Senza categoria

L’alieno dal pianeta segreteria

“E quindi insomma è proprio grazie all’inclinazione del piano terrestre che…”

“Prof le suona il telefono”.

“…Lo so”.

“Non risponde?”

“Ok allora ragazzi in teoria un prof questo non dovrebbe neanche averlo acceso, ma capita che io sia un prof particolare, sono quello che deve rispondere quando quelli della Segreteria non… vabbe’, insomma pronto”.

Buongiorno, sono Gigi dalla Segreteria, disturbo?

“Un po’ sì, sono in classe, cosa vuoi?”

Allora tu non mi conosci, io…

“Per favore, dimmi subito cosa vuoi”.

Io sono quello nuovo che deve fare la tal cosa inviando una mail a tutti i docenti…

“Vuoi la mailing list di tutti i docenti?”

Aspetta un attimo, ti devo spiegare.

“Non c’è bisogno, e tu smettila di infilarti il righello nel naso”.

Come?

“Scusa, dicevo a un alunno, sono in classe, dicevi? Vuoi la mailing list dei docenti?”

Il mio collega, che prima faceva questa tal cosa, mi ha detto che tu…

“Al di là del fatto che il tuo naso è troppo piccolo per quel righello, ma poi mi spieghi cosa te ne verrebbe di buono a infilarlo lì?”

Ma mi stai ascoltando?

“No, non ho tempo. Non ho tempo per conoscere la tua vicenda, come ti chiami, le tue aspirazioni, le tue aspettative, lo capisci che ho davanti venti bambini che in qualsiasi momento potrebbero ammazzarsi con la cancelleria, se c’è qualcosa che posso fare vorrei che me lo dicessi immediatamente, anzi vorrei che me l’avessi detto un minuto fa, quando ti ho fatto capire che mi disturbavi”.

Che maleducato.

“Io maleducato certo, invece voi che dovete sempre raccontarmi la rava, la fava della rava, montarmi tutto questo storytelling come se io avessi il tempo per apprezzarlo, e salve tu non mi conosci ma mi chiamo tal dei tali come se mi cambiasse la vita sapere come ti chiami, e il mio collega in punto di pensione ti raccontò che dovevi chiamarmi al cellulare, e mi raccomando mai quando suona la campana e magari non sono ancora miracolosamente entrato in classe, no, no, sempre dopo dieci minuti, quando magari abbiamo finito le procedure dell’appello digitale e dell’appello cartaceo in caso di terremoto o altro cataclisma che rendesse inconsultabile l’appello digitale…”

Clic.

“…Quando finalmente esaurite tutte le procedure burocratiche e si può pensare di cominciare una lezione, ecco che arriva la telefonata dell’Alieno dal Pianeta Segreteria che non può dirti cosa vuole in tre secondi, no, noooo deve raccontarmi la sua vita perché è questo che rende interessanti le mie giornate, vero? Non le lezioni, non la didattica, ma i cazzi e i mazzi di voi alieni della segreteria”.

“Prof?”

“Che c’è adesso”.

“Ha detto una parolaccia”.

“Hai capito male”.

“Comunque può metter giù, il tizio ha già messo giù”.

“Probabilmente mi sta mandando un vocale di cinque minuti”.

“Prof ma davvero ci sono gli alieni in Segreteria?”

“Diciamo che c’è molto turnover, è una lunga storia”.

“Ce la racconta?”

“No”.

via Blogger https://ift.tt/r9euKiF

Senza categoria

Suo figlio non s’impegna, competenze

“Senti, ma tu la didattica per le competenze…”

“Sì?”
“…come la intendi?”
“Quando parlo coi genitori ogni cinque o sei parole infilo la parola “competenze”.”
“Come sarebbe a…”
“Sì, suo figlio a volte si mette ancora le dita nel naso, ma COMPETENZE questo non disturba troppo la lezione se COMPETENZE lo teniamo nell’ultima fila”.
“Ah ah”.
“Non è una battuta”.
“Ma insomma tu come insegni”.
“Urlo in faccia alla gente le nozioni”.
“Come sarebbe a…”
“IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!”
“No, ma aspetta, non puoi…”
“IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!”
“Siamo nel 2021 e tu…”
“IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!”
“Ma la vuoi smettere? Sei fastid…”
“IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!”
“HO CAPITO”.
“COS’HAI CAPITO?”
“HO CAPITO CHE “IL PI GRECO È IL RAPPORTO TRA CIRCONFERENZA E DIAMETRO!”
“Questa è la tua competenza”.
“Tu non hai capito niente della didattica”.
“Tu hai capito cos’è il pi greco”.

(È un racconto di fantasia, non credo che una buona didattica consista nell’urlare in faccia le nozioni; ovvero, magari quando ero giovane posso aver commesso questo errore, ma poi per fortuna mi sono messo in discussione, ho approfondito la questione per quanto mi era possibile, e già da qualche anno ho messo a punto una didattica che consiste nell’avvicinarmi allo studente da dietro mentre pensa ai fatti suoi, con passo felpato, e URLARGLI LE NOZIONI ALL’IMPROVVISO. E devo dire che funziona molto meglio, spargete la voce).

via Blogger https://ift.tt/3kVI7mn

Senza categoria

L’invenzione maledetta

 “Come probabilmente sapete, gli automobilisti hanno sempre qualche difficoltà a mettere in punto l’orologio dell’automobile”.

“Già, in effetti è così”.

“I comandi sono quasi sempre un po’ troppo complessi, inoltre l’automobilista è concentrato sulla guida e così tende a rimandare”.

“Vero”.

“D’altro canto ormai tutte le automobili sono equipaggiate con bluetooth di serie che si collegano allo smartphone dell’automobilista – e lo smartphone come saprete si mette in punto da solo, prende l’ora da internet”.

“Ora che ci penso è vero, lo smartphone si mette in punto…”

“Dunque la mia idea… ma non è che sia proprio una mia idea, cioè mi fa un po’ strano che non sia già venuta a qualcun altro, anzi a tantissima gente, soprattutto ingegneri, beh… anche lei a questo punto l’avrà capita da solo, no?”

“Cosa dovrei aver capito?”

“L’idea che sono venuto a presentare, è una cosa proprio banalissima se uno ci pensa”.

“E cioè?”

“Cioè non ci ha pensato?”

“No, ma la prego, non mi tenga sulle spine, qual è questa sua banalissima idea?”

“Beh, ecco… fare in modo che l’automobile metta in punto l’orologio con lo smartphone a cui si collega via bluetooth”.

“Ah, però”.

“Banale, eh? Però risparmierebbe tempo, fatica, distrazione… e non c’è nessuna tecnologia da aggiungere, abbiamo già tutto”.

“Sì, sì, non male come idea”.

“Continua a sembrarmi stranissimo che nessun altro ci abbia pensato”.

“Eh ma sa, a volte sono proprio le cose semplici… le faremo sapere, comunque”.

“Grazie per la sua attenzione”.

“Si figuri, si figuri e mi raccomando, nel frattempo non ne parli con nessuno, segreto industriale”.

“Wow. Grazie”.

“Inoltre nei prossimi giorni non lasci la città”.

“Davvero?”

“Proprio così. A presto”.

[Esce il geniale inventore].

[L’ingegnere capo emette un lungo gelido sospiro, e poi prende il telefono]. “Sì, è appena uscito dal mio ufficio, sì, è proprio come temevamo, bisogna farlo sparire come tutti gli altri. No, non un incidente stradale, sarebbe il quinto in una settimana, inventatevi qualcos’altro”.

via Blogger https://ift.tt/3jZvhCX

Senza categoria

Un vecchio sfatto spettinato che si aggira nel piazzale la mattina

“Buongiorno professore, se per caso ha tempo…”
“Sono di sorveglianza” 
“…abbiamo un problema”.

“Con la fotocopiatrice?”
“No, sono venuti i ragazzi della prima X, quelle che stanno al piano di sotto”.
“Eh, non li conosco ancora tanto bene”.
“Dicono che quando arrivano la mattina nel piazzale ci trovano spesso un tizio… sempre lo stesso”.
“Sempre lo stesso tizio”.
“Un vecchio, dicono”.
“Sempre lo stesso vecchio. Ma vecchio in che senso?”
“Non saprei… ha la barba bianca, dicono”.
“Sempre lo stesso vecchio con la barba bianca la mattina nel piazzale”.
“Che li guarda, li osserva, non lo so”.
“Sempre lo stesso vecchio con la barba bianca e un’aria controllora”.
“La faccia un po’ sfatta, spettinato”.
“Sempre lo stesso biancobarbuto dall’aria controllora, sfatto spettinato”.
“Proponevano di chiamare i vigili”.
“No, i vigili no”.
“Ma infatti anch’io ho detto aspettiamo, magari fategli delle foto”.
“No, meglio di no. Un vecchio sfatto spettinato barba bianca”.
“Così le mandano ai vigili”.
“No, non devono mandare ai vigili foto di un vecchio sfatto spettinato biancobarbuto che si aggira nel piazzale la mattina”.
“E perché no?”
“Perché sono io”.
“Oh”.
“Eh”.
“Non ci avevo pensato, professore”.
“E meno male, che mi vede ancora con altri occhi”.
“Eh?”
“Niente, niente. La fotocopiatrice invece, tutto ok?”
“Un po’ sbiadita ormai”.
“Quello si risolve”.

via Blogger https://ift.tt/2EdMDuc

Senza categoria

Un vecchio sfatto spettinato che si aggira nel piazzale la mattina

“Buongiorno professore, se per caso ha tempo…”
“Sono di sorveglianza” 
“…abbiamo un problema”.

