giornalisti, scuola, sintassi

Martiri della sintassi

La scuola che non c’è
(e la riforma che nemmeno)

Criticare la riforma del ministro Gelmini non è facile, per me, per due motivi.

Il primo è che non esiste. Tutto quel che esiste, per ora, è una necessità di risparmiare soldi, tanti soldi, per cui si prova a levare un pomeriggio qui, un maestro qua, un bidello lì, un anno là, senza neanche più preoccuparsi di fornire spiegazioni che sappiano vagamente di pedagogia, o di buon senso. Più che una riforma è un pignoramento. Faccio un esempio piccolo, uno fra tanti: dopo aver rispolverato a giugno le tre I, tra cui Internet, a settembre ci ha annunciato la scomparsa di Educazione Tecnica. La notizia non turberà chi come me in tre anni è mai riuscito a completare una sola assonometria cavaliera; resta il fatto che per molte classi l’ora di “Tecnologia” era l’unica occasione di toccare un computer da vicino. E la I di internet? Irreperibile. E i prof di tecnologia? Verranno immessi nella graduatoria dei prof di matematica. Avete capito bene. Passeranno in blocco davanti a laureati in matematica più giovani, col cervello più fresco, molti dei quali avranno un motivo in più per abbandonare la professione. Ma non avevamo i peggiori risultati europei in matematica? Sì, qualcosa del genere. E allora? E allora niente, il punto non è mica migliorare il livello dei nostri studenti; il punto è risparmiare tot-mila cattedre, e tanto peggio se la scuola pubblica si sfascia, tanto è la bad company: chi se lo potrà permettere manderà il figlio dai preti. Tanto più che è probabile che sforbiciando qua e là la Gelmini riesca anche a preservare qualche buono scuola per lorsignori. Amen, dopo tutto hanno vinto.

Il secondo motivo per cui almeno io fatico a criticare la Gelmini è che non ho, a differenza d’altri, un modello di scuola ideale, da contrapporre a questo sfacelo. Anzi, a volte mi capita di fissare lo sfacelo con occhi rapiti, perché anche in mezzo alle rovine c’è sempre da cogliere qualche opportunità. Insomma, sì, la scuola crolla, ma non è che fosse poi granché. Per molti – mi rendo conto – non è così.
Spesso si tratta di persone che a scuola non ci lavorano. Magari ci accompagnano i figli, sgommando via il prima possibile. La scuola che conoscono loro, per farla breve, è la scuola della loro infanzia e adolescenza. E quindi è la scuola più bella del mondo, esattamente come la mia compagna di banco dai capelli lunghi era la ragazza più bella del mondo, e nessuna foto scattata in seguito potrà convincermi del contrario. Di solito è gente che ha fatto il liceo. E guai se glielo tocchi, il liceo. Insomma, quelli che si ritagliano i fondi di Francesco Merlo. Ma voi ci arrivate mai, in fondo a quel che scrive Merlo?

La Gelmini ha proposto di ridurre il quinquennio di liceo a un quadriennio. Perché? C’è dietro una teoria educativa? No, dietro c’è solo Tremonti con la calcolatrice che scuote la testa (“Di più, Mariastella, tagliami di più”). In questo modo però finisce per scandalizzare Francesco Merlo, che dalle colonne di Repubblica di ieri prorompe in un severo monito: “Stia attenta la Gelmini a toccare il meglio dell’Italia e della sua memoria, la nostra eccellenza, il modello nazionale per il quale ancora, ogni tanto, ci distinguiamo nel mondo”. Eh? Stiamo parlando della stessa cosa? Il liceo italiano? Il meglio dell’Italia? La nostra distinzione nel mondo?

A Merlo basterebbe dare un’occhiata all’archivio del suo giornale, per trovare qualche statistica che non piazza il diplomato italiano tra i migliori del mondo, anzi. Se abbiamo mai avuto un’eccellenza, in Italia, forse è stato nel campo delle elementari e delle scuole dell’infanzia. Il che ci dovrebbe far pensare: se i nostri figli frequentano scuole elementari tra le migliori del mondo, e otto anni dopo si diplomano con un bagaglio di competenze tra i più scarsi, dov’è l’intoppo? La scuola media avrà la sua parte di responsabilità: ma anche il liceo. Se in questi anni gli ordinamenti del liceo sono stati più volte stravolti, non è stato soltanto per la superbia dei ministri riformatori. La verità è che il liceo gentiliano non è credibile più da un pezzo; che per iscriversi a un classico che ti insegna il Greco per cinque anni e l’inglese per tre bisogna essere masochisti; che se non fossero arrivate le (brutte) riforme ministeriali, ci avrebbero pensato le scuole a rinnovarsi da sole, in autonomia; nella mia piccola città stava succedendo già negli anni Ottanta.

