al termine della Seconda tutti davano scontata la Terza, come si dà per scontato l’elefante: e invece venne una cosa mai vista prima, la Guerra Fredda. e poi quest’altra cosa imprevedibile fino al 1988 che forse qualcuno chiamerà Età della Globalizzazione e che potrebbe essere finita proprio con la pandemia, chi può dirlo? Napoleone era la Storia che passava a cavallo, l’Ever Given potrebbe essere la Storia che si impantana nel Canale di Suez. E magari invece no, magari tra sei mesi la pandemia sarà solo un brutto ricordo da gettarsi alle spalle e il traffico di merci circonderà il mondo in una morsa più pulsante che mai. Non ne ho la minima idea, non faccio che proiettare elefanti, quando arriverà una giraffa è già tanto se me ne accorgerò. Per fortuna di mestiere non vendo giraffe. 

Baricco, viceversa.

Baricco nel suo ultimo intervento l’ha messo nero su bianco: lui è un messianico, e questo è il secondo motivo per cui mi metto a scrivere di lui il giorno di Pasqua (il primo motivo è che non ho voglia di lavorare). 

Sempre questo istinto messianico ad aspettare il salvatore. A cercare una stella cometa nel cielo per capire dove sta nascendo. Principio speranza.

E vabbe’. Mi è venuto in mente un pezzo di qualche tempo fa, in cui contrapponevo gli apocalittici ai messianici. Ecco: non potevo chiedere di meglio, per illustrare la differenza, di un esempio come il suo. L’apocalittico vive nel timore e nel tremore che il mondo possa finire in qualsiasi momento e per colpa di chiunque, lui compreso. È l’erede di centinaia di generazioni di apocalittici, tutti sconfessati dai fatti, tutti a posteriori descrivibili come mitomani allucinati: e ciononostante come tutti quelli che lo hanno anticipato, l’apocalittico del 2021 è perfettamente credibile nel 2021; solo nel 2031 lo liquiderete come ridicolo. Ma nel frattempo dovete ammettere che ha i suoi argomenti, e che nessun apocalittico del passato li ha avuti tanto buoni come i suoi. Mai come oggi l’umanità risulta appesa a un filo, o magari a due o trecento, ma comunque sono fili e sono sottili. C’è troppa anidride carbonica nell’aria. Gli oceani si innalzeranno. Dal permafrost che si congela dopo milioni di anni resusciteranno virus e batteri che non conosciamo, forse sono già risorti. Nel frattempo cominciamo a crescere, siamo otto miliardi e non è chiaro di cosa ci nutriremo tra vent’anni; a dire il vero non è nemmeno chiaro dove ci procureremo l’acqua da bere: quanto al petrolio da bruciare, è escluso, non si può fare, chi lo farà dovrà essere fermato con le buone o le cattive e a tal proposito nelle ultime due velocissime ere abbiamo accumulato talmente tante armi che l’opzione di un’estinzione rapida e violenta continua a essere sul tavolo. Quando si parla di futuro, questi sono i dettagli che ha presente l’apocalittico; questi sono i pezzi del suo elefante. Baricco invece è contrariato perché pagare una bolletta con lo smartphone è ancora un po’ difficile.

Seriously?

Baricco pensa che nel futuro metteremo da parte la razionalità, e coerentemente non si preoccupa di spiegarci perché di tante cose del XX secolo proprio la razionalità dovrebbe cedere il passo (e proprio mentre sull’affare con cui scrive gli algoritmi gli correggono gli errori di battitura). Glielo dice l’istinto. La mia ipotesi è che Baricco, immaginandosi alla svolta di un secolo, non riesca a non immaginare la svolta che conosce meglio in quanto uomo di cultura e musicologo. E in effetti, se ci avviciniamo meglio al suo elefante, ci rendiamo conto che assomiglia più a Beethoven che al K-pop. 

Baricco ci chiede di abbandonare il Novecento, e senza accorgersene ne parla come fosse il Settecento razionalista. Baricco ci vorrebbe finalmente nel XXI secolo ma non può impedire di immaginarlo come un update dell’Ottocento romantico. Si potrebbe veramente prendere un po’ di frasi, mescolarle a un Chateaubriand o a uno Schiller, e giocare a riconoscere chi ha scritto cosa. I messianici sono così, prenderli o lasciarli: hanno deciso di aspettare qualcosa, il che implica che qualcosa debba ancora arrivare, e se anche loro hanno un timore, è quello di non riconoscerlo quando arriverà. Gli ebrei lo aspettano da millenni; i cristiani in realtà lo hanno trovato, salvo che se n’è andato via subito, lasciando detto che torna: e di guardarsi nel frattempo dalle imitazioni. A quel punto apriti cielo: da duemila anni non facciamo che guardarci in cagnesco, chi sarà il vero messia? Potrebbe essere chiunque, compreso tu che leggi, ma è più facile che tu sia l’ennesimo falso messia, maledetto impostore. Sarebbe facile smontare tutte le previsioni di Baricco e mostrargli come tutto quello che lui s’immagina nell’elefante del futuro si sia già realizzato, a volte addirittura due secoli fa; senonché smontare il messia ai messianici è come rubare caramelle ai bambini: un gesto non solo vigliacco, ma che non regala all’adulto che una misera soddisfazione – alla nostra età che ce ne facciamo, delle vostre caramelle? 

Chaque age a les prophetes qu’elle mérite

Baricco in pandemia lamenta “l’autorità razionale di un preside ottuso” – e i presidi nel frattempo si stanno facendo in quattro per recepire direttive ministeriali, regionali, collegiali e genitoriali; “la cieca rigidità dei programmi ministeriali”, che sono stati aboliti più di trent’anni fa e da allora popolano i sogni degli editorialisti, come quei genitori crudeli che non abbiamo avuto e segretamente rimpiangiamo. Baricco prepara nel deserto la strada a una miracolosa Start Up “destinata a smantellare l’assurda complessità del pagamento delle multe”, si immagina tutto un complesso burocratico-industriale che fatalmente si opporrà alla messianica Start Up, e conoscendo la fatica di chi si avvicina allo Spid posso capirlo, ma proprio ieri ho pagato una multa e ci ho messo cinque o sei clic – certo, da un computer: con l’Iphone dev’essere ancora un supplizio.

Baricco certi messia li avrebbe anche individuati, ma non possono essere quelli veri, e anche qui niente di nuovo. Tutte le volte che la Storia è passata a cavallo sui due cigli della strada c’era un sacco di gente che scuoteva la testa: non è il cavallo giusto, non ha la criniera che ci aspettavamo, non doveva passare di qua ma venti leghe più a nord, ecc. Bezos Musk o Zuckerberg hanno veramente cambiato la nostra vita, ma non possono essere i veri messia per una serie di motivi che Baricco si fa venire in mente con facilità: ad esempio, sono “maschi, americani, bianchi”, proprio mentre la crescita della popolazione rende i wasp una minoranza sempre più marginale. Inoltre sono “ingegneri”, proprio nel momento in cui Baricco ha dichiarato la razionalità come irredimibilmente novecentesca. Sono anche degli schiavisti, aggiungo io. Almeno Bezos tende a comportarsi come tale: ma questo non è tra i motivi espliciti per cui Baricco lo rigetta come falso messia. Non è mica il primo influencer che passa, Baricco; non è per abbassarsi a fare il profeta di uno Zuckerberg che si è inoltrato nel deserto. Ha bisogno di qualcosa di più nuovo, di più degno del suo apostolato, qualcosa di davvero interessante, dirompente – ma cosa? 

