arti contemporanee

Distruggere street-art è cosa buona se

Ieri ho perso il polso della mia generazione. A Bologna due comitati cittadini avevano deciso di distruggere tutti i graffiti di Blu: vent’anni di opere di uno degli street artist più apprezzati in Italia, ma credo anche al mondo. Mentre assistevo da lontano allo scempio, mi aggiravo sui social network e invece dello scroscio di indignazione che mi aspettavo, non trovavo che applausi: ben fatto, bravi. Persino chi quei graffiti li apprezzava, chi ci era affezionato, chi li identificava con la Bologna in cui si svegliava e cercava di parcheggiare ogni mattino, persino loro cercavano di levarsi la lacrima in fretta: ok, è un gesto doloroso, ma necessario, vai col grigio. Ma cosa siamo diventati.

Il Resto del Carlino.
(Notare il dilemma nel volto ansioso dei vigili:
difendere l’arte o l’artista?)

Sì, sto barando. I due “comitati cittadini” in realtà sono due centri sociali di Bologna, e soprattutto la decisione di distruggere i graffiti è stata presa dall’autore stesso, che in quest’occasione almeno svela un’idea della proprietà intellettuale abbastanza radicale: se magari passando davanti a una sua opera per vent’anni qualche abitante si era illuso che la tal parete colorata appartenesse alla città, ne facesse parte, ebbene, non proprio: era più un affitto, o quel tipo di licenza che compri quando credi di comprare certi libri in formato digitale: un bel giorno ti svegli e non c’è più, e non puoi farci niente.

Ecco, più della scelta dell’artista – discutibile e discussa, del resto è un artista – m’interessa la nostra reazione. Se a passare rullate di grigio sui personaggi di Blu fosse stato un comitato di benpensanti, allora sì, avremmo protestato contro l’arretratezza culturale ecc. ecc.. Ma l’ha deciso Blu. Se l’ha deciso Blu diventa una straordinaria e coraggiosa prova di integrità artistica, che è forse la cosa che apprezziamo di lui – molto più dei suoi disegni, dal momento che abbiamo preferito tenerci l’integrità e rinunciare a questi ultimi.

Forse non ho il polso dei miei coetanei perché, davvero, io tendo a ragionare come sopra: non giudico i fatti dalle premesse, ma dalle conseguenze. mi sveglio, vedo muri grigi dove prima c’erano opere straordinarie (e angosciose, va detto), e mi sembra una prepotenza nei confronti dei cittadini che fruivano di quelle opere ogni giorno. Per i più invece è sempre una questione di intenzioni: non importa cosa combini, ma per quale motivo. Ad esempio un eventuale comitato per il decoro e la tristezza urbana avrebbe distrutto le medesime opere ottenendo il medesimo risultato, ma con le intenzioni sbagliate. Invece se è Blu stesso, l’autore! che deve protestare perché Roversi Monaco ha rubacchiato qualche opera – a lui o a un collega, non è chiaro – allora ok, il motivo è coerente con le premesse, e il fatto che centinaia di migliaia di bolognesi si sveglino con qualche parete grigia in più è ininfluente.

Davvero ininfluente, non sono ironico: per molti di quei bolognesi avere un muro grigio è preferibile ad avere uno street-artist incoerente o compromesso col potere. È un’opinione trasversale, che unisce Wu Ming e Philippe Daverio sul Resto del Carlino. I muri grigi stanno per diventare il capolavoro di Blu, il che mi riporta a una domanda precedente: ma le opere di Blu vi piacevano davvero così tanto? Non è che preferite il personaggio, lo street-artist come moderno Robin-Hood che sfida il potere regalando ai poveri un’arte contemporanea che i ricchi se la sognano – e quando i ricchi se ne accorgono e cercano di ritagliarne dei pezzi per metterli nel Museo Borghese, lui, ehm, lui si arrabbia e ritira tutti i regali che aveva fatto ai poveri, ecco, mi è esplosa la metafora in mano.