Mi rendo conto che questo sia duro da mandare giù per Merlo, come per Citati e per tutti quei tromboni che parlano di scuola senza averne vista una da decenni. Come reagiresti se ti dicessero che la tua giovinezza è stata una finzione? Che la tua pregiatissima scuola non valeva un granché, e nel mondo nessuno la considera un modello interessante? Impossibile. Se non fosse stata una buona scuola, oggi Citati o Merlo non riuscirebbero a scrivere gli eleganti editoriali che tutto il mondo invidia, autentici capolavori di stile. A dimostrazione di ciò accludo la frase che vince il Trofeo Sintassi Involuta 2008 (albo d’oro: 2002, Umberto Galimberti; 2004, Gianni Letta).

E poi, andiamo!, avvocato Gelmini: l’adulto italiano che ripensa al liceo non si ferma alle manifestazioni, alle occupazioni e al 6 politico, ma si abbandona al ricordo della scoperta dei libri, della capacità di resuscitare i morti, dell’universo pieno di miti e di simboli, di quei professori ai quali i maestri che lei umilia devono per esempio l’ironia e l’arguzia di vedere in lei non il nemico di classe, ma la linguaccia lunga di Santippe che, surrogando il linguaggio intelligente, importuna Socrate e infastidisce la decenza (anche se per la verità si sospetta che Socrate si sia convinto a bere la cicuta proprio per liberarsi dalle angherie di Santippe).

Ci sono errori, qui? Non proprio: però c’è tutto quel barocchismo sintattico che rende i nostri giornalisti e professori i più parolai, e i nostri libri e giornali i meno letti del mondo. Sul serio, cos’hanno fatto di male i lettori italiani, per ritrovarsi davanti periodi sintattici di 550 battute? Davvero dobbiamo tutti pagare perché un prof rincoglionito apprezzava le lunghe frasi contorte con cui il giovane Merlo riusciva ad arrivare in fondo al foglio protocollo? Il tutto per dire cosa, che la Gelmini non è il nemico di classe ma Santippe? Come dire Abbasso Marx, viva la versioncina di greco col filosofo e la moglie antipatica? Massì, non c’è niente come le lunghe ore pomeridiane trascorse a sfogliare dizionari per tradurre storielline: è così che si è formata la classe dirigente che il mondo c’invidia, che ha portato l’Italia ai vertici da cui il resto del mondo sbigottito la osserva. Pensate, se ci sfasciassero il liceo, Merlo potrebbe essere l’ultimo editorialista al mondo a scrivere cose come “Brunetta che sogna l’ipercinesi mercuriale del colore aragosta o del blu elettrico” o “abbiamo imparato ad usare la gobba di Leopardi contro quella di Andreotti” e tutte quelle scemenze che da anni piazza nella seconda metà del fondo, nella speranza che qualcuno arrivi fin lì.
Ma non ci arriva mai nessuno. Neanche il suo vecchio prof, probabilmente: lui leggeva le prime venti righe e passava oltre. Va bene Merlo, sei da otto, lo sappiamo.

79 pensieri su “Martiri della sintassi

  1. C’è molta confusione in alcuni degli ultimi interventi; a sentire qualcuno sembra come se l’esperimento possa essere un’alternativa all’equazione.Chiaramente non c’è niente di più sbagliato, anzi il senso di un esperimento (di fisica o di chimica) che può essere fatto a scuola è, nel 99% dei casi, proprio la verifica di un’equazione ottenuta per via teorica. Questo di suo dovrebbe far riflettere sul fatto che condurre un esperimento senza avere un modello teorico di base è praticamente impossibile; mentre è perfettamente sensato sviluppare una teoria senza una verifica sperimentale diretta – cosa peraltro auspicabile in presenza di un uditorio non smaliziato, che potrebbe fraintendere il senso delle approssimazioni numeriche ed in ultima analisi dei limiti della scienza stessa.Gli esperimenti del tipo <>vediamo che succede<>, se ben congegnati, possono certo essere significativi, anche illuminanti; ma fare un programma scolastico di fisica o di chimica mostrando ai ragazzi una sequenza di risultati strani o controintuitivi equivarrebbe – questo sì! – a ridurre la scienza a magia o esotirismo. I tempi del <>solo qualitativo<> sono morti e sepolti, ed insegnare la scienza attuale in modo non matematizzato sarebbe un completo tradimento del suo spirito, se non proprio pseudoscienza. Peraltro, limitando il discorso alla fisica, l’equazione giammai va pensata come una complicazione; al contrario è l’essenza stessa della fisica, da Galileo ad oggi; senza voler fare polemica, a chi non avesse chiaro questo punto consiglierei di evitare del tutto di parlare di fisica.