Lo chiama “intelligenza” – un nome come un altro. “Respiro del mondo”: ci stiamo avvicinando. In un altro secolo lo chiamavano Spirito Santo. Sarà qualcosa di fighissimo, che ci risolverà l’esistenza: in un istante conosceremo tutte le lingue degli uomini e degli angeli, e non vi sarà più confine né dolore. In attesa della Nuova Pentecoste però il commercio mondiale è incastrato in una rete antiquata che si può saturare per un nonnulla: basta anche solo che una super-chiatta sbagli manovra in un canale inaugurato nel 1869. I virus ci minacciano, la Razionalità trova vaccini a tempo record ma non riesce a uniformarne la distribuzione. Nell’emergenza, ogni Paese va per i fatti suoi, e chi più aveva creduto sia all’internazionalismo che alle regole del mercato (la UE) ci fa la figura del fesso che ottiene le condizioni peggiori. L’apocalittico passa le giornate a domandarsi: cosa sarà di noi, alla prossima ondata, alla prossima crisi? C’è un rincaro delle materie prime alle porte, l’Iphone sul quale Baricco si aspetta di pagare le multe potrebbe non essere più rimpiazzato a lungo da un prodotto più potente. Il commercio mondiale è ancora sostenibile, o non dovremmo piuttosto riorganizzare la produzione ripartendo il mondo in quattro cinque blocchi autosufficienti? Ma anche una volta che si fossero costituiti questi blocchi, come impedire che lo scontro per le materie prime non degeneri in conflitto aperto, come distinguere questo scenario da quello previsto da Orwell? E tra questi interrogativi, il più penoso di tutti: come facciamo a spiegare agli occidentali che anche nel migliore degli scenari la festa è finita, che il benessere non sarà più un diritto di cittadinanza? Che un modello totalitario come la Cina Popolare per ora sembra rispondere alla crisi con più consapevolezza e riflessi pronti delle tronfie democrazie atlantiche? 

Non importa quanti incubi lo perseguitino sin da bambino; l’apocalittico non conosce assuefazione, ne trova sempre uno più grave per cui preoccuparsi. Quando l’angoscia risulta intollerabile, l’unica consolazione a guardarsi indietro, ricordare che non è che l’ultimo di una teoria di profeti di sventure in gran parte mitomani, gente che ogni vent’anni se ne esce con la data della Fine e non ci azzecca mai. Ce ne sono stati tanti come me (pensa l’apocalittico) e la Storia li ha sbugiardati tutti: perché dovrei essere il primo che ci azzecca sul serio? Chi mi credo di essere? Non sto che fabbricando un brutto sogno, con i pezzi dei brutti sogni dei miei antenati: Orwell, e Huxley, e Huntington, e Marx, e compagnia? Finché una mattina non vedrò passare qualcosa di mai visto, così incredibile che forse nemmeno lo riconoscerò, e sarà il futuro: sarà assurdo e insieme aggraziato e naturale come una giraffa, sarà incomprensibile ma magari molto migliore di tutto quello che ho sognato, perché sapevo solo sognare disastri. Potrebbe anche essere bello – non c’è nessuna necessità che lo sia, ma perché non potrebbe? 

Se invece passa proprio Baricco, un po’ m’incazzo (sempre meglio dell’estinzione di massa: e tuttavia).

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Il Covid alla fine del mondo (pagani, apocalittici e messianici).

Stamattina quasi prima di svegliarmi ho trovato il mio contatto più putiniano in assoluto che ripostava i Wu Ming, però non è una cosa così interessante alla fine. Tutte le sfumature esistono, quindi anche il rossobruno, ma non sono nemmeno sicuro che sia il caso. Mi piacerebbe discuterne, mi piacerebbe spiegare cosa mi allontana dagli uni e dagli altri, ma a questo punto credo che sia doveroso fare una premessa esistenziale: qualcosa che allontani anche le quindici persone che potevano sopportare di leggere un mio pezzo sull’argomento. 

Dire che questa epidemia ci ha presi alla sprovvista è un eufemismo. Se adattarsi al lockdown in marzo fu relativamente semplice (per quanto mi riguardava, avevo così tanto lavoro da fare che non mi restava il tempo per preoccuparmi), ci è voluto un po’ più di tempo per riuscire a far entrare l’epidemia nel nostro sistema di credenze o di valori – in quello che potremmo chiamare “ideologia”, salvo che per molti è una brutta parola. Molto spesso io lo chiamo religione, un’altra parola assai imprecisa ma che mi serve a ribadire un concetto: non si tratta di un insieme puramente razionale di idee: c’è parecchio irrazionale più in fondo, che tiene su l’iceberg. Se vi è capitato di litigare con qualcuno in questi mesi (a me è capitato) molto spesso erano le parti basse degli iceberg a scontrarsi; per quanto noi contendenti guardassimo più in alto, verso i massimi sistemi. 

Mi prendo come esempio, essendo la persona che conosco meglio (ma non credo che altre persone funzionino in un modo troppo diverso). Dopo alcune sbandate iniziali, il mio approccio al virus è stato pragmatico e orientato alla prevenzione. Ho accettato relativamente presto che il virus c’era, e che era suscettibile di danneggiare me, i miei cari e la mia comunità; e ho accettato, anzi lottato per quanto poco potevo perché la comunità intorno a me prendesse misure di prevenzione, anche quando confliggevano con libertà individuali. Questo mi è successo per vari motivi razionali, che posso benissimo elencare; ma anche per motivi irrazionali: la base del mio iceberg. Infatti oltre a essere una persona pragmatica, razionale, prudente, responsabile, eccetera, io sono anche un millenarista: uno che sospetta la fine del mondo vicina. Lo nascondo molto bene, tanto che qualche lettore potrebbe non accorgersene (o addirittura essersi persuaso del contrario): ma in definitiva io credo che il mondo potrebbe finire, con tutta la forza della mia irrazionalità: questo ha sempre orientato ogni mia scelta, sin da bambino. Da bambino pensavo a un’escatologia un po’ più cattolica, più o meno il Giudizio Universale; alle medie già ero più incline all’olocausto nucleare; in seguito l’ho sostituito con una crisi climatica irreversibile e non ho mai smesso di pensare che la Fine avrebbe anche potuto essere un mix delle tre cose. Alle epidemie non pensavo spesso, lo ammetto; ma non ho avuto nemmeno molta fatica a farla entrare nel quadro: dove c’è posto per tre cavalieri, si può accomodare anche il quarto. 

Con questo io non sto dicendo che nel profondo del mio iceberg credo che il Covid19 sia la Fine, ma che sono in un qualche modo predisposto già pre-razionalmente a reagire a crisi sistemiche, perché in fondo me le aspetto, me le sono sempre aspettate, addirittura sono un po’ stupito che tardino. Il 2020 che per voi è un anno tanto sventurato, per me fino a qualche anno fa era uno di quegli anni che si mettevano nei titoli di quei film di fantascienza sociale che da bambino mi terrorizzavano. Non credevo di arrivarci così facilmente: neanche una guerra, appena un terremoto ma non micidiale. Così, quando arriva qualcosa che turba la mia quotidianità come mai mi era successo prima, la mia reazione è “Ecco, ci siamo“. Poi razionalmente so benissimo che non ci siamo, e anzi all’inizio mi disturbava un po’ che si potesse trattare di un falso allarme, una distrazione: lo scenario della crisi ambientale è ancora quello che mi convince di più. La razionalità ha però questa cosa fantastica, che dopo un po’ si accomoda; in effetti ci sono migliaia di indizi che ci fanno pensare che il Covid19 sia collegato alla crisi ambientale: che si tratti di un effetto collaterale della sovrappopolazione, della deforestazione o magari dello scioglimento dei ghiacci millenari con il loro tesoro di virus e batteri sconosciuti all’uomo. E se anche non c’entrasse assolutamente nulla, ebbene, si tratta comunque di un’anticipazione di cose che potrebbero succederci tra qualche anno: tanto vale prepararci. (Il covid, lo dico qui in un pezzo lungo e noioso, potrebbe salvare l’umanità, semplicemente mettendole una pulce nell’orecchio: devi cambiare atteggiamento, darti un po’ più da fare con la ricerca, mettere a punto protocolli che funzionino davvero eccetera). 

