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L’Emilia-Romagna non esiste (ma resiste)

[Questo pezzo è stato scritto ieri ed è uscito su TheVision]

Oggi non è una brutta giornata. Ovvero: se do un’occhiata dalla finestra, l’Emilia-Romagna continua a sembrarmi la stessa regione inquinata e decadente di ieri. I problemi sono ancora tutti lì esattamente dove erano sabato, e in parte si tratta di problemi che Stefano Bonaccini non risolverà, perché l’Emilia-Romagna alla fine è semplicemente un pezzo d’Italia, d’Europa e di mondo, ritagliato in modo anche abbastanza casuale.

In alcune zone di questo pezzo d’Italia, la propaganda salviniana funziona, ed è facile notare che sono le zone periferiche di un tessuto che progressivamente si sta trasformando in una grande periferia. I centri resistono, ma sono sotto assedio: oppongono un modello ma non riescono più a irradiare un messaggi alternativi a quelli declinati dalla Mediaset e dalle sua varianti; già prima di arrivare alle tangenziali i discorsi nei bar cominciano ad assomigliare agli stessi discorsi che puoi sentire a Varese, Viterbo, Vibo Valentia. Bibbiano perde i contorni di placido comune in provincia di Reggio nell’Emilia e diventa un campo d’internamento dove bambini rasati venivano sottoposti a elettroshock da assistenti sociali satanisti.

Ma non si tratta soltanto di una gara a spararla grossa (che Salvini comunque era determinato a vincere). Nelle zone montane, in certa Bassa, nelle new town fungate sulle strade statali, Salvini vince come vince il Capo Indiano che chiama a raccolta i nativi messi ai margini dall’avanzata del progresso. Nelle zone industriali dove un capannone su due è una carcassa di cemento, nella riviera che non è soltanto Rimini e Riccione ma migliaia di pensioncine a trazione famigliare che la Croazia spazzerà via, Salvini non vince soltanto perché racconta cazzate. In un certo senso, non è il solo che le dice. In un tessuto sociale che ha smesso da un pezzo di essere competitivo, e mese per mese assiste al suo stesso smembramento, anche chi continua a raccontarci che siamo la terra delle Ferrari, di Farinetti, di Fellini, a volte non ha percezione di quanto ci stia ammorbando di chiacchiere. Modena era una realtà industriale quando c’erano le fonderie, e la Ferrari era poco più di una fabbrichetta – famosa in tutto il mondo ma abbastanza marginale. Ora al posto delle fonderie c’è il museo Enzo Ferrari ma non creerà mai la stessa ricchezza, non è che puoi davvero pensare di sostituire lo storytelling all’acciaio. C’è un limite oltre il quale anche la narrazione delle eccellenze diventa un tormentone non molto meno tossico dell’elettrochoc di Bibbiano, e oltre quel limite perché Matteo Salvini non dovrebbe vincere? Perché non dovrebbe raccontare che l’euro ci sta strangolando, che negli anni Ottanta si stava meglio, che l’immigrazione abbassa il costo del lavoro? È una visione superficiale, ma non più superficiale di quella che propone di risolvere tutto con l’auto di lusso, l’abbigliamento di lusso, la ristorazione di lusso.

(Mesi fa il sindaco di un piccolo centro sull’appennino parmense scrisse una circolare ai genitori degli studenti, chiedendo per favore di non ordinare lo zaino scolastico su Amazon ma di comprarlo nell’unica librocartoleria superstite. Dalla stampa nazionale insorse un editorialista progressista: ma come! Ai ragazzi bisogna insegnare a eccellere, a studiare, a diventare Bezos, non a combatterlo. Sì, in pratica bisogna insegnare ad andarsene dall’appennino, un luogo dove tenere aperta una libreria è ormai un eroismo inutile). (L’editorialista in questione non è cresciuto in appennino ma in una redazione; è figlio di un altro editorialista, perché raccontare i pregi della meritocrazia è un’arte che in Italia non s’impara in una generazione).

Però alla fine oggi non è una brutta giornata, dai. Si è alzata anche la foschia, ora splende il sole, l’aria continua a essere tra le più carbonate sul pianeta, ma non si può pretendere. Di tutto aveva bisogno questo pezzo d’Italia tranne che di un’altra gang di amministratori incompetenti e parolai. La maggior parte degli elettori del vecchio bacino emiliano 5Stelle ha deciso, di fronte a un bivio, che la direzione indicata da Salvini non era praticabile: non era affatto scontato. E soprattutto abbiamo dimostrato che un certo tipo di campagna elettorale non funziona ovunque, e quindi alla lunga non funziona. Da questo punto di vista bisogna ringraziare Salvini, proprio perché in quest’occasione ha dato il peggio di sé e ci ha dato un’occasione gloriosa per dimostrare che Salvini, anche nella sua versione peggiore, non è sostenibile. Non vince neanche se fa il Gabibbo, non vince neanche se fa Cronaca Vera (il martellamento ossessivo su Bibbiano), non vince a imbucarsi in qualsiasi sagra, ad afferrare un prodotto gastronomico e a spararsi un altro selfie con quei poveri sostenitori che ormai in memoria hanno più faccioni di Salvini che foto dei figli. Dopo Craxi, dopo Renzi, Salvini è l’ennesimo avventuriero che due o tre battaglie hanno illuso di poter conquistare almeno mezza Italia: è senz’altro bello pensare che si sia dovuto fermare sul Taro. Significa che l’Emilia rossa resiste? Anche l’Emilia rossa è storytelling. Comunista in senso stretto non lo è mai stata: forse le è capitata in sorte una classe dirigente un po’ più pratica, un po’ più onesta, ma quello che vedo io dalla finestra è un pezzo d’Italia individualista e frustrato che un candidato di centrodestra decente lo voterebbe. È da almeno vent’anni che lo implora: un candidato liberale, pragmatico, amico delle piccole medie imprese o di quel che ne resta. Ecco, questo candidato la destra italiana non ha mai voluto proporlo. Sia Berlusconi ieri, sia Salvini oggi, si sono sempre lasciati incantare dal mito della fortezza rossa da espugnare con gli slogan e le recriminazioni identitarie: non hanno mai pensato di proporre una vera alternativa a livello di amministrazione, forse semplicemente perché non era disponibile o credibile. Il giorno che lo sarà, qualcosa mi dice che l’Emilia smetterà di essere rossa nel giro di poche ore. Ma è una prospettiva lontana, lontana. Il centrodestra che tira è il centrodestra che la spara più lunga, tant’è che al declino della stella di Salvini sta iniziando a sorgere quella di Giorgia Meloni. Le chiacchiere che producono funzionano in tv, funzionano sui social, funzionano in tante edicole e bar, ma non ti fanno vincere le elezioni, perlomeno tra Taro e Rubicone. È una bella giornata oggi, dai.