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  2. Non mi sembra proprio che nessuno si sia mai sognato di non voler parlare di equazioni, ma solo di mettere in discussione come se ne parla e quale utilità se ne trae. Da questo punto di vista – e non solo – credo che chiunque abbia diritto di parlare di qualsiasi cosa. Atteggiamenti come quello suggerito non fanno che rinforzare proprio la dimensione esoterica con cui vengono presentate quelle scienze che tutti sostengono sia necessario conoscere più a fondo.La dama del lago

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  3. Suona strano sentire che qualcuno, per conoscere la fisica, si aspetti innanzitutto di vedere e toccare. Ma quello che proprio non capisco è come si possa affermare che le equazioni finiscano per offuscare i concetti. (In effetti, viene da pensare che non si conosca ciò di cui si sta parlando.)Inoltre, l’idea che le leggi fisiche semplicemente descrivano in maniera compatta ciò che accade nella realtà mi sembra riduttiva fino a essere sbagliata.Pensando all’azione didattica, credo che uno studente debba essere aiutato a capire il significato delle grandezze fisiche che incontra studiando, e di ciò che in un’equazione è scritto. E come si arriva a capire? Di certo non basta copiare un’equazione dalla lavagna, né eseguire meccanicamente delle misure; bisogna porsi delle domande e cercare le risposte. Un insegnante dovrebbe stimolare (costringere, quasi) a porsi problemi. Lo può fare con vari metodi, che poi sono quelli tradizionali: chiedendo di spiegare un concetto, di risolvere un esercizio, proponendo un’esperienza di laboratorio.Ma lo sforzo mirato a spingere qualcuno verso la comprensione non può esaurirsi nell’armarsi di una lista di metodi e strumenti, tradizionali o all’avanguardia che siano. Comunque, parlare troppo della formazione e della professionalità che un insegnante dovrebbe avere mi sembra fuori luogo se si considera il fatto che in un liceo scientifico (indirizzo ordinario o bilingue) il numero delle ore di matematica e di quelle di fisica è inferiore al numero di ore di latino. Che si potrà fare di miracoloso con così poco tempo a disposizione? Questa mi sembra un’eredità della scuola di Gentile assurda da mantenere. Risolverei il problema eliminando lo studio del latino al liceo scientifico, lasciandolo, al più, in un indirizzo specifico.Rossella

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  4. @damaPer evitare gli equivoci facciamo un discorso concreto, partendo proprio dal tuo primo esempio.Tu suggerivi di mettere in mano ai ragazzi due fili di lunghezze diverse, con cui realizzare due pendoli. Il punto – immagino – sia quello di mostrare come a lunghezze maggiori corrispondano in qualche modo (perchè non è stata fatta alcuna misura, anzi non sono state neppure introdotte le idee di misura e di osservabile!) oscillazioni più lente.Ma già trarre questa conclusione è arbitrario: chi mi dice che se prendo un filo ancora maggiore avrò un’oscillazione ancora più lenta? o che se sospendo un cubo invece che una palla il discorso non si inverta del tutto?E dunque a cosa porterebbe questo approccio? O a passare la propria vita a catalogare pendoli per lunghezza e sospensione; o a dire al ragazzo: fidati, se ripetiamo l’esperimento cambiando questo o quest’altro le cose continueranno ad andare secondo la tendenza precedentemente osservata.Se questa fosse davvero la tua idea di scientifico o di didatticamente utile personalmente ne sarei a dir poco sconcertato; ma al di là delle opinioni, il punto cruiciale è che insegnare le cose in questo modo non sarebbe <>fare fisica<>, perchè molto semplicemente <>la fisica non è questo<>. Galileo, padre della fisica, parla addirittura di natura scritta in caratteri matematici.I Principia di Newton hanno già una struttura completamente deduttiva e matematizzata; nessuna legge fondamentale viene dedotta dagli esperimenti, ma calata dall’alto come un assimoma.E da allora in poi è sempre stato così.Non c’è niente di esoterico nelle equazioni – nè nella lavagna o nel gesso. Non so chi o cosa ti abbia portato a maturare questa idea, ma è sbagliata. L’equazione non è un modo di cucinare una minestra, ma la minestra stessa. Quindi o dici che vuoi eliminare la fisica dal liceo, oppure lascia che venga insegnata così com’è – ossia con le equazioni.