“Con la fotocopiatrice?”
“No, sono venuti i ragazzi della prima X, quelle che stanno al piano di sotto”.
“Eh, non li conosco ancora tanto bene”.
“Dicono che quando arrivano la mattina nel piazzale ci trovano spesso un tizio… sempre lo stesso”.
“Sempre lo stesso tizio”.
“Un vecchio, dicono”.
“Sempre lo stesso vecchio. Ma vecchio in che senso?”
“Non saprei… ha la barba bianca, dicono”.
“Sempre lo stesso vecchio con la barba bianca la mattina nel piazzale”.
“Che li guarda, li osserva, non lo so”.
“Sempre lo stesso vecchio con la barba bianca e un’aria controllora”.
“La faccia un po’ sfatta, spettinato”.
“Sempre lo stesso biancobarbuto dall’aria controllora, sfatto spettinato”.
“Proponevano di chiamare i vigili”.
“No, i vigili no”.
“Ma infatti anch’io ho detto aspettiamo, magari fategli delle foto”.
“No, meglio di no. Un vecchio sfatto spettinato barba bianca”.
“Così le mandano ai vigili”.
“No, non devono mandare ai vigili foto di un vecchio sfatto spettinato biancobarbuto che si aggira nel piazzale la mattina”.
“E perché no?”
“Perché sono io”.
“Oh”.
“Eh”.
“Non ci avevo pensato, professore”.
“E meno male, che mi vede ancora con altri occhi”.
“Eh?”
“Niente, niente. La fotocopiatrice invece, tutto ok?”
“Un po’ sbiadita ormai”.
“Quello si risolve”.

via Blogger https://ift.tt/2EdMDuc

Senza categoria

September Spleen

 

“Giusto te. Hai tempo?”

“No”.

“Mi servi lo stesso. Ci servono le planimetrie…”

“I colleghi vogliono sapere per l’orario dell’intervallo”.

“L’orario per l’intervallo lo facciamo con calma”.

“Con calma in che senso, è venerdì, lunedì comincia tutto, abbiamo venti classi su due piani e devono tutti fare l’intervallo in uno spaziotempo diverso…”

“Per fare l’intervallo devono essere entrati, no?”

“Me lo stai chiedendo? Certo che devono essere entrati”.

“E allora prima di organizzare gli intervalli dobbiamo rivedere lo schema delle entrate”. 

“Di nuovo?”

“L’ingresso nord non è più disponibile”.

“Ma come, i frati avevano promesso…”

“L’assicurazione non copre gli studenti nel tragitto”.

“Sono venti metri”.

“Dobbiamo rifare lo schema delle entrate”.

“Ma tra dieci minuti sono in call con gli elettricisti”.

“E allora dobbiamo sbrigarci. Ricapitolando: venti classi, tre ingressi perché i frati non ci aprono il quarto, devono entrare tutti in venti minuti in fila indiana a un braccio di distanza”.

“Non ce la possiamo fare”.

“Se facciamo passare il corso B tra la biblioteca e il muro di cinta?”

“Tra la biblioteca e il muro di cinta ci sono i cassonetti”.

“E li facciamo spostare”.

“I bidelli sono in agitazione”.

“E li calmiamo”.

“È un incubo”.

“Ci servono le planimetrie, hai un’idea di dove potrebbero…”

“Lo sapeva la Cosa, ma è andata in pensione, prova a guardare nel suo armadio”.

“Oddio ma che è questa roba”.

“Piano d’emergenza… ma questa non è la planimetria della nostra scuola”.

“Sicuro?”

“È rettangolare”.

“Aspetta sono i prefabbricati del terremoto”.

“Aaaaah, il terremoto”.

“Bei tempi”.

“E poi qui che c’è? È un piano per l’antiterrorismo?”

“Abbiamo avuto un’emergenza terrorismo?”

“Non saprei, magari è solo un piano che non è mai stato applicato…c’è scritto qualcosa sui cestini della spazzatura nei luoghi pubblici. Andavano tolti”.

“Tolti i cestini? E perché?”

“Ma che ne so, è roba vecchia… 2001”.

“C’è stata un’emergenza antiterrorismo nel 2001?”

“A quanto pare”.

“Bei tempi comunque”.

“Bei tempi sì”.

via Blogger https://ift.tt/2FsMsvu

Senza categoria

È una questione di rispetto

“No ma comunque tu la devi smettere”.
“Ma di fare cosa”.
“Di farti mettere i piedi in testa da tutti, non vedi”.
“Ma non è che mi faccio mettere i piedi in testa, è solo che…”
“No macché. Ogni volta ti trovo che ti stai facendo dire come vogliono il lavoro, non puoi mica andare avanti così”.
“Ma poi se non va bene si lamentano”.
“No ma lascia che si lamentino”.
“Così alla fine bisogna rifarlo da capo perciò…”
“No ma tu non capisci”.
“Ma cos’è che non capisco”.
“È una questione di rispetto”.
“Di rispetto?”
“Non puoi farti mettere i piedi in testa da tutti”.
“Non posso?”
“Non è che tutti possono venirti a dire: questo lo voglio così, questo lo voglio cosà, tu così non finisci mai, tu a un certo punto devi chiudere”.
“In effetti ho appena chiuso”.
“No, devi riaprire tutto adesso perché dobbiamo dare a ipsilon una serie di ics”.
“Ok, quindi riapro”.
“Però la devi smettere di farti dire da tutti come vogliono il lavoro”.
“Ok”.
“Ci metti vent’anni così, insomma, non puoi dire di sì a tutti”.
“Ok”.
“Allora per domattina me lo consegni”.
“Ok”.

via Blogger https://ift.tt/2XuzEKo

Senza categoria

Ormai sei grande, puoi uscire solo

“Leo…”
“No”.
“C’è da portare fuori l’umido”.
“Adesso no”.
“Senti io capisco tutto, ma è veramente ora che…”
“Zitto”.
“Capisco lo stress da homeworking, lo stress da lockdown, però se davvero se non porti giù questo umido…”
“Ma si può sapere cosa vuoi da me?”
“Eh?”
“Si può sapere cosa pretendi, chi sei, cosa fai in casa mia, si può sapere?”
“Sono l’umido”.

via Blogger https://ift.tt/2Zehn6n

Senza categoria

C’è vita oltre PowerPoint?

https://marketoonist.com/

“Signori, siamo tutti qui riuniti per risolvere un problema: sembra che le presentazioni in powerpoint abbiano perso il loro mordente. Ovvero, sì, la gente continua a trovarle repellenti, ma l’effetto sorpresa del tipo “aaasrgh cos’è questa roba orribile” non c’è più, c’è stata una specie di assuefazione, e insomma, qualcuno ha un’idea?”

“Io non so, la butto lì, ma… se provassimo a indurre nello spettatore un senso di nausea e vomito tra una slide e l’altra?”

“Nausea e vomito, ok, interessanti, ma come?”

“Non lo so… magari con pseudo-movimenti di camera velocissimi”.

“Ma sai che è una grande idea?”

“Grazie”.

“Pseudo-movimenti di camera velocissimi per indurre nausea tra una slide e l’altra. GENIO!”

“Altrettanto”.

(Com’è nato Prezi, secondo me).

via Blogger https://ift.tt/2ysImjz

Senza categoria

Alla fiera dell’est, per 2 ¥

“…”
“Resisti”.
“Non ce la faccio”.
“Invece sì”.
“Sei un adulto”.
“Ma è troppo…”
“Una persona rispettabile”.
“Mi scappa”.
“Hai una dignità”.
“LO SAPETE PERCHÉ ZAIA HA PAURA CHE GLI MANGINO I TOPI???”
“Me ne vado addio”.
“PERCHÉ POI NON SA COME INGRASSARE IL GATTO AHAHAH”.
“Non ci siamo mai conosciuti”.

https://www.facebook.com/zaiaufficiale/photos/a.172472189621371/1048409992027582/?type=3&theater

via Blogger https://ift.tt/2TE48b1

Senza categoria

Nessuno invoca Policarpo

23 febbraio, Policarpo di Smirne (69-155), mica un santo qualunque


Voi siete gente di rango e di gusto, chissà che santi vi appaiono se saltate un pasto. Santi importanti, santi di riguardo: a me capita al massimo San Policarpo (con un grappolo in mano).

“Ehi ciao”.

“Ancora tu?”

“Passavo. Vuoi dell’uva?”

Chiesa di San Policarpo a Roma (quartiere Appio Claudio)

“Sono allergico, te l’ho detto”.

“Ah scusa”.

“E poi cosa vuol dire passavo, Policarpo, dov’è che sei diretto che passi sempre da qui”.

“Cosa vuol dire allergico?”

“Storia lunga”.

“È un problema? Magari ti posso aiutare, sai, io sono un Santo”.

“Lo so Policarpo, lo so”.

“Ti va un’albicocca?”

“Mi brucia lo stomaco”.

“Sei sempre così pallido, secondo me dovresti mangiare più frutta, te lo dico”.

“Policarpo, sto lavorando”.

“E io no?”

“Cioè il tuo lavoro consisterebbe nel convincermi ad assumere vitamine? te lo contano come miracolo?”

“Non lo so, in confidenza non è che mi abbiano spiegato come funziona”.

“Ma come non ti hanno spiegato, scusa. Tu sei San Policarpo”.

“Eh lo so”.

“Sei uno dei Padri Apostolici”.

“Ah sì?”

“Hai ascoltato il Vangelo direttamente dalla bocca di San Giovanni evangelista”.

“Ma pensa”.

“Te lo ricordi?”

“Ma sì, cioè, insomma, San Giovanni, quel… quel vecchietto”.

“Vecchietto?”

“Non era un vecchietto?”

“Dovresti averlo incontrato quando aveva al massimo cinquant’anni”.

“Ah sì, certo”.

“Ma come fai a esserti dimenticato, Policarpo”.

“Che vuoi, sono pur sempre cose successe centinaia e centinaia di anni fa”.

“Io pensavo che in paradiso vi ricordaste tutto”.

“Non sarebbe più il paradiso, se ci rifletti”.

“Sì? Ma insomma non ti hanno spiegato cosa devi fare? Non c’è, che so, Pietro all’ingresso che dà un vademecum”.

“Oh, quello”.

“Mi sembra di capire che non c’è molta stima”.

“Per carità, è davvero un sant’uomo. Ma sempre così indaffarato”.

“Eh beh, un ruolo di responsabilità”.

“Tutto il giorno su e giù a sovraintendere, non un attimo di respiro, mi domando come faccia. Sempre gentile, eh? Non si dimentica mai di salutare, buongiorno Policarpo, come va Policarpo, cioè si ricorda persino come mi chiamo”.

“Perché gli altri no?”