Scusate, ma la situazione è persino più paradossale del solito. Qualcuno forse ha già denunciato Blu e i suoi fiancheggiatori per vandalismo, il che ci sta, e in alcuni casi sarà anche la prima ammissione che quello che è stato distrutto era arte. Che uno street artist non sia tenuto a rispettare le regole della civile convivenza è una banalità – ma come fare da qui in poi a distinguerli: metti che uno street artist si metta a distruggere le opere di un altro street artist, ne avrà il diritto? – o metti che qualche diabolico comitato di borghesi benpensanti si infiltri in un centro sociale e con due cazzate di Adorno lette al liceo (non c’è niente di più borghese della polemica contro i musei) sobilli i giovani idealisti e li armi di rulli e vernice grigia: chi è che noterà la differenza?

Nel frattempo Blu sarà diventato ancora più importante e quotato di quanto non sia ora: le non rare foto dei suoi graffiti consentiranno magari ai bolognesi della prossima generazione di ridipingerli tali e quali negli stessi luoghi, il che fornirà madeleines incredibili ai trentenni del 2030: “Ci passavo davanti tutti i giorni, che paura mi faceva! Ma quando l’hanno cancellato ho pianto“. Questa cosa potrebbe fare arrabbiare ancora di più lo street-artist, che immagino reclami per sé e sé solo ogni diritto su ogni sua opera… per quanto tempo? Facciamo 70 anni, come il diritto d’autore? Se muori prima passa agli eredi? Come funziona? Forse sarebbe meglio parlarne. Sul serio, non discuto il diritto di Blu a impossessarsi di un muro della collettività e a trattarlo come suo anche dopo quindici, vent’anni: proprio perché preferisco, quando posso, giudicare dai risultati, e i risultati mi sembravano buoni. Fino a che si trattava di una trasgressione variamente tollerata da cittadinanza e amministratori, non creava grossi problemi: ma a questo punto si passa alla fase più delicata, quella in cui l’antipotere si trasforma in potere e si arroga non solo il diritto di creare, ma anche quello di distruggere, secondo leggi che almeno io non ho capito bene.

60 pensieri su “Distruggere street-art è cosa buona se

  1. Sarò disonesto anch'io, nel senso che ho letto l'inizio e basta. Mi pare che vada sgomberato il campo da un grosso equivoco su tutta la faccenda. Il gesto di Blu non sancisce una proprietà sui lavori, bensì un concetto base dell'arte di strada, ovvero la natura effimera dei suoi prodotti. Non a caso il famoso pezzo sul muro dell'Xm24, raffigurante quella sorta di battaglia tra il bene e il male nella Bologna sesso suini e siampagn è stato dipinto su un pezzo precedente dello stesso Blu e di un'altra artista nota, Ericailcane, cancellandolo, senza destare scalpore alcuno, nemmeno nell'artista la cui opera è stata cancellata. Non si può musealizzare la street art, in quanto è arte effimera, per quanto possa sembrare paradossale, la regola sarebbe che tra qualche decennio, quando Blu sarà passato a miglior vita, rimanessero a rappresentare la sua arte solo le fotografie, oppure le patacche vendute ai galleristi e ai collezionisti per alzare soldi alle loro spalle (questo è lo spirito di un Blu quotato).

    Poi certo, la natura mediatica e di performance che ha assunto questa operazione in parte contraddice questo schema semplice, ma questo è più un effetto collaterale determinato dall'imprevedibile collisione tra due mondi fondati su codici giuridici estranei ed opposti, quale quello dell'arte di strada e quello delle gallerie d'arte. L'invasione di campo, d'altronde, viene dal mondo delle gallerie d'arte, ed è ovvio che se si istituisse la pratica di scrostare i pezzi famosi e di successo dai muri si minerebbe alle basi il fondamento della street art stessa come si autoconcepisce, dunque la reazione di Blu, fuori le righe per il semplice motivo di essere così mediaticamente performativa, e dunque così comprensibile e accessibile più al mondo delle gallerie d'arte contemporanea che al mondo dell'arte di strada (detto in italiano, per inciso, suona molto più semanticamente preciso, come concetto, rispetto al modaiolo “street-art”, pur condiviso da tutti, in un movimento peraltro tutt'altro che immune alle sirene della moda), diventa una sorta di reazione esistenziale, non una provocazione ma un vero e proprio atto di guerra, programmaticamente indifferente alle sue conseguenze, sigillato dalla frase di Bonnot.
    L'accusa di appropriazione da parte di Blu delle sue proprie opere, è comunque curiosa: distruggendole non se ne sta appropriando ai danni dei Bolognesi che le ammiravano, le sta restituendo alla loro natura effimera e sta restituendo i muri al libero usufrutto da parte degli altri artisti di strada, i quali si troverebbero a mal partito a cancellare un Blu, ora che è famoso e in via di musealizzazione. L'opera non è di Blu o della cittadinanza, non è di nessuno, così come il muro, è questo il concetto base. C'è solo e semplicemente un codice non scritto che vuole non si cancelli un pezzo di livello alto con scarabocchi o con pezzi di livello basso, tutto qui, tutto non scritto né universalmente condiviso (tant'è che a suo tempo Banksy finì in una faida con una crew inglese di writers vecchia scuola, gente che segna il territorio con le sue tag e non fa arte, e che considera gli “street artist” delle fighette vendute, in uno di quei contrasti che ci mostrano di quanti livelli possa essere composta un'etnografia della metropoli contemporanea).

