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Dieci anni in Paradiso

1° novembre – Tutti i Santi

A chi di voi legge abbastanza abitualmente il Post, può capitare ogni tanto di trovare in prima pagina un pezzo sul santo cattolico del giorno. Di solito li firmo io, e non parlano necessariamente del santo del giorno. A volte non è proprio il santo cattolico – a volte non è nemmeno un santo – a volte non parlano proprio di niente in particolare, ma insomma ormai sono una tradizione, da quand’è che sul Post escono questi pezzi? Da dieci anni. Auguri! Cioè in realtà il blog dedicato aprì dieci anni e quasi un mese fa (il primo pezzo era dedicato a Santa Teresina del Bambin Gesù), ma credo abbia più senso festeggiare nel giorno dedicato a tutti i Santi. Come passano in fretta dieci anni, ultimamente.

Santi agiografati sul Post per secolo dopo Cristo.

L’idea era molto più antica (ho degli appunti che risalgono al 2002) e ispirata, credeteci o no, all’oroscopo di Internazionale, sì quello di Bob Brezsny che in realtà credo di avere smesso di seguire proprio verso il 2002 quando ho capito, e mi ci è voluto pure un po’, che non era ironico, che ci credeva davvero. Ma insomma il concetto era simile: decostruire una delle classiche rubriche da quotidiano, usarla come cavallo da Troia per scrivere tutto quello che mi andava. Ovviamente i santi non hanno l’appeal dell’oroscopo, ma non bisogna sottovalutare che ogni giorno è l’onomastico di qualcuno – certo, è un discorso che funziona finché si dedicano pezzi a Francesco o a Teresa, non ad Agabo o a Gwynllyw. In ogni caso il nome più gettonato fin qui è Giovanni: Giovanni Bosco, Giovanni Nepomuceno, Giovanni decollato, Giovanni da Copertino, Giovanni Paolo II, Giovanni Damasceno, Giovanni Evangelista e non dimentichiamo che anche Francesco d’Assisi in realtà si chiamava Giovanni (c’è anche un pezzo su Giovanni Lindo Ferretti, che però non è ancora esattamente un santo, anzi spero lo diventi il più tardi possibile). Tra i nomi femminili probabilmente vince Maria, non solo perché alla madre di Dio sono già stati dedicati nove pezzi, ma anche grazie a Maria Maddalena, Maria Goretti, Maria Egiziaca, Marguerite-Marie Alacoque e perché no? Jean-Marie Vianney.

Provenienza geografica (se i confini fossero sempre stati quelli del 2021).

Ho messo un link al primo pezzo ma è molto difficile che funzioni – come notano gli esperti, Internet come archivio è una frana. In particolare dopo due o tre anni il Post fece un restyling generale e non vorrei che sembrasse una critica, insomma lo so che sono cose inevitabili, ma i link più vecchi non funzionano più e alcuni pezzi sono visibili solo parzialmente, perché erano divisi in pagine. A volte penso che dovrei mettere a posto tutto, un pezzo alla volta. Altre volte penso che si farebbe prima a ripartire da capo. Ho cominciato entrambe le cose e mi sono interrotto entrambe le volte. Sul mio vecchio blog personale ho ricopiato quasi tutti i pezzi, ovviamente modificando le cose di cui mi vergognavo di più e a volte smontando e rimontando cose qua e là e ora il risultato è che in giro per il web ora ci sono due o tre versioni dello stesso pezzo. Una cosa molto medievale, tutto sommato.