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Caro elettore (emiliano) di sinistra

Ciao, come va? È da un po’.
Esatto, sì, sto per fare quella cosa.
(Sono più imbarazzato di te, credimi).

Sabato come senz’altro sai si vota in Emilia-Romagna, e la coalizione di Bonaccini (PD e altre liste di centrosinistra) potrebbe anche non farcela. Questo non sarebbe necessariamente la fine del mondo in regione: in Emilia-Romagna direi che dopo 50 anni un po’ di alternanza potremmo anche permetterla, giusto il tempo di dimostrare l’incapacità del centrodestra locale. La vittoria della Lega salviniana però potrebbe innescare una reazione a livello nazionale, con conseguente crisi del governo e fine della legislatura proprio nel momento in cui finalmente in parlamento si cominciava a parlare di una legge elettorale proporzionale e decente (una legge che potrebbe riportare anche la sinistra in parlamento). E quindi?

E quindi, indovina: sto per chiedere il tuo voto utile. Lo so che Bonaccini non ti piace, e posso anche capire i motivi per cui, da una prospettiva di sinistra, non rappresenta quasi nulla che possa piacerti. Cioè non voglio neanche provare a indorarti la pillola, ok? Anzi, sinceramente considero la sua proposta di autonomia regionale una roba da leghisti, e forse invece di scrivere questo pezzo dovrei scriverne uno per convincere i leghisti a votare Bonaccini. Se avessi il bacino di utenza adatto lo farei. Ma è più facile che mi leggano a sinistra, e quindi caro lettore, eccomi in ginocchio da te: per favore, riflettici. Vale davvero la pena di regalare una chance a Salvini, e qualche anno di amministrazione regionale a chi fa campagna elettorale con le magliette su Bibbiano?

Non potrebbe essere l’occasione per stabilire che no, che questo tipo di campagne elettorali da Cronaca Vera non funzionano – perlomeno da noi? Pensa che precedente sarebbe, caro elettore di sinistra. Un tizio cerca di vincere le elezioni battendo ogni mercato, ogni stand gastronomico della regione con la sua scorta, senza argomenti che non siano recriminazioni e selfie, e malgrado ospiti televisivi e influencer non riescano a parlare di altro… perde. Non sarebbe già un risultato importante?

E se invece vince, non sarebbe un po’ la fine della democrazia? Cioè una volta che hai dimostrato che le elezioni le vinci andando a disturbare la gente col citofono, che si fa?

E quindi caro elettore credo che dovresti davvero provarci, stavolta. Anche se.

Anche se sono il primo a trovare la cosa un po’ sospetta. Ancora una volta uno scontro finale. Ancora una volta le forze del Male stanno per trionfare e l’unica speranza è spostare una manciata di voti sulle forze del Meno Peggio. È da più di vent’anni che funziona così – ieri era Berlusconi, oggi Salvini, c’è sempre un altro piccolo sforzo da fare, c’è sempre un cattivo da abbattere, c’è sempre un motivo per mettere da parte le proprie ragioni e le proprie necessità. E c’è sempre qualcuno (e a volte sono stato io) che ti chiede di metterti la mano sul cuore e di sacrificare le tue esigenze di elettore, sempre e solo le tue, e perché? Perché è in gioco qualcosa di più importante, il destino dell’Italia, dell’Unione, e del mondo, e vuoi sapere una cosa buffa? Ci credono.

(Io perlomeno sono abbastanza persuaso che l’ascesa di Salvini rappresenti un concreto peggioramento per l’Italia, per l’Unione Europea, e per tutto il quadro internazionale, e sarei veramente molto orgoglioso se la mia regione domani gli desse una spallata fatale – mentre al momento sono abbastanza inorridito dalla prospettiva che gli fornisca la spinta che gli manca).

Quindi mettiamo da parte ancora una volta le obiezioni, anche legittime, al nostro modello di sviluppo. Mettiamo da parte l’ambiente, le politiche per la casa, le rivendicazioni dei lavoratori anche quando sono represse dalla polizia, e quell’oscenità che sono i Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Insomma lasciamo da parte tutte le lotte sacrosante di una sinistra che osi ancora definirsi tale sul territorio, e concentriamoci sull’ennesima battaglia decisiva, che anche qualora si rivelasse davvero decisiva, non sarà comunque quella finale, no? Comunque non pensiamoci, c’è la possibilità di mandare Salvini nella polvere (o sugli altari), tutto il resto passa in secondo piano. Caro elettore di sinistra, a questo punto tu giustamente mi domanderai:

E se fosse solo un fantoccio, Salvini?

(Lo ammetto, anche a me il dubbio viene).

Una caricatura di nazista, un Mussolini versione farsa, un Berlusconi in sedicesimo perfino. Uno che in realtà il potere non lo vuole – quando gli è capitato, se n’è proprio liberato alla prima occasione – e che ora serve proprio come spauracchio per tenere uniti tutti quanti contro di lui. In tempi ancora di maggioritario, mentre tutti aspirano al 51%, forse l’obiettivo di Salvini è il 49%: quel che gli serve per essere sempre minaccioso, sempre sulla cresta dell’onda, sempre in tv e sui social, ospitate, libri, la scorta. Guarda, non escludo affatto che alla fine Salvini non sia che questo. Uno messo lì per catalizzare il malcontento e interpretarlo nella forma più trucida e impresentabile. È una possibilità. Ugualmente, preferirei che i suoi candidati non vincessero, domani.