Questa premessa serviva a spiegare perché di fronte all’emergenza ho reagito in un certo modo, e in generale come reagisco alle emergenze: non ho difficoltà ad accettare previsioni pessimistiche, purché provenienti da fonti autorevoli; non mi costa moltissima fatica cambiare i miei comportamenti, se mi viene spiegato che è il prezzo da pagare per attuare una politica di prevenzione. Tutto questo accade perché nella profondità del mio iceberg, la Domanda è: “Ci Siamo?” Ogni cosa che avviene, nella profondità del mio iceberg, viene divisa in eventi che prefigurano la Fine (da conservare) ed eventi che occultano la Fine (da respingere). Il covid entra nella prima categoria, quindi me lo tengo. E già irrazionalmente sto indovinando perché alcuni non sono disposti a farlo. La maggior parte di essi non aderisce a nessun credo millenario, anzi lo negano con tutta l’energia di cui dispongono. 

In sostanza sono pagani: per loro il mondo esisterà per sempre. Dal momento che non l’hanno visto nascere, perché dovrebbero vederlo finire? L’unica cosa che notano è che somiglia sempre meno a quello della loro infanzia, e vivono questa consapevolezza come il ricordo di un’Età dell’Oro. Non credono in un’Apocalisse; in compenso si struggono per una Caduta. Ogni evento che li allontani ancora di più da quell’Età, per loro è un abominio, qualcosa che non dovrebbe esistere: e quindi non esiste. Chi li chiama negazionisti, non sempre ha chiaro cosa neghino davvero. La scienza? L’autorità? La doxa? Sì, negano un po’ tutte queste cose, ma perché? Quello che negano davvero, con ogni fibra del loro io razionale e irrazionale, è che il mondo possa cambiare e quindi finire. Questo ha permesso loro di crescere spensierati sbocconcellando merendine all’ombra degli euromissili; questo ha consentito loro di negare il riscaldamento globale persino quando dalle Alpi hanno iniziato a sparire i ghiacciai; questo li porta, oggi, a negare il virus. Se esistesse davvero, dovrebbero cambiare il loro stile di vita, il che è una bestemmia: quindi non esiste, è una truffa congegnata da una consorteria di uomini perfidi che non tollera la loro felicità. 

Questi sono i pagani. Ce n’è a destra come a sinistra, non è una questione di ideologia; non ancora. Persino la più squadrata e razionale delle ideologie non può non appoggiarsi su basi inconsce, prerazionali: la razionalità segue e riesce sempre a spiegare ogni asperità del terremo come se fosse un fatto necessario. Se nel mio inconscio credo che il Covid minacci il beato mondo della mia infanzia, il mio io conscio troverà il sistema razionale per spiegare questa cosa, tracciando relazioni di causa ed effetto che possono collegare Bill Gates con Big Pharma, se serve. Se invece nella profondità del mio inconscio credo che il Mondo debba finire, la mia razionalità si procurerà tutti gli indizi che servono a dimostrare che questa fine e vicina, e li comporrà nella più mirabile delle strutture. E così via. Ma questo spiega tutto? No, non credo. 

Non ci sono soltanto pagani e apocalittici. C’è un’altra famiglia di iceberg, più difficile da distinguere: è quella con cui me la prendo più spesso, come succede sempre tra gente che in teoria era compagna di strada. A differenza dei Pagani, essi non negano la possibilità di un’Apocalisse; a differenza degli apocalittici semplici come me, a volte persino la desiderano, per le potenzialità che scatenerebbe. Come definire un gruppo di persone unite dalla credenza irrazionale che da un’Apocalisse potrebbero venire cose buone? Non ho quasi scelta: devo definirli messianici. Magari non aspettano tutti lo stesso messia: per alcuni è un’utopia anarcosocialista, per altri è la democrazia partecipativa, per altri ancora un totalitarismo alla Putin; alcuni non sanno nemmeno che è un messia che stanno aspettando, ma lo aspettano lo stesso. Queste persone hanno nei confronti del Covid19 le difficoltà che avevo io all’inizio: non lo trovano abbastanza apocalittico. Non fa nulla di quello che dovrebbe fare un Armageddon serio. Non capovolge la piramide del potere, anzi la puntella; non getta i lavoratori nelle piazze, anzi li blinda in casa; non punisce i superbi per la loro avidità, anzi, stanno già speculando sui rialzi della Pfizer. Non è un’Apocalisse, è un bidone, un falso messia da rigettare. Queste le premesse irrazionali; da lì si innerva la razionalità, puntando il dito sugli abusi del potere, sul ruolo proditorio del capitale, sulla funzione di paravento assunta dai media, e devo dire che sono tutte analisi interessanti e fino a un certo punto condivisibili anche da me – perlomeno finché si rimane nella sfera razionale. Ma è impossibile: non possiamo nemmeno accostarci, senza che sott’acqua i nostri iceberg cozzino. Spero di essermi spiegato, almeno un poco.

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Il fattore Fonz

 Ma l’energia, ci pensate certe volte all’energia.

Anche quella delle piccole cose che fanno tutti, ad esempio: ci pensate a tutta l’energia che tiene i sostenitori di Trump in un limbo di speranza. L’energia che li fa svegliare un po’ presto – milioni di persone – per andare a cercare su qualche canale di social un’altra pseudonotizia da sbattere in faccia agli avversari. L’energia che quelle pseudonotizie le produce: c’è gente che le scrive, gente che le diffonde, gente che in qualche modo abbastanza contorto ci guadagna, e intanto Trump le elezioni le ha perse da una settimana. Ci pensate a quanta straordinaria energia?

Non vi sembra così straordinaria.

Va bene, allora pensate a quelli che tutte le mattine (ma anche le sere, o i pomeriggi), si attaccano a qualche discussione sulla sicurezza delle scuole. Magari è un report che spiega, coi numeri, che le scuole sono un luogo di contagio, ma c’è un’energia che quasi li costringe a commentare: le scuole comunque sono sicure. Eppure da quando hanno riaperto il contagio ha ripreso quel suo ritmo esponenziale, il che è un fortissimo indizio che suggerirebbe non dico di cambiare idea, ma almeno un po’ di prudenza, di diplomazia, ma perché mai? No, questi si attaccano ai commenti e continuano a dire che le scuole sono sicure, che nessuno si ammala nelle scuole e infatti di minori infetti ce ne sono pochi, dai. Uno per un po’ prova anche a spiegare che in realtà son raddoppiati in poco tempo, e che comunque sappiamo già da molto che i minori contagiati tendono a essere asintomatici, il che non impedisce loro di spargere il virus ovunque vanno e soprattutto a casa: proprio come l’influenza stagionale, che in casa tua non c’era da vent’anni e poi i bambini hanno iniziato ad andare a scuola e da allora hai iniziato a riprendertela pure tu: funziona esattamente nello stesso modo, quindi, perché insistere che non è vero? Perché pestare i piedi? Quale misteriosa ma persistente fonte di energia ti mantiene in una discussione dove hai le stesse speranze di avere ragione che Trump ha di soggiornare alla Casa Bianca nel febbraio 2020? Persino se tu avessi ragione, nessuno te la pagherebbe, non c’è un premio su Facebook per chi vince le discussioni; aggiungi questo piccolo dettaglio che non hai ragione, che hai t…

Stai dicendo le stesse cose che dicevi in primavera: le scuole devono riaprire, le scuole sono sicure, Israele infatti le ha riaperte, il contagio si ferma al cancello della scuola (c’è gente che scrive questa cosa tutti i giorni: i ragazzi non si contagiano a scuola bensì immediatamente prima e dopo, nel piazzale!, aboliamo i piazzali). 

Stai dicendo le stesse cose che dicevi in primavera, ma è autunno e i fatti ti stanno dando torto.

E tu lo sai che hai torto.

Ma non lo vuoi ammettere.

Quale straordinaria energia te lo impedisce? 