Ho detto medievale? Quando ho cominciato ero convinto che avrei parlato soprattutto di Medioevo, ma a quanto pare non è stato così. Anche se la media di tutti i pezzi (inclusi quelli dedicati ai patriarchi e ai profeti della Bibbia, la cui datazione è abbastanza incerta) mi dà come risultato il 745 dC, i secoli più visitati in assoluto sono il primo (una ventina di pezzi è dedicata a personaggi del Nuovo Testamento) e il terzo, il secolo ruggente dei martiri. Il personaggio più antico sarebbe Isacco: quello più recente, sia per età che per canonizzazione, Giovanni Paolo II, non a caso soprannominato “Santo subito”. Il secolo medievale più frequentato è il Duecento, grazie agli ordini mendicanti. C’è un altro picco più difficile da interpretare nel Cinquecento. La contemporaneità (Otto e Novecento) si difende bene: una ventina di santi su… a proposito, quanti santi abbiamo coperto fin qui?

Santi per cittadinanza, un grafico che non ha moltissimo senso.

Il conto è difficile. Occorre detrarre i pezzi in cui davvero il santo era un mero pretesto, e i casi in cui ho voluto trattare da santo un personaggio che non lo è, o un santo che la stessa Chiesa ha riconosciuto come mai esistito (Simonino). Ma è capitato anche il contrario, ovvero che uscisse sul Post un pezzo su una santa che ancora non lo era (Angela da Foligno) e qualche anno dopo lo è diventata. Al netto di ciò il conteggio dice 10243, a cui bisogna evidentemente detrarre le diecimila vergini che secondo la leggenda sarebbero state martirizzate con Sant’Orsola (ma è probabile che si tratti di un errore di traduzione). Se evitiamo di contare anche i 40 martiri di Sebastea e i 26 compagni di Paolo Miki (questi ultimi purtroppo furono crocefissi davvero in Giappone, non è una leggenda) si arriva al comunque ragguardevole totale di 178: a questo punto l’obiettivo di farne almeno 365 non sembra poi così lontano. Speriamo che i prossimi dieci anni non scorrano ancora più veloci. Abbiamo 60 martiri (più i 40 di Sebastea), 42 vergini, 35 vescovi, 113 eremiti, sette monaci (per lo più benedettini), sedici frati (con una netta preponderanza dei francescani), 19 religiose, soltanto quattro gesuiti, 13 personaggi dell’Antico Testamento tra cui sette profeti; 14 teologi, 5 apostoli; l’unica categoria che si può dire chiusa è quella degli evangelisti, quattro su quattro.

Santi italiani per regione
Santi italiani per regione

Da dove vengono i Santi di cui qui si è parlato? Qui il conto è complicato dal fatto che in duemila e più anni i confini sono cambiati e di molto, al punto che una delle nazioni più rappresentate sarebbe la Turchia: che però al tempo dei dieci santi in questione non si chiamava ancora così, dato che i turchi vivevano altrove. In ogni caso, se decidiamo di applicare arbitrariamente i confini di oggi a tutti i santi di tutte le epoche, scopriamo che un terzo del totale proviene dalla cosiddetta Italia. All’interno di quest’ultima, il Lazio è decisamente la regione più venerata, e in generale metà dei Santi proviene dal centro, tra Toscana e Abruzzo. La seconda nazione contemporanea, con un quinto del totale, sarebbe Israele, e non sorprende: al terzo la Francia, al quarto appunto la Turchia. Se invece proviamo ad assegnare a ogni santo la cittadinanza che gli sarebbe spettata alla nascita… entriamo in un ginepraio di questioni oziose; diciamo che prevale la nazionalità ebraica, da Isacco a San Pietro, sempre con un quinto del totale: al secondo posto l’Impero Romano classico, quello che crolla ufficialmente nel 476. Ma è un dato che non dice un granché. Più rilevante contare i santi per sesso: risulta che tre su quattro sono maschi, e se probabilmente sul calendario il rapporto è appena un po’ meno sbilanciato in loro favore, mi sembra incredibile aver dedicato 42 pezzi a delle sante, insomma a delle donne: mai me ne sarei creduto capace. A proposito di sessi bisogna rilevare che anche in una categoria come quella dei santi, che non si segnala certo per fluidità, i casi di ambiguità sono meno infrequenti di quel che si potrebbe pensare: abbiamo almeno tre santi rivendicati come patroni dalla comunità LGBT (Sebastiano, Sergio e Bacco) oltre a tre crossdresser, se includiamo nella categoria oltre a Marina e Vitaliano anche Giovanna d’Arco, dato il peso che la scelta di vestire abiti maschili ebbe nella sua incriminazione.