Caro elettore di sinistra, dovrei tagliarla qui. Più scrivo, meno divento convincente. Ti faccio una proposta un po’ più pratica: dà un’occhiata al programma di Emilia Coraggiosa, la lista pro Bonaccini di Elly Schlein (già europarlamentare con Possibile). Misura col tuo giudizio quanto sia meno di sinistra rispetto a quella, mettiamo, di Potere al Popolo. Poi vota per chi ti va, davvero. Ma se scegli di votare per una lista collegata a Bonaccini, e Bonaccini si ritrova per altri cinque anni in Regione, ti prometto che almeno da parte mia non saranno altri cinque anni passati a farmi i cazzi miei mentre il territorio si cementifica, l’ossigeno scompare, gli operai vengono processati perché scioperano. Ti sto chiedendo il mio voto? Ti offro il mio tempo e il mio spazio. Ogni volta che Bonaccini ti farà incazzare, potrai scrivermi e io mi preoccuperò, per quel che posso, di dare risonanza alle tue istanze e alle tue incazzature. Non è molto quel che posso offrirti – ma non è neanche molto quel che ti chiedo: una croce su un simbolo e su un candidato. E poi domenica vada come deve andare, una cosa buona è che almeno non ce lo troveremo più in piazza a spararsi selfie davanti a uno stand di salumi. È finita, almeno la campagna è finita. Ci vediamo.

PS: lascia stare il voto disgiunto, è una cabala.

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Lettera aperta a Lucia Borgonzoni, su Bibbiano e sull’aria che c’è

Senatrice Borgonzoni,
sono un elettore emiliano e fino a poco tempo fa non credevo che l’avrei mai disturbata. Poi ho letto che andava a Bibbiano, ed era molto felice e orgogliosa di andarci, e forse per una coincidenza l’ho letto proprio nel giorno in cui nella mia città il livello di polveri sottili doppiava la soglia massima consentita per legge – la nostra aria è una delle meno respirabili del mondo, come lei ben sa. Io stesso mentre le scrivo sento un po’ bruciarmi gli occhi, e i bronchi un po’ ruvidi, e all’uscita da scuola vedo un po’ troppi bambini tossire – magari è autosuggestione, senatrice, ma insomma in questi giorni mi sembra che mi manchi l’aria e nel frattempo leggo che lei sarà a Bibbiano, non vede l’ora di esserci a Bibbiano, perché è molto preoccupata dei fatti di Bibbiano, e non si darà pace finché non sarà fatta completa luce sui fatti di Bibbiano.

Senatrice Borgonzoni, allora, deve sapere che oltre a essere un elettore sono un papà, e in quanto tale molto turbato da quanto successo a Bibbiano, e anch’io non vedo l’ora che i magistrati facciano completa luce sui fatti. Per cui volevo chiederle, insomma: una volta eletta alla presidenza della Regione Emilia-Romagna, in che modo esattamente potrebbe aiutare i magistrati a fare luce eccetera? Perché è da un po’ che ci penso e giuro, non mi viene in mente – sarà la mia mancanza di fantasia. Cioè, non è che un presidente di regione non abbia niente da fare tutto il giorno, eh? Ci sono tutti i problemi del territorio, la viabilità che potrebbe essere molto, molto migliore di così; i rifiuti, l’urbanistica, e l’aria, mi scusi se insisto sull’aria, ma a volte mi sento quasi soffocare, ho pena per i miei figli e i loro compagni, e in mezzo a tutto questo sento che lei è molto preoccupata per Bibbiano. Del resto la prima volta che ho sentito parlare di lei è proprio perché si era infilata una maglietta su Bibbiano in Senato, e le confesso che ho la sensazione che alla fine Bibbiano per lei sia un po’ quella cosa lì: una maglietta da infilarsi davanti alle telecamere. E che anche i problemi della regione per lei siano quella cosa che si può risolvere con una maglietta (e una telecamera).

E allora mi corregga se sbaglio, senatrice Borgonzoni, ma la sensazione che mi sono fatto di lei è che dei bambini di Bibbiano, e della loro oggettiva sofferenza, le freghi tanto quanto della salute dei miei bambini, e di quelli di tutta la nostra inquinatissima regione: cioè un bel niente, senatrice. Bibbiano per lei è solo la quinta per una passerella; se qualcuno ha commesso dei reati indagheranno i magistrati, non lei. Se qualcuno è colpevole lo stabiliranno i giudici, non lei. Lei chi è in tutta questa storia tremenda? A occhio mi sembra una a cui hanno dato una maglietta da infilarsi. Una maglietta tra l’altro assai poco improvvisata, una maglietta coordinata, prodotta già in serie in pochi giorni, con uno slogan coniato all’improvviso e propagato immediatamente da lei e da tutti le bocche da fuoco della propaganda salviniana (nonché da qualche fascista).

Ok senatrice, siete stati bravi: ma in quanto elettore, e più in generale persona che tende a respirare nell’Emilia Romagna, mi domando se questa abilità con le magliette, con gli slogan, con gli hashtag, con le faccine sempre sorridenti anche mentre spalate merda sugli avversari politici e sui semplici cittadini… sinceramente mi domando se tutta questa vostra capacità di macinare propaganda 24 ore al giorno sia quel tipo di abilità che serve nei palazzi della Regione. Prendiamo un problema base, ad esempio (scusi se insisto), l’aria. Cosa ha intenzione di fare per l’aria, che tra un po’ non sarà respirabile? Sono andato a cercare il suo programma, che in mezzo a tutti i volantini e le news e le faccine e le magliette è abbastanza difficile da trovare, e scritto molto in piccolo. E dunque alla voce “Qualità dell’aria”, si legge che “le rilevazioni degli ultimi anni non sono certo clementi con il livello di qualità dell’aria nella Pianura Padana” (io qua ci sento un po’ l’insofferenza verso queste “rilevazioni”, maestri severi che avrebbero anche potuto chiudere un occhio e invece no). Ma si legge anche che “le misure messe in campo fino ad oggi hanno prodotto risultati importanti [??? risultati importanti??? abbiamo le polveri sottili al doppio della soglia massima!] ma spesso sono state altamente impattanti per i nostri concittadini”.