Se solo potessimo canalizzarla – pensa ai negazionisti. Qualsiasi tipo di negazionista. Ma prendiamo quelli che non credevano al Covid. Ce n’è di ogni tipo. Quelli che è solo un’influenza, quelli che non esiste proprio, è uno strumento del Potere per toglierci il diritto alla felicità, quelli che esiste ma il lockdown è esagerato, quelli che esisteva in primavera e adesso no, quelli (e ho la sensazione che siano la maggioranza) che all’inizio la prendevano semplicemente sottogamba perché era una cosa che non sapevano paragonare a nessun’altra esperienza vissuta, ovvero un’emergenza: e l’Uomo Occidentale non crede nelle emergenze finché non gli levano il tetto dalla casa, e in molti casi neanche dopo; è convinto che il suo standard di vita sia un diritto fondamentale garantito dall’Onu e dalle leggi dell’universo. Dunque all’inizio una banale influenza, poi c’era da mettersi la mascherina ma era una gran rottura e quindi hanno iniziato a scrivere in giro che non ci credevano, qualcuno applaudiva e ci hanno creduto ancora meno, poi c’è stato il lockdown e a quel punto ormai avevano scelto la loro squadra, e si sono messi a cercare argomenti contro il lockdown. Quanta energia ci hanno messo. A quanti altri scopi avrebbero potuto destinarla, forse: o forse no, forse è un’energia che scaturisce soltanto in questi casi, non puoi trasferirla ad altri oggetti con una biella, non puoi accumularla dentro dischi di rame, non ci puoi far girare un mulino, l’unico mulino che gira è quello delle cazzate che scrivi e ogni giorno che passa gira più veloce, man mano che aumenta la distanza tra quel che succede e quello che sei costretto a scrivere per non ammetterlo, per non ammettere cosa?

Che ti sei sbagliato.

Manco fosse un reato, eh? No, non è un reato. Persino se tu fossi un chirurgo, o un giudice, o un amministratore nell’esercizio delle rispettive funzioni. Persino in quei casi non sempre sbagliare è proibito. Ma sospetto che tu non sia un chirurgo col bisturi in mano, né un giudice col martelletto. Sei un tizio che nove mesi fa hai scritto: questo covid è una montatura, e poi non sei più potuto tornare indietro. Quell’energia incredibile, che ogni giorno ti trascina verso discorsi sempre più deliranti, ed è la stessa che porterà qualche migliaio di trumpelettori a radicalizzarsi e a sparacchiare in qualche sobborgo – del resto non è la stessa energia di chiunque si sia radicalizzato, in qualsiasi contesto? Se ancora credi che a Maometto freghi qualcosa delle vignette, se ancora credi che una vignetta su Maometto segni un punto nella fondamentale guerra per la libertà del pensiero. Che poi dà un’occhiata alla finestra, probabilmente hai visto un campanile. Pensa che tutto è cominciato con una dozzina di poveracci che non si rassegnavano al fatto che avessero ammazzato il loro leader politico-religioso, crocefisso dalle guardia come uno schiavo, pensa che energia hanno scoperto, che sia per caso l’energia che ci rende esseri umani? E d’altro canto è la stessa energia che ha fatto scrivere su milioni di giornali in tutto il mondo che il riscaldamento globale non esiste, insomma è l’energia che ci fotterà come specie, come la mettiamo?

Voi dite: fake news, sì, certo, c’è mercato per qualsiasi cosa, e quindi qualcuno produce fake news. Ma perché la gente ne ha bisogno? Voi dite: la gente è stupida, cerca le spiegazioni semplici, ma la maggior parte delle fake news sono molto più contorte della realtà: richiedono studio, applicazione. Io dico (e non credo di sbagliarmi): c’è qualcosa a cui la gente tiene più che alla realtà. Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς. Questo qualcosa è, il più delle volte, l’opinione che esprimevano ieri. Ieri gli è scappato detto che tutte le pecore sono bianche, nel frattempo ne è passata una nera, loro non lo ammetteranno. È solo sporca. No, non si può pulire, perché… potrebbe essere una malattia, potrebbe essere contagiosa. Ok, non è sporca e non è malata, ma evidentemente non è una pecora: prova ne è che è nera. Il veterinario dice che è una pecora perché si è messo d’accordo con voi, è un complotto alle mie spalle. Sentite, potrebbe effettivamente essere una pecora, ma accuratamente selezionata da un pool di operatori zootecnici attraverso orribili esperimenti, tutta una massoneria di operatori zootecnici disposti persino a votarsi a Satana pur di dimostrare che l’altro giorno mi sb.

Mi sb.

(Lo chiamerei “fattore Fonz”, ma temo si tratti di un riferimento culturale ormai troppo remoto: in ogni caso è una delle energie che ci tiene eretti in piedi da quando siamo scesi dagli alberi, e diciamola tutta: i primi tizi che sono scesi dagli alberi avrebbero avuto mille motivi per ammettere di essersi sbagliati, ma ormai era fatta, indietro non si tornava, sui rami non si risaliva. O meglio: chi è stato furbo è risalito, noi siamo i discendenti degli altri).  

Forse tutta la letteratura dalla Bibbia in poi. Forse tutta la filosofia da Platone (mi hanno condannato a morte il maestro, eppure era il più intelligente! Perché non li ha sistemati con una delle sue ironie?) Si sbagliava Cristoforo Colombo a non dar retta a Eratostene. Si sbagliava pure Galileo, sulle maree almeno. Su quante cose si sbagliava Newton; e anche Einstein, probabilmente, qualche cantonata qua e là l’avrà presa. Marx ne ha prese parecchie; Freud ha passato la vita a sbagliare. Se ha sbagliato tutta questa gente, ma si può sapere chi cazzo siete voi. 

Si fa per dire, lo so benissimo. Esseri umani. Padri o madri di famiglia. Lottiamo per ottenere un minimo di autorità, e quando finalmente l’abbiamo, i piccoli cominciano a farci domande: molto prima che noi sappiamo le risposte. E allora facciamo quel tipo di muso duro che avevano i nostri progenitori sugli alberi, e non ci muoviamo. Non mi frega niente di quel che pensi tu, figliolo. Se io ho detto che non è una pecora, quella non è una pecora. In discussione non c’è più la pecora. Ci sono io e non posso permettermi di essere messo in discussione. Altrimenti tra due inverni deciderete che sono vecchio e smetterete di portarmi da mangiare. Tutta quest’energia.

Trovassimo un ingranaggio da farci girare; una biella un pistone, una pila di dischi di rame. Ci faremmo girare il mondo, con tutta questa energia. Credo.

Cioè no, scusate, ne sono sicuro.

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Aisha o Silvia Romano è libera e voi no

– type type type
– Pronto in tavola.
– Un momento (type type type)
– Stai litigando su internet, vero?
– Sì ma non è come pensi (type type type)
– Ma non ti sei rotto i coglioni del coronavirus e delle mascherine e di tutto il…
– Noooo oggi è diverso, non capisci, oggi litighiamo perché hanno liberato una cooperante in ostaggio e lei è tornata velata.
– E quindi?
– Mi fa sentire così giovane, per un attimo è come se tutto questo non fosse…
– Va’ a lavarti le mani.
– …che un brutto sogno e ci fosse ancora l’Isis che vuole conquistarci, anzi Al Qaeda, e un palazzetto pieno per vedere gli Strokes o i Libertines e…
– Va’ a lavarti le mani.

La gente è libera di professare quel che vuole, il che molto spesso fa impazzire chi si professa liberale, curioso paradosso. Silvia Romano è stata liberata, siamo tutti contenti (non è vero, c’è chi mastica amaro). Silvia Romano afferma, lascia capire di essersi convertita all’Islam – ovvero alla seconda religione più professata in Italia, con più di un milione di pacifici credenti che in mezzo secolo non hanno mostrato complessivamente particolari inclinazioni alla violenza o al terrorismo: questo per alcuni è intollerabile, è un segno che il terrorismo starebbe vincendo.