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  5. gli anglosassoni sono molto piu’ pragmatici degli italiani, altro che greco e latino.Il fatto che le classi dirigenti vengano formate per dirigere i tecnici anche senza la necessita’ di sapere quello che i tecnici stanno facendo e come lo stanno facendo e’ la cosa italiana che ha incoraggiato la formazione di un sostrato di management sostanzialmente incompetente (ingegneri a dirigere programmatori, ad esempio) e che e’ concausa del declino dell’Italia.Non voglio fare la solita litania dicendo che all’estero non funziona cosi’ e i manager ne capiscono perlomeno qualcosa di quello che fanno i sottoposti, ma sul serio, fuori di preterizione, all’estero funziona cosi’. E io lavoro all’estero.Quello che dice Leonardo e’ sostanzialmente giusto, e’ chiaro che dopo 5 anni di classico (che anch’io ho fatto) risulta difficile riconoscere che forse tante cose sono state inutili, che forse l’etimologia di una parola non e’ che sia cosi’ importante e a dire il vero io l’ottativo, dopo 8 anni, neanche mi ricordo come si coniuga.Io direi che molti di questi discorsi, ad esempio quelli di Citati e del resto della combriccola dell’ospizio dei classicisti, vengono fatti senza cognizione di causa. Esistono della statistiche che mostrano quello che ha detto Leonardo, cioe’ che la nostra scuola secondaria forma figure poco competenti e incapaci di affrontare l’universita’.E poi non e’ vero che quando si fa analisi si riparte da zero, si parte spiegando la retta dei numeri, ma piu’ avanti mica si ricomincia a spiegare la trigonometria, come si fa il minimo comune multiplo, le potenze o come risolvere le equazioni di secondo grado. E’ ovvio che uno studio matematico di base ci deve essere e io che ho fatto il classico so quanto e’ trascurata li’ la matematica (certo dipende dai professori, lo so, ma in genere e’ cosi’).That’s it, come dicevano i latini.

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  6. @atlantropa Ammetto di essere un po’ intimidito dalla sicurezza con cui affermi che giocare con i pendoli non sia <>fare fisica<>. Richard Feynman sapeva certamente <>fare fisica<> (e anche come insegnarla). Giocava spesso con i pendoli e in un passo di un suo libro (“Sta scherzando, Mr. Feynman”) suggerisce di fare un esperimento (sulla triboluminescenza) addirittura <>senza avere un modello teorico di base<>. E questo proprio mentre sta descrivendo come andrebbe insegnata la fisica, in antitesi ad un libro di testo nozionistico e mal scritto. Ovviamente la scuola deve insegnare ad utilizzare le equazioni e deve spiegare i “caratteri matematici” in cui e’ scritto il “libro della natura”, ma una buona lezione di fisica richiede tanti altri ingredienti. Le misure con i pendoli che hai descritto tu fanno molto probabilmente una pessima lezione, ma quello mi sembra piu’ che altro un problema di cottura 🙂

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  7. La mia affermazione sul pendolo era un po’ diversa, ovvero: convincersi in qualche modo che al crescere della lunghezza cresce il periodo di oscillazione non è fare fisica. Perchè? Perchè innanzitutto è un’affermazione qualitativa, aristotelica o al più baconiana. Ma soprattutto è grossolana: è un voler parlare senza prima aver costruito un linguaggio (le grandezze osservabili, lo spazio-tempo, il moto, il punto materiale…).Perdona se di qui in poi sarò più criptico, ma la fisica fa qualcos’altro: ad esempio con una semplice analisi dimensionale del problema (ovvero senza dover risolvere neppure un’equazione) predice che il periodo cresce con la radice quadrata della lunghezza – che è molto di più di dire che il primo cresce genericamente all’aumentare della seconda – e soprattutto che non dipenderà dalla massa (poi chiaramente c’è anche la soluzione esatta…).Di esperimenti illuminanti con un pendolo se ne possono fare un bel po’; ma non c’è mica bisogno di ricorrere alla compiaciuta pirotecnica di Feynman [personaggio simpatico ai più; ma a me no]; ci sono: l’isocronismo delle piccole oscillazioni del Galileo che guardava i lampadari nel duomo di non so dove; la prima indagine sulla proporzionalità tra inerzia e gravità, fatta da Newton [personaggio antipatico ai più; ma a me no]; oppure, ma solo se si ha abbastanza spazio e tempo, la rotazione del piano di oscillazione di Foucault (che tra l’altro falsifica l’idea della fissità della Terra). Tutti – il secondo in particolare – hanno una portata teorica notevole.E, apro una parentesi, possono essere anche divertenti per una scolaresca. Ma fino a prova contraria questa faccenda di imparare giocando può funzionare sulla singola lezione, non per un intero corso di studi – ma intendiamoci: lo dico solo per esperienza o pessimismo, non certo con sicumera…

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  8. @atlantropa:<>“Perdona se di qui in poi saro’ piu’ criptico”<> e’ una frase quasi commovente nella sua supponenza. Sei proprio sicuro che il tuo interlocutore non sappia nulla di un concetto relativamente semplice che si insegna al primo anno di Fisica? 😉Fra l’altro (questione di gusti, beninteso!) mi sembra una scelta bizzarra come esempio di splendido strumento “criptico”. Io avrei optato, che so, per il teorema di Noether, che permette, come sai, di dedurre leggi di conservazione da principi di simmetria.Invece non riesco ad appassionarmi alla questione se sia piu’ “simpatico” Feynman o Newton. Io citavo Feynman non come campione di simpatia, ma in quanto fisico profondo ed eccellente divulgatore (QED mi sembra un libro assolutamente straordinario per gli scopi che si prefigge e la coerenza con cui li persegue). Apro anch’io una parentesi: mi sembra (ma sbagliero’) che tu faccia in genere un po’ di confusione fra “fare fisica” e “insegnare fisica”. IMHO sono due cose piuttosto diverse. Invece sono d’accordo con te che l’insegnamento della fisica non si possa ridurre ai soli esperimenti. Ma credo che nessuno stesse sostenendo una tesi cosi’ stravagante.