C’è scritto così: altamente impattanti. Non è chiaro a cosa si riferisca: le traumatiche domeniche senza auto, i centri chiusi alle Euro4? O al supplizio esistenziale di dover differenziare l’umido? Una rottura senz’altro, ma senatrice, se penso a una cosa un po’ impattante sulla mia vita di emiliano, penso alle malattie polmonari a cui mi sto esponendo soltanto perché mi è capitato di nascere e abitare qui. E avere figli qui; figli che respirano un’aria che li condanna a una maggior incidenza di malattie polmonari. Questo è impattante, senatrice. Questo è un problema che vorrei porre in sede regionale e nemmeno mi aspetto risposte facili: so che non ci sono. Però, vede, anche solo provarci a volte aiuterebbe – metta il suo concorrente, Bonaccini: lui che pure ha la sua parte di responsabilità per questo stato di cose, sul programma ha quattro milioni e mezzo di alberi in più, bum. È fattibile? Almeno si pone il problema. Energie rinnovabili al 100% entro il 2035, dice. Si può fare? Non ne ho idea, e neanche lei ce l’ha, non ne parla. Il resto del suo paragrafo sull’ambiente serve a rassicurare i contribuenti sul fatto che non vuole chiedere tasse in più per l’ambiente, ma magari incentivare gli imprenditori che rinnovano il parco macchine. Con vetture elettriche? Ah ah ah – non necessariamente, no. Insomma senatrice a lei dell’aria interessa poco ed è comprensibile, fin qui agli emiliani premevano davvero più le tasse che la qualità dell’aria. Non credo però che si possa andare molto più avanti di così in questa direzione – e inoltre le vere tasse le decidono a Roma, via, non è che possiamo prenderci in giro anche su questo.

Senatrice non ce l’ho con lei, per quanto speculare sulle tragedie famigliari dei bambini di Bibbiano sarebbe in effetti un motivo più che sufficiente. Il suo mentore che in queste ore chiede di essere processato perché secondo lui ha difeso il popolo italiano – bloccando un centinaio di naufraghi su una nave, secondo lui i popoli si difendono così – il suo leader, dicevo, una volta ha osato accennare al fatto che bisognava portare in Emilia-Romagna il modello veneto. Magari non proprio il modello tangentaro con cui il centrodestra ha gestito il Mose, ma effettivamente anche in Emilia si potrebbero incentivare un po’ più le aziende, senza troppi lacci e lacciuoli, non c’è dubbio. Proprio in questi giorni abbiamo scoperto che in trenta comuni tra le province di Verona e Vicenza il 60% dei 300 mila abitanti ha il colesterolo sballato, a causa dell’inquinamento industriale – gli acidi perfluoroacrilici immessi nella falda acquifera dalla Miteni di Trissino. Gli esperti ritengono che questi acidi possano favorire lo sviluppo di malattie alla tiroide, nonché compromettere la fertilità che so che è una cosa che anche a voi sta molto a cuore. Inoltre c’è una possibile relazione con l’insorgenza di forme tumorali, e stiamo parlando di un problema per quasi duecentomila cittadini veneti di ogni età, bambini compresi, ma certo capisco che far luce sul problema, e chiedere che i responsabili paghino, non possa essere la priorità per lei o per un partito come il suo, così attento alle esigenze degli industriali anche quando ci ammazzano neanche troppo lentamente. Continui pure a parlarci di Bibbiano, magari voteremo per lei. Magari ci piace davvero essere presi in giro mentre soffochiamo. Non lo escludo, peraltro è noto che l’aria viziata toglie lucidità. Con l’espressione della mia più profonda disistima, suo Leonardo.

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Cronache dalla campagna

(Qui intorno era ancora tutta Emilia-Romagna, nell’anno del Signore 2020)

– Avrete notato che è da un po’ che non ci sono terremoti in zona Cavezzo, né inondazioni dalle parti di Cavezzo; in compenso l’altro giorno è caduto un meteorite nella campagna di Cavezzo. Le possibilità di trovarlo erano abbastanza basse: e invece l’hanno trovato. È una pietra superficialmente molto nera, l’istituto astronomico ha detto che la chiamerà Cavezzo. Qualcosa del genere è probabilmente successo alla Mecca migliaia di anni fa.

– Il giorno dopo Matteo Salvini lascia detto che verrà a Modena, una città dove fin qui ha fatto un po’ fatica a entrare. Andrà a prendere una birra in via Gallucci; gli scappa anche il nome della birreria ma forse non si era inteso bene con il suo impresario, qualcuno si era dimenticato di avvisare il gestore e forse nel nuovo cerchio magico manca un certo tipo di know how, sono bravissimi a pigolare su twitter ma non sanno come rapportarsi con gli esercenti modenesi, il che non sorprende. La prima reazione del gestore in questione è infatti annunciare sui social: noi non facciamo politica, ma se viene Salvini siamo in ferie. Simpatég. Il gestore, come chiunque non viva almeno tre ore al giorno sui social, sottovaluta il clima della campagna elettorale: dopo essere stato investito da commentatori ostili che minacciano il boicottaggio si riavvede , e alla fine Salvini ce la fa: entra nel locale, si fa un selfie con la birra in mano e gli avventori – pochi, perché nel frattempo via Gallucci è stata blindata dalle forze di polizia, in stile corteo di Forza Nuova. Poi già che c’è entra anche in un altro pub, storicamente caro a me e a tutta la mia cerchia (ma ho smesso di bere il primo gennaio, quindi neanche posso boicottarlo): e anche qui selfie e sorrisoni coi gestori. Anche passando a Carpi del resto aveva fatto in modo di farsi trovare proprio davanti alle bancarelle della fiera del cioccolato.