E finché la scrive il nonno scemo questa cosa, possiamo anche sospettare che non abbia più la possibilità di scendere in strada e di vedere normali persone, alcune con un velo e altre no, che in questi giorni sono in fila come le altre (o forse un po’ meno perché è Ramadan): ci sono in tutte le città d’Italia e soprattutto in quelle più ricche e produttive, quindi è anche un po’ colpa del povero nonno scemo che non si guarda intorno, ma pazienza. Lo dicono però anche i nipotini sui social ed è una cosa triste: lo scrive quel che resta di Repubblica ed è una cosa avvilente. Questa cosa per cui in Italia quando si parla di religione la gente (a sinistra, a destra, al cesso) non sappia più letteralmente cos’è, come funziona, in che termini vada rispettata, se e quando si possa distinguere dal plagio – non so, mi sembra un nuovo tipo di analfabetismo e non abbiamo nemmeno risolto quello vecchio. D’altro canto quando Facci diceva odio l’Islam un sacco di gente aveva questa necessità fisica di spiegarti che beh, è un’opinione come un’altra, l’odio religioso. C’è questo fenomeno strano per cui l’odio razziale ormai fanno fatica a gridarlo ad alta voce pure i neonazi, mentre l’odio religioso è una cosa che si porta in società.

Ho una notizia per tutti voi liberali che ci spiegate quotidianamente che le religioni sono cose odiose, alcune magari più di altre e quindi a volte si può anche provare a farsi finanziare dai credenti dalle altre per spalare un po’ di merda sulle une: non siete liberali. Sapete perché in Italia non c’è una vera cultura liberale? Chiedo eh, io non lo so. Ma appena vi ascolto ne sono sicuro. Siete casi disperati, a volte per farvi un po’ notare la povertà di pensieri e spirito vi si dà dei fascisti ma è un’offesa pure per loro che uno straccio di riflessione sul fatto religioso l’avevano pur fatta. C’è una ragazza che durante una lunga prigionia si è convertita a una religione e per voi ciò è un fatto grave. Che si fa? Boh probabilmente l’ipotesi è chiuderla in una stanza finché confessa di non essere stata plagiata e non si riconverte alla religione scelta dai suoi genitori.

Non ce la potete fare, né ha molto senso cercare di spiegarvelo. Però almeno questo vi vorrei in un qualche modo comunicare: la guerra che siete convinti di dover combattere, la state perdendo: non perché il nemico sia particolarmente pericoloso, ma perché lo state aiutando voi, con tutto il vostro panico omioddio una ragazza si è messa un velo in testa siamo perduti. Persone un po’ più coscienziose non esiterebbero a liquidare l’indumento per quello che in effetti è – un indumento – e depotenziarne totalmente il messaggio. Cosa che fa chiunque viva a contatto con gente normale che a scuola e nei locali pubblici si copre la testa senza che la cosa dopo un po’ appaia più come uno sventolar bandiere. Cosa che succede già in tante città italiane che i giornalisti non conoscono.

Ma voi non siete coscienziosi: viceversa, avete una disperata necessità di dare a un indumento la stessa interpretazione che dà Al Shabab, perché volete esattamente diffondere lo stesso messaggio di Al Shabab: l’Islam sta vincendo aiuto aiuto. Cioè in pratica siete la quinta colonna dell’Islam integralista, bravi, battetevi pure un cinque e correte in edicola a comprare la broda pisciata del nonno scemo.

Su una cosa vorrei darvi ragione: è vero che convertirsi non è solo un fatto privato, per esempio se mi converto – son lì lì per farlo – sarà anche indubbiamente per starvi sui coglioni, il che è un fatto sociale. Mi vergogno di sentirvi parlare nella mia stessa lingua, santo dio, non potreste mugugnare e basta che tanto il senso è quello.

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Il più grande nasconditore di preti d’Inghilterra

22 marzo – Nicholas Owen (1562-1606), carpentiere, occultatore di preti

Di santi ce n’è di tutte le misure – Nicholas Owen era quello che si diceva un nanerottolo. Perlomeno le cronache ce lo consegnano così, ed è uno dei tanti dettagli della sua storia troppo perfetti per sembrare veri. Nicholas Owen di mestiere costruiva piccoli nascondigli segreti per i preti cattolici – ovvero, di mestiere faceva il carpentiere come suo padre (e come il padre di Gesù), ma quella era solo la copertura. Di giorno in effetti aveva una sua bottega da carpentiere, dove probabilmente gli capitava di sonnecchiare sulla pialla e tirare martellate a caso per far sentire all’esterno che si stava impegnando; di notte viaggiava in incognito, nome in codice Little John o Little Michael; entrava in case e palazzi e al buio e nel silenzio costruiva armadi a scomparsa, finti corridoi, inganni prospettici, passaggi segreti più a misura di nano che d’uomo, ma utili a un clero cattolico ormai passato in clandestinità. “Priest holes“, li chiamavano le guardie al servizio di Sua Maestà, quando li trovavano, buchi da prete. C’è una villa nel Wostercershire che ne ha almeno undici – bisogna dire “almeno” perché gli storici non sono affatto sicuri di averli trovati tutti. Un trucco tipico di Owen era il doppio nascondiglio: ne costruiva uno relativamente facile da trovare che ne nascondeva un altro ben più complesso. Per tutti questi trucchi che salvarono la vita a dozzine di preti, Owen non chiese mai più della sua paga ordinaria.

Di santi ce n’è di tutti i tipi – Nicholas Owen non sembrava il più adatto a diventare il personaggio di un film d’azione. Aveva l’ernia e un cavallo rotolandogli addosso lo aveva lasciato zoppo di un piede. Almeno un paio di volte fu proprio l’apparenza prosaica a salvarlo, quando veniva arrestato perché cattolico e poi rilasciato perché considerato un pesce piccolo. Tutto il contrario di padre John Gerard, l’agente segreto dei gesuiti, che in un film del genere potrebbe essere il James Bond, o meglio ancora lo Zorro, visto che per ingannare le autorità anglicane fingeva di condurre una vita dissoluta, conciandosi da damerino e giocando d’azzardo. Gerard nel 1594 fu arrestato con Owen: il secondo fu rilasciato dietro cauzione; Gerard aveva l’aria di essere una figura molto più importante e così fu trasferito alla Torre di Londra, l’unico luogo dove era consentito usare il terribile cavalletto per torturare i detenuti. Tra un interrogatorio e l’altro, Gerard ebbe la prontezza di spirito di chiedere a un guardiano delle arance, col succo delle quali avrebbe scritto i messaggi che avrebbero consentito a una task force cattolica di liberarlo. L’architetto dell’epica fuga dalla Torre sarebbe stato proprio Nicholas Owen. La task force, insieme a Gerard (che sarebbe evaso appendendosi a una corda, malgrado i polsi slogati dalla tortura), prelevò anche il guardiano, evidentemente un po’ corrotto: il che ci suggerisce che le cose potrebbero anche essere andate in modo meno epico di come lo stesso Gerard le avrebbe raccontate nella sua autobiografia. Ma ormai la sua fuga è parte integrante del folklore della Torre, è una cosa che si racconta ai bambini, non sarebbe così facile rinunciarci. Sia come sia, Padre Gerard non smise mai di onorare il piccolo carpentiere che aveva aiutato lui e i suoi colleghi. “Non credo davvero che nessuno abbia fatto più di lui, tra quelli che lavorarono nella vigna inglese”.