Non riapriamo l’annoso dibattito

Colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che hanno letto fin qui e scusarmi per tutte le volte che mi avete chiesto qualcosa e non vi ho risposto per ignavia o sbadataggine: prometto che d’ora in poi sarò più sollecito ecc. Ringrazio i redattori del Post, che mi hanno corretto tante cose, e il peraltro direttore che mi ha sempre lasciato libero di scrivere qualsiasi sciocchezza: un onore che ho ripagato scrivendone molte, e molte ancora spero di scriverne. Certo, lo sappiamo tutti, Brezsny è su un altro livello, ma si fa quel che si può. Alla prossima.

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Non Dea Madre, ma madre di Dio

 1 gennaio – Maria, madre di Dio

 

Vergine alata dell’Apocalisse, di Miguel de Santiago. pittore ecuadoregno del XVII secolo (di solito i pittori tolgono le “ali d’aquila”, che allontanano la Donna dalla Maria evangelica, ma pure risultano in Apocalisse 12, 14).

Il primo giorno di gennaio, alcuni lettori del Post lo sapranno già, il calendario cristiano ricordava la circoncisione di Gesù – otto giorni dopo la nascita, secondo la legge ebraica. A un certo punto, non è nemmeno chiaro quando, la ricorrenza è stata in qualche modo declassata: il fatto che Gesù fosse nato e cresciuto come ebreo non poteva essere negato, ma nemmeno enfatizzato (vedi il modo abbastanza singolare in cui è stata liquidata la reliquia del Santo Prepuzio). Soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, il primo di gennaio è diventato la festa di Maria Madre di Dio, almeno nel rito romano (non in quello ambrosiano). Non è l’unico caso in cui una ricorrenza mariana è stata spostata nel calendario come a coprire qualcosa che si percepiva non più consono; ma il capodanno è un caso emblematico di come la mariologia si muova sottotraccia in seno al cristianesimo, senza far troppo parlare di sé, con piccoli spostamenti che si percepiscono soltanto dopo qualche secolo – basta distrarsi cento, duecento anni e ops! ti ritrovi a contare gli anni a partire a partire dalla festa di una Dea Madre. Ma com’è stato possibile?

Non avevamo distrutte tutte da millenni? Non avevamo dichiarato ufficialmente i loro adoratori dei malati di mente (“dementes”) già a Tessalonica nel 380? In un certo senso sì. Eppure… date un’occhiata alle bandiere in giro per il mediterraneo. Sono tutte di origine settecentesca, illuminista, razionale, vero? In Europa dodici stelle, nei Paesi arabi la mezzaluna (anche se quest’ultima viene spesso associata alla religione islamica, la sua presenza sugli stemmi ottomani diventa sistematica nel Settecento). E se vi dicessi che rimandano entrambe alla stessa divinità, e che questa divinità ha meno in comune con Cristo o Allah che con qualche antica Madre? Probabilmente esagererei. Mettiamola così: con certe divinità il cristianesimo è dovuto venire a patti. Non è cosa di cui andare fieri, e in effetti su questo genere di compromessi i teologi preferirebbero tacere, o almeno spostare la discussione su un campo più astratto.

Forse la più antica raffigurazione che ci sia arrivata del simbolo della luna crescente associato con una stella (più probabilmente il sole), in un sigillo di epoca neosumera (2000 avanti Cristo).