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  9. @gmtSono cose molto diverse anche “insegnare fisica” e “divulgare la fisica”. Oppure: “insegnare fisica” e “divertire e incuriosire con qualcosa che abbia a che fare con la fisica, perché questa risulti più simpatica”.Rossella

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  10. Criptico, criptato, scritto in codice – ma non si suppone affatto che tu quel codice non ce l’abbia.Scusarsi per il passaggio ad un linguaggio più tecnico non è in generale una prassi ipocrita, ma solo un riguardo nei confronti dell’interlocutore, nell’incertezza se possa e voglia seguirti su un certo terreno o meno (ma se invece sono sicuro che una certa cosa non la puoi capire, semplicemente non te la dico).Ciò detto, e sorvolando su tutto il resto – ma sei in qualche università all’estero, e ci sono mementi in cui bisogna staccare – se vuoi capire davvero come si è articolata la discussione basta che te la rileggi; a un certo punto troverai qualcuno che solleva dubbi sull’<>utilità<> di insegnare fisica con le equazioni, suggerendo di fare spazio a metodi empirico-induttivi, e poco dopo un altro che parla del carattere <>ermetico<> delle equazioni; poi mi dici che ne pensi…[No hard feelings]

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  11. @RossellaHai ragione, sono tre cose molto diverse. Ed anche l’ultima puo’ avere una sua validita’: ad esempio in una mostra o in un festival della scienza, nei casi – ahime’ pochini – in cui l’ “exhibit” sia ben studiato. Confonderle e’ probabilmente sbagliato. In particolare ti rassicuro (se ho capito il senso del tuo intervento) che per me divulgazione e didattica sono attivita’ molto diverse, sia come obiettivi, sia come strumenti da impiegare.@atlantropaMi sono inserito nella discussione solo per rispondere ad una tua frase precisa sulla la quale non ero d’accordo con te: quando hai descritto quale sia secondo te il senso di un esperimento fatto a scuola. Per quanto riguarda le equazioni non credo si possano avere dubbi sull’esigenza di utilizzarle nell’insegnamento della fisica (specialmente alle superiori). Su questo punto hai certamente ragione (te l’avevo anche scritto nell’ultimo commento). Allo stesso tempo penso che sia importante ricordare agli allievi che stanno studiando una cosa vera, concreta. Qualche esperimento, ben congegnato (tu ne hai proposti tre eccellenti) ed inserito in un discorso piu’ ampio mi sembra abbia una grandissima valenza didattica ed e’ un peccato rinunciarci.

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  12. Si rassicurino gli amanti dei codici: né io né Jacopo, se posso permettermi di parlare anche a suo nome, abbiamo mai scritto che le formalizzazioni matematiche vanno abolite dalle scuole. Io ho scritto già nel primo commento (e se non ci si fida verificarlo è facilissimo) che “spiegare PERFINO il pendolo ESCLUSIVAMENTE con formule sulla lavagna” non è didatticamente utile a migliorare le sorti patrie. Lui, che sospetto in grado di citarne di parecchio complesse: “…dare la possibilità di giocarci e sperimentare quello che succede. Poi (…) spiegare (tramite equazioni) i principi che ci stanno dietro e successivamente (…) ritornare a giocare …”.Curioso e disperatamente elitario che la formalizzazione in un codice determinato (non la formalizzazione in sé) sia considerata l’essenza stessa della materia, anziché, appunto, un codice comunicativo da utilizzare in maniere diverse a seconda dei fini da raggiungere. Ecco perché la sensazione di esoterismo e di magia di chi si diverte a escludere tutti gli altri perché maneggia un codice, non perché spiega e fa imparare come funziona un fenomeno che, in moltissimi casi, si può anche toccare, con cui si può giocare, come diceva meravigliosamente Jacopo. Direi che gli scienziati giocano e si divertono moltissimo nel loro “lavoro”, altrimenti credo che cambierebbero mestiere. Farlo in una scuola sembra – ancora – un delitto, va’ a capire.Al contrario direi che nessuno scienziato, né delle scienze pure né delle scienze umane e forse neppure i partecipanti ai commenti di questo post si sognerebbero mai di consigliare l’approccio “fidati che è così”, perlomeno senza ulteriori distinguo. Esteso a principio didattico universale è un po’ come ridurre lo studio al servizio militare. Questo è un approccio da mago o da piazzista o da demagogo (già cos’è un demagogo? Cosa fa? Come ci riesce? Oddio deve avere a che fare con quella roba inutile che han soppresso dalle scuole, serve a niente, bah).Scienze e lettere sono a mio parere chiavi per arrivare a una migliore comprensione della realtà e alla capacità di indagarla, quindi di cogliere le leve con cui agirvi. Se c’è qualcosa che ho trovato perfettamente inutile in una scuola che non ricordo affatto con nostalgia sono state le ore di materie scientifiche passate in quel modo e non perché fossero poche. Al contrario ho rimpianto che non potessimo mai usare quei laboratori scientifici che, ripeto, nel gentilianissimo liceo pure avevamo (dovevano averceli messi subdolamente per deviare ancor più le nostre menti dall’approccio corretto per imparare le scienze). Mi è anche capitato il caso di un’amica, uscita dall’inutile classico, che con metà della sua classe scelse all’università biologia, con ottimi risultati, perché innamorata della sua insegnante: “Tutto era facile con lei”, ricorda, alla faccia delle “poche ore” dedicate alla materia “scientifica”. Quindi non penso sia una questione di ore o materie, ma del modo in cui vengono insegnate. E del fine, soprattutto. Devono essere “utili” a cosa? La famosa ricerca applicata che “serve” alle aziende è davvero la cosa che serve agli esseri umani? E’ scienza? E se serve alle aziende perché non se la pagano loro e lo stato paga qualcos’altro? E è vero che un diplomato in Italia trova più opportunità di lavoro di un laureato? Perché? Dov’è il lavoro di qualità? E allora che ce ne dovremmo fare di tutti questi scienziati? La nuova leva di contratti coccodè? A che serve lo studio? A che vogliamo che serva?La dama del lago