“Gli altri? Mica tanti”.

“Ma San Giovanni?”

“Giovanni quale?”

“Il tuo Giovanni, l’evangelista”.

“Per carità, quello non esce mai dal suo ufficio”.

“Un ufficio? A farci cosa?”

“Ma la cosa che fanno i santi di solito, come dite qui voi, l’intercessione”.

“Cioè esaudisce le preghiere”.

“Oddio esaudire è una grossa problema. C’è un… come faccio a spiegarti, c’è questo flusso di richieste che arriva dalla Terra, e il santo le ascolta, fa una specie di cernita, elimina le impresentabili, e le altre le indirizza a un ufficio più in alto, magari con una raccomandazione se pensa che sia veramente il caso. I santi fanno questa cosa, sono degli… degli intermediari, ecco”.

“Quindi Giovanni è molto indaffarato perché deve smistare tutte le preghiere che gli rivolgono”.

“Esatto”.

“E anche Pietro”.

“Ma un po’ tutti, ti dirò”.

“Ma per dire Sant’Ireneo, ce l’hai presente Ireneo”.

“Ehm… Ireneo, certo”.

“Era di Smirne come te, ha questo ricordo di lui bambino che ti vede nel foro che insegni il Vangelo. Rammenta “la maestà del tuo portamento; la santità della tua continenza“, cioè eri una specie di torre di guardia, per lui”.

“Eh ma ai bambini facciamo un po’ tutti questa impressione”.

“Ma voglio dire, Ireneo di Lione ce l’avrà bene un attimo per te, per darti una mano”.

“Non lo so, anche con lui bisogna prendere appuntamento”.

“Per vedere Ireneo? È così popolare?”

“In un qualche modo sì, c’è un posto nelle Gallie dove è vissuto dopo essere partito da Smirne…”

“Lione”.

“Lì c’è ancora una comunità che lo invoca con frequenza, insomma un lavoraccio”.

“Mentre tu…”

“Io? Io non mi lamento”.

“Comincio a capire.Tu sei sempre qua perché in paradiso ti annoi”.

“Ma che dici”.

“E ti annoi perché nessuno ti invoca. Gli altri santi hanno tutti le preghiere da smistare. Ma nessuno prega più per Policarpo da Smirne”.

“Smirne, già. Che poi alla fine dov’è Smirne? Non mi ricordo più”.

“In Turchia”.

“Mai sentita”.

“Per forza, i turchi sono arrivati secoli dopo, ai tuoi tempi era una provincia dell’Asia Minore di lingua greca”.

“Ecco, sì, il greco lo so parlare. Ti va un πορτοκάλ?”

“Adesso si dice arancia. Con la dominazione turca si è imposta la fede musulmana, e così tu, che all’inizio eri uno dei santi più importanti, sei rimasto senza il tuo nocciolo duro di fedeli e adesso ti aggiri smarrito per il cielo senza nessuno che t’invochi, nessuno che ti dia un senso”.

“Si dice arancia ma ne ho anche di rosse, e poi ci sono le amare e…”

“E basta con questa manfrina della frutta, ho controllato. Non sei neanche il patrono dei fruttivendoli”.

“Ah no?”

“No, probabilmente è un’idea che ti è venuta ragionando sul tuo nome, che in greco vuole appunto dire…”

“Tanti frutti”.

“A-bop-bop-a-loom-op a-lop-bop-boom”.

“Eh?”

“Scusa, non ho resistito. Vabbe’ Policarpo, hai della frutta secca almeno?”

“Noccioline?”

“Sono allergico”.

“Pistacchi”.

“Vada per i pistacchi”.

“Però mi devi promettere che…”

“Uffa Policarpo, eddai, gli altri santi non fanno così”.

“…devi scrivermi un pezzo, dai”.

“Ma mi piacerebbe, guarda. Però non vorrei fare di te una macchietta”.

“Meglio una macchietta che niente”.

“Non sono d’accordo”.

“Li vuoi tostati i pistacchi”.

“Si capisce”.

Voi siete gente di un certo livello, chissà che santi in fila al vostro cancello. Io invece ho San Policarpo di Smirne, cui mai nessuno chiede di esaudirne. Ripeto: ho San Policarpo da Smirne, cui mai nessuno chiede di esaudirne.

Ho guardato a ponente, ho guardato a levante: non ho trovato un santo meno interessante. Policarpo, oh carpo. Policarpo, oh carpo. Policarpo, oh carpo.  A-bop-bop-a-loom-op a-lop-bop-boom.

via Blogger https://ift.tt/32h8bOa

Senza categoria

Non so se l’ho convinto (lui)

– A me comunque questa cosa che non possiate mantenere la concentrazione per più di dieci minuti non so se mi convince.
– Prof.
– Che c’è.
– Ha detto: “a me mi”.
– N-no, non credo di averlo detto…
– L’ha detto, l’ha detto, vero che l’ha detto ragazzi? L’ha detto.
– Potrei anche averlo detto, potrei anche avere impiegato un dativo etico autorizzato dal contesto colloquiale, con finalità espressive, ok?
– Ok.
– Ma hai capito cos’ho detto adesso?
– No.
– Però per te è ok.
– Se lo dice lei…
– E allora vedi che ti posso raccontare qualsiasi cosa? Come fai a capire che non ti ho detto solo un mucchio di fregnacce?
– Come faccio?
– Devi studiare, Nizzoli.
– Aaah, studiare.
– Studiare, sì, studiare.
– Ok.

via Blogger https://ift.tt/2DLxYCE

Senza categoria

Giochiamocela a Calenda

“E insomma, c’è rimasta una sola Dune Buggy”.
“Ce la giochiamo a birra e salcicce?”
“Ho un po’ di gastrite”.
“Che noioso. Pari e dispari?”
“Mi freghi sempre”.
“Ma come faccio a… lascia perdere. Testa o croce?”
“Non ho moneta”.
“Neanch’io. Ce la giochiamo a Calenda?”
“E cos’è Calenda?”
“È un gioco fantastico. Dimmi. Ce l’hai presente Carlo Calenda?”
“E come no, è quel ministro… ex ministro mi pare”.
“Secondo te Calenda in questo momento è dentro o fuori il PD?”
“E come faccio a saperlo, scusa”.
“Tira a indovinare”.
“Boh, è quasi giovedì… di solito lui lascia il PD nel fine settimana”.
“Nah, non sempre”
“C’è un po’ di tramontana, nuvole a sudovest… non ne ho la minima idea”.
“Tira a indovinare”.
“Vabbe’, io dico fuori”.
“Ok, per te è fuori e per me è dentro”.
“E adesso?”
“E adesso controlliamo e se è dentro ho vinto io”.
“Ah, però”.
“Carino come gioco, vero?”
“Meglio che pari e dispari. Ehi, qui c’è scritto che è uscito!
“Fa vedere… ma è un’agenzia di sei ore fa”.
“Dici che è rientrato?”
“Non si sa mai, c’è tramontana”.
“Controllo meglio”.

via Blogger https://ift.tt/2ztjnKb

Senza categoria

Zzz

“Comunque io ho l’ultima parola, no?”
“Eh? Chi parla?”
“Sono Rousseau”.
“Ah, già Rousseau, ciao Rousseau [minchia che palle questo]”.
“Lo hai detto tu che avrei avuto l’ultima parola“.
“L’ho detto?”
“Sì”.
“Ma infatti è così! Tu sei la democrazia diretta, tu sei la volontà del nostro elettorato, è ovvio che tu abbia l’ultima parola”.
“Mi pare il minimo”.
“Il minimo?”
“Cioè io sono la democrazia diretta, mica un ratificatore qualsiasi, se si faceva una trattativa avrei dovuto esserci, no?”
“Rousseau, abbi pazienza, ma come facevi a partecipare a una trattativa riservata con…”
“Lo streaming”.
“Ma dai Rousseau, ancora con ‘sto streaming”.
“State diventando troppo simili a quegli altri”.
“Rousseau, così mi offendi”.
“Trattative a porte chiuse, caminetti…”
“Se ti offendi poi non puoi più decidere con oggettività”.
“Io non devo essere oggettivo, io devo dire tutto quel che mi viene in mente! Sono il buon selvaggio! Sono l’Emilio! Sono Rousseau”.
“Che palle però”.
“Eh?”
“No, niente”.
“E allora, questa ultima parola me la fate dire?”
“Ma certo”.
“Mi spetta per statuto”.
“Ma naturalmente”.
“E quindi?”
“E quindi prendi un vocabolario, su”.
“Un vocabolario?”
“Per statuto hai diritto all’ultima parola, no? Quindi controlla sul vocabolario”.
“Ma cosa devo controllare”.
“Cioè ma sei duro davvero. Altro che buon selvaggio. Hai un vocabolario in mano, ti ho chiesto di dire l’ultima parola, prova ad andare all’ultima pagina”.
“L’ultima pagina?”
“Qual è l’ultima parola del vocabolario?”
Zuzzurellone“.
“Ah ah ah, Rousseau, sei proprio una sagoma”.
“Ma una sagoma in che senso, io non…”
Zuzzurellone. Che roba. Va bene, basta con la satira politica. Prendi un vocabolario serio, controlla: qual è l’ultima parola?”
“Il Treccani va bene?”
“Ottimo. E allora quest’ultima parola qual è?”
Zzz“.
“Definizione?”
Indicazione grafica con cui si rappresenta il ronzio di un insetto (in partic., di una zanzara) che vola, e anche il sibilo ronzante di persona che russa“.
“Mi sembra perfetto”.
“Era l’ultima parola?”
“Proprio così. Puoi twittarla se vuoi”.
“N-no, no grazie. Ma quindi adesso…”
“Se vuoi te la linkiamo sul Blog delle stelle”.
“Ma no, non vale la pena, no…”
“Su quello di Beppe non si può più, sai che è in crisi mistica“.
“Ma insomma adesso che faccio?”
“Che fai? Vedi un po’ tu. Hai detto l’ultima parola, direi che puoi filartene a nanna. Buonanotte, Jean-Jacques”.
“Io però… la democrazia diretta… non so…”
“Che altro c’è?”
“Me la sognavo un po’ diversa”.
“I sogni son desideri. Buonanotte”.
“Zzz”.