Altri nel frattempo stavano tramando disastri – in una cantina di Londra, nel 1605, una cellula di cattolici radicalizzati stava ammucchiando barili di polvere da sparo. Constatata l’impossibilità di riconvertire la classe dirigente al cattolicesimo, l’idea era quella di farla saltare in aria, la classe dirigente: e proprio a Westminster, durante la prima seduta del parlamento. L’unico prete informato del complotto aveva ricevuto la confidenza durante una confessione, e quindi non poteva rivelarlo. L’aveva però a sua volta confessata al superiore, padre Henry Garnet. Garnet scrisse qualche lettera, anche al papa: lasciò intendere che la situazione era, come dire, esplosiva, e forse qualche pulce nell’orecchio degli inquirenti la attivò: il che non lo salvò dalla furia di questi ultimi, una volta sventata la congiura. Trovò rifugio proprio in uno dei priest holes costruiti da Nicholas Owen, in quella villa del Worcestershire in cui ce n’erano almeno undici. In uno di questi a un certo punto le guardie trovarono Nicholas Owen stesso, e la tradizione vuole che sia stato lui a palesarsi nel tentativo di distogliere l’attenzione dall’obiettivo più importante, che era padre Garnet. Ma forse qualche uccellino nel frattempo aveva cantato, insomma stavolta sapevano di aver catturato il pesce giusto.

Lo stesso Segretario di Stato, Robert Cecil, mette per iscritto un'”incredibile gioia” scatenata dalla notizia del suo arresto, “sapendo la grande abilità di Owen nel costruire nascondigli, e l’innumerevole quantità di oscure tane che ha progettato per nascondere preti in tutta l’Inghilterra”. Alla fine presero anche Garnet, dopo otto giorni in cui aveva succhiato nutrimento da una fessura con una cannuccia, in un nascondiglio che Owen non aveva potuto provvedere di servizi igienici, cosicché a un certo punto chi ci stava dentro non poté fare altro che uscirne. Garnet fu giustiziato sulla pubblica piazza con l’accusa di alto tradimento, ma la procedura che prevedeva l’impiccagione, lo sventramento mentre il condannato era ancora vivo e lo squartamento non fu applicata completamente, le cronache dicono che la folla non era d’accordo e Gerard rimase appeso alla forca. A Guy Fawkes e agli altri congiurati non fu fatto lo stesso favore.

Ci santi ce n’è di predicatori e confessori e ogni genere di chiacchieroni: Nicholas Owen era del tipo taciturno (come il padre di Gesù). Lo rimase anche alla Torre di Londra, quando lo appesero per i polsi coi pesi alle caviglie finché non ne morì, senza dire un solo nome. Questo almeno è quello che raccontano di lui gli agiografi, e in effetti suona tutto un po’ troppo perfetto per essere vero. La storia ci insegna a diffidare: magari qualche nome alla fine sotto tortura potrebbe averlo fatto, magari qualche nascondiglio non lo aveva costruito lui. Magari Padre Gerard uscì dalla porta di servizio della Torre fischiettando mentre i guardiani contavano le ghinee della mazzetta.  Chi lo sa. Certo è notevole che in una storia tanto sanguinolenta e fetida di polvere da sparo, Owen emerga pulito come un bambino. Lui sembra davvero il caratterista dei film, quello di poche parole che si trova sempre sul set nel momento giusto, quando c’è da nascondere un eroe o farlo evadere. Verso la fine del film spesso viene sacrificato; è l’occasione per far scendere una lacrima e motivare una riscossa risolutiva. Che in questo caso non ci fu: dopo la Congiura delle Polveri i cattolici divennero ancor più invisi al popolo inglese. Padre Gerard riparò in continente e (su ordine dei superiori) scrisse la sua avventurosa vita ad maiorem dei gloriam. Non gli riuscì neanche di diventare santo: al suo fido carpentiere sì, è stato canonizzato nel 1970 con altri quaranta martiri inglesi (e gallesi) delle guerre di religione.

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La passione di Greta Thunberg

Scrivo anch’io due cose veloci su Greta Thunberg, e se vi accorgete che le avete già lette da qualche parte saltate pure. Lo faccio soltanto perché, tra centinaia di opinioni che ho trovato su social e giornali c’è qualcosa che ancora non ho letto e i blog una volta funzionavano proprio così, servivano a riempire i buchi, a togliere di mezzo anche la minima possibilità che un argomento non fosse stato sviscerato.

Tutte queste opinioni tra l’altro mi si sono piazzate davanti senza che io mi sia dato nessuna pena di cercarle, mentre cercavo altre cose, e non scendono: dopo tre giorni c’è ancora qualcuno che preme per farmi sapere cosa pensa di Greta. Di solito queste opinioni si collocano agli estremi di un asse che va da “esempio per tutti i ragazzi del mondo” a “povera fanatica disadattata manovrata dai poteri forti”, e più spesso vicino a questo secondo polo, perché ho contatti che invecchiano, e leggo giornalisti che erano vecchi quando ero appena nato io, quando erano appena nati loro – gente che una macchina l’ha appena comprata e per non lasciarla nel garage combatterà con le unghie e gli editoriali.

Quanto a me, mentre vedo i ragazzini sfilare dovrei atteggiarmi ormai a vecchio saggio e su questo asse cercare di collocarmi in un punto non troppo estremo (e nemmeno troppo mediano), un punto comunque moderato, ragionevole: dovrei cercare di argomentare che sì, il fenomeno Greta è composto di tante cose condivisibili e di alcune cose che invece non mi piacciono… ma non ce la faccio. È evidente che non sono la persona moderata che a volte preferirei essere, oppure semplicemente credo che le cose non funzionino così: per me la verità su Greta Thunberg non sta in mezzo, ma alle estremità. Come molti fenomeni non necessariamente contemporanei, Greta funziona benissimo sia per i seguaci che per i detrattori. O è una santa che ha avuto la visione di un’apocalisse climatica, o è una strega fanatica che vuole mettere in discussione le nostre sacrosante abitudini consumiste. Temo che un osservatore moderato, che continui a ripetere “Guardate che è solo una ragazzina che con tutti i suoi limiti cerca di sensibilizzarci su un argomento” sia quello che alla fine Greta Thunberg l’avrà capita di meno. No, Greta non vuole mezze misure, o bruci per lei o sei freddo. Se sei tiepido ti vomiterà. Avete già capito dove sto andando a parare, vero?

(Scusate ma ormai qui arrivano solo gli aficionados, quelli che si sono sciroppati una serie di discussioni sulla religione e quasi duecento agiografie, quindi sarebbe anche strano che si aspettassero qualcosa di diverso): sto per dire che Greta ha fondato una religione – ecco, l’ho detto.

In sé questa frase non significa comunque nulla: cos’è una religione? Eh, saperlo. In linea di massima è un sistema di credenze che anche se è fondato su premesse irrazionali, comunque è animato da una logica interna; per fare l’esempio più tradizionale qui da noi, se compi la scelta (irrazionale) di credere in Gesù Cristo, tutto quello che poi Gesù Cristo ha detto, fatto e vissuto diventa assolutamente logico e conseguente (e quando qualcosa non sembra più logico, di solito mandano qualche teologo a riparare).

La religione è anche un sistema che ti fornisce delle speranze (cosa di cui tutti noi abbiamo bisogno) chiedendoti in cambio delle rinunce (cosa che spesso imploriamo di poter fare: siamo troppo liberi, cerchiamo una direzione) (ok magari tu no e sai cosa? Spesso nemmeno io; ma è successo a milioni di persone che lo hanno raccontato diffusamente in diari e libri e Confessioni, quindi evidentemente per millenni questa cosa ha funzionato e sta ancora funzionando per milioni di persone, il capitalismo per dire non ha funzionato così a lungo, e comunque ha bruciato molto più carbone).