È quel che succede per esempio nel 428, quando Nestorio, patriarca di Costantinopoli, solleva l’obiezione: come possiamo chiamare Maria “Madre di Dio” (Theotókos)? Come può un essere umano a essere genitore di una divinità? Non è che l’obiezione non avesse un senso. Nestorio non aveva problemi ad accettare che Gesù fosse sia uomo che Dio; ma non accettava che Maria potesse essere considerata madre di entrambi. In quel grembo vengono ad annodarsi tutte le contraddizioni di una religione ormai egemone ma ancora in fase di assestamento dottrinale: il problema trinitario (se Dio è uno solo, può Maria essere madre del suo creatore?), quello cristologico (in che senso Gesù è sia Dio sia uomo?), quello mariano: come raccontiamo ai fedeli questa cosa che Dio ha reso gravida una ragazza, in modo che non ricordi assolutamente quei vecchi miti bavosi sugli Dei che vanno in giro a molestare giovani e giovincelle? Meglio insistere sulla verginità della ragazza in questione, non solo prima ma addirittura dopo: certo, ne soffre un po’ la verosimiglianza, ma è il prezzo da pagare per allontanare l’idea che Dio-Padre sia un padre di carne che feconda come fanno gli altri padri. A questo punto è chiaro che Maria non può essere una donna qualsiasi, ma Madre di Dio? Nestorio preferiva chiamarla “madre di Cristo” (Christotokos). Ai suoi oppositori la cosa sembrava sospetta, per motivi forse non sempre confessabili. Perché per quanto gli avversari di Nestorio si siano affannati a trasformare la questione in un complesso meccanismo neoplatonico comprensibile soltanto agli addetti ai lavori, il sospetto è che dietro a questo complesso paravento si celasse una realtà molto più terra-terra: “Madre di Dio” era un compromesso, un modo per dire e non dire “Dea madre”.

Nel giro di una generazione la piccola Bisanzio era diventata la Nuova Roma immaginata da Costantino: una metropoli fungata sul Corno d’Oro. I nuovi abitanti, accorsi da ogni parte dall’impero non avevano tradizioni in comune. La città, in quanto rifondata da Costantino dopo la conversione, non poteva nemmeno vantare martiri importanti. Ma al di là del Bosforo il paganesimo continuava a pulsare, in quel subcontinente che aveva sempre opposto la sua massa critica al razionalismo ellenico: l’Asia Minore, o Anatolia.

Efeso, Turchia: il sito si trova in quello che un tempo era l’estuario del fiume Kestros. Comprende insediamenti ellenici e romani. A Efeso fu costruito il tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo antico, di cui oggi rimane ben poco.[/caption]

Buona parte della manovalanza che aveva costruito la città e ci era rimasta ad abitare veniva là, e non avrebbe rinnegato così presto Artemide, la grande Madre degli Efesini, cinta di innumerevoli mammelle (secondo alcuni sono testicoli di toro: insomma simboli di fecondità, irrimediabilmente pagani). I discendenti degli antichi bizantini non avrebbero dimenticato volentieri Ecate, antica protettrice della città, che durante l’assedio del 340 aC, spuntando dalle nuvole con la sua luna crescente aveva protetto la città dall’incursione notturna di Filippo il Macedone. A Nestorio non si poteva rispondere così: e però il concilio che si riunì nel 431 per sconfessare le sue idee fu convocato da Costantino proprio a Efeso, di tutte le città disponibili. I seguaci di Nestorio si rifugiarono oltre il confine orientale dell’impero, riuscendo a imporre le proprie idee (più estreme di quelle del loro patriarca) sulla Chiesa persiana. La Nuova Roma, sempre più conosciuta come Costantinopoli, si consacrò alla Madre di Dio. Nessuna reliquia era venerata come il Maphorion, il manto della vergine (ma i costantinopolitani conservavano anche qualche goccio del suo latte materno). Le basiliche più importanti non furono dedicate a martiri in carne e ossa, come nella Roma occidentale, ma a concetti personificati e di sesso femminile: la “Santa Pace” (Sant’Irene) e soprattutto la Sapienza di Dio: Santa Sofia.