– Il fatto che Salvini si faccia molto spesso inquadrare mentre mangia e beve ha fin qui generato più parodie che riflessioni (come qualsiasi altro fenomeno al mondo, sospetto, e questo malgrado sia più facile riflettere che scrivere battute divertenti). È un’intuizione che parte da lontano (anche Renzi veniva talvolta descritto come in preda a un’infantile bulimia) e si affina negli anni passati a fare campagna elettorale e poco altro. Senz’altro è un espediente efficace per ridurre la sua distanza col cittadino medio, ma è anche una conseguenza diretta del fatto che molto spesso la gente è già lì per bere e per mangiare, sennò Matteo Salvini neanche si scomoda. Poi certo, ogni tanto fa pure dei comizi, però in molti casi l’approccio di Salvini alla folla è parassitario: non è lui a radunarli, lui si fa trovare in un posto dove ci sono già, e siccome di solito sono lì per mangiare, Salvini deve mangiare. Nella maggior parte dei casi va tutto bene, al limite c’è da gestire qualche contestatore ma la maggior parte della folla è comunque contenta di trovarsi vicino a una celebrità, proprio come quando passa un calciatore o il tale che ha fatto un reality. A volte qualcosa va storto (a Modena, tipicamente) e allora o si molla l’osso, come a novembre, in cui si riparò fuori dal centro sardinizzato. Oppure si militarizza l’area, perché quel selfie col boccale in mano evidentemente è importante, chissà quanti voti pesa.

– Salvini le elezioni in Emilia-Romagna potrebbe anche vincerle. Lo dico, ovviamente, per dimostrarmi attento alla situazione e consapevole della distanza tra desideri e realtà: è il senso di ogni rituale scaramantico. Ma lo dico anche perché alla fine la possibilità c’è, e non ha a che vedere più di tanto con la fine del cosiddetto modello emiliano, che è in crisi già da anni, per motivi strutturali che sono gli stessi per cui è in crisi il modello padano, e l’Italia, e l’Europa il genere umano l’ecosistema. Salvini le elezioni in E-R potrebbe vincerle banalmente, perché ci tiene davvero, e non ha niente da fare tutto il giorno tranne battere la campagna, e soprattutto ci tengono i suoi fan, polarizzati e nervosi come non mai. Non è che siano la maggioranza (non in E-R, di certo), ma hanno una voglia di andare a votare che schizza da tutti i pori, mentre cinque anni fa il Pd di Bonaccini vinse con un’astensione altissima. Una tornata elettorale sui generis, in una stagione diversa dal solito, senza copertura sui media nazionali rischierebbe di premiare più le minoranze polarizzate che il famoso centro moderato. I salviniani hanno voglia di votare e sanno anche per chi voteranno; i grillini potrebbero davvero, quella domenica, svegliarsi depressi e restare in pigiama; le sardine sono state importanti da un punto di vista mediatico (sono state loro a comunicare al mondo che c’era un’elezione importante in arrivo), ma se da riempitori spontanei di piazze diventano testimonial di un partito preciso, rischiano di bruciarsi. Quanto agli elettori del PD, stanno semplicemente invecchiando. Salvini le elezioni in E-R potrebbe vincerle perché c’è gente che le perde da cinquant’anni e scalpita, e si venderebbe al diavolo purché fosse la volta buona. Dove “vendersi al diavolo” è una simpatica iperbole che temo non renda l’idea. Mettiamola così: è gente che pur di vincere voterebbe per Matteo Salvini.

– Il quale Salvini ormai non ha neanche nulla da promettere – nessuna promessa che non abbia già bruciato nei mesi di governo – toglierà le accise? uscirà dall’euro? chiuderà frontiere che peraltro non erano molto aperte neanche prima e non si sono aperte dopo? Nulla, non ha più nulla da promettere che non sia un altro anno fighissimo che passerà a spararsi selfie e streetfood. Berlusconi almeno era una figura aspirazionale, il milionario fatto da sé; Salvini è una figura tribale, un feticcio, nessuno spera di diventare come lui, è lui che si sforza di diventare come tutti noi. Mette le felpe, guarda i cantieri, mangia i panini, è un Checco Zalone senza ironia, il vicino di casa un po’ scemo che mette allegria e anche quando la spara grossa sai che non lo fa per cattiveria, è il suo modo di reagire alle difficoltà, di tenersi a galla. Tutto questo non lo rende veramente un leader credibile, ma se per questo neanche Trump: evidentemente c’è gente disposta a credere a qualsiasi cosa, succede quando le prospettive sono molto brutte. Salvini a livello nazionale in realtà starebbe anche declinando: l’unico evento che potrebbe rimetterlo rapidamente in sella è una storica vittoria in Emilia-Romagna, e questo rende particolarmente surreali queste elezioni invernali – da una parte le forze del Caos, dall’altra Stefano Bonaccini. Che senso ha.

– Non ha nessun senso, io abolirei le regioni. Non si riesce a parlare di politica locale, non si riesce a valutare un’amministrazione, ci si riduce sempre a una specie di Risiko in cui l’importante è conservare o perdere un territorio. Come quella volta di Emilio Fede con le bandierine (quanto sono vecchio dio mio), o Renzi che diceva: dobbiamo vincere otto a due! e non era nemmeno più importante quali fossero le otto e quali le due, il Molise valeva quanto la Puglia, l’importante è il punteggio, la fatica che si fa a interpretare la realtà quando sei abituato per cultura e inclinazione a osservarla come un gioco, le cui regole arbitrarie diventano leggi fondamentali della natura e il Molise da bizzarria statistica si trasforma in ente reale, dotato di volontà politica e diritto a esprimere tot senatori. Salvini potrebbe vincere proprio perché se si tratta di giocare, non c’è avversario più temibile di un ragazzino con tanto tempo libero. Motivi per votare il centrosinistra: dal dopoguerra in poi ha espresso una classe dirigente che ha saputo amministrare il territorio, con alti e bassi, e inevitabili opacità e collusioni che è quello che succede quando per cinquant’anni nessuno ti scalza dalle posizioni di potere. Motivi per votare Salvini: stiamo arrivando! rrrrruspa! vi mandiamo a casa!