via Blogger https://ift.tt/2Hx5kaE

Senza categoria

Il santo che tolsero da tutti i portachiavi

25 luglio – San Cristoforo, cinocefalo, ex patrono degli automobilisti

San Cristoforo e il bambin Gesù, portachiavi

[2012]”Wof”.
“Ciao Cristoforo, qual buon vento! Erano secoli che…”
“Taglia corto. Voglio vedere il capo”.
“Il… il capo non riceve, mi dispiace”.
“Cosa vuol dire che non riceve. Non ha senso. Io gli devo parlare. Adesso”.
“Adesso no, Cristoforo, adesso è in… in riunione”.
“Ecco. Parliamo di queste riunioni. Cosa sta succedendo là sotto, me lo vuoi spiegare? Cosa stanno combinando?”
“Ma niente… rimettono a posto il calendario, cose che capitano, d’altronde ogni tot secoli una riforma è necessaria, devi pensare che arriva gente nuova in continuazione, e così…”
“E io che c’entro? Forse che ho fatto qualcosa che non va?”
“Ma no Cristoforo, non c’è niente che non vada, però…”
“È vero che mi tolgono il patronato degli automobilisti? Perché? Forse che non li ho protetti?”
“Hai fatto quel che hai potuto, ma…”
“E poi se li tolgono a me a chi li danno, scusa”.
“A Sant’Antonio, pare”.
“Antonio? L’eremita?”
“Noo. Quello nuovo, il francescano… Antonio di Padova”.
“Il ragazzino? E che ha fatto, scusa, che c’entra lui cogli automobilisti”.
“L’hanno visto col Bambino in braccio, miracolo attestato in un processo di canonizzazione”.
“Col Bambino in braccio? E io allora? Non ce l’ho un affresco col bimbo in spalla in tutte le cattedrali d’Europa?”
“Cristoforo, eddai…”

Cima da Conegliano,
San Cristoforo col bambino e San Pietro

“In braccio. Quel francescano smagrito. Ma vuoi mettere. Gesù si tiene sulle spalle. Seduto comodo, in posizione frontale, come un automobilista, appunto. Sennò vabbe’, capirai, il bimbo in braccio… allora diamolo pure alla Madonna, il patronato degli automobilisti. Ma chi è questo Antonio. È appena arrivato e già fa le scarpe agli anziani”.
“È qui da sette secoli, ormai…”
“Appunto. Una matricola. Io lo sai che sono qui da quando hanno messo in piedi la baracca”.
“Forse anche da prima”.
“Esatto”.
“È un po’ questo il problema, Cris. Tu sei veramente un po’ antico”.
“Arf! Che male c’è?”
“Basta vedere gli affreschi più vecchi, il bambino sembra minuscolo sulle tue spalle”.
“Sono un gigante, e allora? Cosa c’è di male?”
“C’è che i giganti non esistono, Cristoforo”.
“Che ne sai tu. Una volta, magari…”
“Una volta, una volta. Adesso queste cose si sanno. C’è la paleontologia, l’archeologia. I giganti non sono mai esistiti”.
“Magari ero un Neanderthal”.
“Eddai Cristoforo, non fare il furbo. È saltata fuori questa cosa imbarazzante della cinocefalia”.
“Wof, di che parli?”
“Nelle raffigurazioni più antiche avevi la testa di un cane, Cris”
“Embè?”
“Senti, non è niente di personale. Non è che ti cacceranno proprio… ti toglieranno dalla prima fila del calendario, questo sì”.
“Bau! Cosa?”
“Per quanto riguarda il patronato degli automobilisti, cerca di capire… è un affare serio, parliamo di un settore in crescita vertiginosa, c’è tutta una gadgettistica che sta fiorendo, calamite, adesivi da parabrezza, portachiavi…”
“Io mi sono difeso bene, non puoi dire di no”.
“Non sto dicendo questo. Però cerca di metterti nei panni del capo. È un ruolo importante. Non possiamo metterci uno che forse all’inizio aveva la testa di cane. Serve un tizio che abbia dei riferimenti storici, uno di cui si possa dimostrare l’esistenza. Mentre tu…”
“Io cosa? Cosa c’è che non va con me?”
“Tu sei una leggenda, Cristoforo, dai”.
“Ma siamo tutti leggende, qui…”
“Tu più di altri. Sei un mostro che guada il fiume col bambino sulle spalle. Magari eri una figura mitologica legata a qualche guado di fiume, o il guardiano di un ponte. Sempre che tu non sia Anubi”.
“Anubi? Io? Ma come vi è venuta in mente”.
“Già, chissà come. Un traghettatore con la testa di cane, guarda un po’”.
“Pietro, questo è veramente un colpo basso”.
“Anubi traghettava le anime dal mondo dei vivi al mondo dei morti. Sei sicuro di non saperne niente?”
“Un santo come me, a cui hanno dedicato cattedrali e sagre…”
“La tua festa è il 25 luglio, giusto? La levata eliaca di Sirio, pensa un po’”.
“La levata che?”
“Non fare il furbo. La levata eliaca è il giorno dell’anno in cui una stella sorge esattamente all’alba. Nell’antico Egitto la levata di Sirio annunciava la piena estiva del Nilo”.
“Molto interessante, ma che c’entro io…”
“Sirio è la stella alfa della costellazione del Cane”.
“Costellazione greca, non egiziana”.
“Aha! Vedi che queste cose le conosci. Il 25 luglio è l’inizio della canicola, il periodo più caldo dell’anno”.
“Io non c’entro niente, io porto il bimbo in spalle, basta”.
“Di Anubi si sono perse le tracce con l’arrivo dei Greci. Sappiamo che a un certo punto si è fatto assumere nel loro pantheon come Ermete Psicopompo, l’accompagnatore delle anime. Un autista, praticamente. Però…”

Chi è Anubi? Bau, bau
mai sentito

“Non lo conosco”.
“…però c’è questo dettaglio intrigante in Apuleio, che parla di un culto di Anubi ancora nel secondo secolo dopo Cristo, a Roma…”
“Wof! Non ci sono prove!”
“Cris, sei sicuro di non essere Anubi, il dio egiziano dei morti, lo sciacallo inventore dell’imbalsamazione?”
“Ma certo che ne sono sicuro”.
“Puoi dimostrarlo?”
“Siete voi che dovreste provare il contrario, al massimo”.
“Erano tempi un po’ particolari, lo sai meglio di me. C’era il calendario vuoto e molti riti pagani ancora ben radicati, e insomma, si cristianizzò tutto molto in fretta e un po’ alla benemeglio. Anch’io in fin dei conti ho una barba bianca un po’ da Zeus, diciamo. Però sto nei vangeli, sono abbastanza inattaccabile. Ma tu?”
“Io ho un sacco di affreschi…”
“Sei una figura del folklore. Il gigante selvaggio che salva il bambino. Sei anche un topos letterario. Ma non possiamo metterti nei portachiavi. Che figura ci facciamo?”
“Fino all’anno scorso andava tutto bene”.
“Siamo nel 1969, l’uomo è andato sulla luna. L’uomo protestante, almeno. Il cattolico deve ancora star lì a credere ai giganti e onorare gli sciacalli del mondo dei morti? Eddai”.
“Mentre invece Antonio…”
“È un predicatore, un francescano, un personaggio storico, ha un carnet di miracoli attestati che non finisce più. E poi era cosmopolita, parlava una dozzina di lingue, tu ancora abbai”.
“Non abbaio più così tanto”.

Sant’Antonio e il bambin Gesù, portachiavi

“È ancora un po’ troppo, Cris, mi dispiace”.
“Ho guidato Colombo verso il Nuovo Mondo, ricordati”.
“Fu una botta di culo, lo sanno tutti”.
“E così mi date il benservito”.
“Ma non è così… si tratta di aver pazienza, è cominciata questa fase industriale in cui si dà importanza ai documenti, alla scienza… magari passa un secolo e ti ritiriamo fuori, anche con la testa di cane. Lo sai che ci fu un dibattito medievale sui cinocefali, chi diceva che erano anche loro figli di Dio e chi diceva di no?”
“E allora?”
“E allora per certi versi precorreva i tempi, era un dibattito sulla diversità radicale, in seguito abbiamo capito che i cinocefali non esistono, ma ora ci stiamo misurando con diversità sempre maggiori, per dire, metti che incontriamo razze extraterrestri intelligenti, metti che invece di essere primati siano canidi, per dire… A quel punto torni in ballo tu, con la testa originale”.
“Mi stai dicendo che devo aspettare degli ET con la testa di cane?”
“Non necessariamente, però in pratica sì, si tratta di aspettare. Sei un archetipo dopotutto. Hai l’eternità davanti”.
“Wof”.
“E non fare così, su. Non ti ha preso a pedate nessuno”.
“Wof”.
“Senti. Non ci guarda nessuno. Perché non facciamo un gioco?”
“Wof”.
“Io tiro le chiavi e tu me le riporti”.
“Arf! Arf! Arf!”

via Blogger https://ift.tt/2YvsYhq

Senza categoria

Neanche la morte ride più

Toc toc
“Chi è?”
“La Morte”.
“Ma come la morte”.
“Dai, fai la tua battutina, avanti”.
“Ma in che senso la morte”.
“Nel senso che indovini benissimo”.
“Ma proprio adesso, qui, insomma, perché?”
“Boh, mica deve esserci un perché. Sarai uscito nelle ore più calde, non ti sarai idratato abbastanza, adesso fa’ pure la tua battutina e andiamo avanti”.
“Potrebbe esserci un errore, ci sono molti anziani nel vicinato”
“Nessun errore, dai, non facciamola lunga. Allora la fai la tua battutina o no?”
“Ma quale battutina, non capisco”.
“Senti ciccio io è da stamattina che falcio su gente e non ho staccato neanche per pranzo, devo averne fatti un centinaio”.
“Giornata dura”.
“No guarda, giornata nella media, ma non è questo il problema. Il problema è che non ce n’è stato uno, ti dico che non ce n’è stato uno che non ha cercato di farmi la battutina sul Mandato Zero”.
“Aaaaah, *quella* battutina, certo,
“E uno dice “è la mia vita-zero”, un altro “è la mia esistenza-zero”, tutti originalissimi, tutti simpaticissimi, roba da ammazzarli tutti, non fosse già il mio mestiere. Allora la fai la battutina o no?”
“Sì, in effetti stavo cercando la formulazione più efficace…”
“Seh ciao. Ti do quindici anni se non la fai”.
“Venti”.
“Aggiudicato”.
“Gnnnnn”.
“Resisti. Morditi la lingua”.
“GNNNNNN”.
“Pensa ai tuoi cari”.
“NON CI RIESCO”.
“Va bene dai, me ne vado prima della punchline. Bevi più acqua”.
“MA QUINDI ERA DAVVERO LA MIA MORTE-Z…”
“Lalalaà cosa? non ti sento”.