L’interno della basilica di Santa Sofia, il 2 luglio 2020 (Chris McGrath/Getty Images)

Il fatto che questa Quasi Divinità femminile non somigliasse molto alla Maria di Nazareth storica tratteggiata nei vangeli era stato superato includendo nel Nuovo Testamento un testo ben poco simile agli altri: l’Apocalisse attribuita a San Giovanni. La “donna rivestita del sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo”, che “grida per le doglie e il travaglio del parto”, destinata a partorire “un figlio maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro” è un’immagine di maternità regale che ci è possibile ritrovare anche a due millenni di distanza, e non soltanto nelle raffigurazioni mariane. Lo Pseudo-Giovanni del resto scriveva nel mediterraneo già globalizzato del secondo secolo, mescolando simboli già rimasticati. Una donna abbinata alla luna non poteva che rammentare una dea lunare, non una in particolare ma un po’ tutte: Artemide (luna crescente), Selene (luna piena), Ecate (luna calante, anch’essa di origine anatolica e spesso raffigurata una e triplice: celeste, terrestre e marina). La posizione della luna sotto i piedi lascia immaginare che la Donna abbia sostituito la stella del mattino in un simbolo già frequente sulle monete persiane e anatoliche. Lo Pseudo-Giovanni aggiunge però sul suo capo dodici stelle, chiaro riferimento alle dodici tribù del popolo d’Israele. Si incontrano così nella sua visione tre immagini che avrebbero proseguito i loro percorsi fino ad arrivare alla contemporaneità: la mezzaluna protettrice di Bisanzio, rivendicata dai conquistatori ottomani, sulle bandiere moderne delle nazioni musulmane; le dodici stelle, sulla bandiera del Consiglio d’Europa (e poi dell’UE). Persino la Donna del cielo è stata sventolata almeno una volta su una bandiera, durante la rivoluzione messicana. Ma in generale preferisce riapparire nelle visioni mistiche, soprattutto da Lourdes in poi. Buon anno a tutti (ma soprattutto a tutte).

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Dolcetto o fine del mondo (come lo conoscevamo)?

Non credo sia il problema prioritario, ma ho sentito qualcuno lamentarsi anche del fatto che i bambini non potranno suonare i campanelli, stanotte. Insomma come cresceranno, senza Halloween?

Giornale di Brescia

Sinceramente non lo so, ma quando ho sentito la domanda mi sono reso conto di avere avuto una vita interessante. Certo, non come quella di chi ha assistito a una rivoluzione o a una guerra mondiale, ma non mi posso lamentare, ad esempio ho visto nel giro di un quarto di secolo la parola Halloween trasformarsi da inquietante titolo di un film dell’orrore, a festa sul calendario: prima osteggiata e poi progressivamente accettata dagli adulti, al punto che ora si domandano se potranno i loro figli sopravvivere alla sospensione di una tradizione che sembra già antichissima e non ha neanche vent’anni. E vorrei dire: tranquilli, ragazzi, anche i vostri genitori non giravano per strada mascherati il 31 ottobre, e in un qualche modo sono cresciuti anche loro; ma ecco, forse non è un buon argomento, perché in effetti: come siamo cresciuti? Non è che abbiamo preso un certo benessere occidentale pompato della Guerra Fredda come un diritto fondamentale dell’uomo, e ora non sappiamo distinguere tra un regime totalitario e un governo che ci toglie temporaneamente cinema e ristorante perché non vorrebbe intasare (scusate eh) le terapie intensive? 