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  13. Dama, secondo me c’è un equivoco.Insegnare la fisica attraverso le equazioni non significa infondere una conoscenza attraverso dogmi indiscutibili. L’equazione è il modo in cui lo studente matura la conoscenza.Io penso ancora con terrore al mio professore che riempiva la lavagna di simboli, eppure in un qualche modo è riuscito a farmi arrivare fino a E=mc2 con la mia testa. E lì, non c’è esperimento che tenga: non puoi curvare lo spazio nel laboratorio di scienze gentiliano per dimostrare che Einstein aveva ragione. Però puoi replicare nel tuo cervello il ragionamento di Einstein, e la lavagna piena di equazioni è il linguaggio che te lo consente.In questo modo formi persone razionali, che affronteranno la vita con razionalità, e si affideranno alla scienza e non alla superstizione. E non è poco. Anzi, forse è tutto. Se faranno gli spazzini, saranno spazzini efficienti che non si giocano lo stipendio all’enalotto.

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  14. Sembra come di essere ad un matrimonio, o qualcosa del genere; tutti gli altri invitati hanno assecondato il cerimoniale e cambiato stanza, mentre noi rimaniamo qui per qualche strana ragione.Ma finchè l’unico rischio è capirsi, ne vale la pena…@damaGrazie per l’incipit, mi hai riportato alla mente un giovane D’Alema primo ministro in visita a Wall Street, che disse di aver rassicurato i mercati finanziari…Il fatto è che nemmeno io, un amante dei codici, sono convinto che ad un liceo, financo scientifico, si debbano fare tre anni di fisica; la matematica che hai a disposizione è così elementare che in quelle ore puoi limitarti a scrostare qualche pregiudizio: butti giù qualche anacronistica catapecchia mentale, ma su quelle rovine puoi costruire ben poco.La richiesta di fisica viene dalla società, dall’economia; c’è bisogno di armi e tecnologia. La necessità di questa iniziazione scolastica probabilmente segue da lì; ed anche se alla fine delle superiori non hai capito nulla, non bisogna sottovalutare l’importanza di conoscere almeno i nomi delle cose (equazione di Maxwell, principio di conservazione dell’energia, integrale di superficie): vuol dire che di lì in poi ne avrai meno paura, e sei quasi a metà dell’opera.Tutto questo ovviamente è mera opinione personale, e come tale sta a zero. Quello che, invece, maggiormente mi preme ti arrivi è che parlare di <>formalizzazione matematica della fisica<> è un po’ come parlare di <>formalizzazione della comunicazione attraverso il linguaggio<>; e che protestare perchè nell’insegnamento della fisica viene dato troppo spazio alle equazioni è un po’ come protestare contro l’insegnamento delle declinazioni per il latino.Lascia perdere la definizione del vocabolario o l’etimologia; fisica sta a natura come ammoniaca al dio Ammone.La fisica non è più <>un tentativo di descrivere in qualche modo la natura<>; qualcosa che magari col tempo, e per qualche strana ragione, è stata via via formalizzata matematicamente – magari per il compiacimento di pochi misteriani – fino a diventare incomprensibile.Finchè la premessa sarà questa le conclusioni saranno inevitabilmente fuori bersaglio.Parlando in maniera grossolana, la fisica (quella propriamente detta, che muove da Galileo e Newton; perchè accanto ad essa sopravvivono fino al ‘900, e con un certo qual seguito, anche delle fisiche non scientifiche) si occupa sostanzialmente di fare modelli matematici.Si cercano le equazioni cui devono obbedire degli enti astratti (punti materiali, corpi rigidi, fluidi continui, campi, ensemble statistici, funzioni d’onda, metriche riemanniane,…) che rappresentano il modo in cui il fisico vede – vuole vedere – volta per volta un certo aspetto della natura (a seconda dei casi – e della convenienza – la terra può essere un puntino o una grossa sfera rotante; il fisico può far finta che non esista la struttura atomica della materia, o addirittura che non esista niente altro fuori dalla stanza in cui è).Alla fine della strofa si cerca di scrivere un’equazione.Collateralmente le soluzioni indicano spesso dei comportamenti che si pretende di ritrovare nella natura