via Blogger https://ift.tt/32FWrVc

Senza categoria

La Salle vuole te

7 aprile – San Giovanni Battista della Salle (1651-1719), patrono degli insegnanti, che ne hanno bisogno

Se non sai le cose, SALLE

Anche in paradiso non è che uno possa sempre fare quel che vuole, bisogna scendere a compromessi. Giovan Battista della Salle, per esempio, non è che abbia mai richiesto la sua postazione al Collocamento. Ma i colloqui qualcuno deve pur saperli fare e almeno è un bell’ufficio, grandi finestre sull’orto di San Foca. Con un po’ di fortuna di prima mattina puoi vedere quel vecchio gentile innaffiare gli oleandri con una brocca di legno antico quanto lui, mentre ascolti l’ennesimo tizio che vorrebbe fare lo scrittore.

“Lo scrittore! Che bella idea!”
“È più che un’idea, praticamente è tutta la mia vita. Sa io ho già pubblicato una raccolta di racconti per Busillis e inoltre…”
“Quindi le piace leggere”.
“Leggere, beh, sì, senz’altro, ma soprattutto…”
“Farsi leggere dagli altri”.
“In che senso, scusi”.
“Ma niente riflettevo a voce alta… secondo lei ogni quanti lettori dovrebbe fiorire uno scrittore interessante?”
“Non sono sicuro di aver capito”.
“Cercherò di spiegarmi meglio. Lei è uno scrittore, quindi le serviranno dei lettori. A ogni scrittore servono lettori. Secondo lei qual è il rapporto ottimale tra scrittori e lettori? Uno su cento?”
“Non saprei”.
“Spari un numero”.
“Teniamo conto che i lettori possono leggere migliaia di libri, e quindi… cioè il rapporto potrebbe anche essere uno a uno: tutti scrivono, tutti leggono”.
“È vero, potrebbe anche essere così”.
“Ma non è così, vero?”
“No, neanche un po’”.
“Uno su cinquanta?”
“Eh, è ottimista lei”.
“Ma si sa il numero preciso?”
“Abbiamo stime abbastanza precise ormai, sa, abbiamo avuto moltissimo tempo a disposizione per elaborarle”.
“Ed è?”
“Premesso che negli ultimi secoli è sceso di molto, ma per ora sta intorno a millesettecentotrentanove virgola sei periodico”.
“Ah”.
“Quindi lei, insomma, capisce il problema”.
“No, ancora no”.
“Ha ragione, le manca un altro dato importante. Quest’anno mi sono arrivati quassù già centocinquantamila scrittori, gente brava eh? E non sto dicendo che non sia bravo anche lei, ma per dare un posto a tutti ci servirebbero…”
“150.000×1739,6=…”
“Ottocentosessantanove milioni di lettori”.
“E non li avete?”
“Per adesso no”.
“Ma forse in seguito aumenteranno”.
“Ma certo, è quel che speriamo tutti, ma potrebbero anche aumentare gli aspiranti scrittori, mi capisce?”
“Mi sta dicendo che non potrò fare quel che ho sempre desiderato di fare?”
“Ma no, no, perché. Siamo nel migliore dei mondi possibili, prima o poi una soluzione la troviamo. E comunque noi abbiamo un grande bisogno di gente come lei”.
“Ma se mi ha appena fatto capire che sono inutile”.
“No, no, non volevo, mi perdoni se le ho suggerito questa idea, mi creda. Non è affatto inutile”.
“E che tutte le mie aspirazioni erano malriposte”.
“Niente di più sbagliato. Le sue aspirazioni erano preziose. Lei è prezioso. Abbiamo tutto il posto che vuole per le persone come lei”.
“In che senso?”
“E non c’è nemmeno da fare anticamera. Se accetta questo incarico può cominciare anche domattina, è una scuola molto simpatica vicina alla rosticceria di San Lorenzo…”
“Una scuola? Dovrei lavorare nella scuola?”
“È una zona molto verde, si troverà bene”.
“Mi dispiace io non… non credo di essere adatto. A me piace scrivere”.
“Meraviglioso, quindi insegnerà agli altri”.
“Io non… non credo di essere capace”.
“Ha paura di crescere allievi più bravi di lei? In effetti è un rischio. Ma non si preoccupi, non deve insegnare a scrivere. È sufficiente che insegni a leggere”.
“Non è davvero quello che mi aspettavo”.
“Rifletta. Se ogni 1739 lettori fiorisce uno scrittore, lei non ha che da insegnare a leggere a 1739 anime e…”
“Posso essere sincero?”
“Deve”.
“Non credo che sarei un bravo insegnante. Mi sentirei frustrato, incompleto, e sfogherei la mia frustrazione sugli studenti. Non solo non sarebbe paradiso per me, ma per loro sarebbe un inferno”.
“Un inferno, ehi, ehi, che parole. Guardi che a scuola ci si diverte anche. È chiaro, a volte è faticoso. Dovrebbe leggere i temi”.
“No i temi no”.
“Mentre a lei piace scriverli”.
“Non c’è davvero niente’altro che io possa fare?”
“Per adesso no, al massimo la posso mettere in lista per il reddito di beatitudine. Sono due spicci però, è sicuro di non volerci ripensare?”
“I temi no”.
“Io comunque sono qui, se cambia idea…”

A metà mattina passa san Fiacrio a curare le siepi di rose, che hanno le spine anche nel Paradiso perché, perché, misteriosi disegni di Dio. San Cristoforo sta portando a pisciare San Guinefort. Qualcuno in un ufficio di fianco ha portato il caffè e Gianbattista ne assapora il profumo denso, anche se sta cercando di smettere, mentre risponde a un signore che ha le idee molto chiare.
“Insomma, teatro”.
“Sono nato per farlo”.
“Meraviglioso”.
“E se non lo faccio muoio. Ora lei mi troverà ridicolo, ma…”
“Ridicolo, e perché?”
“Chissà quanti le hanno già detto la stessa cosa”.
“Tre milioni e qualcosa, ma che vuol dire?”
“Sul serio?”
“Non lo so, dopo i tre milioni ho smesso di contare, è stato qualche anno fa, comunque il trend è costante dall’Ottocento”.
“Quindi sta per dirmi che non c’è pubblico per tutti quelli che vogliono fare teatro”.
“E perché? Siamo in paradiso, c’è pubblico per tutti”.
“Davvero?”
“Certo, bisognerà modificare un poco il repertorio”.
“Il repertorio non è un problema”.
“Allora posti ce n’è finché ne vuole”.
“Sul serio?”
“Però la devo avvertire: può essere un lavoro molto faticoso, sfibrante”.
“Oh lo so”.
“Magari non lo sa ancora del tutto”.
“Quando posso cominciare?”
“Domattina, presso l’Istituto Don Bosco in via…”
“Ma… ma è una scuola”.
“Ha anche un giardino meraviglioso”.
“È uno scherzo? Io ho chiesto di fare teatro”.
“Le garantisco che ne farà tutti i giorni”.
“No”.
“Quattro o cinque ore al giorno, per il pubblico più esigente”.
“Non è quello che mi aspettavo”.
“Potrà improvvisare e declamare a memoria. Piangerà, farà piangere. Riderà, farà ridere. Tutto quello che succede a teatro, tranne forse…”
“Gli applausi?”
“Eh, applausi in effetti pochissimi. Ma sono così importanti? È quello che veramente cercava nel teatro?”
“La prego, niente prediche, io…”
“Il teatro è dedizione, è sacrificio, è disciplina, gli applausi sono un contentino per i filodrammatici. Il vero attore agonizza nel silenzio, o peggio ancora, nel frastuono che segue la campanella”.
“Io li odio gli studenti. Sono il pubblico peggiore”.
“Sono solo i più esigenti”.
“Non riuscirei nemmeno a farli tacere”.
“Allora forse non è un grande attore”.
“Davvero?”
“Mi perdoni, mi è sfuggita”.
“È quello che pensa di me?”
“È quel che penso in generale. Insegna chi ha le palle, firmato de la Salle“.
“Non fa ridere”.
“No, in effetti no”.
“Sta cercando di provocarmi?”
“Io?”
“Lei vorrebbe che io le rispondessi vaffanculo, le faccio vedere io chi ha le palle qui, lei vorrebbe che io firmassi per finire domattina a declamare Shakespeare in un inferno di bambini ridacchianti finché non si arrendono loro a Shakespeare o io alla mia mediocrità”.
“Non deve sottovalutare Shakespeare”.
“Senta ma quella cosa che diceva il tizio che è uscito prima… il reddito di santità…”
“Di beatitudine”.
“È una cosa seria?”
“No, non tanto”.
“Insomma non c’è alternativa”.
“Un’alternativa a passare l’eternità a far conoscere Shakespeare ai ragazzi? Pensando che ogni volta sarà la prima volta? Un’eternità di Giuliette al balcone? Davvero ha bisogno di un’alternativa a questo?”
“Mi ci faccia pensare”.
“Ma certo. Io comunque resto qui”.