– Alcuni ne sono convinti. Ci sono intere categorie che si stanno radicalizzando, non credono nella fine dei tempi o nell’avvento del Califfato, ma nel secondo avvento di Matteo Salvini, con lui la piccola media impresa rifiorirà (pur restando piccola e media) e le partite Iva troveranno nel regno dei cieli un senso al loro lungo patire sulla terra. Non fosse un’elezione decisiva – l’ennesima elezione decisiva, l’ennesima ultima battaglia contro le forze del Caos – verrebbe voglia, davvero, di aprire la diga e amen, volete la bandierina? Tenete la bandierina. Giusto per offrirvi un’occasione in più per scoprire che non succede niente, nessuna diabolica coop rossa viene espulsa dal territorio, le strade rimangono storte e i fiumi non smettono di andare in piena. Che è successo a Parma quando ha vinto il centrodestra? Dopo un po’ hanno dovuto commissariare il comune per banali questioni di tangenti, tutto qui. Che è successo a Bologna, a Ferrara? Le partite Iva stanno meglio? La camorra ha smesso di infiltrarsi? I nomadi hanno spostato il campo nomadi dall’altra parte di un canale di confine, il che qui da noi è molto spesso il modo in cui si risolve la terribile emergenza nomadi? Davvero, mi verrebbe da dire, mettiamoli alla prova, vediamo il loro bluff, dopo cinquant’anni sarebbe anche ora. Poi mi ricordo che se vincono stavolta casca il governo, l’Europa è a un bivio, il mondo fronteggia l’estinzione di massa. Nel frattempo mi arriva una notifica, a Cavezzo è caduto un meteorite. E quindi niente, andiamo avanti così. I salviniani d’Emilia e Romagna saranno pure ridicoli nella loro attesa messianica, ma prima o poi chi chiama l’apocalisse ci azzeccherà. Preferirei non essere io, ma

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In Emilia non sta succedendo niente?

Circolate, non c’è niente da vedere

Vorrei riuscire a scriverlo senza nessun intento polemico nei confronti delle adunate delle Sardine – perché davvero, settemila persone che sotto la pioggia di questi giorni decidono di scendere in piazza contro Salvini non sono affatto una cattiva notizia – ma qualcuno dovrà pure scriverlo settemila persone furiose contro Salvini non sono nemmeno una notizia, a Modena.

Nel centro di una città universitaria, di una provincia con una delle più alte percentuali in Italia di residenti di origine non italiana: e ciononostante, nessuna impennata nella criminalità: un luogo dove anche un opinionista tremebondo alla Rampini la sera non solo non avrebbe paura a circolare, ma diciamolo, si annoierebbe parecchio; che settemila persone si diano appuntamento anche in una serata così fredda e umida è cosa che fa piacere, ma stupisce? Si sa che poi in amore e in campagna elettorale tutto è permesso, e se c’è la possibilità di incorniciare un frame in cui Salvini finalmente diventa l’antipatico rosicone, tanto meglio. A Modena lunedì non è neanche voluto entrare, si è fermato ai margini: meglio così. Ma non significa che in febbraio non possa vincere in Emilia-Romagna, anzi. Dipende da quanta gente andrà a votare, e da questo punto di vista lasciate perdere i sondaggi: si tratta di un vero mistero.

Morisi la sta prendendo bene,
da consumato social media manager
quale egli è

https://platform.twitter.com/widgets.jsLe ultime elezioni per la Regione Emilia-Romagna si celebrarono cinque anni fa, e oltre alla consueta (ma non scontata) vittoria del centrosinistra, registrarono un dato realmente bizzarro: un’affluenza alle urne bassissima. Fino a quel momento l’Emilia era considerata una delle regioni in cui si votava di più. Cinque anni fa erano già stati fatti tutti i discorsi sulla stanchezza del centrosinistra locale, sul lento declino della sua classe dirigente-digerente, sull’inevitabilità del tracollo di quella che solo da molto lontano, e attraverso lenti opportunamente deformate e colorate poteva ancora essere vista come una regione “rossa”. Poi si andò alle urne e Bonaccini (PD) surclassò il suo contendente 50% a 30%: tutti i discorsi sull’inevitabile declino ecc. furono messi nel cassetto, ed eccoci qui. Cos’è cambiato in cinque anni? Quasi niente, direi io, ma è un effetto dell’età: il 2014 mi sembra ieri. La società post-industriale è rimasta post-industriale, la crisi in certi comparti non è finita, il livello delle acque è sempre più allarmante e i mezzi per correre al riparo non sono tutti a disposizione di Bonaccini.

Temo che la vera differenza tra il 2014 e il 2019 non abbia molto a che vedere con le istanze del territorio, ma con i cicli della politica italiana che vista da qua sembra una specie di carrozzone che si ferma ogni tanto, un Cantagiro: il 2014 era l’anno di grazia di Renzi, il 2019 è l’anno della caduta di Salvini. Già nel 2014 i politici locali si erano ridotti a chiamare Renzi, per cercare di fare notizia su tv e quotidiani (anche solo di informare gli elettori sul fatto che in novembre si votava). Nel 2019 succede lo stesso, salvo che a fare notizia è Salvini: entra a Modena o si ferma fuori? eccetera. Con Bonaccini che nel frattempo probabilmente si domanda: ma tutta questa attenzione, mi serve davvero? Perché è vero che cinque anni fa vinse col 50% (in realtà un 49%, ma non sottilizziamo), ma lo ottenne con appena seicentomila voti, più o meno la metà di quelli raccolti da Vasco Errani cinque anni prima. Fu quasi una vittoria per abbandono, e avrebbe dovuto far riflettere già allora gli osservatori che sostenevano inevitabile lo sfondamento di Renzi al centro.

Sia alle elezioni europee che alle emiliane di quel magico 2014, Renzi non sfondò esattamente al centro, ma fece una cosa più curiosa: tolse agli elettori di centrodestra la voglia di andare a votare. Che non è un effetto da sottovalutare, anzi. Di fronte a un candidato di centrodestra insipido (e il centrodestra emiliano è sempre riuscito a trovare candidati particolarmente insipidi), l’elettore-tipo di centrodestra si guarda intorno e scopre che comunque il candidato di centrosinistra non solo non mangia i bambini ma ha atteggiamenti e mentalità parzialmente sovrapponibili a quelli del centrodestra (l’ansia per il “decoro”, l’ossessione per le “eccellenze”). A quel punto lo va a votare? naaah. Sta a casa. E giustamente: che vinca l’uno o l’altro, che differenza fa per lui? Ha già vinto in partenza.