nell’atto della misura all’interno di un dato esperimento.Ora se sia la natura stessa ad essere scritta in caratteri matematici o si tratti di indossare kantianamente degli occhiali che ce la facciano apparire come tale è un tema controverso (e neppure così importante); ma tutti i discorsi convergono sulla matematica.Certo, all’equazione si può pervenire in un modo didatticamente più o meno efficace, più o meno graduale, più o meno piacevole; ma è indubbio che finchè il punto è quello di fare fisica la meta sarà quella, non altra.Il fenomeno che tu dici <>si può anche toccare, con cui si può giocare<> è una cosa diversa dallo studio fisico del fenomeno; giocare col pendolo non è studiare la fisica del pendolo, esattamente come far girare un mappamondo non è studiare la geografia.Non esistono vie regali per la geometria, e neppure per la fisica. Certo, poi, magari tutti i professori fossero < HREF="http://it.youtube.com/watch?v=7Zc9Nuoe2Ow" REL="nofollow">così<>…@gmtChe dire, credo che siamo sostanzialmente d’accordo.Anch’io non negavo l’effetto psicologico che può avere su un ragazzo il vedere che se muovo un interruttore posso far girare l’ago della bussola o far accendere una lampadina senza che queste siano a contatto con nulla; se è per questo con i giroscopi si possono confezionare un sacco di esperienze divertenti, altrettanto con gli effetti della risonanza; ma questo può farsi anche in chimica, o in aritmetica, o in geometria.Finchè ciò riesce ad essere un mezzo per attirare l’attenzione o per suscitare la curiosità mi sta più che bene. Basta, appunto, che allo studio non si sostituisca il circo Barnum.

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  15. ciao, mi chiamo francesca, ho sedici anni e frequento il liceo scientifico.ho seguito abbastanza attentamente i risvolti della nuova riforma riguardante la scuola,probabilmente perchè mi riguarda in prima persona. penso che non ci sia niente di positivo nei cambiamenti che si vogliono attuare, e il fatto che si prefiggano non di migliorare l’istruzione, ma di risparmiare lo si possa dimostrare. la scuola italiana è una delle migliori al mondo, che lei sia d’accordo o meno, e lo dicono pure i giornali, non me lo sono inventata io, se non fosse per il sud dove l’istruzione non viene affrontata con dovuta serietà, l’italia sarebbe tra i primi(non sono razzista, della lega ecc. riporto solo la realtà). detto questo non voglio dire che la scuola italiana sia perfetta, anzi però è buona, non come la vuol far passare lei.passando alla riforma, per quanto riguarda le elementari, le sembra corretto che dei bambini debbano essere a contatto con un solo insegnante, un solo modo di vedere le cose? e se il maestro/a si accanisse contro un allievo? sarebbe la sua fine.sa che la capacità di apprendere dell’uomo è maggiore quando si è bambini? sa cosa succederebbe se il docente fosse incapace di fare il suo lavoro? meglio passare alle superiori, che mi sono più care e rappresentano ora come ora il mio mondo.concordo pienamente con quello ke ha detto sui professori di matematica, insomma, con il primo paragrafo. sono in disaccordo con lei invece sul fatto che chi considera buone le scuole superiori italiane, in particolare i licei, sono persone legate ai ricordi dell’adolescenza, come ho detto prima, inutile ripetere il concetto, la scuola italiana sarebbe prima in graduatoria se non fosse per il sud. ridurre le superiori a quattro anni (l’unico aspetto positivo è che almeno il quinto c’è, anche se solo facoltiativo) non può che creare danni; se era difficile finire il programma in cinque, si immagini in quattro!inoltre, questa riforma è danneggiosa perchè questo taglio del personale, non del tutto indifferente, causerà l’aumento della disoccupzione che è già consistente, e ciò causerà anche l’aumento della crisi economica.cambiando argomento, scrivere frasi complesse, utilizzando subordinate e non solo principali, può essere solo positivo per la lingua italiana che col passare del tempo sta perdendo gran parte del suo vocabolario e con esso gran parte della cultura latina da cui esso deriva.cordiali salutiuna liceale orgogliosa della sua scuola