A pranzo gli piacerebbe sedersi sulla panchina sotto agli aceri ad ammirare il foliage, ma è da milletrecento anni che ci siede San Simeone Stilita, e non si schioda. Anche per questo ha chiesto di fare orario continuato, e il primo pomeriggio mentre digerisce un sandwich del distributore automatico di solito passano quelli più strani, quelli che per esempio vogliono combattere il Male.
“Il Male? Ma ha studiato medicina per caso?”
“No no, io intendo un Male più nel senso morale del termine”.
“Ma certo, mi scusi, che sciocco. E in che modo lo vorrebbe combattere?”
“L’ideale sarebbe sparare, ma mi rendo conto che…”
“Sparare! Ma siamo in paradiso”.
“Lo so, ma…”
“Non ha mai pensato che si potrebbe far male qualcuno?”
“È… è un po’ il senso della cosa”.
“Far soffrire i malvagi”.
“Detta così suona molto stupida, ma io…”
“Lei sente che è questa la sua missione”.
“Io senso che se non mi si darà qualcosa di nobile per cui lottare, o anche solo qualcosa di spregevole da combattere, finirò comunque per combattere, ma per delle sciocchezze. Perché sono fatto così e non credo di poter farci niente”.
“Dovrebbe combattere contro sé stesso”.
“E perderei”.
“La ringrazio per la franchezza”.
“Non dovrei nemmeno essere qui, vero?”
“E perché mai? Lei è una persona onesta, con un forte senso morale, che chiede di poter lottare…”
“A volte mi domando se la morale non sia solo un pretesto. La verità è che mi piace combattere, e ovviamente vorrei sentirmi dalla parte dei buoni. Sulla Terra era molto facile fregare quelli come noi. Ci davano in mano un’arma, ci additavano i malvagi e…”
“Buffo, le stavo per proporre la stessa cosa”.
“In che senso?”
“Nel senso che si dà il caso che io abbia un sacco di malvagi da sconfiggere e sarei molto lieto di additarglieli. Ho anche qualche arma da fornire… certo non esplosivi, ma…”
“Sul serio?”
“Sì, anche in paradiso esistono le guerre sante. Ciò la stupisce?”
“Di solito c’è sempre la fregatura”.
“Qui no. Mi basta una firma qui e domattina può andare a combattere l’analfabetismo e la superstizione presso l’istituto Sant’Ignazio che dà sui giardini del…”
“No no no. Lei sta proponendo una scuola anche a me”.
“La trovo adattissima all’incarico”.
“Io sono una persona semplice, per me esiste il bianco e il nero, non capisco le sfumature”.
“C’è bisogno anche di quelli come lei”.
“Senta, piuttosto mi dia anche solo uno scudo, un bastone, mi dica di difendere una città fortificata da ventimila infedeli, ma in una classe preferirei non entrarci più”.
“Ha già esperienze di insegnamento?”
“Ho fatto una supplenza, una volta”.
“Ha fatto una supplenza, e poi la guerra”.
“Già”.
“E preferirebbe tornare in guerra”.
“La trovo più semplice. Si vince, si perde”.
“Anche a scuola, no?”
“No, a scuola si perde soltanto. Tutti i giorni”.
“A volte si vince pure”.
“Non mi ricordo che sia mai successo”.
“Eh, in effetti si scopre molto tempo dopo, e il più delle volte non ti mandano nemmeno un telegramma”.
“Ma nel frattempo dovrei ritrovarmi in trincea tutti i giorni, davanti alla sconfitta tutti i giorni, non ce la posso fare”.
“Ma in guerra non è la stessa cosa? Mi scusi: qual è la vera differenza? Perché l’unica che mi viene in mente… è che la guerra dopo un po’ finisce”.
“Già”.
“Mentre la scuola riapre tutti i giorni”.
“Mi dia un bastone piuttosto, davvero”.
“Quindi insomma lei è pronto a combattere il Male… purché la lotta sia breve”.
“Se vuole metterla così”.
“Potrei metterla in un altro modo: dove ha messo le palle?”
“Eh”.
“Mi ha capito bene. Lei viene da me poco dopo mezzogiorno, con tutti i suoi propositi eroici, il suo alto senso della moralità, e io ho qui pronta per lei l’unica guerra che valga la pena di essere combattuta, giorno per giorno, metro per metro, e lei si sgonfia così? Sul serio: dove le ha messe?”
“Lei… lei non dovrebbe parlare così”.
“Io parlo come voglio e posso, soldato! Sull’attenti!”
“Sissignore”.
“Ha letto qua fuori: ufficio smidollati?”
“Nossignore”.
“Crede che io abbia da perdere il mio prezioso tempo con gli smidollati?”
“Nossignore”.
“Tutte le mattine alle sette e mezza il Sant’Ignazio apre i cancelli. È in un brutto quartiere, gli studenti puzzano e non sanno stare seduti e c’è una cattedra vacante. Hanno bisogno di un docente con le palle, purtroppo oggi non ne ho ancora visto uno. Può sempre andare lei, se entro domattina le ritrova. Nel frattempo si tolga dalle mie”.
“Grazie, signore. Mi scusi signore. Arrivederci, signore”.

Londra, Regno Unito

Verso le cinque del pomeriggio l’idea limpida di una birra cruda si insinua dietro la fronte di Giovanni Battista della Salle. Gli piacerebbe berla sotto il pergolato, prima di cena, qualche volta ha anche ceduto alla tentazione. Ma stasera ha ancora un colloquio, con uno che non ha sbocchi, dice lui, perché è un… un filosofo? Addirittura?
“Indirizzo sociologico. Mi sta già disprezzando, vero?”
“E perché mai? Di tutti c’è bisogno. Mi faccia controllare…”
“Non c’è bisogno di fingere con me”.
“Non sto fingendo. Sto davvero controllando una lista, vede? Dunque…”
“Ma sappiamo benissimo entrambi come va a finire”.
“C’è posto anche qui dietro, alle figlie dell’Immacolata”.
“È una scuola”.
“Con un magnifico giardino”.
“Me lo avevano pur detto. Lei ci fa parlare ma alla fine, qualsiasi cosa diciamo, lei ci manda tutti a scuola”.
“No, non tutti”.
“Non tutti?”
“Capitasse un idraulico, ne abbiamo una necessità disperata. Ma ne arrivano pochi”.
“Come sulla Terra”.
“No, no, molti meno, ah ah”.
“E mi avevano anche detto questo, che le sue battute erano terribili”.
“Sì, beh, servono più a rompere il ghiaccio… lei è sociologo, capirà benissimo…”
“Fin troppo. Dunque lei è San Giovanni de la Salle, l’inventore della scuola dei poveri”.
“Dicono questo di me? Pazzesco”.
“Cosa c’è di pazzesco? Ha ispirato i regolamenti di dodici congregazioni, ha lottato per la scuola gratuita, ha praticamente inventato le classi elementari…”
“Ma scusi, la scuola esisteva già, i poveri pure, bastava fare entrare i secondi nella prima, non è che ci volesse un genio”.
“E secoli dopo è ancora qui. Tutti quelli che capitano nel suo ufficio, lei li fa parlare un po’ e poi li manda a scuola”.
“Che ci posso fare se lì c’è un sacco di posto?”
“Ma ci sono davvero tutte queste scuole in paradiso?”
“Perché non dovrebbero esserci? ci sono molti bambini. E sa quanti buoni maestri servono a crescere un uomo?”
“Abbiamo il numero?”
“Mediamente una dozzina. Si rende conto? E qui arriva sempre più gente. Il lavoro non mancherà mai, nelle scuole”.
“Ma non è il lavoro che uno si aspetta di fare, quando arriva qui”.
“Lo so, e questo mi tormenta. Ma insomma l’umanità è così. Vorrebbero tutti fare gli scrittori, e nessuno vuole insegnare a leggere la gente. Tutti attori, tutti condottieri, tutti vorrebbero un pubblico, ma Dio non ci ha creati così”.
“Ci ha destinati al dolore, a quanto pare”.
“Non saprei. Ognuno vede il proprio dolore, ma Dio non ci ha creati uno alla volta. Ci ha creato tutti assieme, in un solo grande giardino. Un po’ di sofferenza forse è necessaria, come le spine alla rosa”.
“E insomma questo suo Dio ci avrebbe creato comparse, ma con manie di protagonismo”.
“Immagino che queste manie, come le chiama, siano necessarie a farci combinare qualcosa di interessante”.
“Ma non è onnipotente? Non avrebbe potuto creare un mondo senza dolore, senza comparse, senza frustrazioni?”
“Magari lo ha fatto, poi lo ha trovato noioso e ne ha creato un altro. Lo sa che è inutile farsi queste domande, vero?”
“Senta, io non sono molto d’accordo con questa cosa. Se potessi, non so… fare domanda per il Nirvana…”
“Il Nirvana, buon dio, ma lo sa che non c’è proprio niente laggiù?”
“Lo preferisco a tutto questo. Il giardino a cui invidia i profumi e i colori, io lo guardo più da vicino e lo scopro popolato da insetti che si divorano, organismi animati dalla paura e dalla fame. Siamo uno spettacolo doloroso, congegnato da un Dio indifferente o crudele. Vorrei alienarmi da tutto questo. Posso?”
“Non lo so, ma se lo lasci dire, lei parla davvero bene”.
“E adesso crede di raggirarmi coi complimenti”.
“Ha mai pensato di diffondere il suo pensiero? Credo che potrebbe fare molti, come si dice, seguaci.  Potrebbe perfino creare una, una…”
“Sta cercando un sinonimo per scuola?”
“Ops, sì”.
“Ma lo capisce che non sono tutti come lei? Non sono tutti pervasi dal sacro fuoco dell’insegnamento?”
“Ma io non sono pervaso da nessun sacro fuoco, io anzi avrei voglia di bermi una birra guardi, io…”
“Lo sa perché sono venuto qui? Potevo anche rifiutarmi, ma alla fine la curiosità mi ha vinto”.
“Era curioso di me?”
“Di una sola cosa che non riesco a capire. Lei passa l’eternità qui, in questo ufficio, a convincere povere anime ad andare a scuola. Ma perché non c’è andato lei?”
“Ah, buona domanda, davvero buona”.
“Se è davvero il lavoro più interessante, il più nobile, il più eroico, perché non l’hanno voluta?”
“Onestamente non lo so”.
“Non lo sa?”
“La cosa mi imbarazza anche un po’, ma dunque, è andata così. Mi hanno mandato proprio in questo ufficio, ovviamente c’era un altro seduto al mio posto, e ho cominciato a spiegare, dunque mi chiamo Giovanni Battista de la Salle, ho fondato alcuni istituti scolastici, blablablà, insomma il tizio mi ha offerto di prendere il suo posto, e mi è sembrato inelegante dir di no”.
“E non gli ha offerto una cattedra?”
“Buffo, no”.
“Ma poteva pur chiedere un trasferimento”.
“Ah sì, l’ho chiesto quasi subito. Non che mi dispiaccia il posto, si sta bene, però…”
“E perché non l’ha ottenuto? Lo dice anche lei che c’è sempre posto, a scuola”.
“Ecco, io non ho chiesto di andare a scuola”.
“No?”
“No. Per carità se mi ci mandassero, ok, ma se devo essere sincero non è che abbia tutta questa voglia di tornare laggiù. È un mestiere faticoso, sfibrante”.
“E quindi… dove ha chiesto di essere trasferito?”
“Ah, proprio qui di fianco”.
“Qui di fianco?”
“Questo bel giardino, vede? Ma è complicato, c’è una lunga fila, è una posizione molto ambita…”
“Non vedo niente, ormai si è fatta sera”.
“Già. Io direi che per oggi basta così, magari continuiamo un’altra volta. O per caso ha voglia di bersi una birra?”
“Una birra?”
“A quest’ora Brigida ha appena aperto, i fusti sono freddissimi, ci mettiamo nel pergolato, non dovrebbe ancora esserci molta gente”.
“Non pensavo che bevesse”.
“Ufficialmente no”.
“Lei è un personaggio simpatico, alla fine”.
“Grazie, confesso che fa piacere un complimento ogni tanto”.
“E gli applausi?”
“Quelli sono adatti ai ragazzini, alla mia età li trovo quasi sconci. Lei no?”
“Sono convinto che sarebbe un ottimo insegnante”.
“Ah ah ah, me lo dicono tutti, ma non esistono gli ottimi insegnanti”.
“No?”
“Forse il martedì. Qualcuno anche al mercoledì. Ma se cerchi di essere un ottimo insegnante al giovedì, al venerdì sei in burnout. Io ho bisogno di insegnanti mediocri, che mi arrivino al sabato ancora in piedi”.
“E pensa che io potrei essere un insegnante abbastanza mediocre?”
“Ma certo. C’è un mediocre in ciascuno di noi, se siamo abbastanza umili da cercarlo”.
“Beviamoci questa birra, offro io”.
“Allora dovrò offrire la seconda”.
“E poi ci sarà una terza, una quarta…”
“…ma no”.
“Finché non mi sveglierò nella toilette di Brigida con un cerchio alla testa e un contratto firmato per cent’anni di cattedra al Sant’Ignazio”.
“Ahah, non farei mai una cosa del genere”.
“No?”
“Non sono mica un reclutatore dell’esercito”.
“No?”