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  2. È vero, sono due mondi fondati su codici estranei e opposti: ma non davo così scontato che il mondo della street-art fosse riuscito a imporre così bene i suoi codici, oltre che le sue opere. Ovvero: Blu fa quel che vuole, ieri voleva disegnare e oggi vuole cancellare. Ai bolognesi andava bene la prima cosa: mi sorprende (un po' negativamente, lo ammetto) che si facciano andare bene anche la seconda, e che accettino di leggere il gesto secondo la semantica che offre Blu (o che offrono i Wu Ming).

    Poi a me interessa l'opera e può anche interessare la semantica, ma un artista che pretenda di farmi leggere le sue cose solo nel modo e e nel tempo e nello spazio che vuole lui mi lascia perplesso. Il mio mestiere peraltro mi porta ogni giorno a fare l'opposto: smontare le opere, analizzare le motivazioni dell'artista, talvolta criticarle, ecc.

    Questa cosa per cui delle opera di Blu dovrebbero sopravvivere soltanto foto e non stacchi, ad esempio, fuori dal codice specifico della sua arte cos'è, cosa dovrebbe rappresentare, se non una forma di feticismo.

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  3. Poi si invecchia xD quindi non è un periodaccio in realtà, è un rigurgito di gioventù – è la tua versione del film con Ben Stiller e Naomi Watts? 🙂 🙂 🙂

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  4. Il fatto è che forse, essendo la cultura del writing diffusa da 30 anni, una parte di essa è penetrata in parte della popolazione. E' probabile che tra le persone che si sono interessate al dibattito su questa faccenda vi sia una sovrarappresentazione di quella componente tutto sommato minoritaria che conosce, quantomeno in maniera sommaria, i codici del writing.

    Di fatto poi Blu s'è preso la parte buona, quella del romantico difensore dell'integrità dell'arte di fronte al bieco interesse del capitale, e ciò ha condotto molti a identificarsi con lui e sostenerlo, a prescindere dal fatto che “l'integrità dell'arte” è una chimera.

    Che poi le cose non siano così semplici, è ovvio. Personalmente trovo molto poco evoluta la riflessione degli ambienti antagonisti tra arte e politica, stretta com'è tra la sopravvalutazione del significato militante dell'opera artistica e la sottovalutazione delle contraddizioni insite nel propagare un messaggio militante mediante l'opera artistica e dentro i canali della diffusione delle opere artistiche.
    E' un problema che i Wu Ming scontano moltissimo e sul quale talora si scompongono in maniera piuttosto buffa.

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  5. Bella questa vicenda fatta tutta di paradossi e che, a dispetto di tutti, ruota tutta attorno al concetto di proprietà. Tra l'altro se si tratta di “res nullius” è ineccepibile tanto il gesto di Blu quanto quello di Genus Bononiae, con buona pace del popolo e dei difensori del suo diritto

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  6. Ed è divertente anche constatare quanti grattacapi provochi l'accostare un concetto abitualmente connaturato al sacro quale l'arte con quello di “res nullius”, quali sono ad esempio i rifiuti contenuti nei cassonetti

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