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  16. – “Danneggiosa”?– Scrivere frasi complesse può andar bene, ma solo quando si sa usare la punteggiatura. Altrimenti è meglio scrivere frasi brevi.– <>(non sono razzista, della lega ecc. riporto solo la realtà)<>La realtà la riporterai quando citerai dei dati che dimostrano l’inferiorità della scuola meridionale rispetto alla media italiana. Fino ad allora stai semplicemente riportando un pregiudizio.

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  17. La Gelmini va difesa perchè è il miglior ministro della pubblica istruzione dai tempi di Gentile.Il sistema gentiliano era ottimo. Venivano a studiarlo dall’estero.Lo sfascio della scuola è coinciso con lo sfascio di quel sistema.Ripristinarlo il miglior regalo per le nuove generazioni

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  18. Sì, venivano a studiarlo col calesse.Se uno ritiene che il Greco è inutile non fa il classico. Bene. E se uno ritiene che il latino sia una perdita di tempo, deve per forza fare un istituto tecnico?La scuola gentiliana era decotta già negli anni ’80, quando in realtà dinamiche (dove si volevano scuola che producessero competenze ad alto livello e non parcheggi per figli di papà) erano già fioriti licei sperimentali senza latino.Invece il regalo che volete lasciare alla vostra, sottolineo, vostra prossima generazione, è la scuola che premia i fessi che sanno le declinazioni a memoria.

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  19. Io penso sia preferibile che anche chi si orienta verso il settore scientifico conosca bene l’italiano, e credo che aver fatto latino aiuti. In più il latino in sé stesso è importante. Uno che va a studiare giurisprudenza si trova un bel po’ di espressioni latine. Chi va al classico studia matematica, non trovo scandaloso che chi va allo scientifico studi latino.Comunque la questione è sicuramente molto più opinabile dell’altra. Le nostalgie gentiliane non le condivido ma non penso che la scuola debba essere ridotta alle tre “I” di Berlusconi.

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  20. Io penso occorra pensarci due volte prima di eliminare delle materie. Si aggiunga piuttosto ciò che si pensa che manchi. Il parallelismo tra greco nel classico e latino nello scientifico regge fino a un certo punto: l’assenza del greco snaturerebbe il liceo classico, la presenza del latino non snatura lo scientifico.

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  21. Ma perché bisogna continuare a leggere di questa favola che la scuola elementare italiana è “eccellente”? Ma chi dice questo, s’è mai fatto un giro in una scuola media, magari in una prima?La scuola elementare italiana è un disastro, altro che eccellenza: a cominciare dal “metodo globale” per finire con le duemila discipline che vengono propinate ai bambini, da là escono dementi e basta.Ce lo si faccia, un giro da quelle parti: si avranno brutte sorprese, e almeno non si costringerà più il prossimo a sentire certe fantasie spacciate per verità.

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  22. Ovviamente non ho letto tutti i commenti, però ho trovato il post di una lucidità analitica quasi disarmante.La scuola, oggi, offre un prodotto ovvero l’istruzione. Prima istruire era una sorta di impegno fondamentale, una carica da affrontare con giuste motivazioni. Oggi istruire è un lavoro, uno di quelli che magari ti appalla, però tra qualche canna e qualcuno che ti infila la mani nel perizoma magari il tempo passa più in fretta.I nragazzi non chiedono di sapere, la loro curiosità è stantia, la voglia di conoscere del tutto assente… quando si va al liceo solo per la presenza e quando si preparano le materie per le interrogazioni trimestrali… di che scuola vuoi che si parli.Occorrerebbe svegliarli sti ragazzi ma a suon di schiaffoni. E’ questa la vera riforma scolastica a prescindere dal numero di maestri o dai laboratori e via dicendo.Occorre far comprendere a tutti i ragazzi in età scolare a cominciare dalla prima per finire al quinto liceo che imparare e conoscere e sperimentare è una meravigliosa avventura. Riuscendo in questo credo che parte del problema potrebbe essere risolto, perchè gli stessi ragazzi potrebbero definire i termini della loro istruzione.Vabbè un pò logorroica forse…..

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  23. E’ bello essere sinistroidi, sognatori e infinitamente adolescenziali. Se i soldi non ci sono, non ci sono e basta. Certo, è bello sognare i servizi gratuiti, promettere ausili gratuiti e sostegni gratuiti. Tanto paga il papà stato. Esattamente come l’adolescente non interessato a sapere come poi farà il papà a trovare i soldi. Beata gioventù!! Che bello sognare. Che bello essere di sinistra.

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