Giovanni Battista de La Salle è il patrono degli insegnanti, che ne hanno bisogno, così come la scuola ha bisogno di insegnanti, e il mondo di scuole: perlomeno questo mondo è andato così, il prossimo vedremo.

via Blogger http://bit.ly/2KeQiua

Senza categoria

Metodo infallibile contro qualsiasi insonnia

“Scusa hai visto il libro?”
“Che libro”.
“Non lo so. Quello che stavo leggendo”.
“Non riesci a dormire?”
“Ne stavo pur leggendo uno da qualche parte”.
“Non riesci a dormire”.
“Ma ci pensi a che anno è?”
“Duemilaediciannove”.
“Non dovrebbe essere un anno del genere”.
“Per questo non riesci a dormire?”
“Non avevo previsto di essere ancora vivo, nel duemilaediciannove”.
“No?”
“Da piccolo mi sembrava già tanto se sfangavamo il Duemila”.
“Tutto il resto è grasso che cola, allora”.
“Ma ti sembra un anno in cui possiamo esserci, io e te? Il Duemilaediciannove?”
“Puoi leggere il mio libro se vuoi, è carino”.
“Quando ero piccolo erano gli anni dei film di fantascienza. 2019 i guerrieri dello Spazio. 2019 Fuga da staminchia“.
“Ecco, guardati un film”.
“Non funziona”.
“Quello coi bivi”.
“Mi mette angoscia. ‘sti cazzo di anni Ottanta. Sempre lì a ricordare gli anni Ottanta, e intanto precipitiamo, precipitiamo nel vuoto. Tra un po’ sono i Venti, ti rendi conto”.
“Scrivi un pezzo”.
“Ho l’ansia”.
“Conta le pecore”.
“È come contare i respiri che mi restano”.
“Di’ il Rosario”.
“Con che faccia ormai”.
“Correggi i temi”.
“zzzzz”.

via Blogger http://bit.ly/2Rtz7Ya

Senza categoria

Ma come? Era solo un piano B!

“Ma guarda un po’ chi si vede”.

“Rieccoci”.

“Sì ma stavolta è diverso, stavolta ero io che ti stavo cercando”.

“Rieccoci”.

“Sì, sì, fai pure il furbo, stavolta non mi freghi, stavolta ho studiato e parecchio e ho ben chiaro il nocciolo della questione”.

“Rieccoci”.

“Quindi stammi a sentire: sai quei soldi, quei totmila miliardi che ti devo? Beh, non credo proprio che te li darò”.

“Rieccoci”.

“Del resto l’hai sempre saputo”.

“Rieccoci”.

“Lo sapevano quelli che me li hanno dati, lo sapevi tu quando hai comprato il mio debito. Non hai mai veramente pensato di riaverli indietro, no?”

“Rieccoci”.

“Tutto quel debito, te lo sei preso soltanto perché credevi che così mi avresti tenuto per le palle, per quanto? Per sempre? Avrei sempre dovuto inginocchiarmi e portarti rispetto, vero? Avrei dovuto usare la tua moneta, rispettare le tue normative, eleggere governanti che ti stessero simpatici, eccetera eccetera, beh, sai cosa ti dico? Io sono un popoloso Paese del Mediterraneo e ti dico: vaffanculo”.

“Rieccoci”.

“Vaffanculo te e vaffanculo il tuo debito, che poi è il mio, ma tanto non te lo pago più e quindi non esiste. Mi faccio governare da chi mi pare, e se domattina mi vien voglia di stampare coriandoli e usarli come moneta, perché no? Sono un popolo sovrano”.

“Rieccoci”.

“L’hai capito o no, vecchio rintronato?”

“Rieccoci”.

“Quindi adesso me li presti quei venti euro?”

“No”.

“Ma come no”.

“No”.

“Ma senti, non l’hai capito? Era solo tutta una scena… stavo facendo la voce grossa perché tutti vedessero che non ho perso l’orgoglio… ne ho bisogno, capisci? Secondo te voglio veramente usare i coriandoli come moneta?”

“Rieccoci”.

“Ma no, dai, mi vedi? Sono un economista stimato, non avrei mai… è solo un bluff, l’hai capito benissimo che è un bluff, no? Lo chiamo piano B, ma figurati se davvero voglio… cioè non sono uno scemo, no? No?”

“Rieccoci”.

“Ma scusa eh, ma siamo in due su questa barca, no? Se io faccio un bluff, tu potresti anche far finta di crederci”.

“Rieccoci”.

“E poi cosa vuol dire il tuo ritornello, stavolta, rieccoci, neanche tutto questo fosse già successo, è già successo?”

via Blogger https://ift.tt/2L6BadB

Senza categoria

La partita di giro

“Oh, ciao, stavo cercando giusto te”.

“Ancora”.

“Sì, beh, senti, ovviamente è sempre per quei soldi che ti devo, ti ricordi”.

“Ancora”.

“Sì ma mi è venuta in mente un’altra idea. Questa però è interessante, sul serio, ci ho pensato molto”.

“Ancora”.

“No, non è la solita idea, questa è diversa. Senti. Siamo usciti dall’ipocrisia. Sappiamo benissimo che io continuerò a chiederti dei soldi”.

“Ancora”.

“E tu continuerai a darmeli. Sarà sempre così. Lo so io, lo sai tu, lo sappiamo tutti”.

“Ancora”.

“Però. Però. È anche vero che io un sacco di questi soldi te li devo restituire. Verissimo”.

“Ancora”.

“Sì, non te li ho ancora dati. Ma pensaci bene. Fa un passo indietro. Non noti niente? Io ti devo dare dei soldi, tu continui a darmi dei soldi. Ci stiamo rimbalzando gli stessi soldi, hai capito?”

“Ancora”.

“Insomma è una partita di giro, come si dice”.

“Ancora”.

“Quindi, se adesso segniamo che te ne devo, per dire, duecento miliardi di meno…”

“Ancora”.

“Tu poi me ne darai duecento miliardi di meno, e siamo a posto così, no? Una partita di giro. Bastava pensarci prima”.

“Ancora”.

“Allora affare fatto? Segniamo duecento miliardi in meno?”

“Ancora”.

“Fantastico, lo vedi che a volte le idee migliori vengono ai meno esperti. Adesso, senti, a proposito, oggi pomeriggio devo sempre andare a Bologna…”

“Ancora”.

“Ce li hai sempre quei venti euro?”

“No”.

“Ma come no, scusa”.

“No”.

“Aspetta, lasciami capire. Mi stai dicendo che i venti euro farebbero parte della partita di giro?”

“Ancora”.

“Ma mettiamoli in un conto a parte, scusa, non è che adesso perché c’è una partita di giro non puoi darmi i soldi che mi servono adesso. Mi servono, lo vuoi capire o no?”

“Ancora”.

“Io ho il sospetto che tu non capisca. Sei solo un freddo algoritmo, te ne freghi delle mie reali esigenze”.

“Ancora”.

“Non mi stai neanche ad ascoltare, in realtà non esisti, sei un’astrazione, sto parlando col nulla”.

“Ancora”.

“Un nulla a cui devo dare un sacco di soldi, io piuttosto li getterei in un tombino, guarda”.

“Ancora”.

via Blogger https://ift.tt/2k8Oh2F

Senza categoria

Players win and Renzi plays

Matteo.

Un attimo.

Matteo dovresti andare via.

Ho detto un attimo.

È già da molto tempo che sei qui.