Ho sentito molta più gente paventare una nuova chiusura delle scuole, e se da una parte sono felice dell’importanza straordinaria che attribuiscono all’istituzione in cui lavoro (sul serio chi se l’avrebbe aspettato, anche solo un anno fa), dall’altra ho paura che mi cada la maschera mentre recito un copione che non ho scelto: tutti si aspettano che io dica che la scuola è sicura, molto più sicura di piscine palestre e bar, e che i loro figli possono andarci senza nulla temere, il che non è vero, anche se in tv l’avete sentito dire da questo o quel medico: gente che lo dice in tv, comunque, ma si guarda bene dal ripeterlo quando si mettono nero su bianco le linee guida ministeriali. Non importa, a quanto pare la scuola deve tenere la posizione, costi quel che costi: chiuderanno i bar e i forni, ma la scuola è troppo essenziale. Che figli crescerebbero, senza cinque ore al giorno nella stessa stanza (seduti a un metro di distanza con la mascherina sul naso)? Dei disadattati, molta gente ho sentito usare questa parola: disadattati. E non posso fare a meno di domandarmi: disadattati a cosa? Al mondo come ce lo immaginiamo noi; quello coi cinema gli aperitivi, i bambini mascherati a Halloween eccetera. Un mondo che in ogni caso sta per cambiare, non nel modo più auspicato, certo, ma neanche così imprevisto. Cioè è da un po’ che ce lo dicevamo, che avrebbe potuto finire così, no?

È novembre ormai, di solito a questo punto nel Mar Glaciale Artico si è già formato uno strato di ghiaccio – quest’anno no. Dall’altra parte del mondo un’altra porzione di permafrost si sta scongelando dopo decine di millenni, liberando altro metano che non sappiamo bene come interagirà con l’atmosfera. Sempre dal permafrost potrebbero arrivare altre novità indesiderate ma non del tutto impreviste: virus, batteri, cose con cui dobbiamo imparare a convivere. Il mondo che lasciamo ai nostri figli è un mondo molto diverso da quello a cui ci siamo adattati noi: richiederà altri atteggiamenti, altri valori. Che crescano disadatti al vecchio mondo, non è necessariamente un male. Tra i tanti capi di cui ci imputeranno, ho il sospetto che i lockdown del 2020 non saranno il peggiore. Scusate il pessimismo, fate conto sia la mia storia di paura per stasera.

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Buon primo maggio (un nastrone)

Buon primo maggio, che è anche la mia festa – quest’anno più del solito. E anche se il Concertone non è tra le prime cento cose che rimpiango del mondo prima della  pandemia, mi fa un certo effetto pensare che accendendo la tv non lo troverò.

In compenso qui c’è una playlist. Ho cercato di mescolare le cose più banali (ma necessarie) con altre che magari qualcuno qui non ha mai sentito o non sente da mille anni, o da febbraio. Non so per voi, ma per me ormai è quasi la stessa cosa. I’ll stick with the Union, ‘til every battle’s won.

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Niente di nuovo dal fronte del Natale

Natale è vicino, si riapre il Fronte del Presepe Nelle Scuole: l’infinita battaglia per salvare una delle tradizioni natalizie più specificamente italiane, nonché più legate all’aspetto cristiano della festa. Il Presepe Nelle Scuole, per definizione, è minacciato, è a rischio di scomparsa, ecc. Il bollettino più aggiornato lo dà il Giornale: dunque pare che un membro del consiglio regionale del Veneto (lista Zaia) abbia tentato invano di regalare un presepe tradizionale a una scuola primaria di Mestre, senza prima chiedere una delibera del Consiglio di Istituto. La sorpresa del consigliere è legittima: l’anno scorso la sua Regione aveva stanziato un fondo di 50.000 euro per non lasciare neanche una scuola veneta senza un presepe. Dove sono finiti tutti quei soldi? Vuoi vedere che li hanno spesi in gessetti e computer invece che in asinelli e in buoi?