Questo è più o meno lo schema con cui il PD ha tenuto in Emilia-Romagna, perlomeno fino all’arrivo di Salvini. Qui le cose potrebbero complicarsi, perché l’elettore-tipo di Salvini è un po’ meno moderato e ha una serie di istanze che con tutta la più buona volontà il PD locale non può assorbire: no tasse, no euro, no gender, no tutto. A questo punto, se fossi in Bonaccini, spererei che di elezioni in Emilia-Romagna si parlasse il meno possibile: con un po’ di culo magari un sacco di gente si sveglierà un lunedì di febbraio scoprendo che bisognava votare il giorno prima. Ma a questo punto arrivano le Sardine e tutti si mettono a parlare delle elezioni in Emilia-Romagna, ahi, qui ora bisogna inventarsi qualcosa. E intanto piove, e i ponti sono chiusi.

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Ad Agata (non voglio più pensare)

5 febbraio – Sant’Agata (230-251), martire ignifuga.

Agata è stata la santa che più ha fatto per rendere accettabile
in chiesa il nudo femminile, ma per molto tempo i pittori non
hanno potuto fare a meno di corredarla di tenaglie.
Questo è Sebastiano del Piombo.

[2013. Dopo sei anni di attesa, il restauro della Pieve Matildica dovrebbe iniziare quest’anno]. 

Agata ha solo 15 anni, quando il proconsole di Sicilia Quinziano le mette gli occhi addosso: giovane, ricca, consacrata a Cristo. Poiché non cede né alle proposte né alle minacce, la consegna a una cortigiana, tale Afrodisia, acciocché la rieduchi ai costumi pagani: banchetti, orge, prostituzione sacra… niente da fare. “Ha la testa più dura della lava dell’Etna”, dice Afrodisia, rispedendola al mittente.

Si passa così alla tortura. Le stirano le membra, la lacerano con pettini di ferro, la scottano con lamine infuocate. Lei resiste; allora le strappano i seni con le tenaglie. Verrà nottetempo Pietro apostolo nella sua cella a fargliele ricrescere. Infine l’empio Quinziano decide di farla alla brace, ma il suo velo rosso (simbolo di verginità) resiste al fuoco. È il primo tessuto ignifugo della storia. I catanesi lo usano ancora per fermare le eruzioni di lava. Agata se la cava bene anche con le pestilenze e i terremoti, in generale con tutte le sfighe che possono capitare in una città mediterranea tra una faglia sismica e un vulcano.

Attribuito ad Andrea Vaccaro.
Il dettaglio del sangue sulle dita

Mille chilometri più a nord, Sant’Agata era l’unico dipinto a olio di un certo valore nella Pieve di Sorbara (MO), oggi è sagra anche lì. Per molti anni non ho neppure fatto caso al seno che portava sul vassoio; poi a un certo punto ho imparato la storia, e da quel momento non c’è stato più verso di passarci davanti senza pensare ad Agata, al seno, alle tenaglie, al seno, alle tenaglie, al seno, tutti pensieri che non si dovrebbero portare in chiesa, ma una volta fatti entrare non c’è modo di buttarle fuori, le tenaglie, e il seno, e un seno preso a tenaglie. Agata ma quanto doveva esser brutto quel Quinzano per voler più bene alle tenaglie, Agata; ci fossi stato io al tuo posto, quanto presto avrei tradito il mio padre e i miei compagni.

“Scambiamoci ora un segno della pace”.
“La pace sia con te”.

Agata scusa posso chiedertelo: quanti seni hai? Due sul vassoio ok, ma sul serio ne hai altre due al loro posto? Dalla posa non sono in grado di farmi un’idea, e tuttavia sarebbe molto più sano per me pensare che ce le hai, e tuttavia non posso fare a meno di domandarmi: che senso ha fartele ricrescere la notte prima che t’ammazzino?

“La messa è finita andate in pace”.

Come, è già finita? Vuoi dire che è da mezz’ora che sto solo pensando a tette e a tenaglie?

Giovanni Carlani, 1616 (Edimburgo).

Quando ero piccolo era diverso, ma c’è da dire che a quei tempi il vassoio probabilmente non si vedeva bene, il quadro era stato restaurato più volte da imbrattatele che non si accontentavano di togliere il fumo delle candele, no, erano artisti, loro, volevano lasciare il segno, loro. Oppure risentivano delle oscillazioni della committenza. Il seno su un vassoio magari a un arciprete non piaceva – in effetti è abbastanza ripugnante se ci rifletti – e lo toglievano; poi ne arrivava un altro che ci teneva – dopotutto è una tradizione millenaria – e lo rimettevano; qualcuno aveva pensato bene di aggiungere il campanile di Sorbara sullo sfondo; finché un altro arciprete si sarà chiesto: Agata è una siciliana del terzo secolo, che senso ha il campanile di Sorbara sullo sfondo? Niente, però sta bene. È un campanile ottocentesco, che somiglia a tutti i campanili ma è in un qualche modo diverso. Per capirlo però devi andartene, girare il mondo, dare un’occhiata a tutti i campanili che trovi, e poi tornare al tuo paese e dire: dai, mica male il campanile. Ha un suo stile. Forse è il tetto che fa la differenza, non ne trovi molti fatti a punta così: è stravagante senza dare nell’occhio, non ci tiene a essere diverso ma semplicemente lo è.

Sotto il campanile la pieve invece è un patchwork di cose messe assieme da generazioni di arcipreti dotati più di spirito di iniziativa che di senso estetico. È in piedi dall’anno Mille, quando però era più alta (pian piano si è interrata, poveretta, viviamo tutti su un budino) e a navata unica: adesso ne ha cinque, un tripudio di colonne che facevano imprecare i fotografi ai matrimoni, non si riesce a inquadrare mai niente, solo colonne colonne colonne. Io il prete l’avrò visto in faccia dopo tre anni di messa, all’inizio era solo un vocione che rombava dagli altoparlanti e rimbalzava sulle volte nel soffitto. Facciata cinquecentesca, stucchi settecenteschi, all’interno una madonna di Lourdes di quelle biancazzurre fatte con lo stampino – però ad altezza naturale. E un’altra Madonna in baldacchino, modello Carmelo, una bomboniera. Vetrate neocubiste anni Settanta. In mezzo a tutto questo l’olio di Sant’Agata sembrava un Tiziano. Crescendoci assieme perlomeno avevo questa sensazione, poi si cresce, si gira il mondo e le pinacoteche, e quando torni nemmeno Agata non ti sembra un granché, è naturale.