La religione inoltre è la cosa che forse salverà l’umanità, e qui immagino le smorfie, perché l’umanità dovrebbe salvarla la scienza (sarebbe anche il minimo, visto quello che la scienza ha combinato). Mettiamola così: non credo che la scienza possa farcela senza che vi si sviluppi intorno una religione. Certo, sarebbe molto meglio che chiunque si convincesse razionalmente che il pianeta si sta scaldando a causa dell’inquinamento, e quindi sono necessarie scelte drastiche che modificheranno le politiche industriali e cambieranno radicalmente la nostra vita. In fondo sembra facile decidere razionalmente che comprare l’acqua minerale nelle bottiglie di plastica è sbagliato. Sembra. Ma non funziona così, l’avete notato?, per la maggior parte delle persone. La maggior parte delle persone non vuole cambiare abitudini, ed è abbastanza brava a trovare argomenti per non farlo. Si attacca ai dettagli (le borracce di alluminio non salveranno il mondo), alle contraddizioni (hai stampato un libro di carta per dirci che deforestare è sbagliato!), si inventa i complotti, chi ti paga? La gente si comporta così e non è stupidità: è un meccanismo di difesa anche abbastanza sofisticato.

La maggior parte delle persone non crederà agli scienziati, che parlano difficile e a volte si contraddicono e litigano e in generale risultano poco empatici. Crederanno ai profeti. Ai bambini, o ai vecchi che si fanno crescere la barba e vanno a vivere in montagna; ai visionari, ai folli, e anche agli imbroglioni, sì, ce ne saranno: e magari ci aiuteranno a salvare la baracca più che i bambini in buona fede. La religione è un sistema che, quando si estende abbastanza, comincia a imporre regole di comportamento attraverso un meccanismo di interiorizzazione. Ed ecco che improvvisamente separare la plastica dalla carta non mi pesa più. L’angoscia dell’uomo contemporaneo, l’eterno dilemma “a che serve separare la plastica in un secchio, se dall’altra parte dell’isolato c’è un’industria che disperde nell’aria l’equivalente di un migliaio dei miei secchi” non funziona più. Tu non separi plastica e carta perché è razionale farlo – in effetti, non lo è. Tu separi plastica e carta perché È GIUSTO, perché Greta ti guarda, perché Dio lo vuole, perché chi non lo fa va nell’inferno della catastrofe ambientale e rischia di portarti con sé.

Considerate anche questo: oggi manifestano gli studenti, tra qualche mese/anno manifesteranno i camionisti, come in Francia l’anno scorso. Se la situazione dovesse diventare più difficile, e il traffico su gomma insostenibile (e in realtà lo è già). Manifesteranno i complottisti, gli sciachimisti spiegheranno che il riscaldamento globale esiste ma è un progetto collaterale di Soros, ecc. L’aria si farà molto calda, ci saranno caduti da entrambe le parti e alla fine prevarrà chi è più determinato, ovvero chi è disposto a morire. La religione è anche questo: un sistema che ti fornisce scopi per vivere e per morire. Ecco, ho detto la mia su Greta e spero almeno che sia qualcosa di originale (non ne sono sicuro, non riesco a leggere tutto).

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Il papa che successe a sé stesso

16 gennaio – San Marcello I Papa (†309), doppione

Nulla, non c’entra assolutamente nulla.

[2014].
Dell’imperatore Diocleziano, delle sue sanguinose persecuzioni, su questo blog ci siamo spesso presi gioco. Il fatto è che già a poco più di un secolo di distanza (quando il cristianesimo era diventato religione di Stato), Diocleziano aveva già assunto le dimensioni dell’orco sbrana-cristiani, a capo di un esercito di torturatori efferati e un po’ frustrati: a Santa Cecilia cercano di tagliare il collo e la lama rimbalza, Santa Lucia cercano di portarla nel bordello ma è troppo pesante, a Sant’Agata tagliano i seni e le ricrescono, eccetera. E però tutto questo grand-guignol di leggende inventate dai monaci per distrarsi un po’ nell’ora di refettorio non deve farci dimenticare che un Diocleziano ci fu davvero, e che di cristiani ne fece uccidere più di qualsiasi altro imperatore. È abbastanza impossibile riuscire a capire quanti morirono effettivamente. Gibbon semplicemente non ci credeva, ma era un uomo del Settecento, quando anche le battaglie campali sembravano figure di minuetto. Gli storici del penultimo secolo, familiari coi concetti di pogrom e di purga, non escludono che un imperatore deciso a fondare un culto della personalità non possa aver messo in cantiere uno sterminio, anche se il body count rimane piuttosto prudente (tremila o un po’ di più in tutto l’impero). Pochi, tutto sommato, per una religione che nelle città era ormai un fenomeno di massa.

Evidentemente molti cristiani cercarono di sfangarla venendo a patti con l’autorità costituita: alcuni bruciando incenso agli Dei (turificati), altri sacrificando animali agli stessi Dei (sacrificati), altri, non volendo scannare nessun animale, corrompendo qualche autorità per procurarsi un certificato che attestasse che lo avevano sacrificato (libellatici). Infine c’erano i peggiori di tutti, i traditores, che all’inizio significava semplicemente “consegnatori”: erano i sacerdoti che avevano consegnato i libri sacri ai magistrati – e magari anche qualche registro di battesimo coi nomi degli affiliati, gli infami. Tutto questo poteva salvarti la vita terrena, ma quella eterna? I sacrificati, i turificati, i libellatici e i traditores non erano più ammessi in chiesa. Erano i cosiddetti lapsi, “scivolati”, quelli che avevano avuto un’occasione buona per diventare protagonisti di una sanguinosa leggenda di martiri e se l’erano giocata. Il dibattito sulla riammissione dei lapsi era già scoppiato ai tempi dell’imperatore Decio, e riprese subito vigore. In certe comunità venivano riammessi soltanto dopo una pubblica cerimonia di pentimento: insomma dopo aver ritrattato il cristianesimo davanti ai magistrati dovevano ritrattare la ritrattazione davanti ai sacerdoti, e farsi consegnare una ricevuta, un libellus che dimostrasse che erano di nuovo cristiani a tutti gli effetti. Ovviamente se i magistrati imperiali mettevano la mano sul libellus potevano ri-imprigionarli, e così via.

Si dice che il cristianesimo crebbe annaffiato dal sangue dei martiri. È una mezza verità: le piante hanno bisogno di liquidi ma anche di letame. Senz’altro i martiri ci misero il sangue, ma se il cristianesimo sopravvisse a Diocleziano fu grazie ai lapsi. Questo però non si può dire – tranne che sul Post – perché molti lapsi furono probabilmente traditores, nel senso moderno del termine: molti di loro probabilmente si conquistarono la libertà vuotando il sacco davanti al magistrato, spifferando nomina e cognomina di tutti i cristiani del quartiere. Poi alla fine se ne tornavano alla catacomba e chiedevano pure di essere riammessi al culto, che facce toste. Il cristianesimo che sopravvive alla persecuzione dioclezianea deve affrontare quel senso di colpa collettivo che attanaglia i superstiti di qualsiasi disastro: perché gli altri sono morti e io no? Aggiungi che in certi casi la risposta è insostenibile: sono morti gli altri perché tu li hai traditi. Gli altri sono santi, e ne leggiamo le leggende: tu sei il peccatore, tu dovrai espiare. La realtà probabilmente era molto più sfumata, vedi il caso di San Marcellino Papa.

Da non confondere con San Marcello Papa, che è il santo che si festeggia oggi, e di cui dovrebbe essere il predecessore. Il nome può sembrarvi buffo, ma è uno di quei tipici nomi tardoromani: si chiama Marcellino anche uno degli scrittori più interessanti del quarto secolo, un ex soldato dalla prosa cupa e marziale che non ti aspetteresti in un’antologia, alla voce Ammiano Marcellino. “Marcellino” è la terza derivazione del nome Marco, che a sua volta deriva dal dio Marte: all’inizio Marco significa “di Marte”. Marcello, invece, significa “di Marco”: può sancire un’adozione o forse un passaggio di proprietà di schiavi che poi una volta liberati mantengono il nome. “Marcellino”, a sua volta, potrebbe essere un figlio di Marcello, o uno schiavo venduto e poi liberato. I nomi dei primi secoli erano brevi: Lucio, Mario, Claudio. Verso il terzo secolo abbiamo Marcellino, Claudiano, Valentiniano (←Valentino ←Valente), Costantino (←Costanzo ←Costante) eccetera. L’impero continua a essere retto da uomini duri e violenti, ma hanno nomi derivativi, sempre meno originali, sempre più involontariamente pucci, fino a quel Romolo Augustolo che chiude miracolosamente il cerchio. Non fossero arrivati i barbari, oggi ci chiameremmo Marcelliniancelliniano? In un certo senso i barbari dovevano arrivare, era un’esigenza sentita a tutti i livelli, persino nell’onomastica.