Il Krampus

Dal Fronte per ora questo è tutto: un po’ poco. Certo, a Trieste è passata una mozione del Consiglio Comunale che dovrebbe rendere il presepe “obbligatorio”. Certo, Matteo Salvini non si è dimenticato di ricordarci che “chi tiene Gesù fuori dalla porta delle classi non è un educatore“. Insomma l’artiglieria continua a sparare, ma non è chiaro contro chi: tutte queste scuole che smettono di fare il presepe forse non esistono più, ammesso che siano mai esistite. L’impressione è che nelle trincee sia rimasto soltanto qualche ufficiale, mentre il grosso delle truppe festeggia nelle retrovia, magari sotto un abete illuminato. Quanto al nemico, il perfido infedele deciso a distruggere le nostre tradizioni a partire dal presepe, forse nelle trincee non c’è nemmeno mai sceso. I musulmani italiani in particolare non hanno mai dato l’impressione di sentirsi offesi dal presepe, anzi. La Lega Islamica del Veneto addirittura è arrivata al punto di regalare presepi agli amministratori – e nonostante tutto il presidente continua a sentirsi bersaglio di polemiche. Forse è inevitabile, forse il Fronte del Presepe ormai è una tradizione natalizia: c’è chi addobba l’albero, c’è chi compra i regali, c’è chi scrive su facebook che le nostre sacre tradizioni sono in pericolo e se la prende con infedeli immaginari – non i musulmani, gli indù, i buddisti o gli ebrei che lavorano con lui o studiano con suo figlio: piuttosto dei folletti da fiaba malvagi che nottetempo smonterebbero i presepi nelle scuole e nelle chiese.

Il Fronte del Presepe non è che un il teatro minore di un grande conflitto immaginario, la Guerra del Natale – “War On Christmas” la chiamano in America, dove è scoppiata addirittura ai tempi del maccartismo. Ai tempi il bersaglio prescelto erano marxisti ed ebrei, sospettati di voler eliminare l’augurio “Merry Christmas” dalle cartoline, in favore di un più laico e materialista “Happy Holidays”, buone feste (ironicamente, molte canzoni natalizie americane sono state scritte da compositori ebrei). Dopo decenni di tregua, la guerra si è riaperta dopo l’Undici Settembre: anche negli USA, a nulla valgono le proteste d’innocenza dei musulmani, o i loro rassicuranti video di auguri natalizi; anche laggiù il vero nemico non sono loro, ma un entità più vaga e malvagia, un complotto anti-cristiano e anti-americano che ogni anno deve minacciare l’esito felice della celebrazione; quasi una rielaborazione postmoderna del Krampus, il mostro che nel folklore dell’Europa Centrale dev’essere domato da Santa Klaus prima della notte di Natale. Quarant’anni fa il Krampus erano i marxisti e gli ebrei, oggi sono i musulmani, domani a chi toccherà.

Natale è vicino, e come ogni anno qualcuno sta per intonare un’invettiva contro la deriva consumistica di quella che era una festa cristiana (l’anno scorso memorabile fu quella di Cacciari). A nulla varrebbe obiettare che il Natale è ormai festeggiato spontaneamente anche dove i cristiani sono un esigua minoranza (in Cina è sempre più popolare); che le tradizioni natalizie universalmente più condivise non sono particolarmente cristiane, ed esistevano già prima che la festa pagana del Sole Vincitore fosse assorbita dal calendario cristiano. Tra le non molte cose che abbiamo in comune coi nostri contemporanei cinesi, c’è la capacità di riconoscere al volo un’immagine di Babbo Natale; tra le ben poche cose che abbiamo in comune coi nostri antenati pagani e barbari, c’è l’abitudine di scambiarci doni e dolci a base di frutta candita nei giorni intorno al solstizio d’inverno. Il vecchio con la barba bianca è San Nicola di Myra, oggi in Turchia, lo sanno tutti; ma forse non tutti sanno che prima di lui era lo stesso Odino a cavalcare nella notte del solstizio, portando dolcetti ai bambini che lasciavano carote sul davanzale per il suo cavallo a otto zampe. Quanto alla data del 25 dicembre, nessun vangelo ne parla (nessun vangelo precisa né il mese né l’anno della nascita di Gesù Cristo), ma coincide singolarmente con la festa del Sole Invitto, che l’imperatore Aureliano introdusse nel 274… (Continua su TheVision).

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