Siccome la vita non assomiglia, in generale, a una storia di Santi, devo dire che l’effigie di Agata non ha potuto un granché contro il terremoto dell’anno scorso. Cioè. Dipende. La chiesa è effettivamente ancora su, altre non ce l’hanno fatta, forse in altre epoche avremmo gridato al miracolo e portato Agata in processione. Ma la chiesa è comunque pericolante e i lavori di ristrutturazione sono fermi, i Beni Culturali non sanno dire quando sarà rimessa in sesto, se lo sarà. Da sei mesi la messa si celebra nella sala polivalente dell’Oratorio, che per fortuna era stata ristrutturata pochi anni fa, cioè, aspetta, pochi – venti. Hanno tolto le panche, le statue, immagino che anche Agata sia al sicuro, mi domando che effetto deve fare la Pieve adesso. Tutta vuota. Come casa tua nel momento in cui chiudi la chiave per l’ultima volta e la passi a uno sconosciuto.

Insomma stanno aspettando di vedere se casca. Dipende molto da come va lo sciame, se la faglia non si riattiva ecc. Sono quei momenti in cui mi dispiace di essere me e non una persona più interessante, più compiuta, più successful, perché magari basterebbe questo a sbloccare la situazione, a togliere la pieve matildica dal lato basso del foglio delle priorità. Se fossi famoso, magari anche morto, ti immagini? la chiesa in cui il famoso tizio visse i suoi primi vent’anni, nell’atmosfera rustica e mistica insieme in cui attecchirono i semi che avrebbero generato il suo magnus opus, La Rubrica Dei Santi Del Post, ecco, magari a quel punto la sovrintendenza potrebbe decidere di sgaggiarsi. Poi per carità, tutto deve cadere prima o poi, siamo cenere ed è cenere persino il marmo della nostra tomba; ci mette un po’ di più ma è cenere comunque. Io nella pieve di Sorbara suonavo spesso la chitarra. La suonavo forte e male, nel deliberato intento di scandalizzare i benpensanti e spiazzare i malpensanti; irridevo le composizioni fiorite del post-progressive cattolico e predicavo una specie di ritorno alle radici, agli inni primordiali, di cui in certe messe pomeridiane molto intime proponevo delle rivisitazioni piuttosto punk, che Agata immobile era costretta ad ascoltare, povera Agata, quante volte avrai rimpianto che Quinziano si fosse fissato sui seni, che non ti avesse voluto strappare le orecchie. Ma esagero, in realtà ero un musicista di servizio, abbastanza duttile, suonavo anche nelle situazioni in cui nessuno se lo sentiva: i matrimoni di gente sconosciuta in paese, e i funerali. Quanti funerali.

Per me sono stati importanti, lo dico anche a volte in classe: ma voi, fanciulli, ci andate mai ai funerali? Ci siete entrati almeno una volta in un cimitero? È una cosa importante, una cosa della vita, prima o poi succede a tutti e non vi augurate certamente che succeda per primi a voi: quindi vi dovete abituare all’idea di accompagnare i vostri parenti, i vostri amici, a me è successo, è una cosa naturale, e che c’è Nizzoli?

“Posso andare in bagno?”

Per essere un villaggio di 3000 anime ha una skyline interessante
– la costruzione monumentale grigia è un mangimificio,
i vicini di casa non captavano Videomusic.

Nizzoli ma è possibile che tu abbia un’autonomia di un quarto d’ora, ma il giorno che seppelliscono me e c’è da accompagnarmi al camposanto, centocinquanta metri in linea d’aria, ce la fai a stare nel corteo o ti tocca farti mettere un catetere? Vai, vai. Stavo dicendo?
“Che è importante andare ai funerali”.
Sì. L’ultima volta che ci sono andato Agata fu testimone di questa storia assurda, io ero nella prima panca, quella su cui nessuno vuole sedersi. Durante le letture, molto belle, le avevo scelte io, aveva squillato a lungo un cellulare. Tipico. Ma eravamo credo già alla predica quando una signora si fece avanti, una matta – non lo sapevo, me lo dissero poi, manco le matte del mio paese riconosco – si fece avanti fino alla mia panca e si scusò per essere in ritardo, e chiese se faceva in tempo a vedere il morto. Poi indicò la cassa, che stava davanti a noi, e mi chiese: “È lui il morto?”

È lui il morto.

Questa non so proprio di chi è, aiutatemi voi.
Certi quadri vagano per l’internet senza più attribuzione,
come gli inni sacri fotocopiati nei canzonieri.


E io nella prima fila, le lacrime strette in fondo agli occhi, che già mi domandavo come avrei fatto a uscir fuori da lì e farmela a piedi fino al cimitero, io la guardavo e non capivo cosa stesse dicendo, certo che è lui il morto non lo vede? Le sembra il momento di scherzare? È lui il morto? Posso avere nella vita un momento, uno solo, che non sia quello di scherzare? È una cassa chiusa con le viti, i bulloni, il sottocoperchio zincato sotto il coperchio di legno, certo che è lui il morto, cosa vuole da me? Vuole che portino via me invece? Ho domandato, sa: non si può.

M’avesse preso Quinzano in quel momento, con dieci tenaglie, con cento, non avrei detto una parola, tutto giustissimo, tutto appropriato, morì sotto Decio imperatore, di lui resta un ritratto a olio pregevole in una chiesa che tra un po’ viene giù. Invece sono vivo e non ci vado più ai funerali. Mi sono stancato, in quel preciso momento. Continuo a pensare alla matta, alla bara, ai bulloni, alla bara, alla matta, pensieri che una volta che ti sono entrati in chiesa, in testa, non c’è verso di farli saltar fuori; uscirà tutto il resto – le panche, l’altare, le chitarre – loro resteranno lì.

Agata aveva quindici anni; secondo altri ventuno.

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