La chiesa di San Marcello al Corso
(da wikipedia) sorge nell’antico sito della stalla
(far lavorare un papa, che barbarie).

Marcellino, dicevamo, tradì. Sacrificò qualche animale agli Dei. Lo attesta il Liber pontificalis, la wikipedia delle vite dei papi, redatta lungo qualche secolo da un insieme anonimo di cronisti che purtroppo non nominava mai le fonti. Lo stesso Liber, tuttavia, afferma che in un secondo momento si pentì di aver tradito e ritrattò, ottenendo una pronta decapitazione e l’immediata santità. La storia sembra molto antica, ma già un po’ complicata: forse un tentativo di salvare la reputazione a un papa controverso. In Nordafrica un vescovo eretico, durante una polemica con Agostino, accusa Marcellino (senza prove) di aver sacrificato agli dei. D’altro canto era un santo già venerato allora, a Roma e altrove: possibile che i buoni cristiani portassero fiori sulla tomba di un sacrificatus? Fino al quinto secolo nessuno lo inserisce nell’elenco dei martiri. È l’unico papa che non compare nel Cronografo del 354, la più antica agendina illustrata che ci sia arrivata (alla quale dobbiamo un tesoro di informazioni, perché nessuno scrittore blasonato si abbassava a nominare, per esempio, i quartieri della Roma imperiale).

A dire il vero il suo nome nel Cronografo c’è: ma è associato al diciottesimo giorno alla Calenda di Febbraio, cioè oggi, 16 gennaio, e non al 26 aprile. E tuttavia deve trattarsi di una svista: il 16 gennaio non è la festa di Marcellino, bensì di Marcello, il suo successore: un papa integerrimo che si oppose al facile recupero dei lapsi, e insistette sulla necessità che facessero penitenza e mostrassero contrizione per i loro tradimenti. Tanta intransigenza lo portò in rotta col successore di Diocleziano, Massenzio, che lo condannò a lavorare nelle stalle imperiali (ma questa forse è una storia messa in giro dal proprietario di una stalla che credeva nelle opportunità del turismo religioso e sperava di attirare i pellegrini con una storiella). Il lavoro in stalla era molto pesante e Marcello ne sarebbe morto, martire, il 16 gennaio, perlappunto. Ora, non è così strano che un papa Marcello subentri a un Marcellino (non era ancora invalsa l’abitudine a cambiar nome una volta varcato il soglio): ma che cadano entrambi martiri lo stesso giorno, è una cosa che lascia perplessi. Al punto che Mommsen riteneva che il secondo non fosse un vero papa: piuttosto un vicario, un facente funzione. In effetti la situazione poteva essere molto delicata: magari Marcellino aveva perso la carica di pontefice nel momento in cui aveva temporaneamente abiurato la fede in Cristo. Poi ci aveva ripensato, ma a quel punto era da considerarsi ancora pontefice a tutti gli effetti? Chi poteva deciderlo, se non lui stesso? Un falso storico del sesto secolo ci mostra proprio un concilio-processo in cui i vescovi lo interrogano, ne ottengono una confessione, ma non lo condannano, perché “la prima sede non può essere giudicata da nessuno”.

Un’altra possibilità è che Marcellino se ne sia tornato bel bello a fare il pontefice, dopo l’abiura, senza chiedere scusa a nessuno. Qualche secolo dopo un cronista avrebbe potuto trovare la cosa imbarazzante, e dividerlo in due: un pontefice un po’ tremebondo che viene perseguitato, abiura ma poi si pente e muore martire nel 305, e un altro tutto d’un pezzo che ostenta tolleranza zero per i lapsi e i traditori, e muore anch’esso martire in una stalla il 16 gennaio 309. La scelta di chiamare il doppione di Marcellino “Marcello” potrebbe essere stata dettata da scarsa fantasia o (più verosimilmente) dalla necessità di non alterare troppo i documenti originali. Dei due, quello probabilmente inventato è il più eroico e intransigente. Non sorprende.

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Fuori dall’Italia i libri sacri anticostituzionali, dai

Giura sul Vangelo, sfoggia un rosario: ma chi è questo nuovo integralista cattolico che avanza da destra? L’ex comunista padano, Matteo Salvini in un comizio a Milano ha giurato di “applicare davvero la Costituzione rispettando gli insegnamenti del Vangelo”. Un libro sacro e una costituzione laica possono andare d’accordo? Tutto sommato sì. È Salvini che non sembra c’entrare molto con entrambi: ce lo vedete nel Vangelo, a scacciare con la ruspa il Buon Samaritano? O tra gli apostoli a polemizzare con Gesù Cristo che rifiuta di prendere una posizione coerente contro l’Unione Europea del tempo, l’Impero Romano? Quanto alla Costituzione, basta aprirla a pagina uno: l’articolo 8 dice che tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge, ok, che problema c’è? C’è che appena una settimana fa Salvini, a “Speciale Fatti e Misfatti” (TgCom24), ha dichiarato che una volta al governo metterà “lo stop”, “il veto”, a “ogni presenza islamica organizzata, regolare o abusiva in Italia”. Insomma, se vince Salvini i musulmani non potranno né organizzarsi né nascondersi: dovranno levare le tende? Sono quasi due milioni, di cui trecentomila cittadini italiani: è difficile pensare che il leader leghista stia parlando sul serio. Il suo punto di vista merita comunque di essere discusso, se non altro perché è condiviso da una parte della popolazione ormai maggioritaria: “L’Islam è incompatibile con i nostri valori e la nostra cultura,” afferma. “L’Islam applicato alla lettera, il Corano applicato alla lettera […] sono atti di violenza”. Il che peraltro è vero.

Momenti di preghiera nelle città di Torino, Milano e Roma

Esatto, ho appena dato ragione a Matteo Salvini.
Applicare il Corano alla lettera sarebbe senz’altro un atto di violenza. Basta leggere qualche versetto, per esempio quelli sulla condizione femminile. È un libro che comincia con Allah che dice alla prima donna: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (GE 3,16). In un’altra sura si legge: “Dalla donna ha avuto inizio il peccato: per causa sua tutti moriamo” (SI 25,24); “se non cammina al cenno della tua mano, toglila dalla tua presenza” (SI 25,26). Non è certo tra queste pagine che troveremo anche la minima ispirazione all’emancipazione femminile: (“Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo è una donna che mantiene il proprio uomo”) (SI 25,21).

Persino nella preghiera comune le donne sono ghettizzate: “Non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in pubblico” (CO I 14,34-35). Da queste pagine nasce anche il barbaro costume del velo: “L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Allah; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli” (CO I 11,5-10). Il profeta: non concede “a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo […] Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia” (TI I 2,12-15).




Se, malgrado tanta modestia e tante barriere, un uomo riuscisse comunque a vederla e a desiderarla, il consiglio del Profeta è dei più drastici: “Vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi organi, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (MT 5,28-29). Che altro dire? Il Dio del Corano è un Dio della guerra (“Non sono venuto a metter la pace, ma la spada”), determinato a portare la sua jihad fin dentro all’istituzione famigliare (“Sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera”). Un libro del genere, se applicato alla lettera, non può che ispirare atti di violenza e di prevaricazione.
Quindi Salvini ha ragione. Bastano anche solo i versetti che ho citato per dimostrarlo.

Salvo che… (continua su TheVision)

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