Sto per andarmene.

E hai già perso molto.

Sì ma all’inizio avevo vinto molto.

Hai perso più di quello che hai vinto.

È così…

È così.

…se me ne vado adesso.

No, Matteo, no.

Perché se invece adesso vinco…

Ma non vinci più Matteo.

E perché non dovrei vincere, sentiamo.

Non funziona così.

Hai visto come ho ridotto Di Maio? Il M5S? Hai visto come li ho mandati a sbattere?

Non li hai mandati a sbattere.

Si sono rimessi a chiedere il referendum sull’Euro, capisci? Li ho fregati.

Hai chiuso al M5S e loro a questo punto si preparano a un’altra campagna elettorale. Slegano il Beppe, è normale.

è orgoglioso

Grazie a me.

Cos’hai ottenuto, Matteo?

Stavano mettendosi a ragionare, e io…

Stavano calando nei sondaggi.

Li ho mandati a sbattere!

Gli hai fatto slegare il Beppe. Così risaliranno nei sondaggi. E se si va a votare?

E se si va a votare magari vinco io.

Non vinci tu, Matteo.

Ho dimostrato di essere più affidabile.

Non è una gara che vince il più affidabile.

E chi lo sa. Magari al prossimo giro…

È patologica questa cosa, Matteo.

Ma ti ricordi che all’inizio vincevo?

È un po’ questo il problema. Quella voce nella testa che ti dice…

Se all’inizio vincevo, perché non posso vincere di nuovo?




C’è gente che si è rovinata ascoltando quella voce, Matteo.

Stai insinuando che mi lasciassero vincere per illudermi? Perché sapevano che comunque alla fine avrei lasciato alla cassa anche la camicia? Stai dicendo che sono stato un pollo tutto il tempo?

Sto solo dicendo che dovresti andartene.

Se ora me ne vado sarebbe come ammettere che sono stato un pollo tutto il tempo.

Mentre se resti…

Mentre se resto e faccio un ragionamento serio sulle forze in campo, io…

Quali forze in campo, Matteo? Hai tagliato i finanziamenti ai partiti e stai giocando contro il primo gruppo editoriale italiano e una startup che per prendere un voto spende un decimo di quel che spendi tu

Ma che ragionamenti sono.

Sei tu che volevi fare un ragionamento serio sulle forze in campo. Alle ultime elezioni non avevi i soldi per i manifesti.

Le elezioni non si vincono più coi manifesti. C’è internet.

Tu non stai usando internet benissimo, Matteo.

Forse c’è qualcosa da rimettere a posto, ma…

Va bene, allora esci un attimo a rimettere a posto le cose. 

Se esco un attimo non mi fanno rientrare più. Ci avrò fatto la figura del pollo.

Mentre se giochi un altro gettone…

Magari è quello buono.

Neanche se fosse una slot, Matteo. Neanche se ti stessi giocando i tuoi soldi, e non l’immediato futuro di un Paese popoloso. Neanche se fossi da solo in un bar alle cinque del mattino con quel che resta dello stipendio che hai tirato la settimana scorsa, Matteo. Neanche in quel caso…

Io ci provo.

…Sarebbe una buona idea

Cosa ho da perdere?

Now I’m down a little, in fact, I’m down a lot
I’m on a roller coaster ride that I can’t stop
Yeah, my luck has changed, but she’ll come back
That’s the beauty of a game of chance
I can’t lose forever, but I’m doomed to try
Because I keep on hearing a voice inside

Players win and winners play
Have a lucky day

via Blogger https://ift.tt/2KBtGjo

Senza categoria

Fa un po’ male, ma poi (il razzismo)

“Ma hai sentito la storia del mediatore culturale?”
“Come facevo a non sentirla? Sei colonne su Libero”.
“Ma come si fa a scrivere una cosa del genere?”
“Nel giorno in cui un missile nordcoreano ha attraversato lo spazio aereo giapponese”.
È un atto peggio ma solo all’inizio, dio mio”.

“E poi mezzo Texas sott’acqua, il vertice europeo sui migranti…”
“Ma come si fa a credere a una cosa del genere”.
“Eppure Libero aveva in prima pagina soltanto la stronzata di un mediatore culturale – in pratica il dipendente di una cooperativa – definito “capo musulmano“”.
“Cioè secondo te la notizia è che Libero ci faccia un titolo?”
“Non un titolo. Il titolo di apertura. A tutta pagina. Per la scemenza di un tizio su facebook. Che diventa miracolosamente la tesi di un capo musulmano“.
“Non è una semplice scemenza. Era una stronzata orribile, maschilista, portatrice di una visione arcaica…”
“Più che arcaica forse consolatoria”.
“Consolatoria?”
“L’idea che una donna non soffra durante lo stupro. Sembra un’autocensura. Non posso credere che qualcuno soffra per così tanto tempo, e così decido che non è vero, che non sta soffrendo. Più che da una cultura arcaica, credo che sia il risultato di uno choc culturale. Un maschilista puro perché dovrebbe preoccuparsi se la donna soffre o no?”
“Ti stai infilando in una fessura pericolosissima, te lo dico”.
“Ma no, è che quando incontro una nozione falsa, mi chiedo sempre da dove salta fuori. Oggi si tende a pensare che le fake news servano a mandare avanti un’agenda politica, o semplicemente ad attirare attenzione e clic. Ma le nozioni false le abbiamo sempre avute, prima della politica e prima dei clic. La maggior parte serviva a proteggerci”.
“A proteggerci?”
Dov’è il nonno? È andato in cielo“.
“Serviva a proteggerci?”
“Magari non funzionava, ma non te la raccontavano per altri motivi. Fa molto male? No, solo all’inizio, poi passa“.
“Stai cercando di giustificare…”
“Sto cercando di capire”.
“Non è che puoi passare la vita a cercare di capire gli ignoranti”.
“Ma è proprio quello che dovremmo…”
“No. Non funziona così. Anche perché gli ignoranti sono troppi. Non ce la faremmo mai. Devono essere loro a fare un passo avanti”.
“Ma che significa, non è mica un match noi contro loro. Siamo tutti ignoranti di qualcosa. Usiamo tutti qualche falsa nozione per proteggerci”.
“Fammi un esempio”.
“Ogni agosto, hai notato che a ogni fine di agosto esce una notizia ambientata sulla spiaggia che riassume il nostro approccio stagionale al problema dei migranti? Due anni fa, la foto di quel bambino siriano annegato sul bagnasciuga“.
“Non era una falsa nozione”.
“Era una foto tra tante, riassumeva un problema generale e complesso, simboleggiò una specie di svolta: la Merkel cambiò atteggiamento, tutti cambiarono atteggiamento – molti perlomeno – per un po’ prevalse la linea dell’accoglienza. L’anno scorso, sempre su una spiaggia, il ladro di bambini“.
“Me l’ero dimenticato”.
“Anche quella volta, paginone di Libero. Tutto rapidamente sgonfiatosi, non c’era stato nessun tentato furto di nessun bambino. Ma riassumeva l’aria che stava tirando. Quest’anno il capo musulmano che insegna su facebook la meccanica dello stupro”.
“Riassume la situazione?”
“Serve a difenderci”.
“Ma cosa stai dicendo?”
“Vuoi la notizia vera? Quella che non ha dato Libero, e che anche i giornali rispettabili sono un po’ restii a comunicare? Per risolvere la cosiddetta emergenza immigrazione, in due mesi abbiamo probabilmente lasciato annegare trentamila persone”.
“Forse un po’ meno…”

Dati fieramente elaborati dal Ministero degli Interni
Li aggiornano tutti i giorni!

“Non è stato difficile: abbiamo lasciato che la libera informazione criminalizzasse le ONG, e poi le abbiamo fatte sostituire da una banda di pirati che abbiamo deciso di chiamare guardia costiera libica“.
“Lo so”.
“Nel frattempo abbiamo preso accordi col capotribù che almeno a Tripoli ha preso il posto di Gheddafi, e che istituirà campi di concentramento disumani quanto quelli di Gheddafi. Anche se la Libia continua a essere un po’ instabile e quindi, in concerto con l’Unione Europe che plaude al nostro spirito di iniziativa, stiamo pianificando di finanziare campi di concentramento più a monte, nel Sahel”.
“So anche questo, ma…”
“In questo modo magari l’estate prossima i trentamila morti moriranno così tanto lontano, o lungo una una filiera talmente sviluppata e complessa, che non ce ne accorgeremo neppure, il che ci farà sentire meno assassini e forse farà vincere le elezioni contro i razzisti ignoranti, noi razzisti consapevoli e pianificatori”.
“Senti, ho capito, mi rendo conto che è terribile, ma non andrà così”.
“No?”
“Capisco che in questo momento tu possa sentirti…”
“Un po’ assassino?”
“Diciamo che siamo tutti colpevoli… di una situazione orribile che…”
“Che si poteva evitare”.
“Però non puoi esagerare. Non serve a niente esagerare”.
“Sto esagerando?”
“Trentamila morti ogni estate, per esempio. Non è vero”.
“È una stima”.
“È solo la sottrazione tra gli sbarcati dell’anno scorso e quelli di quest’anno. E può darsi che davvero l’unica causa della differenza, quest’anno, sia che sono annegati. Non c’erano più navi disposte a soccorrerli, e li abbiamo lasciati annegare”.
“Abbiamo fatto sì che fossero lasciati annegare”.
“È successo. Ma l’anno prossimo non saranno di nuovo trentamila”.
“Perché no?”
“Ma è una questione di buonsenso, insomma… quelli che partivano quest’anno, pensavano che sarebbe stato facile come l’anno scorso. Ma l’anno prossimo… ora che lo sanno… partiranno in meno”.
“Cioè la strage sarà servita da deterrente”.
“Purtroppo sì”.
“Ma come fai a saperlo?”
“È buonsenso”.
“O forse è un istinto autoprotettivo”.
“Cosa?”
“Mi stai dicendo che dopo un po’ smette di fare male”.
“Non capisco”.
“Il massacro. All’inizio fa male, ma dopo la gente si abitua e alla fine magari gode anche un po’”.
“Facciamo che non ti sento”.

via Blogger http://ift.tt/2x4V450